CAPITOLO 11 - SETTEMBRE

Die primo septembris 1512 lectæ sunt in concilio Bergomi litteræ ducales quod oratores electi non vadant Venetias nisi dum fuerint admoniti a Dominio, quia Senatus Venetus est occupatus in rerum suarum administratione; et aliæ litteræ ducales quod nominatim detur notitia Dominio de omnibus qui superioribus diebus dederunt mutuo pecunias provisori Bergomi pro beneficio status [BER, 105v]. Il rifiuto da parte di Venezia di ricevere la delegazione di Bergamo spiega perché la decisione di mandare sei ambasciatori a Venezia, che era stata presa dal Consiglio il 23 agosto, non fu di fatto seguita da un formale atto d'incarico per la stessa delegazione né dall'elezione dei suoi componenti. Dal resoconto della seduta del Consiglio dei 1° settembre [Az 12, 23v] non consta neppure che il Consiglio abbia preso atto di alcuna lettera ducale. In ogni caso, le seconde lettere ducali cui fa riferimento il Beretta sono quelle in data 28 agosto menzionate al capitolo 10; le prime ducali non sono state fin qui reperite.

Come si ricorderà, il 28 agosto la città aveva ripiegato sulla nomina di un'ambasceria meno importante ai provveditori in campo. Gli ambasciatori, partiti il 29, erano ritornati il 31 agosto. Gli atti del Consiglio del 1° settembre [ibidem] riportano che i due - Leonardo Comenduno e Giorgio Benaglio - presentarono la loro relazione sull'esito della visita. Dopo di che gli oratori stessi furono incaricati di redigere una lettera al governo veneto ed il Consiglio ordinò anche di scrivere ai rappresentanti bergamaschi a Venezia, Giovan Antonio Assonica e Taddeo Albani, per sollecitare presso il Dominio l'accoglimento delle richieste della città.

La minuta della lettera degli Anziani al doge è stata conservata [Lett. 9.3.6. # 22] e porta di fatto la data del 1° settembre. Dopo aver ringraziato il Dominio per la conferma dei privilegi alla città e per la promesa di ulteriori grazie ed aver esaltato la sua disponibilità passata e futura a favore della Repubblica, il testo prosegue:

Tamen, per littere de sui cl.mi Provisori vedemo esser privi et spoliati de le più importanti et precipue nostre rasone et privilegii, videlicet: de la bancha del Maleficio cum tanti sudori et spesa già longo tempo concessa a questa mag.ca Comunità et noviter donata ad Io. Francesco Donadon; de la potestaria de Lovero et altri officii seu magistrati nostri et da noi sempre possessi; de la iurisdictione qual sempre have questa cità in criminalibus in valle Seriana superiore; immo etiam obteneno le vallade de non contribuir per la portione sua iuxta solitum a le spese et allogiamenti de 110 stratioti posti per prefati cl.mi Provisori ali confini del Bergamascho al opposito de Trezo per beneficio de vostra Sublimità per li dacii et universal commodo de Bergamaschi che non siano depopulati et brusati et oppressi da carestia et fame, non essendoli dicti stradioti ; et per altri respeti sui.
Li quali agravamenti nostri et innovatione predite et altre rendendosi noi certi non proceder de mente de vostra Sublimità, ma per importunità de supplicanti aut non recordandosi de tal nostre concessione; et non potendoli explicar come desideravamo per oratores nostros, così volendo pro nunc vostra Excelentia; ne è parso expediente dolersi, saltem per litteras, supplicando a quella se degni per sue littere cum efficacia comandar: che tuto quello è fato et innovato qualitercumque contra li privilegii et rasone nostre sia effectualmente rectactato; et quod de cetero il mag.co Proveditor dal qual siamo ... satisfatti et laudamo et etiam Rectori nostri, ad unguem inviolabiliter ne observi li privilegii et rasone nostre, non attendendo a qualunche littere fusseno scrite in contrario. Per che così speramo per la devotissima fede et meriti de questa cità et la immensa iustitia et clementia de vostra Sublimità...
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Come si vede, la lettera supplica essenzialmente il Dominio di confermare i privilegi cittadini in ordine al notariato del Malefizio, alla podestaria di Lovere, alla giurisdizione criminale in val Seriana superiore ed all'equa ripartizione delle spese per gli stradiotti: argomenti che rappresentano poi la sostanza delle commissioni che sarebbero state date alla delegazione di ambasciatori, nel caso in cui la Repubblica avesse consentito a riceverli.

La minuta della lettera indirizzata all'Assonica ed all'Albani [Lett. 9.3.6. # 23] è pure datata 1° settembre. Essa rappresenta un testo molto interessante per mettere a fuoco i numerosi problemi che si ponevano alla città, soprattutto nei suoi rapporti con il territorio. Dice, tra l'altro: ...essendo a questa mag.ca cità nostra al presente per diversi modi, et maxime per littere de li cl.mi Provisori generali, violati li privilegii et concession sue a quella così gratiosamente et spontanee concessi et confirmati per la ill.ma Signoria, del che per molte littere sue ne a datto plena fede et bon testimonio; et vedendosi essa cità spoliarsi et privarsi de le gratie et concession più importanti che si habia; non possendo essa de presente mandar li oratori soi a la deffension sua già elletti, per esser così anchora per la prelibata ill.ma Signoria scritto al mag.co Proveditor nostro, che pro nunc per alchuna causa essi oratori supersedano; n'è parso, non possendo in voce far intender le rason di la mag.ca cità nostra, saltem per littere dinotarle a la predicta ill.ma Signoria, a la quale circa di ciò scrivemo le allegate, la copia di le quale vi mandiamo inclusa, comettendovi vogliati sollicitar la expeditione secondo che per esse littere vedarete. Et quando alchuno volesse richiedervi in contention et contraditorio, nomine di la mag.ca Comunità vi dicemo che non vi intrometati ad acto né risposta alchuna iudiciale, ma vi excusareti non haver comissione da noi, et che cum tempo, quando sarà data la occasione et parerà ala ill.ma Signoria, soi oratori verano ala deffension di le rason sue.
Ben vi dicemo che avanti presentati le littere ala ill.ma Signoria, che secondo la instruction inserta, a quelli mag.ci zentilhomeni protectori di la cità nostra vi parerano, li informati di le rason nostre, facendoli intender le vexation et disturbii ne vengono fatti contra ogni rasone, et la inviolabil fede di la ill.ma Signoria, la quale mai non crederemo che per tempo alchuno ne sia per manchare, et cognoscemo queste violation et torti esserne fatti contra la expressa et costante mente di essa ill.ma Signoria. Voi adonche instarere cum ogni cellerità la expedition preditta. Solum cioè, che tutto quello è fatto et in futurum si facesse contra li privilegii di la cità nostra, non rechiesta né aldita essa mag.ca Comunità, non sia di alchuno valor, iuxta la parte del 1454 in Pregadi presa, et come non fatto né concesso (il testo è in questa parte confuso) ... et la mandareti per il lator presente, mandato a posta, et al quale habiamo comesso resti de lì fin l'haverà essa expeditione.
Et primo, è venuto Io. Francesco Donadon fiolo de magistro Maffio barbero cum litteri di clar.mi Proveditori, che sia messo al posesso del offitio dela nodaria del Maleficio di questa cità. Et esendo, in exeqution di esse littere auditis intervenientibus nomine mag.ce Comunitatis, per il mag.co Proveditor nostro ordinato che esso offitio debia restar eo modo che si ritrova, et che lo emolumento sia tenuto in sequestro fin che altro saria terminato per la ill.ma Signoria, hoc non obstante l'è andato iterato da essi Proveditori et a fatto venir altra man de lettere, che sia absque exceptione messo al posesso et li siano risposto li emolumenti de ditto offitio. Al qual offitio in executione de esse lettere è stà messo al posesso, privando la mag.ca Comunità di esso offitio et emolumenti soi.
Tutto questo completa le informazioni date al capitolo precedente sul caso Donadoni. Il testo del documento riassume poi le vicende e l'organiuzzazione dell'Ufficio del Maleficio e le ragioni per le quali Bergamo intendeva che la gestione di quella magistratura non cadesse in mano privata, ma fosse riservata al pubblico per garantirne meglio l'equità.

Quanto alla podestaria di Lovere, dice il testo: ...Li sono stà scripte littere per il mag.co nostro Proveditor, essendosi partito de lì miser Zacharia Priuli, che venesseno ad acceptar il podestà citadino nostro, ma né cum piazevoleze né cum parolle l'hanno voluto far. Ma sono andati da predicti clar.mi Proveditori, ali quali hanno portato 550 ducati, che già perhò è debitori di datii de Lovere. Et hanno de quelli hauto lettere al mag.co Provisor nostro, che non debia innovar cosa alchuna circa la podestaria da Lovere per respetto di tempi presenti, fin che altro sarà ordinato dala ill.ma Signoria. Donde venemo spoliati di esso offitio, quasi che essi clar.mi Proveditori si faciano magior stima di Lovere che li abia portato 550 ducati che già erano debitori, che di questa sua cità de la quale ne hanno cavato in questo pocho di tempo più de dece milia, senza li guastadori, cernete, carri et altre molte cose quale a fatto supra vires, considerando la condition di presenti tempi. De le rason habiamo in ditto offitio non vene dicemo altro per che ne seti instructissimi....

L'argomento della giurisdizione criminale in val Seriana superiore così si presenta agli occhi degli Anziani del Consiglio: ...Par che quelli de Cluson et Valseriana di sopra siano saltati in tanta boria et temerità che non vogliono suportar che per li delicti et malefitii vengono fatti in ditta valle si formino li processi per l'offitio nostro del Malefitio secondo il solito, ma si vogliono impiciar di haver ogni authorità et libertà di far il criminale a suo modo, che saria ad meter sotto et sopra questo paese, per che tanti malefitii, delicti et altri inconvenienti seguiriano et dapoi andariano impuniti, che saria cosa tanto vituperosa, contra la iustitia, bon viver et tranquillità del paese quanto dir si potria. Dapoi anchora la cità nostra vegnaria esser priva et moncha deli membri soi et a che modo possa star il capo senza li membri voi lo posseti molto ben pensar, per che la cità in breve si faria pegio che una volta, et anchora in questo non haveressimo differentia alchuna al presente di quello havevamo quando questa cità et territorio era occupato da francesi, dil che alhora principalmente et sopra tutte le altre cose questa cità si doleva per li inconvenienti et danni ne seguivano et sono seguiti....

Da ultimo, dicono gli Anziani, ...le montagne et vallade sono renitenti, et par siano in tutto favorizate da li clar.mi Proveditori, in non voler contribuir, iuxta il solito et come sempre hanno fatto a simile occorentie, ale spese et allogiamenti si fanno a cento dieci stratioti sono posti verso Trezo per assecureza et custodia del territorio da francesi de ditto castello, quali venivano ogni dì ali danni, sachizar et meter a focho esso territorio. Qual cosa più a li tempi presenti doveriano fare di quello fesseno mai, per esser influentia de tempi che mai non forono, essendo circumdati da molte forteze anchora de francesi, et questo redondar ad honor et beneficio universale di la ill.ma Signoria et dila cità et tuto il paese nostro. Sì per che, non essendo secure le strade, in breve et facilmente non possendosi condur biave ala cità nostra veneria a grande penuria et fame, per esserne carestiosa, come sapeti; et anchora esse montagne non venendo biave grandissimamente patiriano; come anchora per li datii dila ill.ma Signoria et molte altre rasone che per prudentia vostra cognoscerete. Che quando al presente ditti stradioti si levasseno fora del territorio nostro, quelli da Trezo senza uno impedimento veneriano a meter in preda a sacho et focho tutto questo territorio, che poi saria ad grandissimo danno et iactura de la ill.ma Signoria et cità nostra....

