CAPITOLO 12 - OTTOBRE

Come si è ripetutamente osservato, l'incertezza circa le intenzioni del vicerè spagnolo Raimondo di Cardona, che sta arrivando con le sue truppe in Lombardia, è il motivo che caratterizza la situazione militare in alta Italia sullo scorcio del mese di settembre. Tale ambiguità continua fino all'inizio di ottobre, alimentata da voci contrastanti che giungono a Venezia ed al campo sui possibili disegni dell'esercito spagnolo.

Al campo, in data 2 ottobre, i provveditori si vanno finalmente orientando su una possibile strategia: bombardare Brescia per tre giorni, al termine dei quali ingaggiare battaglia, prima che giunga l'esercito del Cardona, il quale dista da Brescia almeno dieci giorni. Per l'ultima volta si tenta di convincere l'Obignì alla resa, ma costui rifiuta, asserendo di non temere gli spagnoli: l’implicazione essendo, dal momento che gli spagnoli non erano nemmeno arrivati, che egli tanto meno teneva i veneti. In previsione dell'assalto, i provveditori ordinano di fare ampie scorte di vettovaglie non soltanto al campo, ma anche a Bergamo ed a Crema. Essi si consultano inoltre con la Signoria sul comportamento da tenere qualora gli svizzeri passassero l'Oglio ed affrontassero con i milanesi l'esercito veneto: l'ordine della Signoria è di rispondere ad un eventuale attacco, ma non di attaccare per primi. Nell'inviare loro 8000 ducati, Venezia ancora una volta li incoraggia a stringere definitivamente la città.

Anche a Bergamo si registrano testimonianze dello uno sforzo per la raccolta di vettovaglie e munizioni in preparazione all'impresa di Brescia. Si tratta di due ingiunzioni del 2 ottobre da parte del da Mosto, una ai vicini di Campagnola e Colognola [Lett. 9.3.1. # 729] e l'altra agli uomini del borgo di sant'Antonio di Bergamo [Lett. 9.3.1. # 730] per allestire un carro con 3 paia di buoi al fine di condurre pane al campo. Un'altra lettera dei provveditori al da Mosto del 6 ottobre [Lett. S.3.1, 42] dice: ...Pregamo, instamo et importunamo Vostra Magnificentia che subito subito subito et item subito receputo le presente Vostra Magnificentia cargi sopra cavalli fino 100, 200 over quello più numero de imbrazature li sia possibile, commettando ali conductori che camini da tute hore cum ogni diligentia et solicitudine, sì che dimane più a bonora sia possibile le siano qui senza fallo.... Infine, Lorenzo Orsini scrive al da Mosto da Crema il 7 ottobre [Lett. S.3.1, 43] dicendo che ha designato in Romano e dintorni Marco da Calabria per lo sicuramento delle vittuaglie che si levano de Romano. In risposta ad un desiderio espresso dal da Mosto, gli ordinerà però di spostarsi altrove: se l'avesse saputo, l’Orsini l'avrebbe spostato prima.

Il 5 ottobre si apprende a Venezia che gli spagnoli hanno tutti attraversato il Po e sono accampati con il vicerè ad Isola della Scala. Il Guidotti, che sta presso il Cardona, stima che l'esercito spagnolo ammonti a 450 lanze, 400 zanetieri e 5000 fanti, con 12 bocche da fuoco ed afferma che tutti sono diretti a Brescia, che essi intendono prendere a nome della Lega, per marciare successivamente contro Milano.

Da Bergamo il da Mosto ed il Lippomanno informano il 3 ottobre che le truppe del capitano delle fanterie, che erano arrivate in città solo pochi giorni prima per prendere la Cappella, si sono invece ritirate verso Brescia per partecipare alla battaglia finale. Anche il Beretta [BER, 106v] registra: et die 2 octobris dicti pedites vocati a suo capitaneo, redierunt Cremam.

Nel tentativo di stornare la minaccia del Cardona sul proprio esercito, attraverso l’ambasciatore Guidotti, Venezia rende noto al vicerè che il suo avvicinamento a Brescia non sembra opportuno, dal momento che l'esercito della Repubblica si appresta a dare battaglia e non ha alcun bisogno di aiuto. Lo invita quindi ad andare sul veronese o sul milanese con molte parole gaiarde e quasi minatorie. Di questa lettera anche i provveditori vengono informati. Ma, come riferisce l'Emo, permangono molti dubbi sull'impresa di Brescia, proprio a causa delle discordie che oppongono il governatore ed i provveditori. Tuttavia, il cannoneggiamento della città ha inizio il 5 ottobre.

Da Isola della Scala il vicerè entra in Verona, dove afferma di volersi fermare. Da lì, manda un uomo al campo veneto per offrire aiuto ai provveditori. Il 6 ed il 7 ottobre ha luogo un vigoroso bombardamento su Brescia, mentre si fanno piani e preparativi per dare battaglia il giorno 8. A quest'ultima data il piano d'attacco è tuttora in piedi, ma improvvisamente il giorno seguente una lettera comunica alla Signoria che il ventilato accordo per la cessione di una porta è fallito e quindi l'esercito si è mobilitato invano. Era successo che l'accordo era stato scoperto ed un uomo ritenuto responsabile era stato preso in città e squartato. I provveditori affermano che si sta tentando un'altra possibile strada, ma se la città non si arrenderà per accordo, non si potrà espugnare con la forza perché, nonostante il fuoco intenso delle artiglierie, Brescia sembra imprendibile. Non solo, ma pare che i milanesi, insieme con certi cremonesi, stiano passando l'Oglio per dare addosso ai veneti. Di fronte a queste notizie, a Venezia si fa strada la sfiducia.

Racconta il Sanudo che, provenendo da Milano dove era giunto il 1° ottobre, è intanto arrivato a Bergamo il 5 ottobre Antonio Giustinian, che era stato prigioniero in Francia. La notizia viene confermata anche dal Beretta: Die martis 5 octobris 1512 d.nus Antonius Justinianus, qui Brixiæ captus in Franciam ductus fuerat, tandem pecuniis redemptus venit Bergomum, ubi honorifice receptus fuit, et tribus diebus stetit, a communitate donum ducatorum 100 noluit accipere, verum gratias egit [BER, 106v]. Si legge, di fatto, nelle Azioni del Consiglio di Bergamo [Az 12, 29v] che il 7 ottobre viene proposta e approvata a grande maggioranza una parte. Eccone il senso: viste le benemerenze del patrizio veneto Antonio Giustiniani già podestà di Bergamo verso la città; dal momento che essa non aveva mai ricevuto da lui alcun torto; considerati l'amore e la benevolenza della città verso di lui; anche se egli avrebbe meritato un dono cospicuo, ma considerata la povertà della città stessa; si propone che in segno di benevolenza gli venga assegnato un dono di 100 ducati d'oro sui beni della comunità. Gli Anziani vengono incaricati di recuperare i denari necessari ed essi prendono a prestito da Battistino de Rota i 100 ducati, obbligando contro questa somma i beni della comunità o addirittura i loro propri beni. Gli atti non menzionano il rifiuto del dono da parte del Giustiniani, ma è da notare che l'intera somma viene successivamente restituita a Battistino il 30 ottobre: in vista della cronica ristrettezza di fondi della città, questo fa pensare che la somma presa a prestito non sia di fatto mai stata utilizzata.

