CAPITOLO 10 - AGOSTO

Quando il mese di agosto inizia, la rivolta di Lovere è ancora in pieno svolgimento. Ai consiglieri ed al notaio comunale Ludovico Celeri così si rivolge il da Mosto in un giorno imprecisato del mese, dopo che Nicolò del Passo aveva evidentemente rinunciato all'idea di governare quel luogo ed aveva fatto ritorno a Bergamo [Lett. 9.3.6. # 20]:

Spectabili amici carissimi,
considerando noi le cose de la ill.ma Signoria nostra molto patiscono per la absentia del nobile d.no Nicolao Passo podestà vostro; et che etiam de qua potriano occorrere non pochi scandali cum carico vostro et danno vostro così universale come particulare; et rendendose epso d.no Nicolao alquanto difficile al transferirse là per le cose successe al'altra venuta sua; vi comandiamo sotto pena de ducati 300 applicandi ala Fiscal Camera che in termine de dui giorni debiate mandare ala presentia nostra d.no Bartholomeo da Lolio, d.no Iacomino Cellerio, Io. Iacobo Marentio, Christoforo dito Todeschino da Lolio et d.no Ludovico Celeri, cum mandato et auctorità de quella vostra comunità de acceptare el prefato d.no Nicolao in podestà utsupra, et de exequire alcune altre cose pertinente al stato.
Et al preditto d.no Bartholomeo et compagni comandarete per nome mio che omnino vengano a questi effetti, sotto pena de ducati cento per cadauno de loro applicandi utsupra. Et quando qualchuno de questi cinque fusse absente aut infermo, sotto la ditta pena elezerete altri del Consilio vostro in suo loco, et gli mandareti et comandareti sub pena et in omnibus utsupra. Et in questo non mancharete, per quanto havete cara la gratia de la prelibata ill.ma Signoria, per essere questa cosa importantissima.
Altramente sereti reputati contumaci et inobedienti et seremo sforzati exequire et queste et le altre pene già imposte, cosa che ne serìa de grandissima displicentia, per desiderare noi di continuo la quiete et ben vostro et de tuto el territorio. Et certe se persuadiamo debiati essere boni figlioli di obedientia. Et de la intimatione de queste nostre daremo fede ad cadauno referrente cum suo iuramento, et volemo ch'el basta intimarla ad uno de voi Consilieri, aut al ditto d.no Ludovico Celeri notaro vostro per tutti
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Il tono della lettera è, tutto sommato, conciliante, anche se il provveditore non sembra attendersi alcun risultato da questo nuovo intervento e cerca di parare eventuali resistenze imponendo ai trasgressori pene assolutamente inverosimili.

Un altro documento del 23 agosto è di interesse in questa complessa vicenda. Si tratta di una lettera dei provveditori generali al da Mosto, che è già stata pubblicata [SILINI, 1992, p. 157] ed è illuminante in quanto rivela sensibili differenze di comportamento tra i provveditori generali ed il provveditore di Bergamo, differenze sulle quali i loveresi agiscono per far avanzare il loro disegno di secessione da Bergamo, utilizzando le ingenti risorse economiche di cui dispongono. Dice dunque la lettera che i loveresi hanno fatto recapitare ai provveditori generali altri 450 ducati a titolo di prestito, chiedendo nel contempo che il da Mosto liberi Cristoforo Marenzi, arrestato e tenuto ostaggio a Bergamo per debiti della comunità di Lovere. Probabilmente il da Mosto aveva utilizzato questo mezzo di pressione per tentare di riportare i loveresi all'ubbidienza. Con questa lettera i provveditori in campo vanificano il tentativo. E scrivono inoltre: preterea habiamo inteso vostra Magnificentia vuol far tor podestà del loco de Bergomo: a questo dicemo ala Magnificentia vostra che non vogli innovar né far altro podestà in quello loco sino la illustrissima Signoria nostra non termina questa cosa; la qual de presente tenemo la non habi terminar altro per non esser tempo. Et meno die innovar la Magnificentia vostra, cognoscendo la qualità de presenti tempi. Appare evidente che i loveresi non si erano arresi dopo la temporanea sconfitta subita con l'allontanamento di Zaccaria Priuli; anzi, come si vedrà, stavano meditanto ulteriori passi, forti dell'appoggio dei provveditori generali.