La lettera si conclude con un'esortazione a rappresentare al Dominio cum quello bon modo et efficacia de parole che benissimo sapereti fare le ragioni della città. Ma non è tutto, perché in un poscritto alla lettera si dichiara: ...Sono etiam mandati per iusdicenti, contra li privilegii nostri, ala vale de Sancto Martino, Serina, Gandino et Cologno persone diverse non imbussolate, contra li predicti privilegii.

Ambedue queste lettere furono spedite per un apposito messo a Venezia il 3 settembre. Dalla loro lettura emerge un quadro preciso dei problemi che angustiavano la città, soprattutto in ordine ai suoi rapporti con diverse zone del territorio. Essa conferma che Bergamo era particolarmente preoccupata che le fossero tolti il controllo della giurisdizione di vaste plaghe periferiche del distretto e la titolarità di importanti funzioni giudiziarie relative all'ordine pubblico.

Anche il provveditore bergamasco, indipendentemente dalla città, si era a sua volta espresso nei confronti della Signoria e dei provveditori su queste materie e una ducale di Leonardo Loredan a lui indirizzata alla data del 2 settembre contiene il punto di vista del governo sulle materie che il da Mosto aveva segnalato al governo [R.99.23, 55v]. Eccone un regesto. La Signoria ha ricevuto le lettere del da Mosto del 29 agosto inviate ai Capi del Consiglio dei Dieci, insieme con la copia di altre lettere dei Provveditori generali allo stesso da Mosto, in cui si tratta della notaria del Maleficio da conferire ad una certa persona (che era poi Giovan Francesco Donadoni) insieme con la casa che era stata di Francesco Suardo. In una materia di tale importanza la Signoria avrebbe desiderato essere consultata, prima che fosse data esecuzione, essendo la Signoria stessa contraria a qualsiasi modificazione dei privilegi concessi a Bergamo nel passato. Il Doge loda perciò il comportamento del da Mosto e la risposta da lui data. La Signoria è dispiaciuta dell'attentato ai privilegi e desidera che il da Mosto confermi ai bergamaschi la sua volontà di aderire alle promesse. Stiano quindi di buon animo i cittadini, ed il da Mosto rimuova subito la persona dal notariato del Maleficio e dalla casa, nonostante gli ordini dei Provveditori. E dica a chi ha avuto la concessione che la Signoria non vuole che sia fatta modificazione alcuna ai privilegi; ma stia sicuro che, avendo egli ben meritato, non gli mancheranno offici e benefici, come la Signoria ha sempre fatto. Impossibile a questo punto decidere se la Signoria oppure i suoi provveditori avessero mentito, anche se pare più probabile che i benefici al Donadoni siano stati concessi da questi ultimi.

Ai problemi descritti fino ad ora, un altro se ne aggiunge, che era già comparso a più riprese nei mesi passati, ma che all'inizio di settembre viene tragicamente in nuova evidenza: la peste. Ecco il testo di un atto [MIA 3082] stipulato in una bottega della contrada di san Pancrazio il 3 settembre, al fine di accelerare la raccolta di denaro per far fronte alle crescenti spese del contagio:

...Ingravescente pestilentia in hac civitate et adiacentibus locis, dum mag.ca Comunitas non haberet facultatem pie subveniendi egrotantibus et circa hec necessariis et urgentissima necessitas adesset, posita fuit talea seu potius elimosina universalis ad recuperandas pecunias. Et primo, exactori comunis data fuit impositio exigendi ipsas pecunias; et cum opera sua parum prodesset, demandatum fuit hoc onus spectabilibus d.nis Bartolomeo de Marchexiis et Petro de Assonica doctoribus, deinde aliis qui, aut suis distracti negociis aut aliis respectibus, parum aut nihil fecerunt. Quam ob rem pestifera contagione excrescente medicis autem, sepultoribus, custodibus, servitoribus et infirmorum alimentis et aliis ad hec necessariis continue defficientibus ob carentiam denariorum et rerum pluriarum, quodammodo in desperationem et crudentissimum totius civitatis periculum miserabiliter deventum erat. Et cum spectabiles d.ni Vincentius Advinatrus et Dondacius Coleonus provisores et conservatores superinde ellecti per Consilium Bergomi rogassent d.num Facinum Rivolam collegam eorum ut omni studio, omnibus suis negociis pospositis, operam daret incessanter exigendi, recipiendi et dispensandi pecunias debitas causa dicte elimosine; et videntes hoc effici non posse nisi cum ingenti labore et solicitudine, seu etiam aliqua inimicitia nolentibus solvere; promiserunt ipsi d.no Facino salarium librarum duodecim singulis mensibus, incipiendo in chalendis septembris 1512 et per tempus quo ipse d.nus Facinus intenderet circa predicta, pro conservatione et provisione ut ...; et cum onere et impositione eundi et equitandi ad visitationem et provisionem personarum et locorum dicto modo infectatorum, seu que essent in suspitione pestis, quando opus fuerit; ita tamen quod, ultra predictas libras duodecim, idem d.nus Facinus habere posset et debeat expensas naulorum, equorum et oris, cum acciderit eum equitare extra civitatem. Et predicta omnia et singula prefati domini provisores fecerunt et faciunt ac proviserunt, cognita industria et diligentia prefati d.ni Facini, et pro beneficio universali, cum spe et condictione ut per spectabiles d.nos Antianos approbentur et ratha habeantur....

Si noterà che la convenzione è sottoposta alla condizione che la nomina di Facino Rivola sia ratificata dagli Anziani del Consiglio. Tale ratifica interverrà soltanto il 15 ottobre. Tuttavia, già a partire dal 16 settembre il Rivola comincerà ad esigere i denari del taglione. L'elenco delle somme riscosse tra quella data e fino al 13 aprile 1513 si trova in un altro documento della Misericordia [MIA 1995]. Nel medesimo documento è conservata traccia di altre donazioni raccolte, come anche delle spese sostenute per il contagio. Numerose bollette, e ricevute di pagamento allo stesso scopo, datate tra il luglio ed il dicembre 1512 compaiono anche in un altro documento della medesima serie [MIA 1996]. Tutti questi documenti sono stati esaminati e discussi in un'altra sede [Silini, 2000].

Durante la prima parte del mese di settembre le sedute del Consiglio cittadino sono poche e poco informative, comunque insufficienti a ricostruire, anche indirettamente, gli eventi che si svolgevano sul territorio. E' quindi necessario per questo rivolgersi ai diari del Sanudo. Si è già riferito che alla fine d'agosto un nunzio del vescovo di Lodi (il suo nome era Giovan Simone Colla) aveva preso contatti con la Signoria riguardo ad una possibile alleanza tra Venezia ed il ducato di Milano. Il 2 settembre i Savi concordano una risposta alle profferte dello Sforza nei seguenti termini: la priorità assoluta per Venezia è quella di riacquisire i suoi propri territori, e soltanto dopo essa sarebbe disposta a considerare le proposte di Milano, naturalmente con il beneplacito del Papa; Venezia ha purtroppo appreso che lo Sforza è contrario al ritorno dei territori lombardi sotto la sua ombra; tuttavia, se il vescovo di Lodi si impegnerà a suo favore, la Signoria risponderà in accordo. La risposta viene consegnata al Colla e, allo stesso tempo, la Signoria decide l'invio a Milano di un ambasciatore, Alvise di Piero, con l'incarico di rimproverare allo Sforza la sua opposizione a Venezia.

Contemporaneamente, la Signoria continua a premere sui provveditori perché accelerino l'impresa di Brescia, garantendo loro il necessario supporto, che viene inviato il 3 settembre. A quella data giungono a Venezia alcuni oratori da Clusone: ...veneno 4 da Cluxon e voleno suo podestà eleto da loro sier Vetor Querini, stato una altra volta podestà lì, qual li è stà confermato per li proveditori zenerali di campo... [SAN, XV, 12]. (Come si è detto, nei documenti conservati all'Archivio Storico di Clusone nulla consta circa la nomina di questo podestà.) Scrivono gli stessi provveditori il 1° settembre fornendo particolari sul bombardamento di Brescia ed alcune informazioni più generali: in sostanza, pare che numerosi svizzeri stiano venendo da Trezzo, forse diretti a Crema, dove si profilano speranze di un accordo tra i Crivelli ed il capitano delle fanterie. Ma sono insorti litigi tra fanterie e stradiotti, che sono mal pagati, e le risse sono state sedate a fatica.

A Bergamo, la prima notizia del possibile arrivo di truppe svizzere a Trezzo è contenuta in una lettera che uno sconosciuto ambasciatore di Venezia presso il cardinale svizzero (la sua firma è illeggibile, ma si tratta forse del Caroldo) indirizza al da Mosto da Milano il 3 settembre [Lett. S.3.1, 78]:

...Essendo stà mandato qui da la ill.ma Signoria per far certe expeditione cum questo Reverendissimo Legato, mi par debito mio scriverli quanto da qui occorre et dinotarli che Sua Signoria Reverendissima ha hauto grandissima suspitione de alchuni nostri quali sono stati a parlamento cum quelli de Trezo, del che la se ne ha doluto assai meco. Et benché io habia cerchato evacuar lo animo de Sua Signoria Reverendissima de tal suspitione, affirmandoli questo non poter essere perché io sapeva la mente de la ill.ma Signoria alienissima da simel pratiche, pur inducta da molti malivoli nostri non è restata senza qualche despiacer de simel deto, etiam ch'el sapesse esser contra la mente de la ill.ma Signoria.
Per el qual effecto da Vigevene quella deliberò mandar gli Svizeri erano a Biagrassa, che ponno esser 2500 secundo mi è refferito, ala volta de Trezo, et fatto etiam cavalcar certi cavalli de gente darme per ... al Baron de Bergnia, quale ha fatto de gran danni a questo territorio, et etiam per assicuration de Sua Signoria Reverendissima, quale al ultimo delo passato intrò in questa cità solemne et cerimonialmente.
Vostra Magnificentia adonque farà che quelli soldati se diportano de maniera che non se habia alchuna querela, né dagino causa a questi de dolerse de noi. Se ha etiam doluto un de questi zentillhomini da Melzo che hanno le sue possessione per mezo ... esserli stà tolti tutti li soi polami et altre robe, et minatiato poner la casa a saccho. Quella provedi a tal disordini, sì che alchuno non se habia a doler, eo maxime che questo zentillhomo de Melzo è molto da bene.
El magnifico miser Nicolò Arcimboldo me ha ricordato che sarìa bono far ruinar el ponte de Trezo che vien in Bergamascha, che sarìa cosa facile et utile e al Bergamascho et a tuta Giera Dada; el che essendo, Vostra Magnificentia farà quanto gli parerà expediente. Ala qual me remetto et ricomando, offerendomi se io ... cosa alchuna qui per lei promptissimo satisfare...