Bisogna a questo punto menzionare alcuni fatti, dei quali ci sfugge tuttavia il preciso significato, che si svolgono a Bergamo verso l'inizio di ottobre. Cita nei suoi diari il Beretta: Die predicta [5 octobris 1512] iussi sunt a d.no Provisore Bergomi adire Venetias de mandato Dominii Veneti spct.les d.ni Michael Maldura, Girardus della Sale, Clemens de Vertua, doctores, Amelius de Soltia, Obertinus de Vegiis, Johannes Jacobus de Mutio, d.nus Oliverius Augustus doctor, d.nus Leonardus Marentius, Jacobus Marentius, Baldessar del Follo, Johannes Philippus de Mutio, presbyter Andreas de Vaciis capellanus d.ni Francisci Albani, Johannes Baptista Donazellus, Bernardinus de Lancis, Defendus et Galiotinus fratres de Sabbatinis, frater Albertus de Colleonibus prepositus in Galgari, presbyter Christoforus de Carminatis, presbyter Nicolaus de Aspertis canonicus, d.nus Prosper Suardus canonicus, Pasinus de Triccio, Valerianus de Adelasiis, Aluisius Bagnatus, d.nus Ludovicus de Brixianis, Leonardus Verzerius, d.nus Alexander de Tertio doctor, d.nus Baptista Suardus, Ciprius Suardus, Augustinus Suardus, Scipio Suardus, Antonius della Sale, Johannes Galina et filius, Johannes Franciscus de Ponte, Baptista de Soltia, Ludovicus d.ni Hieronimi de Augustis, d.nus Valerius de Ponte, Johannes Petrus Franzesinus de Gambirasis, Johannes Petrus Ceresolus; numero 38 [BER, 106v]. Le ragioni di questa citazione non sono enunciate.

Il tentativo di allontanare i militari dalla città, anche mediante lettere al Dominio di cui si è riferito al 26 settembre, viene esperito a Venezia da Giovan Antonio Assonica e Taddeo Albani, come da una loro relazione da Venezia del 5 ottobre inviata ai deputati di Bergamo [Lett. 9.3.6. # 29]:

...la medesima matina che si have hautto le littere vostre, a hora che il Colegio era reduto, non fo posibele haver haudientia; et poi al zorno seguenti, intraduti dali mag.ci Piero Balbi et miser Steffano Contarini, avessemo audientia et apresentassemo la vostra ala Serenità del Princepo, exponendo quanto ne avetti comesso. Quali cum displacentia inteseno tal inchonvenienti et disturbi, et hordenorno che al mag.co Proveditor fosse schripto una littera, cometendolli dovesse cum più dexterità el poteva levar li ditti soldatti de caxa de citadini et alozarli neli lochi publici et solitti, come per ditta littera partichular mente intenderetti.
Qual vi mandiamo qui aligatta, la qual non se ha potuta haver se non ozi per che el canzelero che l'à ingrossatta l'aveva falatto in copiarla, in modo è stà bixognio farla reffare. Per la qual havemo pagatto ala canzelaria L. 2 s. 4 pizoli, quali vi piacerà darli cum li altri spexii per avantti a miser Zohane Albano, como anche vi fo schrito per le ultime nostre. Siché solicitaretti el mag.co Proveditor in far exequir la littera duchal et far che li ditti soldatti sia messi et alozatti ali lochi solitti, sichomo et tenor de ditta littera...
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La ducale al da Mosto di cui fa cenno la relazione dei due ambasciatori bergamaschi a Venezia porta la data del 5 ottobre e dice [Duc. Orig. n°24, anche in R.99.23, 55v e Lett. 9.3.2. # 23]:

...habiamo inteso el sinistro patisse quei fidelissimi nostri per lo allozar in casa sua li fanti et cavalli de la compagnia de lo ill.mo Capitano de le fanterie, che era venuto per expugnation de la Capella cum promission che non stariano più de cinque in seii zorni, et che già erano passati più di dixe et non se erano partiti; et che oltra la dicta compagnia etiam ogni zorno accrescevano venturini et meritrice, cum grandissimo suo disturbo, spese et interesse, mal a proposito loro per le occorrentie di presenti tempi, che sono tanto exhausti che più non potriano; cum supplicarne se degniamo di ziò farne provisione. Unde, havendo meritamente a core epsa fidelissima cità, et consequenter sentendone molestia de i disturbi loro causati da dicto allogiamento, vi habiamo voluto dar le presente, commettendovi expressamente che, cum ogni dextro modo saperete far, vediate de trovar allogiamento de luoghi publici et soliti esser deputadi in tal occorrentie, come è la casaza in quella cità, deputarli a dicta compagnia et cavalli, alleviando el charicho, spesa et interesse de quei fidelissimi nostri; portandovi con tal modestia che perhò non siegui indignation e mancho alteration che possibile sia, et che quei citadini a nuii charissimi restino satisfacti, cognoscendo la bona voluntà nostra, in satisfaction de i desyderii loro, per meritar cussì la observantia et fede verso el stato nostro, che ne li rendeno afficionatissimi....

Secondo il Sanudo, da Bergamo il da Mosto ed il Lippomanno scrivono a Venezia il 7 ed il 9 ottobre: ...par il proveditor habi auto in quella matina una lettera del governador di le zente milanese, che è quel domino Alexandro Sforza che è a campo a Trezo che ancora si tien per Franza, dicendo voler mandar artellarie e zente da la banda nostra di qua di Ada per expugnar quella forteza, et haver in comisione dil vescovo di Lodi, che governa Milan, di far e ben convicinar con nostri subditi; unde il proveditor li ha risposto è contentissimo i vengano; ma dize non farano nulla, perché Trezo è locho forte. Item, per lettere di 8, scrisse Lorenzo di Mozanega, era stà retenuto, hora avisa in quella matina esser de lì venuta nova che 'l dito è a Lodi e 'l cardinal sguizaro lo mandò a chiamar dimandandoli duccati 4000, et che erano stà retenuti 5 altri di primi di Milan di la parte di misier Zuan Jacomo Triulzi, imponendoli voleano amazar il vescovo di Lodi a requisition di ditto missier Zuan Jacomo Triulzi. Item, scrive sier Antonio Justinian è ancora lì. E per letere di 8, dize va hora in qua hora in là da soi amici citadini a pranso, e poi si fa festa in comunità. Li volea far uno presente de ducati 100, non ha voluto aceptar, e ha fato ben per non li esser ubligato, e cussì esso sier Vetor lo ha consigliato, col qual più volte ha parlato et disnato e cenato insieme [SAN, XV, 191]. Da Crema scrive il provveditore Cadepesaro: intendendo dei movimenti dei milanesi, ha fatto provvisione di vettovaglie; manda a Venezia alcuni cittadini cremaschi; i francesi sono ancora lì: attendono il salvacondotto per Genova; e nell'attesa banchettano con i cremaschi. Una guerra veramente strana, in cui ad atti di selvaggia barbarie si alternavano intrattenimenti e banchetti tra nemici!

Intorno a quella data, due brevi lettere riguardano una richiesta di aiuto medico per un ferito all'impresa di Trezzo. La prima [Lett. S.3.1, 39] di un capitano di balestrieri, Giovan Antonio Viscardo, è dell' 8 ottobre: El è stà ferito uno homo da bene qui. Ve prego voliati mandare magistro Guido di Medici, medico. Ve prego a non manchare; ala Vostra Signoria me ricomando. L'altra lettera [Lett. S.3.1, 38] è di un certo Oldrado Lampugnano, che si qualifica come armorum generalis comissarius, e viene da Trezzo il 9 ottobre: Per esser ferito qua a Trezzo uno homo da bene de la nostra compagnia da uno archabuso, prega di mandargli al più presto mastro Guido de Medici qual intendo esser bon ceroycho, che non perderà la faticha sua, ultra ch'io gli restarò obligatissimo.