Il mese precedente si era chiuso mentre l'esercito stava accampato nelle vicinanze di Cremona, con qualche difficoltà ad attraversare il Po per l'opposizione del cardinale svizzero e del vescovo di Lodi. Il Lando, che si trovava a Mantova come accompagnatore del vescovo di Trento, conferma alla Signoria l'esistenza di trame contro l'esercito veneto e comunica che Cremona è in armi per timore di essere presa e saccheggiata. Ma poi la città decide di mandare oratori al campo e di garantire alle truppe il passaggio del fiume. La Signoria scrive ai provveditori rallegrandosi di questi sviluppi ed approvando la loro intenzione di marciare verso Crema al più presto. Promette altro denaro per le truppe ed un loro rafforzamento con i militari provenienti da Brescia. La Signoria scrive anche a Roma, rallegrandosi con il Pontefice per la sua buona disposizione ed avvertendolo degli ostacoli frapposti dal cardinale svizzero. Intanto il vescovo Curzense invia messi a Brescia all'Obignì, per convincerlo ad arrendersi alle truppe dell'imperatore, come già era avvenuto a Lignago.

Riferisce il Sanudo che Bartolomeo da Mosto comunica a Venezia il 1° agosto di avere incontrato difficoltà nella riscossione del denaro richiesto perché i milanesi avevano mandato a dire a Bergamo di non pagare i veneziani, il cui campo stava in pericolo. E' tuttavia riuscito a raccogliere 6000 ducati e li ha mandati al campo; crede che i bergamaschi ne daranno altri 2000. E' infine fiducioso di poter raccogliere 200 schiopeteri per 15 giorni ed alcuni cavalli leggeri da mandare in campo, senza spese per la Signoria.

Il 1° agosto tutto l'esercito ha passato il Po e si dirige verso Pontevico per incontrarsi con Leonardo Emo ed i suoi. Vi è tra i provveditori grande esultanza per aver portato l'esercito a salvamento, impresa su cui vi era stato qualche dubbio. Il Capello spiega agli ambasciatori di Cremona come la città, in base agli accordi, sia designata a Venezia e che non è stata presa, anche se ci si attende la sua consegna. L'Emo, intanto, è stato avvertito di tornare a Brescia, dove il territorio deve essere protetto contro i francesi. Le truppe venete marciano verso Pontevico e i provveditori scrivono da Verola il 2, chiedendo denari perché senza paga i soldati rifiutano di avvicinarsi a Brescia. Venezia risponde che 10 mila ducati sono già a Vicenza, in attesa che l'Emo li mandi a prelevare sotto buona scorta; nel frattempo, le truppe saranno pagate con il denaro raccolto dai bresciani; procedano perciò verso Brescia.

Ma a Venezia si vanno nel frattempo manifestando alcune divergenze politiche, che inevitabilmente si riflettono sulla strategia dell'azione bellica. L'oratore imperiale, anche da parte del re spagnolo, vorrebbe che la Signoria, invece di prendere Brescia, andasse con gli spagnoli a prendere Milano, minacciando altrimenti di considerare infranti gli accordi della tregua e della Lega. Vi era infatti il timore che, una volta acquisite le sue terre, Venezia non marciasse poi contro Milano per conto dell'Imperatore. A queste ragioni i Savi obiettano, da una parte, che i capitoli della Lega prevedono il recupero delle terre venete; d'altra parte, dicono, non è ancora certo che l'Imperatore entrerà nella Lega e, quando entrerà, dovrà accettarne i patti, i quali prevedono che la decisione ultima sia lasciata al Papa. Quanto al recuperare Milano, Venezia non si sente obbligata a farlo, ma l'esercito veneto farà ciò che il Papa disporrà. Di questa posizione si informano l'oratore a Roma ed i provveditori in campo. Ai quali la Signoria ordina di marciare su Brescia e, nel caso di un'opposizione da parte delle truppe tedesche, come gli oratori vanno minacciando, queste siano trattate come nemiche.

Le divergenze politiche si manifestano anche sotto forma di pressioni da parte del viceré sui provveditori stessi, i quali sono, come sempre, in difficoltà per l'insoddisfazione delle truppe e per l'insorgenza di litigi tra i capitani dell'esercito. Ma, nonostante tutto, anche se un poco rallentato, l'avvicinamento a Brescia prosegue. Il 4 agosto le truppe sono a Verola, il 6 a Bagnolo, il 7 a San Zeno, cioè a tre miglia da Brescia. Ivi il Capello ed il Moro assumono anche il comando delle truppe dell'Emo e scelgono il luogo dove piazzare l'artiglieria, che, con molte difficoltà, sta arrivando da Padova. Si va anche profilando una spedizione su Crema. Per parte sua, il viceré è a Modena, diretto verso Mantova: pare tuttavia che vi sia qualche incertezza circa il suo atteggiamento verso la Signoria.