Al 4 settembre la situazione generale agli occhi del Sanudo in Venezia appare la seguente. Massimiliano Sforza detto il Duchetto, è sempre ad Innsbruck, da dove il vescovo Curzense sta partendo per Roma, convocato da un breve papale che gli promette un accordo tra l'Imperatore e Venezia. A Trento si vanno reclutando fanti alemanni, nel timore che, ottenuta Brescia, Venezia voglia prendersi anche Verona. A Milano, il cardinale svizzero ha fatto la sua entrata con grandi onori, accompagnato da 2000 svizzeri. Tra le tante bandiere presenti, non vi erano tuttavia quelle venete. A Brescia (2 settembre), continua il bombardamento, mentre si attende la risoluzione della situazione di Crema. Gli svizzeri diretti verso Crema si sono fermati a Trezzo per punire il castellano che li disturba. A Crema (2 settembre) si conferma l'arrivo degli svizzeri ed il loro alloggiamento a Trezzo. Il Collegio scrive ai provveditori sollecitando la fine dell'impresa di Brescia e approvando i capitoli per Crema.

Proprio da Crema, Renzo da Ceri scrive a Bartolomeo da Mosto il 6 settembre [Lett. S.3.1, 67]. Egli lo ringrazia per le notizie che gli ha mandato e gli promette a sua volta di tenerlo informato. Tra comandati e guastatori sono arrivate a Crema circa 100 persone et questo non è el bisogno. Quella voglia mandare de le vittuaglie, che qui se ne pate assai, et in questo non voglia manchar.

Di fatto, al campo le cose appaiono molto complicate per una quantità di ragioni: la scarsità delle fanterie che non sarebbero in grado di assaltare la città quand’anche l'artiglieria riuscisse a sfondare le mura; la diserzione di molti fanti; la mancanza di derrate alimentari; e la cronica insufficienza di denaro. Queste molteplici cause vanno rallentando l'azione dell'esercito. A Crema poi, la situazione, anche se chiarita in linea di principio, è bloccata da complesse questioni d'onore; dal fatto che i Crivelli avanzano nuove richieste; e dalla necessità di fornire salvacondotti ai francesi. Tutto questo fa sì che la città di Crema (ma non la rocca, dove i francesi restano in attesa dei salvacondotti) non venga in possesso della Signoria che il 9 settembre, come si apprende da lettere di Andrea Zivran, giunte a Venezia in data 11. Le truppe venete fanno appena in tempo a prendere la città, quando 2000 svizzeri che erano a Pandino, passano l'Adda, marciano su Crema e pretendono di entrarvi a nome del duca di Milano, oppure della Lega e del cardinale.

Alla data del 9 settembre Vittore Lippomanno manda da Bergamo due informative a Venezia: riferisce che 3000 svizzeri sono venuti a Trezzo, dove si attende il cardinale Schiner da Milano; il castellano della Capella ha rilasciato due prigionieri, i quali hanno descritto le condizioni nella fortezza e dicono che i francesi non potranno resistere oltre la metà di ottobre; vi è un certo traffico di spie tra dentro e fuori; è stato catturato un francese vicino a Bergamo che, sottoposto a tortura, non ha voluto rivelare nulla; il da Mosto voleva impiccarlo ma il Lippomanno ha ottenuto un rinvio della pena; forse la spia andava a Trezzo per sollecitare aiuti; stamani il castellano della Capella ha liberato alcune persone, tra cui donne e bambini, che hanno portato una lettera al da Mosto nella quale il castellano prega di avere buona cura di loro; il Lippomanno crede che i francesi in Capella stiano di mala voglia e che la fortezza cadrà presto.

Estremamente preoccupati per l'approssimarsi alla città di molti militari, il 9 settembre i deputati di Bergamo si rivolgono ai provveditori generali [Lett. 9.3.6. # 24; Lett. S.3.1, 62] con queste parole: ...habiamo presentito svizeri et altra zente a pede et a cavallo esser venuti da Milano per far la impresa dil castello de Trezo. Et per che forsi facendo essa expedition li sarà bisogno venir sul territorio nostro ad piantar la artigliaria; et aciò che qualche volta per alleviar il paese milanese dale spese non mandasseno di qua più zente di quello saria il bisogno; pregamo le Signorie vostre che, dagandoli licentia di venirli, li piaqua dargela cum quella limitation di zente li parerà esser al bisogno, aciò non si vengano ad extender ed consumar il territorio già da infinite population, spese et graveze frustato, maxime da quelle bande de Trezo, come benissimo crediamo esser noto ale Signorie vostre....

I deputati allegano la lettera ad un'altra indirizzata al vice-collaterale Silvio Taglioni che è al campo perché egli si prodighi a loro favore nei confronti degli stessi provveditori [Lett. 9.3.6. # 25]: ...per che questa matina habiamo inteso li svizeri venir ala impresa de Trezo et voler passar sul territorio nostro in parte, et piantarli l'artigliaria per bombardar el castello; et havendo loro licentia di passar per alleviar il paese di là et a sugestion qualche volta de milanesi passariano più di quello saria il bisogno ad frustar et consumar il territorio nostro già quasi ruinato, maxime da quelle bande; scrivemo le allegate ali clar.mi Proveditori, pregando sue Signorie che, dandoli licentia, come si persuadiamo sarà, gli la vogliano dar limitate et quanto sarà al bisogno, et non più.
Donde vi habiamo fatte le presente, pregandovi che, così come da voi et cum bello modo talmente ch'el non para questo da noi proceda, informati le Signorie sue di la condition dil locho, et qualmente sono exhausti et frustati; et che, parendo ale Signorie sue di darli licentia di venir di qua ad piantar l'artigliaria, quela diano limitata quanto sia al bisogno di la guardia di la artigliaria, et non più. Ricomandandoli quelli lochi finitimi, che non habiano più cargo di quello ponno suportar, per che quando si desse libera licentia a tutti di venir di qua saria uno meter in preda quelli lochi. Voi seti prudente et perhò non bisogna darvi altro aricordo. Ben vi pregamo ne faciati ale volte participe dele nove vi occoreno
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La lettera dei bergamaschi ai provveditori è probabilmente la causa di un altro rabbuffo indirizzato al da Mosto l'11 settembre dal campo presso Brescia [Lett. S.3.1, 63]. Dopo essersi occupati del prigioniero francese interrogato dal da Mosto ...a la corda cum squasi 8 et datoli acerbissimamente el foco, ma senza ottenere confessione alcuna, i provveditori dicono di aver ricevuto la lettera della comunità di Bergamo. ...Siamo stati alquanto sopra de nui havendo tal noticia da quella magnifica Comunità et non da la Magnificentia Vostra: che pur ne par tal advisi de qualche importantia. Imperò dicemo a quella che simel advisi ne tengono advisati, et se a quella sarà di bisogno de gente et ogni altro favore, non manchi de dinotarnelo, che non siamo per mancharvi in cossa alcuna e favorir talmente quelli fidelissimi nostri, che resterano satisfactissimi ad esser ritornati sotto l'umbra dela ill.ma Signoria nostra. Preterea ne està facto intender Vostra Magnificentia circa le cosse del Episcopato de lì et altre litte de dir le cosse un poco ad lungum cum non darli audientia, respecto le ferie, etc. Dicemo ala Magnificentia Vostra le condition di tempo non ricerchar salvo la presta expedition de tute cosse; imperò la Magnificentia Vostra non manchi de laudientie expedir chadauno, come siamo certi la fa et non mancha, che reverà li effecti nel significa... Insomma, rimbrotti per i comportamenti del da Mosto, ritenuti poco confacenti alle necessità del momento.

Registra il Beretta: Die 10 septembris 1512 Galli milites qui erant Cremæ nomine Regis eorum, et Benedictus Crivellus comestabilis dederunt eam Venetis cum pacto quod sint omnes cum facultatibus salvi. Et Helvetii qui erant Mediolani venerunt versus Cremam ad Bagnolum ut impedirent ingressum Venetis, sed non potuerunt, quia jam Veneti intraverant Cremam; et deinde Helvetii cum aliquot Mediolanensibus, invidentes fortasse Venetorum successibus, non desisterunt minari excursiones in agrum Bergomensem, ita quod, periculo moti, Veneti miserunt Bergomum aliquos stradiotas et pedites, qui custodirent civitatem [BER, 106r]. Tuttavia, come si è detto, quella che il Beretta descrive come una semplice cessione di Crema all'esercito veneto, è stata e sarà in realtà laboriosissima.

Il progresso delle truppe svizzere viene riportato al da Mosto l'11 settembre dal provveditore di Crema Andrea Cruciano [Lett. S.3.1, 65] che informa: ...Questi svizeri sono gionti in sul Cremascho né se intende andamenti suoy. Perhò Vostra Magnificentia starà advertita et farà condur dentro la tera tute le cose necessarie atiò non accadisse qualche scandolo.... Anche a Venezia, sempre da Crema l'11 settembre, si riporta che svizzeri e milanesi sono venuti in vicinanza della città e ne hanno chiesto la resa a nome della Lega. Il capitano delle fanterie Renzo da Ceri ha risposto di essere al presidio della città a nome di Venezia e, se qualcuno la voleva, avrebbe dovuto prenderla con le armi. Le trattative laboriosissime per la definitiva cessione di Crema ai veneti proseguono esasperanti, mentre gli svizzeri sono minacciosamente accampati lì vicino. Informazioni da Brescia riferiscono di contatti in corso con i francesi chiusi in città, i quali sarebbero disposti a consegnare due porte per denaro. A questo fine i provveditori avanzano richieste di fondi.

L'esistenza di un contenzioso tra la città e la valle Seriana superiore in materia di giurisdizione criminale (di cui non si ha notizia nei registri del Baldi all'ASCC) è di fatto documentata in una comunicazione dei provveditori generali al da Mosto del 10 settembre [Lett. S.3.1, 59]. Essi hanno ricevuto lagnanze da certi nunzi di quella valle perché il vicario del da Mosto si intromette in alcuni casi criminali che si sono colà verificati, e chiedono che ciò non accada; ordinano anzi che le decisioni del giudice siano sospese e che i giusdicenti cittadini non si occupino di simili casi, fino a quando la Signoria non deciderà altrimenti.

Tutto questo avviene mentre la lettera che i bergamaschi avevano indirizzato alla Signoria all'inizio di settembre - e l'annessa missiva ai loro patrocinatori - trovano risposta a Venezia. L'Assonica e l'Albani così raccontano lo svolgimento della loro missione in una relazione inviata agli anziani e deputati della città il giorno 12 e ricevuta a Bergamo il 17 settembre [Lett. 9.3.6. # 25]:

...prima che altro si facesse, si apresentasemo ad alcuni de questi clar.mi Senatori protectori dila cità nostra, et masime al mag.co miser Stephano Contarini, per informarli al bixogno nostro. Quali ne rispoxe che la cossa dela bancha del Maleffitio hera già stata expeditta sichondo el dexiderio de essa mag.ca Comunità, perhò che subitto che la ill.ma Signoria ebe lo avixo de tal concession, subitto la revocorno, como dovetti haver inteso per littere de quella schrite al mag.co Proveditor dela Cità nostra. Sì che a questa partte non habiamo hautto cauxa de affaticharsi, per haverla sponte expeditta sichondo la intention de essa mag.ca Comunità, qual vogliono la resti in desposition et per conto de quella.
Poi de essi zentilomeni heri matina fosemo introduti ala ill.ma Signoria, ala qual apresentasemo la littera vostra, exponendoli quanto ne havetti comesso, et gratioxamente fosemo alditti. Quali anno hordinatto una littera al clar.mo Proveditor nostro et successori sì cercha la bancha, come etiam cercha la podestaria de Lover et altri offitii ocupatti contra la forma de privilegii; et cercha la iurisdition de Valseriana de sopra, quella deba esser sotoposta al Maleffitio, sichondo el solito; et che le valade deba contribuir per la portion sua ala spexa de stratioti; et che li privilegii debano esser omnino conservatti et mantenutti inviolabilmente nel modo hereno avanti la presente guera, como il tuto per ditta littera particularmente intenderetti. La qual vi mandiamo qui aligatta, qual vi sarà restituita per caution vostra, facendola prima registrar in la canzelaria...
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La ducale di Leonardo Loredan del 12 settembre, menzionata nella relazione e indirizzata a Bartolomeo da Mosto e successori, dice, tra l'altro [Duc. Orig. n° 23 ed altrove]:

...Nos vero, qui civitatem ipsam quam dici potest carissimam habemus et volumus gaudere suis beneficiis et privilegiis haud secus quam ante presens bellum faciebat, egre ferrentes et quicquid contra ea mutatum fuisse, volumus et vobis ex animo et expresse imperamus quod pro effectuali observantia huiusmodi nostre voluntatis eidem Comunitati fidelissime, et ideo nobis carissime, omnia sua privilegia et concessiones sibi per nos indultas ad unguem observare et observari ac exequi undequaque inviolabiliter faciatis, sicut ante presens bellum servabantur; et si quid esset innovatum tam circa potestariam de Lovere, vicariatus vallem Serianam de supra et vallatas exceptas a contributione expensarum utsupra pro custodia locorum contra solitum, ea omnia retractabitis et in pristinum restituetis, servanda et exequenda sub antiquis privilegiis dicte civitatis Bergomi, ut erant in observatia ante presens bellum, ut supra. Et ita facietis quoniam haec sit firma et constans sententia nostra. Has autem registratas presentanti restituite....