Dal campo, i provveditori scrivono in cifra alla Signoria in data 11 ottobre di aver finito la polvere e cessato il bombardamento; i militari sono malcontenti perché mal pagati; il provveditore di Orzinuovi Nicolò Michiel sta tenendo a bada i milanesi perché non passino l'Oglio a Pontevico; Antonio Giustinian, che era arrivato al campo, è partito verso Venezia con un oratore milanese segreto che porta lettere del vescovo di Lodi alla Signoria. Pare che i francesi in Peschiera vogliano consegnare la rocca agli spagnoli ed andarsene. Anche i tedeschi consegnano agli spagnoli la rocca di Lignago. Il Guidotti conferma da Verona che il vicerè vuole essere amico del veneti ed aiutare a liberare l'Italia dai francesi; per questo ha avviato l'esercito verso Brescia. Così afferma anche l'oratore spagnolo a Venezia, dicendo che va a Brescia da amico.

Il 12 ottobre gli spagnoli hanno passato il Mincio e stanno marciando su Brescia. Il campo milanese, capeggiato da Alessandro Sforza, sta con gli svizzeri sulle rive dell'Oglio e prepara un ponte per attraversare. Il campo veneto si trova senza polveri e senza denaro. In questa situazione, i provveditori spediscono a Venezia Alvise di Piero per far intendere al Collegio ciò che sarebbe pericoloso scrivere per lettera, cioè il malcontento della truppa ed il grave pericolo in cui si trova l'esercito. Pare che vi sia un'alleanza tra milanesi e spagnoli. I provveditori sanno anche dallo Stella dell'accordo tra svizzeri e Massimiliano Sforza e milanesi. Gli 8000 ducati promessi da Venezia non sono ancora arrivati, ma quando arriveranno, ne mancheranno sempre altri 20 mila per finir di pagare la truppa. Si sono preparati alloggiamenti per gli spagnoli a San Zeno. Antonio Giustinian arriva a Venezia con l'oratore milanese il 13 ottobre ed il 14 presenta la sua relazione. L'oratore veneto a Roma riferisce che il Papa non crede affatto agli spagnoli ed ha scritto al vicerè pregandolo di lasciare le cose di Lombardia e di aiutare invece il Papa stesso a prendere Ferrara.

Alvise di Pietro, messo a Venezia dei provveditori in campo, riferisce il giorno 15 in Collegio e chiede decisioni rapide. Le informazioni che si susseguono a ritmo serrato descrivono un quadro per molti aspetti davvero preoccupante. L'oratore spagnolo informa che il vicerè, ottenuta Peschiera, è diretto con l'esercito su Brescia per aiutare i veneti. I provveditori dal campo, in data 13, riferiscono che i francesi sono usciti dalla città nel tentativo di catturare le artiglierie venete e vi sono state scaramucce; ma le truppe venete si sono rifiutate di combattere, dicendo di non essere disposte a farsi ammazzare, dal momento che non vengono pagate. A questo punto i provveditori sono disperati ed invocano aiuti di denaro. Intanto gli spagnoli arrivano a Castiglione delle Stiviere e raggiungeranno il campo veneto l'indomani.

Nicolò Michiel scrive da Quinzano il 12 che i milanesi sono di là dall'Oglio e sparano sui soldati veneti. Ha scritto lamentandosi ad Alessandro Sforza qual li mandò a risponder ch'el voleva ben convicinar con la Signoria nostra, però che ben ch'el fosse soto el cardinal sguizaro, voleva esser bon italian, et che erano 10 bandiere di sguizari alogiate 4 a Bardolan et 6 a Robecho, che è al incontro di Ponte Vigo. Item, che quando ben li fosse ordinato cossa contra il Stato di la Signoria nostra, lo faria intender et che li 100 cavali volseno passar era per andar contra el suo signor Maximian Sforza, che lo aspetano. Scrive aver homeni 1500 del paexe, e sier Zuan Vituri proveditor di stratioti è a Pontevigo va per le rive con li stratioti; ma bisogneria altre zente, perché questi cegnano voler pasar di qua. Lui farà quello el potrà [SAN, XV, 229].

Il Caroldo da Lodi (12 ottobre) intrattiene colloqui con il cardinale svizzero a proposito della venuta degli spagnoli: il cardinale ed il vescovo di Lodi ritengono che un accordo tra milanesi, svizzeri e veneziani garantirebbe molto tutti, ma la Signoria non aveva mai risposto a queste offerte. Scrive anche il Guidotti da Castiglione (12 ottobre) di esser giunto con il vicerè, che ha alloggiato l'esercito lì intorno e intende andare all'impresa di Brescia come amico dei veneziani. La Signoria informa il Papa della relazione svolta da Antonio Giustinian, il quale ha riferito che il re francese vorrebbe accordarsi con il Papa e Venezia.

Il 14 ottobre giungono al campo in visita, mandati dal vicerè, tre personaggi spagnoli, che vengono ben ricevuti. Ma, al di là delle relazioni formali, la situazione è molto difficile. Il Cardona con le sue truppe (5000 fanti, 1500 alemanni, 400 lanze e 400 cavalli leggeri) è accampato a Montichiari e Ghedi. Anche Prospero Colonna con le sue truppe è dato in arrivo a giorni. Il campo veneto è a corto di denari e sarà presto scarso di vettovaglie. Vi è grande confusione e rivalità tra i comandanti. Se non arriveranno 20 mila ducati entro otto giorni il campo rischia di dissolversi.

Una lettera da Bergamo del Lippomanno a suo fratello in data 12 riferisce di un messo mandato in Francia per liberare dietro riscatto il conte Trussardo Calepio, ma senza fortuna. Lamenta che il capitano delle fanterie non sia andato a Brescia, perché a quest'ora con il suo aiuto la città sarebbe già stata presa; secondo la sua opinione – invero piuttosto franca, soprattutto perché diretta ad un vescovo - Brescia mai si averà per bataia si la non se ha per asedio, e questo è zerto, perché non bisogna atender a putane e a frasche e poi tute le sue zente roba il paexe et li amazano sora merchà [SAN, XV, 232]. Narra che il castellano di Milano bombarda la città e fa grandi danni. E' stato imposto un taglione di 200 mila ducati a Milano per cui la città sta in gran rumore; molti milanesi partigiani di Gian Giacomo Triulzi sono stati ritenuti per essere taglieggiati. Circa Brescia dice che franzesi se vol render salvo haver et le persone; ma i voleno tute le robe che hanno i brexani, e di questo li proveditori hanno scrito a la Signoria e aspetano risposta. Etiam i voleno esser acompagnati, come vien quelli francesi erano in Crema [SAN, ibidem]. Pare di intuire da queste parole che si vada profilando per Brescia la soluzione che sarà poi alla fine adottata.

Il Consiglio di Bergamo il 15 ottobre [Az 12, 32v] discute la proposta che Facino Rivola, eletto dai deputati alla sanità di Bergamo per riscuotere prestiti, elemosine e debiti per la peste, nonché per cavalcare in città e fuori, e per fare tutto quanto necessario, abbia un salario di 12 lire al mese dal 1° settembre passato, con le spese di un servitore, del vitto e di un cavallo. La proposta viene approvata all'unanimità. Copia della risoluzione degli Anziani è conservata, oltre che nel Libro delle Azioni, anche in un documento della Misericordia di Bergamo [MIA 3082]. Nel corso di quella seduta si ha anche notizia che il notaio Pietro de Urio è interdetto in casa per sospetto di peste; le cause a lui affidate vengono sospese fino a due giorni dopo la sua liberazione: evidentemente il contagio continua a serpeggiare.

Mentre a Venezia si raccolgono per il campo 8800 raynes e 2000 ducati, giunge in segreto Andrea Rosso, inviato dal Capello, con lettere tenute segrete e si riunisce il 16 con il Collegio. Alla fine delle consultazioni si spediscono al campo due lettere in gran fretta dal contenuto ignoto. A Venezia si mormora che l'Obignì a Brescia si sia finalmente deciso ad arrendersi ed abbia fatto certe proposte, che i provveditori non hanno ritenuto di accettare senza consultare la Signoria: per questo avrebbero scritto. Ma il 16 ottobre essi sono ancora in attesa della risposta. Gli spagnoli intanto sono arrivati a Ghedi e giungeranno oggi a Brescia.