Il 5 agosto da Verola i provveditori prendono contatto con il da Mosto [Lett. S.3.1, 133], inviando a Bergamo Anzolo da Santangelo. Il da Mosto gli farà consegnar per expedir la impresa de Crema tre sacre, videlicet, le più grande che de lì se atrovano. Le artiglierie saranno in breve restituite, e così il da Mosto si farà promettere, perché expedito immediate dicta impresa se ne vegnerano de lì cum le artigliarie et gente, a prendere la fortezza di Bergamo. Lo stesso Santangelo scrive il giorno seguente da Gabiari (?) al provveditore e dice [Lett. S.3.1, 134]:

Io sono stato al campo dali mag.ci Proveditori per vedere de haver gente et artiliarie per la espugnation di Crema, et me ano dato la Compagnia del Signore Renzo et certa quantità de artiliaria et me domandò se qui apreso gli era altra artiliaria che se potesse haver. Io li dissi che non li sapeva altra artigliaria si non doi sacri che sono de lì a Bergamo che ha la M. V., sì che io mando el Rizo cancelero del ... Cagnola per levar li ditti sacri, non posando venir io; sì che la M. V. li manderà per questa impresa cum li bombardieri et poy facta la expugnation di Crema me ha comandato debia mandar tuta questa gente et artiliarie per la expugnation dela Capella, como per le sue la M. V. intenderà. Con evidente riferimento alla precedente lettera.

La situazione al confine milanese intorno all'inizio di agosto si fa difficile. Il 6 agosto, ...Franci, qui tenebant Triccium nomine Regis Gallorum venerunt summo mane ad locum Levate, et bonam partem incenderunt, aliquos occiserunt, et animalia abduxerunt, nemine resistente, quia nec Bergomi nec in territorio erant stipendiati qui nos deffenderent, nec Mediolani erat aliquis dux, nec Dominus, et dicebatur quod Imperator volebat pro duce Mediolani Archiducem Burgundiæ, alii principes Italici volebant Maximilianum Sfortiam; et propter hoc res Lombardorum erant in suspenso et ambiguo. Exercitus Venetorum erat in agro Brixiano, civitas Brixia, Crema et Capella Bergomi erant in potestate Gallorum; Verona sub Imperatoris libertate; dictus Castellanus Tritii discurrebat etiam per territorium Mediolanense suo arbitrio, animalia, frumenta et alias res conducebat in castrum Tritii [BER, 105r].

L'8 agosto l'impresa su Crema è iniziata. Scrive a Venezia da Orzinuovi Nicolò Michiel, che è ivi provveditore, come siano transitati 800 fanti, 70 lanze e 100 cavalli leggeri che, insieme con l'artiglieria, sono diretti verso Crema al comando di Paolo da Santa Croce. Nella riunione del Consiglio di Bergamo dell'8 agosto [Az 12, 17r] alcuni Anziani eleggono Fedrigino del Zoppo e Ottolino da Alzano perché vadano dal provveditore e dal Capitano generale delle fanterie a sollecitarli che, appena presa Crema, vengano con un certo numero - ma onesto - di provisionati e di artiglierie ad espugnare la Cappella di Bergamo. Poi gli Anziani decidono di convocare una seduta del Consiglio maggiore il martedì 10 agosto per eleggere oratori a Venezia a prestare reverenza ed obbedienza. Non consta tuttavia che tale riunione abbia mai avuto luogo.

I provveditori il giorno 9 sono sempre nei pressi di Brescia, in attesa del denaro, delle artiglierie e di altra fanteria. Vittore Lippomanno, in viaggio verso Bergamo per prendere possesso del vescovado assegnato al vescovo Nicolò, descrive le condizioni del campo veneto, dove il Capello è oberato di lavoro. Conferma la necessità delle artiglierie e di nuovi fanti e informa che gli uomini d'arme, senza paga da due mesi, sono scontenti. La truppa compie razzie nel territorio, i provveditori sono impotenti a contrastare questi episodi, fino a quando non arriverà il denaro. In Brescia vi sono 150 lanze, 400 cavalli leggeri e 3000 fanti e quindi, conquistare la città con le armi sarà difficile: per questo, si spera di averla mediante accordo. Intanto dentro la città i francesi saccheggiano i conventi e scacciano monache e frati; scarseggiano l'acqua e la farina.

Per arrivare ai 10 mila fanti ritenuti indispensabili per un'azione su Brescia, Venezia autorizza il reclutamento di 2000 grisoni. Ma l'urgenza del denaro continua. Il 9 agosto i provveditori generali scrivono da san Zeno al da Mosto [Lett. S.3.1, 126] dicendo che stamani hanno risposto a certe lettere circa i danari ed altre cose e con ogni prestezza e celerità hanno mandato le sue lettere alla Signoria. E siccome è necessario che il da Mosto provveda 50 ducati per lo strenuo Mariano (cui gli scriventi li hanno promessi) Mariano manda il suo cancelliere Biaxio per riscuotere i denari. Voglia il da Mosto in ogni modo provvedergli i 50 ducati e spedirlo con ogni celerità. E il 10 agosto [Lett. S.3.1, 123] gli mandano Zuane Donado per prendere mille ducati di una lettera di cambio, o quella maggior somma che il da Mosto potrà raccogliere, magari facendo un prestito, promettendo di restituire il tutto o di scontarlo sui dazi, ed autorizzando il provveditore a prestare fideiussione. Il che conferma la necessità grande di denaro per pagare la truppa.