Insieme con la copia delle precedenti ducali, i provveditori in campo mandano una loro lettera alla città [Lett. 9.3.1. # 743], nell'intento di confortare gli abitanti contro le difficoltà sollevate dal territorio:

Per sublevation dele Magnificentie vostre de molte fatige ven date a quelle per Valleriani et del Piano di questa cità fidelissima per molte cause mosse per essi contadini et valade, così per li officii dediti a dita cità como per lo offitio del Mallefitio, et quali non voria contribuir ala spesa et alodiamenti di stradioti et altri causi, contra li privilegi de essa cità; et per che sopra de ciò è stà terminato per la nostra ill.ma Signoria che per effectual observantia de essa voluntà sua che tuti soy privilegii li siano servati et exequiti ad unguem sicut ante presens bellum servabantur, et se alguna cosa fusse innovata così circha la potestaria de Lovere et vicariato et valle Seriana de sopra et vallate et altre persone quale contradicano a contribuire ale spese de stradioti ut supra; il che è stà terminato circha tute le predite cose debano le vallate et altre star patienti et obedienti ad ala observantia de diti privilegii et come vostre Magnificentie vedarano per epse litere ducale, la copia dele quale mando incluse in queste, aciò habeno vera scientia del tuto circha queste cause et per posser dar risposta a diti valeriani et altri contradicenti....

Riferisce il Sanudo che, agendo in accordo con la Signoria, i provveditori generali (12 settembre) cercano di chiarire con una loro lettera la posizione del vescovo di Lodi nei confronti di Venezia. Mentre lo esortano a procedere nella sua dichiarata intenzione di collaborare con la Repubblica, essi gli contestano però il fatto che truppe milanesi sono venute sul cremasco con intenzioni ostili. Lo invitano a desistere e a non coprirsi dietro il cardinale sedunense perché gli stessi capitani svizzeri hanno dichiarato di essere venuti in cremasca a nome suo. L'accordo tra Venezia e gli svizzeri è ottimo e non vi è ragione per credere che essi mentano. Voglia quindi lo Sforza comandare ai suoi di ritirarsi, per evitare ritorsioni. Contemporaneamente, i provveditori premono sul capitano svizzero Altosaxo: viste le ottime relazioni reciproche, essi non comprendono perché sia venuto a Crema, mandato dal Cardinale o dagli Sforza, come gli svizzeri stessi hanno fatto intendere. I provveditori pregano che gli svizzeri cessino di causare danni, minacciando che tutto quanto accadesse sarebbe solo attribuibile a loro colpa.

Una lettera di Vittore Lippomanno da Bergamo in data 12 narra di un suo viaggio a Crema e dell'atmosfera che vi ha trovato. Il provveditore di Crema aveva scritto al da Mosto che forse gli svizzeri sarebbero venuti a Bergamo, e ciò aveva spaventato la città, ma pare che un tale pericolo di fatto non esista. Il da Mosto gli ha anche riferito che forse il castellano della Capella ritiene che Brescia si sia arresa ieri, perchè non ha visto fuochi verso Brescia né ha sentito spari di bombarde: appena il castellano saprà della resa di Brescia, consegnerà la Capella. Intanto, un informatore ha riferito che gli svizzeri hanno saccheggiato Pandino e vanno verso Lodi. Anche Bartolomeo da Mosto scrive il 13 da Bergamo avvisando di una possibile minaccia degli svizzeri sulla città, ma che la fedeltà a Venezia dei bergamaschi è fuori discussione

Il 14 settembre si attendono al campo fanti romagnoli e spagnoli. I provveditori dicono anche che ..hanno mandato verso Bergamo per haver la Capella con certe artellarie; ma bisogna canoni grossi: spera averla in do zorni. A la qual impresa anderà etiam il capitano di le fantarie, expedito sia che sguizeri totaliter siano partiti [SAN, XV, 84]. I provveditori domandano denaro e artiglierie; mandano anche lettere ai capi dei Dieci circa le intese con il castellano di Brescia. A quella stessa data, in una lettera al da Mosto, Giorgio Vallaresso, provveditore a Romano [Lett. S.3.1, 61] gli notifica ...che gli sguizari anchor non sono levati, ma sono per levarsi per la intelligentia che ho dimane matina, et se dubita vogliono passar Seri et per tal effecto lo ill.mo capitano manda de qui questa nocte de li fanti 400 per provision de questi loci aciò non intravenisse qualche inconveniente. Se altro intenderò ne darò notitia a Vostra Magnificentia....

Scoppia intanto al campo una piccola crisi perché i provveditori sospettano, sulla base di diverse informazioni, di non essere più graditi a Venezia e chiedono di essere sostituiti. Essi difendono il loro operato e le loro fatiche, ma affermano di essere provveditori e non comandanti militari: da questi ultimi, e non da loro, dipende il protrarsi dell'assedio di Brescia. Velatamente si lamentano quindi dei capitani delle truppe e apertamente sfidano i senatori che se ne stanno a Venezia – e da cui erano venute lamentele nei loro confronti - a provare i piaceri della guerra. Si lamentano anche del ritardo nell'invio del denaro che porta a sperperi e rallentamenti dell'azione militare. Dichiarano infine di non voler più ubbidire agli ordini del Collegio, ma solo a quelli del Senato. Il Capello, da parte sua, supplica di essere licenziato subito dopo l'impresa di Brescia perché ha servito in campo troppo a lungo.

Il 15 settembre arriva a Venezia Andrea Rosso, segretario del Capello, con informazioni sulla possibile cessione di Brescia e si chiude in Collegio con i Capi dei Dieci in riunione segretissima. Il Consiglio con la Zonta scrive la risposta ed il messo riparte la sera stessa per Brescia. Il 16 settembre, dopo lunghe discussioni, si decide di riscrivere ai provveditori in campo che mandino il capitano delle fanterie a recuperare la Capella di Bergamo con parte delle sue truppe e due cannoni.

Anticipando in un certo senso questa decisione, Vittore Lippomanno informa il 14 di sapere da varie fonti che gli svizzeri si starebbero dirigendo sul bergamasco e che duecento cavalli leggeri provenienti da Crema li stanno seguendo. A Bergamo si vanno raccogliendo anche molti valleriani e sta arrivando il capitano delle fanterie con altri militari. Arriverà gente anche da Brescia, presumibilmente per prendere la Capella. Il da Mosto ne ha informato il castellano francese che la presidia, ma questi afferma di voler resistere, almeno fino a quando Brescia sarà presa. Il Lippomanno fornisce anche numerose notizie circa gli svizzeri, nel complesso molto incerte. Più tardi, egli conferma che il capitano delle fanterie arriverà l'indomani con gente ed artiglierie per prendere la Cappella. Si stanno allestendo alloggiamenti per quei militari, oltre che per le genti delle valli (un migliaio di persone) e 150 stradiotti. L'invio di soccorsi viene forse sollecitato dagli stessi deputati di Bergamo ai provveditori il 14 settembre, come sembrerebbe da una minuta di lettera [Lett. 9.3.3. # 165]:

...Perché ne le presente occorentie dubitamo non esser tuti per la provisione qual si pò haver di questo territorio contra svizeri et milanesi ... pregamo vostre Signorie parendoli voglia mandarne, cum quella cellerità sano esser opportuna, almancho fanti experti 600 et sopra tutto qualche capo de authorità et idoneo al governo de ditti fanti, et de quelli si haveranno del territorio nostro per la ... de qual fanti mandamo il fidelissimo et prudente d.no Pezolo Simon Zancho citadino nostro, il quale vostre Signorie degneranno exaudirlo in ditta richiesta et altre munitione al bisogno necessarie....

In preparazione dell'arrivo delle truppe in città, il 15 settembre un Consiglio ristretto del provveditore e sei deputati alla guerra [Az 12, 24v] elegge Giovanni Borella, Giovanni Agliardi, Gabriele Olmo, G. Pietro Benaglio e Silvio Taglioni con l'incarico di alloggiare circa 500 provisionati del capitano generale delle fanterie, purché le truppe non vadano ad abitare nelle case dei cittadini, in osservanza dei privilegi della città. Si incarica anche Paolo Zanchi di recarsi dal capitano generale per informarlo che la città è immune da oneri di alloggiamento, povera e male in arnese e non può quindi ospitare militari. Lo Zanchi parte con le credenziali il giorno stesso. Il 16 egli così scrive da Crema ai deputati [Lett. 9.3.3. # 166]:

Partito che fu il messo qual porta le lettere del ill.mo signor Capitano, fra una ora venne uno messo al prefato Signore, come gli svizeri se erano levati in 3 parte. Alcuni andavano verso Lodi, et questi se iudicano esser milanesi et paesani; alcuni verso Pandino; alcuni verso Vailate, et questi ultimi parevano poco più de mille fanti et dreto una squadretta de gente d'arme. Ove vadano non se scia, per queste poche ore ch'ò stato qua cercarò de intendere quello se potrà.
Il Bergomo solo vien de là cum certa comissione del Signore. Il Cagnolo anche crede venire, ma tutto dependerà da le lettere che se aspettano da Bressa. Bisognerà perhò star vigilanti per che, come le Magnificentie vostre scianno, quelli milanesi non se affatichano ad altro che ali nostri danni, quali ut spero seranno de nisuno effetto, stando noi ben proveduti. Bene valeant Magnificentie vestre, quibus me commendo
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Secondo il Beretta [BER, 106r], il 16 settembre un informatore annuncia a Bergamo che gli svizzeri sono nell'agro cremonese; e Bartolomeo da Mosto prepara una bozza di lettera ai provveditori generali [Lett. 9.3.3. # 167]:

Presentendo questa fidelissima cità de Bergomo che apresso le Magnificentie vostre se procura sia eletto ala podestaria di Lovere uno, contra li privilegii de la prefata cità pluries confirmati per la nostra ill.ma Signoria; et havendo hozi da quella receputo littere etiam confirmatorie di prefati privilegii et retractatorie de ogni inovation et molestia contra queli facta, così in re de la potestaria di Lovere, come anchora che li vallate contribuischano a le spese de la custodia de logi, etc., et come anchora per il criminal de valle Seriana de sopra, et prout per la introclusa copia le Magnificentie vostre vederano; m'è parso dare noticia dil tuto, et quelle pregar siano contente che la prefata cità, iuxta ipsa privilegia et consuetudinem suam, mandi uno di sui citadini podestà a la prefata podestaria de Lovere.