Il 19 ottobre si pubblicano alla fine in Pregadi le lettere del campo circa la resa di Brescia e la relazione di Andrea Rosso. Costui tornerà in campo questa sera, insieme con Alvise di Pietro, l’altro segretario arrivato da qualche giorno. Per mezzo loro, i Savi inviano una lettera ai provveditori che in caxo non seguisse lo accordo con francesi di darne la terra, et spagnoli volesse venir acamparsi e darli la bataglia, vedino di dargela unitamente et non siegua disordine tra il nostro campo e spagnoli; ma ben veder di haver la terra per nui come vol li capitoli di la Liga et il Pontefice. E se li manda uno breve novo dil Papa al vicerè che 'l vol Brexa sia nostra, come la raxon e li capitoli vuol, e altre particularità, etc...E de li danari, li mandemo per pagar le zente et li mandaremo etiam [SAN, XV, 239]. Si tratta, in tutta evidenza di istruzioni impossibili da eseguire e del tutto irrealistiche, stante la situazione ingovernabile che si è descritta.

E infatti, a Venezia il 20 ottobre si sparge la notizia della resa di Brescia: purtroppo però la città si è data agli spagnoli e vi è grande sconcerto. Poi, una lettera dei provveditori del 18 chiarisce ...Dil zonzer di danari ducati 5000 e la ricevuta di Andrea Corso, e le pratiche erano su e zoso di Brexa con spagnoli, etiam con nostri, sicome più diffuse dirò di sotto. Unum est che spagnoli ancora non hanno auto la terra [SAN, XV, 241]. L'ambasciatore spagnolo tenta ancora di rassicurare il doge che Brescia non sarà presa dai suoi. Ma la cosa assume l’aspetto di un gioco da cui la Repubblica pare esclusa.

Intanto giungono a Venezia tre lettere dell'Emo: nella prima (16 ottobre) dice che lui stesso è stato inviato dai provveditori al vicerè a Ghedi con un seguito di gentiluomini e narra con abbondanza di dettagli i suoi colloqui con il vicerè. In una seconda lettera (in data 17) riferisce delle schermaglie tra i provveditori e gli spagnoli circa la presa di possesso di Brescia. Il 18 ottobre, infine, riferisce che è giunta al campo la risposta della Signoria alle domande poste dal Rosso: volesse Dio ch'el fosse stà exequito avanti. Riferisce anche che oggi sono usciti da Brescia 17 cavalli francesi verso il campo spagnolo. Ancora, una lettera in cifra dei provveditori datata 19 riferisce che monsignor de la Rosa, a nome del vicerè, sta trattando con i francesi la resa di Brescia e, per parte loro, i veneti fanno altrettanto. E intanto il nunzio spagnolo a Venezia continua a minimizzare e giura che quand'anche Brescia fosse presa dal vicerè, lo sarebbe in nome della Lega; dopo di che si osserverà la forma dei capitoli.

Il 20 ottobre a Brescia le trattative proseguono estenuanti. Il castellano lascia intendere che si sono siglati i capitoli tra l'Obignì ed il vicerè. Essi prevedono che Brescia si dia all'Imperatore, che il campo veneziano si ritiri a 12 miglia dalla città entro due giorni, che si garantisca libero transito ai francesi armati verso Alemagna e Francia. Ma contemporaneamente, il castellano fa capire ai veneti che non partano, perché lui vorrebbe darsi a Venezia e sta trattando la resa con Guido Rangoni. Si accludono anche lettere di Vincenzo Guidotti, che sta con il vicerè a Ghedi, il quale a sua volta rferisce che gli spagnoli intendono prendere Brescia per la Lega. I provveditori scrivono tuttavia che il governatore non intende levare il campo, a meno che la Signoria non lo ordini. Arriva al campo anche un segretario del vescovo di Lodi.

Appena queste notizie giungono a Venezia, tutti vengono vincolati al segreto e segue un consulto in cui si parla di tradimento da parte dei francesi. Questa è la prima volta in cui viene apertamente riconosciuta l’esistenza di un doppio gioco dei francesi e degli spagnoli. Si raduna il Consiglio dei Pregadi e si convocano l'oratore papale e spagnolo, al quale si intende rinfacciare il tradimento.

Leonardo Emo scrive da Brescia il 20. Informa che dopo molti consigli Brescia si è arresa finalmente all'Imperatore, con certi patti: che i francesi avranno un salvacondotto; che i veneti si ritireranno a 12 miglia; e che il castello si arrenderà entro un mese. Se questa notizia è vera, afferma l'Emo, sarebbe pessima per Venezia. Resta anche da vedere dove si dovrà muovere il campo: se si andasse verso gli Orzi o Pontevico, senza trattare prima con i milanesi e gli svizzeri, si rischierebbe molto; lo stesso se si andasse verso Crema o Bergamo. Sembra preferibile non muoversi fino a quando la Signoria non lo ordinerà. Il governador fa ogni possibele di haver la terra, e a ciò il vicerè non fazi tal conclusion, ha facto che Alonso spagnol ha seminato per le fantarie spagnole al tuto non asentino la terra si toy con salvar le robe a' francesi, e cussì Zan Bernardin farà il simile. Dicto Alonso ha oferto bona parte di la fantaria che vegnirà di qua, volendo maxime 500 schiopetieri, e s'il fosse fatto per tempo quello si fa questa note, Idio harìa dato miglior fortuna a le cosse nostre. E' bon proveder e non tenir le cosse in descrition d'altri. [SAN, XV, 250].

Una lettera di Piero Spolverin del 20 ottobre descrive lo stato del territorio intorno a Brescia e la misera condizione degli abitanti, i quali sono sfiduciati e stanno abbandonando la fede marchesca. Anche Vittore Lippomanno alla stessa data riferisce dal campo veneto in termini generici del contenuto degli accordi tra spagnoli e francesi; dei contatti tra Guido Rangoni ed il castellano di Brescia per la cessione della rocca; del fatto che i provveditori sono in disaccordo con gli spagnoli che si sono intromessi nelle trattative; della posizione spagnola per cui la città, presa a nome della Lega, sarebbe poi attribuita a chi si aspetta, come avrebbe scritto il Papa. Tuttavia, altri francesi in Brescia vorrebbero darsi ai veneti.

Nel pomeriggio del 22 ottobre in Pregadi, alla presenza dei legati papale e spagnolo, il Doge ribadisce energicamente la posizione veneziana; l'oratore spagnolo giura invece sulla sua testa che Brescia, Bergamo e Crema saranno alla fine della Signoria e sollecita un accordo con l'Imperatore. Analoga la posizione del legato papale. La Signoria propone in un primo tempo di rimettersi ai provveditori circa la condotta da tenere e vi è gran discussione in proposito; alla fine si decide però di impartire all'esercito gli ordini seguenti: quando Brescia si desse agli spagnoli o all'Imperatore, il campo muova verso l'Adige; lasciando tuttavia al governatore ed ai provveditori la decisione finale. I dettagli della cessione di Brescia agli spagnoli e del ruolo dei veneziani continuano ad essere oggetto di disputa, ma pare ancora, secondo il Lippomanno, che alla fine gli spagnoli potrebbero cedere la città ai veneti per denaro, dell'ordine di 100 mila ducati trattabili; dopo di che, i due eserciti potrebbero marciare insieme su Milano.