Vi è, del 10 agosto, un'interessante lettera da Alessandria dell'ex-podestà di Bergamo Giovan Maria Guasco agli Anziani e deputati di Bergamo [Lett. 9.3.6. # 21]. Essa contiene alcuni dettagli sulle vicende che lo scrivente aveva vissuto in occasione del primo e secondo arrivo dei veneti in città, nel febbraio e giugno passati. Il testo dice:

...Essendo absente io da cassa mia li zorni passati, a mi mi scrisseno una littera ala qual per dicta causa non ho possuto far più presto risposta. Et per che se doleno de certi mobili sive utensili del Palatio, dicendo che non se ne trova conto alchuno, mi sono prima fronte trovato di mala voglia per honor mio et per el sincero amore porto a quella mag.ca cytà.
Et ricordandomi como haveva consignato, in absentia del maserolo qual era in villa ala mia partita, tute le robe mi erano state datte da miser Facino da Rivola poy la prima revolutione a miser Polidoro Bresano et a suo patre miser Alexandro, presentibus pluribus testibus, maxime el mag.co miser Coriolano Brembato et tuta la mia famiglia, mi sono condolluto ben assay con dicto miser Polidoro, qual s'è ritrovato in questa parte.
Lui mi ha risposto como ha restituito tute le dicte robe al massarolo et a miser Facino da Rivola in casa de miser Martino Bresano, e di questo ne feceno una poliza, et che non si dolseno di cossa alchuna li manchasse, salvo de doi cortine di sarza, de uno scaldaleto, et doy cazuli, et uno tripede picolo; como quelle potrano veder per una soa littera che li scrive. Quanto ale cortine, uno mio servitore mi ha dicto che sono in bono locho et che se troverano; el resto è niente; de dite cortine riposative, ché le haverete. Quanto al paramento de l'altare, io el lassay in Palatio in lo cassono in la camera ove era solito di stare. Mi maraviglio che non se sii consignato con le altre cosse, pur in simili cassi et mutamenti possano intervenire disordini assay.
Se miser Facino Rivola aut el massarolo fusseno stati in la città, non haveria facta dicta consignatione a miser Alexandro Bresano né a suo figliolo, né datoli tale caricho; sed periculum erat in mora che già erano fugiti li Senatori di Milano, el Capitano de Iustitia et Podestà, et cossì el Podestà di Bresa, et erano rotto le strade in forma che se fusse tardato più in Bergamo era periculosissimo di mal capitare, il che credo firmiter saria rincresciuto a quella mag.ca città, maxime ali homini da ben quali sono stati da me ben veduti et honorati. Et già era ben amaestrato da la prima revolutione nela qual fui molto perseguitato da soldati villani et alchuni altri. Ma per gratia de Dio et de uno veridico et nobile homo fui liberato; ideo me sono partito hiis modis et formis ho possuto, quia qui nocuit primo, etc. Non altro. Io sono al comando et piacere de vostre Magnificentie, ale quale mi offero per quanto vaglio et posso al mondo et però in Dio mi accaderà anchora con el tempo qualche oportunità di provarle
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Dopo aver caldamente raccomandato al da Mosto due protetti del governatore delle fanterie come guardiani di una porta a Bergamo il 10 agosto [Lett. S.3.1, 124], i provveditori riscrivono l'11 dal campo preso san Zeno [Lett. S.3.1, 118] a garanzia dell'ordine pubblico a Bergamo:

Sentimo che in quella terra ne sono alcuni tristi che vano aresussitando nove et digando cosse che non dieno, cum tenir in paura quelli fidelissimi nostri. Et pur par che de tali V. M. ne habi havuto qualche noticia et che quella in risposta ge habi ditto non haver libertà. Nui exortamo la M. V. et a quella dicemo che questi tali li fate scassar et darli altri tormenti et pene secundo li loro delicti et manchamenti, et contra questi tali vi damo quelle libertà et auctorità de punirli come habiamo nui...

L'11 agosto giungono da Venezia al campo 8000 ducati, ma i cannoni rimangono ancora fermi in Albarè. Nel tentativo di recuperare altro denaro, i provveditori si rivolgono ancora al da Mosto a Bergamo e scrivono il 12 agosto, [Lett. S.3.1, 117] pregandolo di usare ogni diligenza per che hora consiste presteza et celerità nel danaro. Veda quindi di recuperarne, per via di cambio oppure di prestito, quanto più può e lo mandi con scorta degli stradiotti che vi mandemo de lì, che vi pareno siano per venir tuti et securi.