Preterea, ben che ali zorni passati fosseno iuxta litteras vestras admoniti li intervenienti per Romano et Martinengo cum la parte adversa comparesseno avanti le Magnificentie vostre circa la distribution dele spese di stradioti, tamen ex post receptis litteris prefatis, in effectu mandantibus che le valade le quale sono più privilegiate che Romano et Martinengo siano astricte a dite spese, existimo che Martinengo et Romano, terre del piano, multo fortius debano contribuir a dite spese. Et però le Magnificentie vostre siano contente lasarne exequire prefate littere.

Postremo, circa li casi di maleficii comessi in valle Seriana de sopra circa li quali parlano le littere de vostre Magnificentie de dì 10 del instante hozi a me presentate, le Magnificentie vostre se renderano certe esser per il iudice mio per debito del offitio suo solum fato quanto essi privilegii et antiqua consuetudine circa ciò patischano et le prefate littere de la prelibata nostra ill.ma Signoria hozi recepute dechiareno, como per essa inclusa le prefate Magnificentie vostre etiam vederano. Ale quale ex corde la prefata cità et io la observantia de essi privilegii et essa cità recomandemo. Quae bene valeant.

E' necessario fermarsi un poco a questo punto per chiarire alcuni passi di questa lettera; il che permetterà anche di fare il punto sugli sviluppi di talune situazioni particolari del territorio. A Lovere, innanzitutto, si è visto che verso la fine d'agosto i provveditori avevano una volta di più bloccato l'azione del da Mosto per riportare all'ubbidienza quella comunità. I loveresi avevano adottato una strategia piuttosto lineare: avendo avuto per i tre anni dell'occupazione francese podestà non bergamaschi, essi intendevano perpetuare questa prassi, nel tentativo di creare un fatto compiuto. Essi cambiano però la tattica: nell'impossibilità di avere come podestà il Priuli, che era di famiglia veneta, e non intendendo accettare un bergamasco, essi si rivolgono ora ad un personaggio di origine camuna, e quindi bresciano.

Costui è Paolo Ronchi, un medico non ignoto sulla scena locale perché vedovo di una donna loverese di ottima famiglia. Già nel 1508 il Ronchi aveva difeso le ragioni di Lovere e di Valcamonica in una causa di dazi. Successivamente, nel febbraio del 1512, mentre agiva in difesa di quella valle, egli era stato coinvolto nel sacco di Brescia. Fatto prigioniero, aveva dovuto pagare una taglia, della quale il 19 agosto aveva chiesto il risarcimento ai camuni, come di un danno subito nel corso di un intervento effettuato a loro favore. Non è certamente un caso che il 27 agosto egli avesse versato al pagatore veneto in campo 450 ducati per conto di Lovere. Pochi giorni dopo, infatti, cioè il 15 settembre, i provveditori in campo, a ciò supplicati dal notaio loverese Giovan Maria Baldelli a nome della comunità, lo designano podestà, affinché i loveresi abbiano davanti a chi comparire ad usar delle resson sue. Questa vicenda è stata documentata in precedenza [SILINI, 1992, p. 349] e spiega perché il 16 settembre il da Mosto scrivesse che i bergamaschi avevano presentito che presso i provveditori si procurasse l'elezione di un podestà contro i privilegi di Bergamo e chiedesse invece di poter mandare a Lovere un bergamasco.

E veniamo ora a Martinengo e Romano. In una lettera del 12 settembre al da Mosto [Lett. S.3.1, 69] i provveditori generali dicono che messi di Martinengo hanno accusato il da Mosto di aver fatto prendere alcune some di biade a persone che ricusavano di contribuire ad una imposta decretata dalla città, al fine di provvedere di biada alcuni cavalli che erano appena arrivati. Poiché Martinengo per i suoi privilegi non è tenuto a tali angherie e contribuisce da solo, e non con la città, i provveditori impongono di restituire le biade e di non pretendere alcunché. Se i bergamaschi si lamentassero, aggiungono i provveditori, li indirizzi a loro stessi. Analogo è il tono di un'altra lettera del 13 settembre a proposito di Romano [Lett. S.3.1, 64] dove il da Mosto aveva fatto sequestrare 12 some di biada e fatto pagare 5 ducati per certi muli, in spregio dei privilegi di separazione dalla città. Romano si lamenta anche del fatto che quando i mercanti locali vanno a Bergamo per vender biade, essi vengono spesso fermati per rispondere di debiti pubblici. Il da Mosto, scrivono il Capello ed il Moro, è persona sapientissima, e potrà giudicare quanto ciò sia conveniente: restituisca quindi il tutto, per togliere ogni motivo di lagnanza.

Naturalmente, i cittadini si oppongono all'esenzione dei due borghi, come si apprende in un'altra lettera del 18 settembre [Lett. S.3.1, 55] degli stessi provveditori al da Mosto. Presso di loro si è tenuta un'udienza in cui Quintiliano da Mapello, a nome della comunità di Bergamo, e gli abitanti di Romano e Martinengo, hanno esposto le rispettive ragioni circa la ripartizione delle spese per l'esercito. I provveditori hanno deliberato che il da Mosto faccia restituire biade e denari a Romano e Martinengo. Poi debba valutare i diritti dei contendenti e far sì che ...se equalizeno de le angarie facte per quella Comunità et li predicti pro portione sua, videlicet, havendo speso ultra quello che la Comunità li tochase pro rata far reffar debiati quelli de Roman et Martinengo, et de converso la Comunità refaci li predicti, come el dover recercha, sì che tute spese facte chadauno equalmente pro ratta sua sentiscano et contribuisseno... Le qual spese se intendi de allozar guastadori, carizzi, pan, vin, et ogni altra angaria over spesa che per lo exercito nostro una parte et l'altra havesse facto.... Si tratta palesemente di una dichiarazione pilatesca dei provveditori, i quali non potevano certamente ignorare che l'applicazione del principio di compensazione da loro enunciato sarebbe stata in pratica assolutamente impossibile, proprio per l'esistenza delle divergenze che avevano stimolato la contesa.

Intorno a questo tempo (e precisamente il 15 settembre) i provveditori scrivono da Brescia al da Mosto [Lett. S.3.1, 56] perché hanno saputo ciò che il da Mosto chiede di fare con lettere del 13 a proposito degli stradiotti. Il Capello ed il Moro hanno redatto il mandato allegato (che tuttavia non compare) e dichiarano che se non obbediranno, li revocheranno e manderanno altri uomini più obbedienti. Il testo della lettera è criptico. Tuttavia, il fatto che essa sia stata presentata al da Mosto da un rappresentante della pianura indica che il mandato dei provveditori (e l'ordine esecutivo del da Mosto) era a favore della pianura stessa. Pare quindi molto probabile che le disposizioni si riferissero alla rimozione dei militari da qualche luogo della pianura verso altre zone del territorio.

La presenza di alcune centinaia di militari in città - per non parlare delle molte centinaia di valleriani - non poteva naturalmente non sollevare proteste da parte di privati e di comunità. Per la verità, tali proteste erano cominciate da qualche tempo. Per esempio, i provveditori avevano già scritto al da Mosto il 3 settembre [Lett. S.3.1, 74] perché agli abitanti della vicinia di santa Grata inter vites, e solo ad essi, i deputati cittadini alla guerra avevano imposto di pagare per certi uomini a guardia della Cappella. Il Capello ed il Moro avevano invece chiesto al da Mosto di far ripartire le spese tra tutti i cittadini. Con l'arrivo dei provisionati del capitano delle fanterie tuttavia (una lista dettagliata di militari ospitati da varie persone in Bergamo nel settembre 1512 sta in [Lett. 9.3.1. # 724]) le proteste si infittiscono. Il giorno stesso (15 settembre) in cui la città decide di nominare i deputati agli alloggiamenti, il da Mosto è costretto a comandare ai vicini del borgo si san Leonardo, che erano evidentemente contrari ad ospitare stranieri, di ubbidire ai deputati stessi [Lett. 9.3.1. # 735]. Alla medesima data, i deputati alla guerra della città si rivolgono anche a Lorenzo da Ceri, capitano delle fanterie venete, e così gli scrivono [Lett. 9.3.6. # 26]:

Ali dì passati la Signoria vostra cum ogni humanità et modestia scrisse a questo mag.co Proveditor nostro che, venendo da noi ala expugnation dela forteza dela Capella, volessemo per amor suo dar allogiamento ad discretione solum ala compagnia sua, condutta per il strenuo Andreazo suo locotenente, per 5 o 6 zorni et ad nisuno altro che venisse a questa impresa. Noi veramente, che siamo in ogni tempo prompti ad gratificarsi et far cose che sia in apiacer ala Signoria vostra, ben che questo sia totalmente contra li privilegii et ordeni dila cità nostra, havevamo statuito di dar a cadauno fante per 5 o 6 giorni mezo ducato per homo, et che si allogiasseno fora di le case de citadini, ma tutti uniti in lochi molto al proposito et comodi.
Tamen, è aparso al predicto mag.co Provisor nostro di allogiarli per le case, forsi per qualche sui rispetti; dil che molti et grandi inconvenienti et disordeni ne nascono. Et oltra, sotto pretexto di la compagnia dila Signoria vostra, altretanti ventureri, infinite putane, cavalli et familii si allogiano, che è una cosa tanto sinistra et insuportabile quanto dir si potria a questa cità sterile et povera di sua natura, ma più ali tempi presenti che mai fusse. Preterea, è venuta la compagnia dil Crutello ad allogiar in questo territorio, qual, sì per esse homeni discoretti et di mala sorte come di sua natura sempre ... et inimicissimi a noi et al paese nostro, si diportano talmente dove vanno, che certo si pol dir che sono pegio de francesi per che meteno in ruina et in preda dove allogiano, et maxime quelli che sono hauti tra li fidelissimi di nostra ill.ma Signoria, non havendo advertentia né rispetto alchuno.
Quali tutte cose n'è parso notificarle ala Signoria vostra, et altre anchora, come il nobile et prudente citadino nostro d.no Hieronymo Vitalba citadino nostro qual mandiamo da quella narerà a bocha. [Le spese per questo viaggio, due ducati per tre giorni, saranno liquidate al Vitalba dal Consiglio il 25 settembre.] Quella suplicamo si degni proveder che ditti fanti siano lasati fora dile case de citadini, et che questa compagnia dil Crutello sia levata fora dil paese nostro, se così li saria in apiacere, come crediamo per più rispetti a quella noti sia di opinione, né patir che cometeno tante insolentie et dishonestà, per che non si confano cum il sangue nostro. Il tutto cometendo perhò al sapientissimo voler dila Signoria vostra, ala quale questa fidelissima cità et noi in seme di continuo si arichomandiamo
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Sono da notare in questa lettera alcuni spunti polemici della comunità di Bergamo nei confronti del suo provveditore, ma obiettivamente il quadro della situazione in città ivi tratteggiato pare davvero sconfortante. Ma vi sono altre testimonianze di come i cittadini mal tollerassero la presenza dei militari. Così, il 18 settembre scrivono i provveditori [Lett. S.3.1, 54] ai quali il da Mosto aveva inviato Antonio dela Sale. Essi hanno inteso con non poca molestia che nella casa dello stesso Antonio sono state abbattute le porte e sono entrati dei soldati. Nella casa si atrova cinque vergenelle sue fiole et la muglier sua, et essendo intratti li soldati cum tanto impeto, pensemo che non siano per commetter qualche inhonesto diportamento. I provveditori comandano quindi che al più presto i soldati escano dalla casa, benché essi credano che il da Mosto, considerando la qualità della famiglia e l'assenza di uomini che la governano, già avrà provveduto. Non permetta quindi che alcun soldato entri e se alcunché fosse stato asportato, provveda a che sia restituito con ogni mezzo. Qualche giorno più tardi. il 24 settembre [Lett. S.3.1, 5] il prete Giovan Pietro da Bexutio, canonico di Bergamo, a nome del clero locale, informa i provveditori che il da Mosto ha permesso che i deputati sopra gli alloggiamenti installassero dei militari nelle abitazioni e cortili del clero, contro le consuetudini. I provveditori, non intendendo che alcuno sia molestato contro il dover suo, impongono al da Mosto di far sgombrare le case dei preti e di mandare i soldati altrove; e se non volessero trasferirsi, il da Mosto cum el brazo de la justicia li cacci.