Lettere dal campo del 23 comunicano che la notte seguente i francesi, scortati dagli spagnoli, dovrebbero lasciare Brescia verso Alemagna ma che tutto il paese bresciano è schierato contro i francesi; non solo, ma anche i fanti spagnoli non vogliono che costoro se ne vadano con il bottino trafugato ai bresciani. Oggi il comandante spagnolo ha preso possesso di Brescia, mandato dal vicerè a nome della Lega. Un tale Giovan Andrea Momotus scrive agli Anziani di Bergamo dal campo presso Brescia il 23 ottobre [Lett. 9.3.6. # 30] parzialmente confermando le precedenti notizie, ma aggiungendo qualche elemento di ulteriore incertezza:

Post debitam comendationem, le Signorie vostre sarà avisate come fin hora sono intrati in Bressa circa cavalli 300 deli nostri. Speramo domane tuto el campo intrarà dentro et franzesi inseriano di Bressa et castello et li spagnoli li aseguirano et li conduseno via; ma dove vano non se sa, sed se presume vadano ala volta de Milano. Io me voleva partir de qua per venir ala volta di Bergamo, ma restarò per veder a far la intrata et subito le darò aviso....

La medesima atmosfera di attesa si coglie anche in una lettera del provveditore di Crema Nicolò Pisani. Costui, rinviando a Bartolomeo da Mosto una lettera del segretario di Lodi il 23 ottobre [Lett. S.3.1, 27] aggiunge infatti il seguente poscritto De novo de le cosse de Bressa più del usato cum certeza altro non se intende.

E con l'attesa continuano anche i contrasti tra i comandanti veneti. Secondo Leonardo Emo, il 23 ottobre il governatore gli ha confidato di sentirsi mal trattato da Venezia e dal Papa. L'Emo ritiene che sarebbe cattiva cosa perderlo, ma che forse sarebbe disposto a ricredersi. Da parte sua, il Rangoni ha sfidato il collaterale veneto Bataion, cosa disonorevole che il Capello dovrebbe impedire, ma non lo fa. I francesi stanno partendo e cercano di comprare viveri dai veneti: il governatore ha ordinato che i francesi che si avvicinano al campo siano svaligiati ed uccisi e oggi infatti ne sono stati uccisi tre. I deputati della città protestano per il fatto che si concede via libera ai francesi, i quali si porteranno i beni trafugati ai bresciani. Si attende per l'indomani la risposta sul comportamente da tenere. Intanto, si sono convocate a Brescia tutte le truppe che stavano nei dintorni e sono confluiti anche uomini armati dalle valli e da Franciacorta. Domani i francesi dovrebbero lasciare Brescia e l'Emo teme che ne segua qualche inconveniente. Un'altra lettera dello Spolverin riassume minutamente i fatti tra il 20 ed il 23 e sottolinea l'estrema ambiguità della situazione.

Il 26 ottobre Venezia invia istruzioni ai provveditori: che ussendo francesi di Brexa per andar in Franza, non debano aperto marte esserli adosso, ma si brexani e il teritorio vorano svalisarli li lassano far et loro non se impazino, perché il vicerè vol darli libero transito [SAN, XV, 266]. Intanto, si va profilando al campo una riunione tra il governatore ed il provveditore Cristoforo Moro con il vicerè, da tenersi a Ghedi per definire la situazione di Brescia e vedere che i francesi non si allontanino con il bottino. I veneti cercano di guadagnar tempo, aspettando gli ordini da Venezia, ma ritengono che presto i francesi se ne andranno senza altra nostra licentia; perché non curano di noi, persone inexperte e senza cuor [SAN, XV, 266]. Come si vede, accenti di grande amarezza. Il campo veneto è spopolato e le truppe alloggiano fuori. Il governatore non ha alcun potere perché il provveditore Capello gli toglie reputazione non ammettendolo ai consigli: per questo se ne vuole andare. Sono le inevitabili recriminazioni che seguono i fallimenti.

Il 25 ottobre si svolgono i colloqui tra i provveditori ed il vicerè, il quale assicura che Brescia sarà della Signoria, ma non dice quando, e che sarebbe buona cosa accordarsi con l'Imperatore; il vicerè vuole che la Signoria faccia un salvacondotto ai francesi e non si convince che essi trafugheranno il bottino dei bresciani. Il Capello è dell'avviso che, se gli spagnoli non consegneranno Brescia, l'esercito muova verso l'Adige, dopo aver ben rafforzato Crema e Bergamo. Chiede polvere, munizioni, denari. L'Emo il 26 settembre ritorna sui contrasti tra il governatore ed il capitano delle fanterie circa la Capella di Bergamo: sarebbe opportuno risolverli prima che vi vadano gli spagnoli. Egli fa una minuziosa descrizione di una parata delle truppe venete sotto la rocca di Brescia: peccato, dice, che con queste truppe scelte e con tanta artiglieria non si sia riusciti a prendere la città. Il 28 Venezia intima ai provveditori di ricercare comunque un accordo con gli spagnoli, ed in ogni caso di non muoversi senza ordini.

Il Cardona il 27 ottobre si è accampa a san Giovanni vicino a Brescia, pronto ad accompagnare i francesi. Questi se ne stanno armati sulle mura quando fo fato la mostra a le nostre zente, come aspetaseno la bataglia, e dubitono assai, et hanno inteso che li fanti spagnoli al tutto li voleno svalisar [SAN, XV, 279]. Anche l'Emo informa il 27: ha saputo dal Guidotti stamane che i francesi si levavano da Brescia. Subito il governatore Baglioni ha dato l'allarme ed ha cavalcato verso le mura con altri, dove ha incontrato l'Obignì e monsignor de la Rosa ai quali ha detto di voler evitare disordini; si sono poi lasciati con buona creanza. Domani, per quanto se ne sa, i francesi dovrebbero uscire. I campi spagnolo e veneto si sono avvicinati e scoppiano disordini, anche perché i due eserciti si intercettano vicendevolmente le vettovaglie. Al campo veneto prevale una grande incertezza su che cosa fare e dove eventualmente ripiegare (sull'Adige oppure intorno a Montichiari), anche in relazione alla situazione di Bergamo, dove il da Mosto scrive che la stanchezza si fa strada. Bergamo sarebbe da considerarsi perduta se l'esercito andasse verso est, senza contare che Verona è in mano degli imperiali. Di tutto questo si va ragionando al campo.

A conferma dell'ambiguità della posizione dei francesi in Brescia, Babon di Naldo fa sapere il 26 di essere stato a pranzo con il castellano della rocca di Brescia, il quale, nonostante l'accordo già stipulato di consegnarsi presto agli spagnoli, avrebbe scritto in Francia che egli preferirebbe arrendersi ai veneti. Ecco come viene vista da Bergamo la vicenda di Brescia: Die 23 octobris 1512 cum esset ad moenia Brixiæ exercitus Hispaniorum et Venetorum, et jam cum Francis tractatum esset de danda civitate Venetis, et Hispani nomine Ligæ dicerent accipiendam esse civitatem, ingressi sunt orator Maximiani Imperatoris, orator Hispaniorum et Provisor Venetorum collocuti sunt cum præfectis Francorum extra manente utroque exercitu, et expectabatur responsum summi Pontificis quid concludendum esset de Brixia, et interim Hispani tenebant civitatem Brixiæ et territorium... [BER, 107r].

Il da Mosto ed il Lippomanno informano la Signoria che a Bergamo si sta trattando per la Cappella. Il castellano sarebbe disposto a cederla con questi capitoli, che salvo le persone e le sue robe, possi andar in Franza e sia posto in loco securo, e altri capitoli di pocho momento, i qual è stati tratati per domino Lucha da Brexa (Brembati) e domino Troylo di Lupi, et esso castelan vol la confirmation per li proveditori di campo, e cussì è stà spazato. Doman si haverà a hore 20 la risposta [SAN, XV, 283]. In realtà, come si vedrà più sotto, la cessione della Cappella di Bergamo fu considerevolmente più indaginosa.