L'11 agosto si apprende a Venezia che a Colonia l'Imperatore ha investito Massimiliano di Ludovico Sforza duca di Milano e che lo manderà presto in Italia. Il segretario Gian Giacomo Caroldo, che Venezia aveva inviato al cardinale svizzero a Vercelli, passando per Milano, riferisce di avere incontrato il vescovo di Lodi. Costui, e la città stessa, hanno molto apprezzato il gradimento espresso loro da Venezia a che Milano sia governata da uno di casa Sforza.

Registra molto concisamente il Beretta al 14 agosto [BER, 105v]: Die sabbati 14 augusti Theodorus Paleologus cum stradiotis centum venit ex Brixiano exercitu ad defensionem villarum Bergomensium. Si tratta delle terre bergamasche intorno a Trezzo che da qualche tempo erano molestate dalle incursioni dei militari francesi asserragliati in quel castello. Possediamo scarsa documentazione circa gli eventi che precedettero l'arrivo di questi stradioti. Il Libro delle Azioni della città ci informa tuttavia [Az 12, 19r] che nella seduta del 14 il Consiglio discusse una parte dal seguente approssimativo contenuto: al fine di provvedere al più presto agli alloggiamenti ed alle altre spese necessarie per gli stradiotti appena inviati dai provveditori a protezione del territorio contro le incursioni del castellano di Trezzo ed altre scorrerie che si compiono ogni giorno nell'agro; nonché per altre necessità della guerra; si eleggano otto cittadini di diverse agnazioni che, insieme con il provveditore, abbiano ogni potere quali rappresentanti del maggior Consiglio. La parte viene approvata a maggioranza e nello scrutinio risultano eletti come deputati alle occorrenze belliche: Leonardo Comenduno, Francesco Albani, Gerolamo Poncino, Gerolamo Colleoni, Giorgio Benaglio, Guidotto de Prestinariis, il conte Marco Calepio e Ottolino da Alzano. Il successivo 17 agosto tuttavia [ibidem], Francesco Albani rinuncia all'incarico, chiedendo l'elezione di un altro cittadino in sua vece. Dopo il loro arrivo, invece, si sentirà parlare molto di questi stradiotti, soprattutto a causa del loro pessimo comportamento nei riguardi degli abitanti che avrebbero invece dovuto proteggere.

Del 15 agosto vi è una curiosa lettera dei provveditori generali a Bartolomeo da Mosto [Lett. S.3.1, 120]. Essi hanno saputo che a Bergamo si trova malato lo strenuo Bergamo Boselli, che è debitore di cinque ducati alla Signoria. Nel caso in cui morisse, i provveditori ordinano al da Mosto di rivalersi sui suoi beni; se invece vivesse (et cussì Dio permetti) e dovesse riscuotere paga, gli si dovrà trattenere quanto egli deve.

Lettere dal campo del 14 informano Venezia che le artiglierie stanno procedendo con molta lentezza perché servono ben 150 paia di buoi per trainarle: se ne prevede l'arrivo al campo per il 18. Intanto, rallentati nella loro azione, i provveditori indulgono in recriminazioni ed il 17 si dolgono che Venezia non abbia seguito il loro consiglio di prendere prima Crema e la Capella di Bergamo, per poi andare a Brescia. Questa polemica con la Signoria durerà alcuni giorni. Scrive ancora il Capello di aver ricevuto 4 messi da Clusone, i quali gli hanno comunicato di aver eletto in loro podestà Vittore Querini q. ser Piero, che già era stato a Clusone; i provveditori hanno confermato l'elezione. Nessuna traccia di questa elezione nelle carte del notaio Bernardino Baldi.

Ottavio Maria Sforza, vicario episcopale di Lodi e governatore di Milano scrive da lì al da Mosto il 18 agosto [Lett. S.3.1, 108]. Egli ha ricevuto una lettera dello stesso provveditore in data 17 ed ha preso atto del buon animo suo verso gli uomini dello stato di Milano. Ringraziando, assicura che ciò vale anche per lui e che intende di continuare così dummodo che per voi et vostri non sia facto cosa contro el paese nostro, fora de quello che la M. V. scrive. Riguardo poi a quelle persone che il da Mosto scrive di avere in mano e di voler processare, ricorda una sua precedente lettera e prega di fare in modo che siano rilasciati. Rinnovando la richiesta, si augura che possa essere esaudita, poiché i prigionieri sono amici suoi. Quanto a far l'impresa de Trezo, dicemo che non l'havemo anche ben stabilito, ma ogni volta che la voremo far ne avisaremo.

Vittore Lippomanno è giunto intanto a Bergamo, da dove sarà in seguito un assiduo corrispondente ed informatore per Venezia. Scrive il 17 ...lo castelan di la Capella di Bergamo, francese, tira pur a la terra, ma non fa tropo danno. Ogni sera fa fuogi, e anche quelli di Trezo; et eri da sera fo visto lì a Bergamo fochi nel castello di Milan. Scrive da poi che domino Theodoro Paleologo è lì nel teritorio con li stratioti, quelli di Trezo non ensano più fora, siché questo paexe adesso non ha più paura. Quelli di Bergamo, per questa nova de l'Alto Saxo, sta un pocho sora di so' termeni, e hanno paura; ma lui tien sia una zanza; ma si Brexa si haverà, non si dubita di niente. [SAN, XIV, 591]. Scrive anche di meschine liti tra i canonici di sant'Alessandro e quelli di san Vincenzo, i quali vorrebbero che il nuovo vescovo prendesse il possesso della diocesi nella rispettiva chiesa.