Bisogna a questo punto riprendere la narrazione delle vicende generali sulla scorta dei diari del Sanudo. Si va profilando infatti un nuovo pericolo, cioè gli spagnoli, i quali compaiono con sempre maggior frequenza e preoccupazione nei documenti esaminati. A Venezia (18 settembre) l'oratore spagnolo rassicura il Collegio che le truppe del Cardona che vengono verso la Lombardia non sono ostili a Venezia, ma intendono stringere un accordo con l'Imperatore. Al campo, intanto, i provveditori sono disperati perché il capitano delle fanterie non intende mandare le truppe all'impresa di Brescia, ma vuole invece prendere la Cappella di Bergamo, che è, secondo loro, obiettivo di scarsa importanza. Le trattative con il custode di una porta di Brescia proseguono: l'interessato sarebbe disposto a cederla ma vorrebbe 20 mila ducati, una cifra spropositata. Da Vittore Lippomanno, che sta a Bergamo, si apprende che in data 15 circa 4000 svizzeri male in arnese sono a Bagnolo e vorrebbero passare il Serio: il capitano delle fanterie ha inviato a Bergamo circa 400 fanti, ma egli stesso, prima di lasciare Crema, aspetta di vedere le intenzioni degli svizzeri. Vi sono anche movimenti della cavalleria milanese verso Lodi.

A Bergamo ci si prepara per la presa della Capella, ma di mala voglia, perché si ritiene che il castellano abbia comunque in animo di arrendersi. La città è presidiata da circa 150 stradiotti e numerose genti delle valli. La presenza di irregolari delle valli è testimoniata anche dallo stesso da Mosto. Il quale, secondo il Baldi [BALDI, Somm. Gr., 308r e BALDI, MMB 150, 204] attesta al 18 settembre ed al 23 ottobre che val Seriana superiore e val Gandino avevano mandato un buon numero di guastatori e soldati all'espugnazione della Cappella. Secondo documenti conservati a Clusone [ASCC, Privilegi, etc. 18] il da Mosto riconosce ed elogia la prontezza degli uomini di Valseriana di sopra (10 settembre) per il loro contributo al recupero di Crema con 100 soldati inviati per 15 giorni e per l'aiuto all'espugnazione della Cappella di Bergamo ed il rafforzamento della città contro svizzeri e milanesi. Anche i provveditori dell'esercito, nel licenziare il capitano Pedron da Ardesio ed i suoi cento valligiani, hanno parole di riconoscenza nel confronti della valle (14 ottobre 1512).

Secondo informazioni dal campo veneto del 17 settembre, gli svizzeri si sono ora spostati verso Caravaggio, da dove potrebbero dirigersi verso Cremona oppure verso Bergamo. I provveditori attendono: le artiglierie, la polvere da sparo, i fanti di Romagna, le truppe che sono a Crema, il denaro. Senza tutto questo essi non possono stringere Brescia. Inoltre, da tre giorni certi tedeschi vanno minacciando Peschiera, in combutta con i francesi. I provveditori hanno quindi disposto che le fanterie di Romagna vadano a Peschiera e cerchino di entrarvi. Hanno anche mandato Francesco Rangoni con la sua compagnia di cavalli leggeri a Orzinuovi al provveditore Nicolò Michiel. Scrive il Lippomanno da Bergamo il 16 che il da Mosto ha fermato gente che voleva venire in città, dicendo che gli uomini già presenti, cioè gli stradiotti e 1500 valligiani, erano sufficienti per espugnare la Cappella. Dice anche che il capitano delle fanterie ha scritto da Crema che gli svizzeri venivano verso Martinengo ed egli stesso li avrebbe seguiti. Sono giunti in città 400 fanti del capitano. La città è sicura, presidiata com'è da tutti questi uomini.

Lo stato di confusione generale va tuttavia considerevolmente aumentando. Dice il Sanudo al 20 settembre: Dil campo, al tardi, vene letere di 18 hore 3. Prima alcune drezate ai Cai di X in materia di la pratiche, poi altre a la Signoria. Come hanno per certa via il marchexe di Mantoa preparava il ponte sora Po per passar il campo di Spagna; voriano saper se i vien nostri amici o nemici, ma vedeno Milan converà esser di archiduca etc. Sguizari ozi sono levati da Fontanele, Covo, Antignate e Calzè e andati verzo Caravazo e quelli contorni. Scriveno ala Signoria, voriano saper quello i habino a far, perché li fariano fuora avanti se ingrossasseno più. Item, li 500 fanti di Romagna hanno esser zonti di qua di Po numero 600 in do parte venuti, e doman se dieno unir insieme; credeno justa l'hordine datoli anderano verso Peschiera. Et hanno aviso questa matina che 200 cavali et 400 fanti todeschi erano ussiti di Verona e venuti tra Valezo e Vilafrancha per assaltar l'artellarie e monitione nostre venivano in campo; ma più presto veneno per aver Peschiera over per acompagnar il Curzense a Mantoa: però li è stà fato intender dite artellarie passino per la via di Goyto per causa di todeschi... [SAN, XV, 100]. Anche a Brescia, a quanto riferisce un fuoruscito, la situazione è pesante perché vi è fame e muoiono da morbo come cani, et in uno giorno è morti più di 80 e l'altro 20, el forzo todeschi e guasconi.... Il Lippomanno da Bergamo il 17 avverte che gli svizzeri (15 bandiere con 6 pezzi d'artiglieria) vanno verso Cremona ed il capitano delle fanterie arriverà a Bergamo il 19, ed a quel punto avrà fine la resistenza della Capella.

A Venezia, il Doge si lamenta nei confronti dell'oratore spagnolo, al quale rimprovera di ostacolare il transito delle artiglierie. L'oratore si duole e dice che andrà a Mantova a trovare il Cardona per chiarire questi fatti. Lettere dell'oratore veneto presso il Papa si dilungano sulla evoluzione delle alleanze, che tarda però a materializzarsi. Da Crema, il capitano delle fanterie dice che manderà le truppe a Brescia, ma intanto il governatore da Brescia comunica che non le manda. Grandissimo appare quindi il disorientamento nel campo veneto.

Il 19 settembre i provveditori sono informati dal Caroldo della pessima disposizione del cardinale svizzero e di Milano verso Venezia; si aspettano altri svizzeri ed anche gli spagnoli minacciano di passare il Po e venire verso l’esercito veneto. Le artiglierie sono bloccate a Verona dal vescovo di Trento e dai consiglieri imperiali: i provveditori hanno quindi mandato verso Verona Guido Rangoni con la sua compagnia per sbloccare in ogni modo i cannoni ed hanno sollecitato il capitano delle fanterie di trasferire a Brescia tutti i militari di cui può disporre. Cominciano intanto ad arrivare al campo i fanti di Romagna, ma mancano denari per pagarli.

Da Bergamo il Lippomanno il 18 ed il 19 scrive che vi sono a Trezzo 800 svizzeri e 300 milanesi e si sentono sparare i cannoni, ma ritiene che il castello non cadrà. Gli svizzeri che alloggiavano nella Ghiara d’Adda vanno verso Cremona, dove il cardinale stesso è diretto.

Tra il 20 ed il 21 settembre giunge al campo il grosso delle fanterie romagnole e spagnole, ma la scarsità di denaro per pagarle si fa drammatica: vi sono in cassa 4 mila ducati, ma ne servirebbero almeno 11 mila. Il viceré Raimondo di Cardona, in marcia verso la Lombardia, è intanto arrivato a Bologna. Scrivono il da Mosto ed il Lippomanno da Bergamo il 20: Come il governator haria auto una letera da Milan dil vescovo di Lodi zercha uno beneficio di uno milanese, la qual letera è scrita de man de uno suo canzelier, e di soto è di man di dito vescovo queste parole: aviso vostra magnificentia che non è tempo che quella illustrissima Signoria rompa con questo Stado a requisition dei pazi, aliter tertius gaudebit cum interitu utriusque: notate haec verba, spagnoli vengono, sarà altro che Crema.... Item, si ha auto aviso dal Caroldo secretario, come il cardinal Sedunense era lì a Lodi, etiam lui secretario, va a Pizegaton, poi a Cremona con assai zente milanese; et era venuto dito cardinal in colera con lui dicendo li provedadori aver mandato uno trombeta a Trezo a dir i se rendano a la Signoria [SAN, XV, 116]. Il Caroldo conferma con sue lettere queste informazioni.

In una lunga missiva lo Stella, segretario veneto presso gli svizzeri, illustra i dettagli di un accordo tra gli stessi e lo stato di Milano, con alcune particolarità che riguardano i rapporti tra svizzeri, Venezia e l'Imperatore. Anche il Lando da Mantova e Francesco Capello, di ritorno dall'Alemagna, parlano dei rapporti tra l'Imperatore e Venezia ed i relativi emissari. La Signoria sollecita il Lando ad accompagnare a Roma il Curzense e sollecita i provveditori a portare a termine l'impresa di Brescia con i denari che già hanno mandato ed altri che promettono.

Il 24 scrive il Lando da Mantova che il Curzense è in partenza per Mirandola per incontrare il vicerè che sta venendo in Lombardia con l'esercito. Contemporaneamente, scrivono da Brescia i provveditori generali: vi sono stati colloqui con il governatore sulla necessità di stringere Brescia al più presto, prima che arrivino gli spagnoli. Anche il governatore delle truppe è personalmente convinto di questo, ma mancano i denari, che vengono di nuovo sollecitati trattandosi della salvezza di tutto lo stato. Il Lando li ha avvertiti da Mantova che il vicerè si sta trasferendo in Lombardia. E intanto i provveditori cercano di fare pressioni sull'Obignì che presidia Brescia, avvertendolo che quando arriveranno gli spagnoli non sarà più possibile trattare.

I provveditori scrivono ancora a Venezia (25 settembre) esprimendo il timore che gli spagnoli che stanno arrivando vengano contro di loro. Anche secondo il Caroldo, che sta a Lodi, il vicerè dice di voler venire in Lombardia per cacciare i francesi che ancora vi sono, ma come nemico di Venezia. Altre fonti danno però informazioni contrastanti. Il capitano delle fanterie da Crema insiste per prendere la Cappella di Bergamo perché ...a voler tuor per forza Brexa non li bisogna aver mancho de 10 milia fanti e più presto pì, e chi dice altramente non sanno il mestier di le arme, etc. Et andando con altra zente non si farà nulla [SAN, XV, 127]. La sensazione che il lettore trae da tutto questo accavallarsi di informazioni è che lo stato di caos vada aumentando dovunque.