Il Capello ed il governatore vanno in visita dal viceré Cardona il 28 ottobre. Alla stessa data i francesi partono da Brescia con tutte le loro cose, accompagnati fino a Pontoglio dalle truppe spagnole; poi monsignor de la Rosa li scorta fino a Pe' di Monte. Gli spagnoli tengono Brescia e quando i veneti si avvicinano alle mura li bombardano. I provveditori insistono per avere istruzioni precise sul comportamento da tenere e dove spostare il campo. La vicenda di Brescia, fino a questo punto formalmente incerta, diventa ora chiarissima. Di fatto, il Cardona e l'Aubigny si sono fatti beffa dei veneti, essendosi accordati fino dal 22 circa la cessione della città agli spagnoli, che diventa effettiva il 28 ottobre. Il Pasero [PAS, 1961, da p. 275] efficacemente descrive questa fase storica a Brescia e sottolinea l'importanza che la consegna della città agli spagnoli ebbe nel riorientare la politica delle alleanze di Venezia in favore dei francesi di Luigi XII, che da tempo corteggiavano la Repubblica per un riequilibrio delle forze, come si vedrà nel seguito.

A questo punto, non resta altro da fare ai veneti che decidere in quale direzione far ripiegare le truppe. Ma ...Non fo scrito in campo, perché ancora li savii non haveano consultato quello havesse a far l'exercito. L'opinion di proveditori saria venir verso l'Adexe. Doman consulterano questo. Intanto da Verona si fa sapere che il Duchetto Massimiliano Sforza, investito del ducato di Milano, è giunto colà da Trento con circa 300 cavalli, tra cui molti milanesi ed è stato ricevuto molto onorevolmente [SAN, XV, 283].

La vicenda di Bergamo trova invece una soluzione più favorevole per Venezia. Il 31 ottobre la Signoria scrive una lettera al provveditore della città lodando l'opera di Luca Brembati e Troilo Lupi nelle trattative per la Capella e confermando i capitoli della resa. Questo rappresenta la conclusione del lungo assedio della Capella di Bergamo. Vi sono alcuni interessanti documenti in proposito. Innanzitutto, narra il Beretta: Die 28 octobris 1512. Odettus Vasco castellanus pro Rege Francorum in Capella, sciens Franciscum fratrem suum castellanum Leuci se dedissse Bartolomeo Ferrerio nomine Mediolanensium, et videns se in periculo, emisit Franciscum Bellafinum, Federicum Rivolam et Stephanum Vianovam, quos tenebat captivos, ad tractandum deditionem et pacta cum d.no Provisore Bergami; et tandem conditiones appositæ fuere, ut castellanus et commilitones ac tota familia et res omnes essent salvæ, et securi ac tuti essent usque ad civitatem ...; quæ omnia approbata fuerunt per d.nos Provisores generales in exercitu Venetorum prope Brixiam; quare die dominico ultimo octobris, facta proclamatione super regio quod nemo læderet Francos prædictos, committantibus d.nis Luca Brembato, Troilo Lupo et aliis, castellanus cum sua familia, tradita Capella Carolo Miano, venit in civitatem Bergomi, ubi stetit usque ad diem dominicam 21 novembris 1512; quo die comitatus d.nis Luca Brembato, Francisco Bellafino, Troilo Lupo, stradiotis et aliis, discessit cum suis peditibus, ivit versus Leucum cum salvo conducto Mattei cardinalis Legati Apostolici et Octaviani Mariæ Sfortiæ episcopi laudensis, Mediolani gubernatoris; quo die venit Bergomum Hieronimus ... comestabilis cum peditibus 140 ex castris Venetis pro custodia Capellæ [BER, 108r].

Il Bellafino, che fu protagonista della vicenda così dice nel suo "De Origine et Temporibus Urbis Bergomi": Odetto da Causens, capitano della rocca, dopo aver sopportato l'assedio per circa quattro mesi, perduta ormai la speranza di un ritorno dei Francesi in Italia, per la scarsità delle vettovaglie pensa di arrendersi. Chiamato il Bellafino, che per ordine del Re era stato prigioniero presso di lui, lo fa partecipe della sua intenzione e gli chiede di redigere il documento di dedizione, nel quale compaia il patto che i Veneziani si facciano carico della paga dei suoi soldati, a partire dall'inizio dell'assedio. Il Bellafino gli risponde di vigilare affinché una tale condizione non gli procuri presso il Re fama di discutibile fedeltà. Infatti, le forze del Re non erano scemate o attenuate a tal punto che Odetto si potesse permettere di trascurare la grazia reale in vista di un modesto compenso, tanto più che tutto ciò che aveva sopportato ed ottimamente meritato valeva un grande compenso ed ampi onori. Odetto accettò il consiglio e così, dimenticata la clausola, uscì il Bellafino con gli altri patti, che furono inviati al Senato veneto, approvati e sottoscritti. Ne seguì la resa [BEL].

Il testo dei capitoli della resa della Capella è conservato in [MMB 324, f. 14r] sotto forma di una notifica dogale del 31 ottobre, in una trascrizione un poco incerta, alla quale si rimanda il lettore per tutti i dettagli. Il testo dei capitoli di resa fu inviato a Venezia per la ratifica attraverso i provveditori in campo, come da una loro lettera al da Mosto del 31 ottobre [Lett. S.3.1, 26]. Essa dice che i provveditori hanno ricevuto le sue lettere e quelle del castellano della Cappella. Le hanno inviate alla Signoria ed hanno scritto in buona forma al segretario Caroldo per il salvacondotto attraverso lo stato di Milano. Credono che questo sarà inviato tra breve o che quelli di Luppi che intrerano in la Capella menino cum loro qualche numero di fanti, sì che de quel loco se possiamo tenir certi, come tenimo la Maificentia Vostra sia per fare.

Nessun cenno appare nei resoconti ufficiali delle riunioni del Consiglio bergamasco, a proposito di questo importante avvenimento che liberava la città da una preoccupazione che durava fino dal giugno. Invece, il Libro delle Azioni riferisce al 29 ottobre [Az 12, 36r] di una discussione su una materia certamente di minor momento per la città, cioè la soppressione di una provincia dei frati minori dell'Osservanza, che avrebbe sottoposto i frati di Bergamo a Milano, piuttosto che a Brescia. Il Consiglio dispone che in favore dei frati si scriva al Dominio. La lettera degli Anziani è del 31 ottobre, è trascritta alle Azioni ed anche altrove [Lett. 9.3.6. # 34].