Informa ancora il Lippomanno che nella Capella vi sono 60 francesi con rifornimenti per un anno. Nella rocca di Trezzo vi è un castellano con 50 cavalli e 200 fanti francesi, che procurano danni ai paesi circostanti. Carlo Miani, che era stato il primo ad entrare in città, è camerlengo a Bergamo. Il castellano della rocca è Gabriele Barbo. Conferma che sono giunti sul territorio 200 cavalli di stradiotti alloggiati in quelle ville (probabilmente quelle di fronte a Trezzo). Bartolomeo da Mosto ha scritto ai provveditori chiedendo 80 cavalli leggeri.

A loro volta i provveditori prendono contatto con il da Mosto il 19, sempre da san Zeno [Lett. S.3.1, 106]. Ora che si apprestano a strenzer la terra (cioè Brescia), hanno gran bisogno di guastatori e carri. Mandi quindi il da Mosto dal territorio di Bergamo 500 guastatori e 70 carri con due paia di buoi per carro. Ed esegua volantissime, perché, essendo finalmente giunte con la grazia di Dio le artiglierie, sperano questo mese di tirarsi sopra la terra. Alvise Bembo è stato incaricato di ricevere uomini e salmerie.

Altre quattro lettere dei provveditori generali scritte da Brescia al da Mosto in quei giorni riguardano richieste a favore di militari. Nella prima (15 agosto) [Lett. S.3.1, 119] i provveditori scrivono per sapere se il bombadiere Nicola Belangior sia stato pagato, aziò sapiamo quanto habiamo far de qui. Pregano inoltre di mandare una risma di carta cancelleresca che non sia tanto sottile quanto è questa. La seconda lettera, più enigmatica, (16 agosto) [Lett. S.3.1, 116] viene recapitata a mano da due uomini che dovrebbero essere utilizzati al bisogno per l'impresa di Brescia. I provveditori li indirizzano al da Mosto perché dia loro udienza e faccia in modo che ogni persona da loro nominata sia messa all'ordine con tutti i suoi ferri necessari. La cosa è sopramodo necessaria e bisogna che il da Mosto eserciti sapienza, studio e diligenza, cosicché essi siano pronti ad ogni cenno del Provveditori, con tutte le cose necessarie. Solleciti tutto ciò il da Mosto e li tenga pronti con gli animali per portare le ferrarezze, affinché possano tornare da loro con celerità quando sarà necessario. Nulla viene detto circa la qualità delle ferrarezze richieste, ma si tratta, verosimilmente, di attrezzature necessarie alla presa di Brescia. La terza lettera (17 agosto) [Lett. S.3.1, 77] è a favore del condottiero Pietro da Longena, il quale ha una controversia con Antonio dela Sale da Bergamo. Siccome nelle circostanze presenti Pietro non può lasciare il campo, i provveditori chiedono al da Mosto di ingiungere a nome loro ad Antonio di venire alla loro presenza, inviando ogni carta e processo perché possano esercitare giustizia sommaria. L'ultima lettera, infine, (18 agosto) [Lett. S.3.1, 109] contiene un energico rabbuffo al provveditore di Bergamo: il governatore generale è scontento di lui perché, avendo richiesto diversi beni dei Francesi non ha potuto ottenerli, anzi, il da Mosto avrebbe addirittura trattenuto il suo inviato. I provveditori ricordano che questi sono tempi de tenir altri mezi cum el prefato ill.mo signor Gubernator. Pertanto, appena ricevute le presenti, farà consegnare il tutto all'inviato. E non manchi di farlo, per evitare inconvenienti.

Il 19 del mese a Venezia il conte di Cariate, ambasciatore spagnolo, riferisce in Collegio su una riunione tenutasi il 17 a Mantova. Nei colloqui il viceré ed il vescovo Curzense avevano sostenuto che la Lega era di fatto infranta perché non erano stati versati i denari pattuiti: essi reclamano la paga di aprile, che non hanno ricevuto. Inoltre, i territori veneti dovrebbero essere acquisiti alla Lega, prima di decidere a chi appartengano. Secondo loro, infatti, il diritto al loro possesso da parte di Venezia era decaduto da quando Brescia, Crema e Bergamo erano state prese dai francesi, per cui quelle terre apparterrebbero ora all'Impero. I due pongono ancora altre condizioni. Commenta icasticamente il Sanudo: in conclusion voleno danari.