E Bergano non fa eccezione, tra il capitano delle fanterie, che dice di arrivare ma si fa attendere ed i preparativi per la presa della Cappella, che si prolungano. Venezia preme invece su Renzo da Ceri, capitano delle fanterie, perché si occupi di Brescia, e non di Bergamo, promettendogli tutti i fanti di cui avrà bisogno. E scrive anche ai provveditori exortandoli a la ultimation di l'impresa e avisarli questa varietà di quello vuol il signor governador, ch'è 6000 fanti et il capitanio di le fantarie voleno 10 milia; et che li havemo scripto con il Senato el vegni subito a Brexa con quel più numero el pol, lassando però bona custodia a Crema. Per tanto li havemo mandati ducati 14 milia et 2000 harano lì da sier Leonardo Emo, siché mancherà 5000, quali subito sarano a camino, e voglino strenzer la terra, perché è tempo di ultimar quella impresa presto [SAN, XV 127].

Con lettere del 26 indirizzate ai Capi dei X i provveditori informano circa le trattative per ottenere una porta di Brescia: l'intenzione sarebbe di dare battaglia da una parte e contemporaneamente di entrare dall'altra. Ma hanno bisogno di gente e denari. Altre lettere da Salò del 22 dicono che fanti e cavalli tedeschi sono usciti da Verona, verso Valeggio e Villafranca, ma il cardinale Curzense ed il vescovo di Trento li hanno fatti rientrare: volevano prendere le artiglierie venete. I provveditori hanno fermato una battaglia per impadronirsi di Peschiera. Da due giorni Brescia è sotto bombardamento.

Da Roma si conferma intanto che il Papa è favorevole a che Venezia riprenda le sue terre ed ha scritto in questo senso al cardinale Sedunense. I provveditori scrivono da Brescia il 27: ...spagnoli erano sopra le rive di Po a Ostìa per passar il ponte era fato, e doman passerano. Vieneno con lanze 500, 400 zanetari et 800 fanti. Non sa se vieneno amici o no, benché fama sia vengano inimici; per tanto scriveno a la Signoria quello habino a far etc. Sguizari sono a Sonzin e Calzè; voleano far uno ponte sopra Oio per pasar di qua in ditti lochi e si dice vien contra nostri, e ha tirato da la banda di là barche e porti tutti; ma loro provedadori credono sia per dubito di la venuta di spagnoli. Item, aspetano le fantarie e spagnoli di Romagna, qual zonte vederano ultimar e dar la bataia di Brexa; e dicono, s'il capitano di le fantarie fosse venuto, qual è zà zorni 18 che si ave Crema si arìa fato l'efeto. Item, sier Polo Capello scrive che 'l praticha una certa cossa, qual reussendo sarà honorificha per la Signoria et utele. E' con lui do altri che la fa, ma doman si converà scoprirla con altri, che prega Dio l'habi bon exito, et impone si tengi secreta etc. Aspetano li danari etc. [SAN, XV, 133].

L'incertezza sulle vere intenzioni del Cardona diventa a questo punto drammatica. Nonostante l'opinione comune indichi il contrario, l'oratore spagnolo a Venezia continua però a negare che i suoi abbiano intenzioni ostili. Secondo numerose lettere del Lando e del Guidotti, parrebbe che il vicerè voglia venire in Lombardia per prendere Brescia a nome della Lega e per insediare il duca di Milano. Il vicerè vorrebbe che la Signoria prendesse Brescia, Bergamo e Crema, ma non Cremona e Geradadda; e vorrebbe anche che la Signoria si accordasse con l'Imperatore. Queste notizie sono confermate anche per altre vie.

Naturalmente, a Venezia si discute molto del pericolo che potrebbe rappresentare l'esercito spagnolo per Brescia. Alla fine, si decide di avvertire il Papa dell'esistenza di questi cattivi segnali, perché voglia provvedere; di avvertire nel contempo i provveditori di questi nuovi sviluppi perché si consultino con il governatore su come meglio affrontarli; di richiamare a Brescia il capitano delle fanterie, dopo aver posto in sicurezza Crema; e di avvertire i francesi in Brescia che dopo l'arrivo degli spagnoli essi non avranno più scampo. Ma soprattutto si raccomanda ai provveditori di aver cura dell'esercito. Si moltiplicano però le notizie secondo cui gli spagnoli starebbero arrivando per espugnare Brescia in nome della Lega.

Fino al 29 vi è al campo molta irresolutezza circa la presa di Brescia, anche perché il tempo è molto cattivo. Anche a Bergamo, Die 29 septembris 1512 in nocte veniente die 30 maximæ pluviæ fuerunt in agro Bergomensi, et omnes torrentes et fluvii excreverunt supra modum, campi inundaverunt et pontes aliqui diruti; timor fuit mali futuri... [BER, 106v]. Il timore della venuta delle truppe spagnole come nemiche si va diffondendo al campo. Questo, insieme con la scarsità di denaro, provoca diserzioni tra le file dei veneti. I provveditori sono anche in gran timore per gli svizzeri, che vorrebbero impadronirsi di Cremona e Geradadda a nome della Lega. Una lettera da Salò del 1° ottobre informa che fra tre giorni gli spagnoli saranno a Brescia, da cui distano 18 miglia; i veneti li vogliono sfidare; i francesi a Brescia e Peschiera muoiono di fame; si tiene per certo che vi sarà battaglia.

Anche da Brescia si informa il 30 che gli spagnoli stanno certamente venendo per disturbare la presa della città e per impadronirsi delle terre venete; e gli svizzeri sono dalla loro parte. Al campo ci si interroga sulle possibili opzioni, cioè: stringere Brescia, oppure fortificarsi nei dintorni, oppure ritirarsi a Pontevico. I provveditori hanno l'impressione, e se ne dolgono, che la Signoria stia sottostimando la venuta degli spagnoli, che invece allarma molto loro stessi. A Venezia si elegge capitano a Bergamo Vittore Michiel, mentre i provveditori decidono il 1° ottobre di fortificarsi sotto Brescia ed ancora chiedono denari. La Repubblica si risolve a mandare 8000 ducati.

Durante la seconda metà di settembre, anche Bergamo partecipa della stessa estrema indecisione che regna al campo. Ecco i fatti: die 17 pedites 350 comitivæ d.ni Laurentii Anguillariæ, capitanei generalis peditum d.rum Venetorum, ex Crema ingressi sunt Bergomum, ubi steterunt expensis et in domibus civium; et fecerunt gabiones plurimos super monte Sancti Vigilii, et stratas ac alia, dicentes velle expugnare Capellam et erripere de manu Gallorum, promittentes dietim tormenta bellica et capitaneum affecturum; sed nihil futurum fuit nisi plurimæ expensæ per Bergomenses; et die 2 octobris dicti pedites vocati a suo capitaneo, redierunt Cremam [BER, 106r].

Il resoconto ufficiale della seduta del Consiglio bergamasco del 24 settembre [Az 12, 25r] non contiene decisioni di grande interesse. Al contrario, nella seduta del 25 [Az 12, 26r], dopo molte discussioni, in considerazione dei privilegi cittadini, della posizione della città e dei numerosi traffici e mestieri necessari per sostenerla, si decide che al più presto si tenti di sollevare le persone private e di caricare alla città l'onere degli alloggiamenti dei militari, che isopportabilmente la opprimono, contro ogni diritto e consuetudine; che la medesima politica si applichi anche agli alloggiamenti nel piano e nell'agro bergamasco; e che le spese relative possano essere assunte anche mediante prestiti da persone private, con facoltà di impegnare beni della città. La proposta di eleggere due cittadini, uno presso il capitano generale e l'altro presso i provveditori generali per patrocinare gli interessi della città, viene invece rigettata.

Nonostante questo, il giorno 26 il Consiglio dispone [Az 12, 27v] di scrivere immediatamente a Paolo Zanchi (che sta al campo presso Brescia) per esortarlo ad ottenere in ogni modo dai provveditori che i militari alloggiati a Bergamo presso i privati siano levati dalle case, in osservanza dei privilegi della città. Si elegge poi G. Francesco Meliorati nunzio presso il capitano generale delle fanterie in Crema, per tentare di ottenere anche da lui che i soldati siano tolti dalle abitazioni dei privati. (Egli parte il giorno stesso e ritorna il 27 settembre.) Si dispone ancora che qualora non si riesca ad ottenere dal capitano generale e dai provveditori la rimozione di questi militari, si debba scrivere al Dominio, trasmettendo la lettera allo Zanchi, perché la inoltri a Venezia. Infine, si eleggono alcuni deputati che, con ogni possibile equità, si occupino degli alloggiamenti delle fanterie dell'Orsini alloggiate presso i privati. Gli eletti sono Iacobo de Garganis, Bernardino de Muleris e Venturino da Calepio.

Il testo della lettera inviata al dominio il 26 settembre (e quindi verosimilmente senza attendere l'esito degli incarichi affidati allo Zanchi ed al Meliorati) [Lett. 9.3.3. # 168, anche in Lett. 9.3.6. # 26 e # 27] così recita:

Ali giorni pasati questa sua fidelissima cità, ad richiesta del ill.mo Capitano suo general de le fantarie qual in breve diceva di venir ala expedition di la Capella, fu streta cum grande sua displicentia et disturbo contra la forma de privilegii soi ad allogiar la compagnia sua de 400 fanti et cavalli circa 80, a discretione in casa de citadini, prometendo che fra 5 aut 6 giorni li deslogiaria.
Quali essendo non solum per 6 ma per più de 10 giorni allogiati cum spesa, danni et iacture gravissime et insuportabile di questi fidelissimi citadini soi, et non venendoli fatta provisione alchuna, né per il predicto ill.mo Capitano né per li clar.mi Provisori generali, n'è parso significar ala Serenità vostra questa sua fidelissima cità - quantumque di sua natura povera et sterile al presente sì per extorsion de francesi, tempeste, carestie et per non posser li fidelissimi citadini sui attender ali loro soliti exercitii, como anchora che da li paesi convicini non vengono victualie di sorte alchuna per le inhibition fatte ad essa cità et territorio - ritrovandosi in tanta calamità et penuria dil tutto per la mala condition de li tempi quanto dir si potria, adeo che li primarii non che dir li altri non hanno tanto da viver che sia bastante ad sustentar loro et le familie sue.
Et oltra di ciò, sotto pretexto et velame di la preditta compagnia, sono allogiati molti altri venturieri et meretrici, quali tutti vogliono il viver al modo suo, usando molti iniuriosi et mali modi da soldati con molte inhonestà et inconvenienti; et ultra anchora, in dies vengono nel territorio bergamascho innumere gente d'arme et fantarie ad consumation et intollerabili disturbii et danni di questa cità et suo territorio; donde essa carissima cità et citadini soi sono quasi desperati né più non ponno tollerar questo insupportabil peso.
Per il che cum ogni humiltà et reverentia supplicano la Celsitudine vostra si degni subvenir et proveder a questa tanta calamità nostra, che essi soldati siano levati fora di le case de citadini et, parendoli tenir in questa cità, siano allogiati ne li lochi publici soliti che li sono boni et comodi, né patisca che questa fidelissima cità et carissimi citadini soi supporti questo insolito et insupportabile cargo qual tanto li preme et lì et al core quanto cosa mai fusse né accader potesse. Come sperano indubitatamente et presto sarà, sì per la observantia di privilegii di la predicta cità sua, come per esser sempre propensissima et non manchar mai di subvenir ali honesti desiderii et richieste, imo ale necessità di essa fidelissima cità. Et ala gratia de la Subimità vostra devote essa cità si ricomanda
. E' da notare che questa lettera, che parrebbe una minuta, perché contiene parecchie cancellature e pentimenti, e perché sta all'Archivio di Bergamo, porta tuttavia evidenti i segni di un sigillo in ceralacca.