Sempre nella medesima seduta del 29 ottobre [Az 12, 36r], nell'incertezza delle notizie che giungevano a Bergamo dal campo, il Consiglio decide di dare mandato a Battistino Rota ed Andrea Calepio di inviare dei messi a Brescia pro habenda veritate de successu Brixie et ad investigandum circa hispanos, quo tendant et quid agant, etc., et hoc decentibus de causis. Come si vede, anche a Bergamo - ma, come al solito, con un buon mese di ritardo rispetto a Venezia ed al campo - si vanno manifestando i timori sulle intenzioni degli spagnoli. I due incaricati inviano in avanscoperta il collaterale Silvio Taglioni, che manda loro in rapida successione tre lettere, tutte alla data del 29 ottobre. La prima [Lett. 9.3.6. # 31] viene da Coccaglio ed è poco più che una dichiarazione di intenzioni di mandare tutte le informazioni che riuscirà ad ottenere. La seconda lettera [Lett. 9.3.6. # 32] è data da Ospitaletto alla prima ora di notte e dice che il messo che la recapiterà informerà a voce gli Anziani sulla situazione di Brescia. L'ultima lettera, infine, [Lett. 9.3.6. # 33] è scritta a mezzanotte, sempre da Ospitaletto, e pare un poco più informativa:

...Zonto al Hospitaletto a hore 19, son stà confortato che non passi hozi. Pur per molti mesi venuti de campo hozi e che de hora in hora veneno, dicono de viser el campo nostro hozi haver fato le monstre tuti a pie et a cavalo avanti el vice Re sula campagna de Versadol et Castegnedulo, lì vecin a Gedi. Et dicessi etiam questa sera retornar ali lozamenti ... de Costalonga, dovi è rimasto el cl.mo Provisor Moro cum pochi ala custodia de lozamenti. El Capello et Hemmo sono andati ala dita monstra cum el collateral general, et dicessi hanno fato una superbissima monstra de fantarie et zente d'armi.
Poi per molti, ma per doy et 3 usiti a hore 20 de Bressa, dicono come dentro si trova de mille 500 spagnoli, et hano fato bando che in termine de 2 hore tuti li homini et done de ogni grado si trovino in Bressa siano usiti fora de Bressa, horendum dictu, che mai se sentì el mazor cridor ale porte. Ho parlato a quelli sono expulsi fora. El castello se tene, dicessi a nome dela ill.ma Signoria, et anche spagnoli lasarano la terra ala prelibata, ma voleno fenir de sachezarla. Ho incontrato boche 3 de artelarie grosse per Crema, acompagnata da Michel Schiaveto Com.la. Dico ut fertur. Azonzerò pur in campo et del tuto denotarò el vero ale Spectabilità vostre, ale qual mi recomando. Periculo grande è per queste strade; bisogna esser circonspecti per dir quelo se divolga et campo nostro farà questa via li spagnoli de Pontevico. Grandissima carestia de pane et de l'uno campo et l'altro per li asasinamenti sono comessi ale strade. Tenesi bona inteligentia fra spagnoli et la ill.ma Signoria, cosa per li effetti se vedeno ut supra credibille
.

La diligente missione informativa del Taglioni raccoglie il plauso del Consiglio bergamasco: il 31 ottobre [Az 12, 38v] otto anziali ordinano la liquidazione delle sue spese per un ammontare di tre lire e dispongono di scrivergli che non cessi di comunicare quanto succede e che non si allontani da dove si trova fino a quando non gli sarà ordinato dai deputati.

Per ciò che si riferisce alla situazione del territorio, la ribellione di Lovere, che non aveva trovato conclusione nei mesi precedenti, prosegue con una lettera del da Mosto ai consiglieri di Lovere, datata 4 ottobre e conservata in minuta [Lett. 9.3.6. # 28]:

Egregii fidelissimi nostri,
ali zorni passati per più nostre, in nome di la ill.ma Signoria, vi richiedessemo che per interesse di predicta ill.ma Signoria et beneficio di questa fidelissima Comunità vostra dovesti mandar da noi alchuni de voi Conselieri. Tamen, sin a quest'hora, aut per esser li homeni et consilieri vostri fora di la terra, aut forsi per qualche altra causa honesta et conveniente che non possiamo existimar altramente, haveti differto di exequir li comandamenti nostri.
Hora, havendo noviter receputo lettere dela ill.ma Signoria cum lo excelso Consilio di X et sapendo qual sia la mente sua, et per ciò havendo de cose importantissime ad conferir cum voi, de presente vi cometemo che fra sei giorni dobiati mandar da noi tre aut quatro de quelli consilieri vostri, quali vengano securamente et senza suspetto alchuno ad intender quanto per noi li sarà ordinato et imposto, et oltra di ciò per levare et acompagnare il sp.le Nicolò Passo podestà vostro al officio suo.
Et in questo non fareti fallo alchuno né più sareti renitenti ali comandamenti nostri, aciò non ne dati causa di exequir quello è voler, et a noi expresso comandamento di nostra ill.ma Signoria et excelso Consilio de X, forsi cum vostro gravissimo danno et nota, et che ne saria cum grandissima displicentia. Aspetiamo di queste nostre bona risposta, ma melior risolutione et obedientia de voi, qual vi exhortamo et cometiamo omnino faciati per magior ben vostro. Bene valete
.

La risposta dei consiglieri ed uomini di Lovere [ibidem] porta la data del 7 ottobre:

Magnifice et generose domine maior honorande,
de vostra Magnificentia si ha hauta una nela quale ne richiede voliamo mandar quatro di Consilieri di questa terra per confferir alchune cose occurente per la ill.ma Signoria, et ultimate per levar il sp. d.no Nicolao Passo nostro podestà. Ala quale respondendo, sia certa vostra Magnificentia che per dicto consilio nostro non ge ne sonno forse 4 homeni vechii che non potriano cavalchar, per che li altri sono fora ale mercantie loro per comperar lane, et parte ne è in campo per satisfar a imprese a noi imposte per li signori Provisori.
Tamen, se la Signoria vostra à da comandarne in cose pertinente al stato, mande, che subito faremo ciò che potremo per adempir il voler dila ill.ma Signoria. Quanto al levar del sp. d.no Nicolao Passo, se la ill.ma Signoria vole ch'el sia nostro podestà fin ad beneplacitum dela Signoria ill.ma, quando vederemo predicta Signoria haver aliter deliberato saremo contentissimi. Pregando vostra Signoria che ne mandi copia dele lettere dela Signoria et del excelso Consilio de X che a ciò ne astrenze. A vostra Magnificentia si recomandiamo, a la quale sempre saremo servitori. Bene valeat
.

La lettera dimostra chiaramente che la tattica di resistenza passiva nei confronti degli ordini del provveditore continuava, mentre il podestà Paolo Ronchi restava all'ufficio di Lovere, dove gli atti dei notai locali lo menzionano almeno fino al 14 giugno 1513.

Anche altre zone del territorio vengono coinvolte nel prestare aiuto all'impresa di Brescia e, con i contributi offerti dai territoriali, anche le liti per la ripartizione delle relative spese si fanno vivaci. Dice una lettera [Lett. S.3.1 #44] di Giovan Andrea Momotus indirizzata al da Mosto dal campo il 5 ottobre che quella sera sono arrivati uomini da val Gandino, a nome della valle, con quattro carri, e da Martinengo con un carro (sebbene a loro ne tocchino tre). La mattina erano arrivati anche quelli di val Seriana di sotto con due carri. La lettera contiene alcune informazioni sulle mosse dell'esercito spagnolo e dice che si è saputo che gli spagnoli sono arrivati oggi a Valeggio e in parte a Desenzano e Villafranca e appena arriveranno a Brescia il da Mosto sarà avvisato. Heri de sera fo trato una parte dela artilaria sotto li muri di Bressa. Domane se comenzarà la bataia: ozi quelli franzesi mandano fora giari, done et huomini di Bressa... Como zonserano li carri et vastadori darò aviso a Vostra Magnificentia. La lettera porta un poscritto: Intesi come li spagnoli sono 5000 et de Vicinza è andato a Verona. Se al venirà como amico ge sarà dato victuaria se anche da noi (?) non se lassarà venire tanta se... che vengano como amico. Tutte queste informazioni sono da inquadrare nell’ambito della vicende di Brescia già descritta.