Lettere da Roma confermano invece la disponibilità del Papa a consegnare a Venezia i suoi territori, nonostante che l'oratore imperiale cerchi di dilazionare l'impresa di Brescia. Proprio per sollecitare questa azione, Venezia manda denari al campo, pregando di accelerare la presa della città. Ma il piazzamento delle artiglierie richiede qualche giorno ed il cannoneggiamento ritarda perché ora mancano le polveri. Le truppe sono sempre di malavoglia perché con il denaro disponibile si sono potuti pagare soltanto 5000 fanti: tra Crema e Bergamo ne restano creditori altri 800 e la stima dei fondi necessari è di ben 18 mila ducati. Senza questo denaro sarà difficile dar termine alla spedizione perché anche i comandanti sono scontenti. Il 21 il campo si trasferisce a san Giacomo, ad 1 miglio e mezzo da Brescia, con una marcia lunga e difficoltosa. Nella notte, verso monte, verrà piazzata l'artiglieria.

Vittore Lippomanno da Bergamo riferisce che il castellano della Cappella continua a sparare sulla città, ma fa poco danno, e ogni sera accende fuochi. Dopo l'arrivo degli stradiotti i francesi non escono più da Trezzo. Ed ancora il 22 riporta come vi siano state scaramucce a Crema ed il capitano delle fanterie abbia chiesto al da Mosto 500 fanti, che gli saranno inviati. I provveditori hanno anche richiesto 80 staia di pane al giorno, da inviare al campo.

A proposito del coinvolgimento del territorio di Bergamo nell'impresa di Crema, possediamo alcuni documenti significativi. In una lettera da Brescia al da Mosto del 26 agosto [Lett. S.3.1, 96] i provveditori dicono di essere in attesa di mille ducati, che sperano di avere oggi. Attraverso lettere del da Mosto di ieri, dirette alla Signoria, hanno visto quanto egli scrive circa i 500 fanti da Bergamo a Crema, e sperano che egli li abbia già inviati. Quando veramente non li havesti mandati, soprasederete et ne darete notitia al ill.mo Capitano de li Francesi a Crema, et farete tanto quanto lui ve ordenerà. Preterea, oltra li mille ducati che hogi expectamo, è necessario che cum la solita dexterità vostra, anzi la superiate, che retrovati anchora ducati 500 ad imprestedo et ... a Crema in mano del fidelissimo nostro Dominicho da Malo, vicecolateral; et oltra de questo provareti de ... da quelli de Sandris li altri ducati 500. Le informazioni che questa missiva porta sono in linea con altre precedenti.

Il secondo documento è appunto una comunicazione del vice-collaterale Domenico da Malo del 27 agosto, inviata al da Mosto da san Bernardino presso Crema [Lett. S.3.1, 97] Egli informa che ieri mattina i provveditori generali lo hanno spedito a Crema per far certi pagamenti a questa gente (presumibilmente le truppe alla spedizione di Crema). Ed il denaro necessario, che è di 500 ducati, lo deve fornire il da Mosto. Supplica quindi di spedire immediatamente questi denari perché questa gente mi sono a lo spasso et non vogliono far factioni se non sono pagati. Per l'amor de Dio, non retardi adciò questo ill.mo signor Capitano ne se sdegni. Il quale za dieci giorni è qui né pò far cosa alcuna bona per defecto de gente et de denari. Ricordo etiam reverenter a V. M. a dar expedition a li 500 fanti che la debe mandar de qui, in execution de lettere de la ill.ma Signoria et di ex.mi Proveditori Generali, et sopra tuto far che siano boni et pagati. Dico fanti usi et bene armati, come è la expectation de questo ill.mo signor Capitano. Et non li havendo facti, V. M. darà subito adviso a sua Signoria, come per li ex.mi Proveditori li è sta' commesso. Item atque item, ricordo et prego la M. V. a far ogni cosa de lì sia possibile in favor et beneficio de questa tanto importantissima impresa, procurando toto spiritu de satisfar lo ill.mo signor Capitano perché così è la mente de li ex.mi Proveditori. Et di questo ne facio a V. M. amplissima fede. A la quale assai me racomando". Su un biglietto incollato, poi: Post scritto. V. M. veda omninamente mandar per tutta questa nocte la expeditione, et più al possibile ... perché l'è de importantia grande.