Con queste decisioni termina il racconto delle vicende del mese di settembre a Bergamo. Resta soltanto da esaminare, come si è fatto in precedenza, la corrispondenza diretta a Bartolomeo da Mosto su altre materie di interesse specifico.

Innanzitutto, in tema di benefici ecclesiastici. Il 9 settembre i provveditori scrivono [Lett. S.3.1, 70] a proposito di prè Giuliano da Terzo, bergamasco, e di un nunzio di Francesco Chieregato, per la lite in merito al beneficio di santa Maria di Rosate. Essi sono stati rimandati ad Andrea Mocenigo, protonotario apostolico, avanti al quale hanno esposto le loro ragioni. Costui ha giudicato che Giuliano debba esser posto e mantenuto nel possesso. Si ordina al da Mosto di eseguire e di mantenere Giuliano al possesso, fino a quando la Signoria deciderà altrimenti. Altre due copie di lettere dell'8 e 9 ottobre da Lodi da parte del cardinale Sedunense [Lett. S.3.1, 40 e 41] riguardano il medesimo beneficio e compaiono con la copia di una lettera dei provveditori il 14 settembre [Lett. S.3.1, 60]. Essa dice che di recente si sono resi liberi due benefici, uno in s. Maria di Rossà e l'altro in san Pancrazio. Il primo è stato conferito a d. Angelo Lippomanno, l'altro a d. Piero Pichardo. Il da Mosto è pregato di porli al possesso, secondo la loro elezione, facendo loro versare tutte le entrate. Infine, il 18 settembre [Lett. S.3.1, 53] i provveditori fanno seguito ad una loro precedente del 28 agosto, in cui chiedevano di far depositare le entrate di sant'Alessandro in Colonna. In esecuzione di ciò, il 2 settembre il da Mosto aveva eseguito il mandato. Ma siccome essi hanno saputo che un prè Benedecto de Ferraris ha ancora certi frutti di tal beneficio e non li vuole consegnare, il da Mosto viene esortato a farsi obbedire.

Numerose, come di consueto, le missive che riguardano provvedimenti a favore di militari. Una del 2 settembre [Lett. S.3.1, 79] di Giovan Paolo da sant'Angelo, data da Crema, riferisce che il da Mosto ha dichiarato di esser disposto a svolgere il processo riguardante un suo prigioniero entro quattro giorni, che è un tempo troppo breve perché egli possa venire a difendere le sue ragioni, essendo occupato in servizio della Signoria. Forse il da Mosto non ha inteso l'importanza della causa, la quale coinvolge anche l'interesse della signoria per 22 ducati e mezzo. Prega quindi il da Mosto di soprassedere fino alla sua venuta, che sarà tra breve. Anche i provveditori generali scrivono al da Mosto a proposito di questo prigioniero [Lett. S.3.1, 68] e la loro missiva chiarisce un poco il caso. Essi prendono atto che a richiesta di Giovan Paolo da Sant'Angelo un certo Giovan Francesco de Pelegrino da Piacenza, uomo d'armi che ha servito all'assedio di Padova, è stato in prigione per due mesi. Hanno inteso le ragioni per cui il da Mosto lo ha ritenuto. Circa la prima causa, cioè per i 20 ducati di paga, vogliono che il da Mosto se li faccia dare e li mandi a loro. Per le altre cause, lo giudichi secondo giustizia. E affinché non finisca la sua vita in carcere, hanno scritto a Giovan Paolo che entro otto giorni da quando riceverà l'ordine si presenti o mandi al da Mosto per far valere le sue ragioni contro Giovan Francesco. Se no, il prigioniero sarà giudicato in assenza della controparte.

Un'altra lettera dei provveditori (4 settembre) [Lett. S.3.1, 80] riguarda Giovan Antonio da Bergamo, il quale vorrebbe ottenere certi denari da una donna bergamasca, che tergiversa. Il da Mosto è pregato di rendergli ragione sommaria, essendo la sua presenza necessaria al campo per molte ragioni. Il 6 settembre [Lett. S.3.1, 72] è la volta di Guido Rangoni, armorum comestabilis, che si fa vivo dal campo presso Brescia a proposito di un certo Cassa Matta servitor suo e della Signoria: il da Mosto permetterebbe che le sue cose vengano saccheggiate. Pare che i provveditori abbiano scritto, ma non siano stati obbediti. Pregano ancora che il Cassa Matta non sia molestato, soprattutto per i meriti che ha verso la Signoria. Gli stessi provveditori (7 settembre) [Lett. S.3.1, 71] chiedono una dilazione per il pagamento di certi debiti a Zanibono Usubelli, il quale ha patito danni per spese fatte a certi soldati.

L'8 settembre i provveditori avanzano una richiesta di citazione per Zanin Get, ad istanza di Alvise da Cenate e soci [Lett. S.3.1, 75], in una causa già citata al 18 agosto [Lett. S.3.1, 105]. Questa causa era stata rimandata al da Mosto dai provveditori generali il 2 settembre [Lett. S.3.1, 76] perché, essendo essi in molte faccende occupati, non potemo hora veder processi né star ad audir litte. Imperò remmettemo lo allegato processo, con la richiesta di far giustizia. Una lettera analoga dei provveditori (16 settembre) a proposito del medesimo processo [Lett. S.3.1, 57] ribadisce la loro impossibilità ad amministrare giustizia, occupati come sono in faccende di maggior importanza. E, in vista delle difficoltà descritte più sopra, non riesce difficile crederlo.

Una lettera per il da Mosto (15 settembre) [Lett. S.3.1, 58] viene da Pietro da Luzago, vicegerente di Iseo. Egli informa che Scipione Suardo da Bergamo si è presentato ad Iseo per stare all'obbedienza del da Mosto, dicendo di aver avuto un mandato da lui. Scipione dichiara di essere prontissimo ad ogni comando del da Mosto. Un provveditore scrive (17 settembre) [Lett. S.3.1, 47] che il latore della lettera è uno stradiotto della compagnia di Giorgio Bosichio, il quale altra volta fo svallisato da Alvise Toscano e compagni, che si trovano ora a Bergamo. Gli sono stati presi cavalli, denari e altre cose mentre veniva al campo. Il provveditore chiede che il da Mosto gli renda ragione sommaria e non gli manchi di ogni giusto favore. I due provveditori scrivono anche (20 settembre) [Lett. S.3.1, 51] a proposito di una divergenza tra Taddeo della Motella e Vittore Lippomanno a causa di certi muli. E' stato concesso un termine di 20 giorni ad probandum a Taddeo, il quale rispeto ale turbulentie de sforceschi et sguizari non si ha possuto andar a Milano. Perché Io Paulo [Capello] non mi posso impizar in questa cosa Io Christophoro [Moro] ho prorogato el termine fino al 20 ottobre. E se il da Mosto avesse già innovato alcunché in tal materia, blocchi assolutamente ogni cosa. E' chiaro nella lettera il riferimento alle vicende che a quella data rendevano molto incerta la situazione tra Brescia e Milano.

Una lettera dei provveditori del 21 [Lett. S.3.1, 52] suscita qualche sospetto sull'onestà del da Mosto. Secondo il testo, gli scriventi hanno appreso con non poca molestia che il da Mosto si ingerisce in cose contrarie alla giustizia e all'equità. Pare infatti che Zuan Cimenes e Giulio da Fontes, spagnoli, abbiano preso ad un arciere del Gran Maestro molte cose il cui inventario si trova presso il da Mosto. Il fatto è avvenuto già da tre mesi (quindi presumibilmente in occasione dei fatti del giugno che portarono alla caduta del dominio francese a Bergamo). Avendo i due portato il bottino a Bergamo per venderlo, il da Mosto lo ha sequestrato e convertito in suo proprio uso. I provveditori non riescono a crederlo. Pare anche che il da Mosto abbia fatto intendere di volere assolutamente una parte del bottino. Gli interessati volevano mandare una supplica alla Signoria, ma ...Nui che vi amamo ve habiamo voluto scriver questa nostra per dirvi che debiati cum ogni integrità restituir el botin suo, non facendo che più ritorni a nui, perché reverà (?) non dovete tuor parte alcuna de alcun botin, per esser parte et ordeni in contrario. Restituisca quindi il tutto integralmente. Siamo stà astretti dirvi quanto ut supra per che la rason ne ha mosso et la exclamation de dicti spagnoli factane publice ne ha induto scrivervi in tal forma. Presumibilmente, un'altra lettera del 27 [Lett. S.3.1, 49] si riferisce alla medesima vicenda: i provveditori hanno ricevuto le lettere del da Mosto, con l'inventario e le robe, delle quali i provveditori faranno quanto la giustizia impone.

Infine, una lettera del 30 settembre [Lett. S.3.1, 48] riguarda sempre un caso di indebita appropriazione. Quando occorse il caso che fu rotto el nostro campo in Jeradada, d.no Zuan Baptista de Naldo, fu nepote del quondam mag.co d.no Dionixio, fu capitan de le fanterie, lasciò in casa de certo citadin a Bergamo certe robe sue. El qual poy, minasandolo de farlo prison s'el non se ne andava, lo fece fugire, retinendo tute le robe sue. Hora veramente desidera, come è rasonevole, de conseguire il suo malo modo toltoli. Il da Mosto presti quindi udienza alle parti e dia celere spedizione alla causa.

In conclusione, incertezza, irresolutezza e confusione paiono i motivi di fondo che caratterizzano le vicende del settembre 1512. Questo si può documentare innanzitutto in relazione allo stato delle alleanze politiche, che non riesce a conciliare gli interessi della Lega e quelli di alcuni suoi componenti, i veneziani in particolare, mentre incessantemente si studiano nuovi schieramenti per rimotivare l'azione dei contendenti. Un secondo livello di incertezza riguarda le intenzioni delle truppe spagnole: mentre il loro ambasciatore a Venezia protesta fedeltà all'alleanza, di fatto il Cardona si va schierando sul campo con intenzioni apparentemente minacciose nei confronti dell'esercito veneto. Nell'esercito stesso la disparità sulle scelte strategiche tra le autorità politiche, cioè i provveditori, e quelle militari, cioè il governatore Baglioni, ed il capitano delle fanterie Renzo Orsini, non consente di identificare il corso d'azione più appropriato ai fini della presa di Brescia, che rimane l'obiettivo strategico principale; la Signoria di Venezia è a sua volta impotente a risolvere questi dubbi ed a imprimere un nuovo impulso all'azione dell'esercito con l'invio di mezzi e denari sufficienti. Anche a Bergamo, infine, la situazione permane incerta - e per molti aspetti minacciosa - sia nei confronti dell'esterno per la difficoltà di leggere le intenzioni delle truppe spagnole e svizzere che si aggirano nella pianura; sia verso l'interno, tra il disegno di riprendere la fortezza della Capella ai francesi e l'impossibilità (o forse la non volontà) di impegnarsi nell'impresa per mancanza di uomini e materiali e nella speranza di una resa senza combattimento. E intanto la presenza delle truppe in città e nel territorio pesa sullo stato dell'ordine pubblico ed aggrava la vita degli abitanti.