A proposito delle spese per l'assedio di Brescia dice il Baldi [BALDI, Somm. Gr., 308r] in data 11 ottobre che tali spese si erano fatte gravose e che i provveditori in campo avevano dato istruzioni a Bartolomeo da Mosto che i denari spesi per guastatori, cariaggi ed altro fossero suddivise anche tra i cittadini. E narra ancora il Baldi [BALDI, Somm. Gr., 308v]: 20 ottobre 1512. Non tralasciavano quelli del Piano di operare perché la valle Seriana superiore fosse astretta a mandare la portione di carri, secondo il suo caratado, nel campo sotto Brescia, o almeno alla contributione delle spese, secondo detto suo estimo; aldidi di novo per detto Proveditori li intervenienti di detta Valle, et visto una ducale dell'ecc.mo Senato de dì 12 dicembre 1498 per la quale veniva essa valle essentata da simil contributione di spese, furno essi in conformità d'essa ducale essentati da simil spese, atteso massime le fedelissime operationi d'essa Valle in servitio del Serenissimo Dominio fatte, et fanti mandati alla detta recuperatione di Brescia, come in essa terminatione de dì 20 ottobre 1512 (Reg. I, 148; II, 72v). La terminazione dei provveditori, citata dallo stesso Baldi [BALDI, Reg. A, f. 123r] era in una lettera dei provveditori generali a Bartolomeo da Mosto, del 20 ottobre. In essa, udito Piero da Ardesio, a nome della val Seriana di sopra, il quale asserisce che quel luogo non ha carri né buoi, né si sono mai tenuti carri in quella valle, e che quindi essa non può essere costretta ad inviarne perché non ne ha, e che comunque non intende essere sottoposta ad alcuna contribuzione; vista una lettera della Signoria datata 22 dicembre 1498, secondo la quale quei valligiani vengono liberati da simili angherie; considerate la loro fede e le opere a favore della Signoria per i fanti inviati al campo per questa impresa; si decide che i valligiani non siano obbligati a mandare carri e buoi, come per la precedente lettera citata.

Un'altra lettera dal campo del 31 ottobre [Lett. S.3.1, 14] di Leonardo Emo al da Mosto riguarda il pagamento di contributi all'esercito da parte di val Brembana superiore, che avrebbe dovuto versare - ma in realtà non aveva mai pagato - parecchi ducati per una fornitura di carri. La spesa era stata anticipata da un certo Giovan Maria da Treviso, al quale i valleriani dovrebbero ora rifondere l'anticipo.

Resta da esaminare l’altra corrispondenza, per lo più indirizzata al da Mosto, da varie persone e a diverso titolo, che non si può agevolmente collocare nel contesto precedente. Una lettera del 10 ottobre da Milano [Lett. S.3.1, 46] viene da Ottaviano Maria Sforza. Avendo egli considerato quanto il da Mosto gli scrive circa il desiderio di mandare a parlare con il castellano di qui (cioè probabilmente di Trezzo) per un capo di stradiotti detenuto, desidera compiacerlo. Mandi quindi un trombetta con un altro uomo dal Barone. Essi dovranno tuttavia parlare fuori dal castello e non potranno entrarvi.

Parecchie lettere vengono dai provveditori al campo e riguardano casi di militari per i quali si richiedono azioni di diverso genere. Una [Lett. S.3.1, 37] del 12 ottobre dice che il da Mosto ha comandato a due figli di Leonardo Marenzi di recarsi a Venezia. I provveditori hanno deciso di mandare Giovan Francesco. E siccome Ludovico si trova al campo a servizio della Signoria come uomo d'armi di Pietro da Longhena, hanno deliberato che continui a servire per il suo valore. Essi hanno scritto ai Capi del Consiglio dei Dieci sia del restare del padre suo de lì come del fiol mandamo a Venetia, et de quello resta da qui et expectamo da Sua Signorie risposta se le vorà li mandiamo sì prefato d. Ludovico come altri. Va notato che Leonardo Marenzi era tra coloro che erano stati citati a Venezia dal da Mosto il 5 ottobre, come si è riferito più sopra. Un'altra lettera del 19 [Lett. S.3.1, 34] riguarda Bertramo de Lombardo de Locatelli da Medolago, il quale si duole a proposito di certi terreni che gli sono stati tolti da Zanotto Urtiga francese, per la pretesa soddisfazione di una taglia: faccia il da Mosto ragione sommaria, come delegato degli scriventi.

Un'altra lettera ancora [Lett. S.3.1, 35] sempre del 19 è a favore di Paolo de Machario di Ondei, uomo d'arme di Marco Antonio della Motella. Poiché quando uno è soldato della Signoria non è lecito agire contro di lui civilmente o criminalmente, faccia in modo il da Mosto che nulla si attenti contro di lui, che sta al campo. E ciò a proposito di alcuni pretesi alimenti della madre, che Paolo dice di avere già pagato: la causa sarà quindi sospesa fino a quando Paolo potrà venire ad esporre le sue ragioni. Analoga un'altra richiesta [Lett. S.3.1, 33] del 20 ottobre: si trova al campo in servizio della Signoria Marco Antonio Rigolla, uomo d'arme della compagnia del cavalier da Polpe. Egli ha una divergenza con un suo cugino, Giovan Francesco di Pelegrini, come egli stesso racconterà: voglia il provveditore fargli ragione sommaria.

Diverse comunicazioni [Lett. S.3.1, 28, 29 e 30] del 24 e 25 ottobre riguardano il sequestro di un cavallo ad un tale Giovan Pietro detto Bastono, che il da Mosto viene pregato di rilasciare. Un'altra richiesta di sospensione di causa [Lett. S.3.1, 32] viene inviata al provveditore da Mosto da Giovan Alfonso Tomacello detto Barone, cittadino di Napoli, da Urago il 25 ottobre. Ritrovandosi egli in Urago per avviare gli uomini del Contino di Martinengo verso Crema per ordine del capitano, ha trovato che Michel Colombo, uomo d'arme del Contino, non può venire a tale servizio perché è occupato in una causa contro certi frati di san Domenico. Prega, a nome del capitano, che il da Mosto sospenda la causa per fin che lo bisogno sarà necessario per la ill.ma Signoria. La Vostra Signoria sa che in simili bisognii si bisognano servir de lor pari et tanto più per essere il ditto miser Michel di la condutta nova del signor Capitanio data al mag.co ser Contino Martinengo et per che le cose sono al bisogno per questo ill.mo Stado. Lo scrivente sta andando a Venezia e si trova a passare per Urago. Spera che il da Mosto farà quanto richiesto ed il capitano gliene sarà grato. L'ultima lettera infine [Lett. S.3.1, 36] viene dai provveditori generali il 25 ottobre e riguarda il beneficio ecclesiastico a Francesco Chieregato del quale si è già più volte riferito in precedenza.

In conclusione, l'avvenimento che occupa la massima parte del mese di ottobre non riguarda Bergamo, ma la presa di Brescia, anzi, per quanto riguarda Venezia, la mancata presa di Brescia. Vi è veramente da chiedersi come un consesso di uomini saggi ed esperti delle cose della vita, come indubbiamente era la Signoria veneziana, possa essersi lasciato fuorviare dall'azione congiunta dei francesi e degli spagnoli a loro danno, pur di fronte a sintomi chiari ed incontrovertibili, noti del resto alla stessa Signoria, di una collusione tra gli assediati francesi ed il Cardona. Il fallimento dell'impresa di Brescia sarà destinato a ripercuotersi in modo pesante sul gioco delle alleanze e darà slancio all'azione degli spagnoli che per i futuri quattro anni giocheranno un ruolo importantissimo sullo scacchiere lombardo. Per quanto è dato vedere, gli avvenimenti stessi di Bergamo sono condizionati dallo svolgimento di un'impresa troppo a lungo dilazionata ed alla fine fallita. A fronte di questo smacco, la stessa riacquisizione della Capella di Bergamo rappresenta un evento del tutto secondario. Per non parlare dell'ambiguità della situazione con cui Venezia dovrà convivere per il futuro tra il potere spagnolo e quello imperiale, destinati a dominare sulla terraferma lombarda, esautorando di fatto l'alleato veneto.