Infine, è rimasta una lettera del 27 agosto da Crema [Lett. S.3.1, 98] di Laurentius de Anguillaria, ser.mi Dominii venetorum armorum ac peditum capitaneus generalis, che è Renzo Orsini da Ceri. Il quale, dopo molti convenevoli, così si esprime:

...credo V. M. abia inteso per lettere de Venetia el bisognio et necessità havemo de huomini et de denarij. Et per lettere havemo recepute como V. M. ha de expedir certa quantità de omini et denarij per la decta expeditione. Supplico de gratia la M. V. che subito subito usi quella soa solita sollecitudine per el beneficio della ill.ma Signoria per che non havendo questa provisione de huomini et danarij non possemo fare cosa alcuna et stamo tutti inarno, però son certo quella usarà omne presteza aciò che possiamo eseguir el bene et honor de questo ill.mo Stato et ancora honor de V. M. Pel che subito io abia facto certi repari che li inimici non possino uscire fora della terra, me ne verrò alla volta de Bergamo per spugniar la Capella. Et inzieme con quella gauderme. Alla quale de continuo sempre me hoffero paratissimo et se posso o vero vaglio la M. V. desponga de me quanto de lei. Ancora intendemo che qui in Bergamo con quantità de archibuci V. M. a ne vogli mandar e darne a questi homini che la M. V. mandarà e darli ad qualche homo li sappia adoperarli.

A proposito poi dei rifornimenti di vettovaglie, vi è una lettera dei provveditori al da Mosto, data dal campo presso san Zeno il 22 agosto [Lett. S.3.1, 104]:

...Adciò ch'el campo nostro sia ubertoso et che nol patisca per necessità de victualie pregano di costringere quei luoghi più disposti a far pane di farne e di portarlo in campo, sì che de quello territorio infalibilmente se habia quaranta some de pane ogni giorno in campo. E poiché i provveditori conoscono che il territorio ha bisogno di biade, chi porterà il pane avrà altrettante some di biade. Chi porterà il pane dovrà presentarsi a Leonardo Emo e non pagherà dazio o gabella né per il pane né per altre vettovaglie che porterà al campo. E conferma il diarista puntuamente: Die sabbati 21 augusti 1512 super regio, nomine d.rum Provisorum generalium, videlicet, Christofori Maurocenus et Pauli Capello Venetorum, proclamatum fuit quod quilibet possint conducere vectualia libere et sine datio in exercitu Venetorum qui erat pro expugnanda Brixia et redimenda de manibus Francorum [BER, 105v].

I provveditori scrivono da Santa Croce presso Brescia il 22 che i francesi hanno effettuato una sortita, nel tentativo di impedire l'arrivo delle artiglierie; le quali sono invece state piazzate e cominciano a sparare. Altre saranno piazzate domani, ma vi è penuria di polvere da sparo. Se le genti saranno pagate (da oltre due mesi non ricevono denaro) Brescia cadrà, ma la stima del denaro occorrente, ammonta ora a 30 mila ducati. Un'altra lettera del Capello riferisce del medesimo fatto d'armi e riassume anche le altre cose avvenute. A quella medesima data, le condizioni del campo vengono così descritte dai provveditori al da Mosto [Lett. S.3.1, 95]:

Ad aviso de Vostra Magnificentia, questa matina per tempo se semo tirati cum tuto questo exercito sotto le mura de Bressa ala volta del montexello a canto el Castello; et già sopra dicto monte habiamo facto tirar 4 falconeti et li canoni tutavia se tireno et questa nocte preparemo et mettemo ad ordine la prima battaria, et poi successive le duo altre. Et speremo a Dio laude che se faremo sentir in tal modo che comignarano prender partito. Ma per non scorer più ultra, dicemo ala Magnificentia Vostra esserne venuta a mancho la principal cossa, che è el danaro per pagar queste fantarie. Imperò pregamo quella toto corde che vogli, o per via de imprestedo o de cambio over altra via, vogli veder de recuperare et mandarne almeno ducati mille. Non li faremo più instantia cum narrarli el bisogno, per che cognosemo quella usar ogni diligentia in tal materia, maxime in questa che hora cognoscete esserne summa necessità.
Habiamo hora receputo una ducal directiva a Vostra Magnificentia, la qual sarà qui alligata
. (Non è chiaro di quale ducale si tratti.) Non volemo restar de replicar et cum summa instantia pregarla la vogli subito subito subito subito er immantinente li 500 guastadori et carri che per altre nostre habiamo rechiesto, per che senza quelli non potemo far cossa alcuna: imperò quella non manchi per reverentia de Dio de farli cum ogni cellerità siano de qui. I qual credemo già sia a camino et apresso questo loco, che bisogneria già fusseno gionti et posti ali lochi necessarii. Nec alia...

Nonostante che Venezia abbia deciso, per l'insistente richiesta già riferita, di dare all'oratore spagnolo la somma di 6000 ducati, il conte di Cariate si dichiara insoddisfatto. Il vescovo Curzense ed il Lando sono arrivati vicino a Trento e Massimiliano Sforza sta a Innsbruck, in attesa di venire in Italia. Bartolomeo da Mosto scrive da Bergamo il 23 che il cardinale svizzero è partito da Vigevano ed è andato con gli svizzeri a Novara, dove vi è un moto a favore di Francia. Anche a Milano vi sono sommovimenti: alcuni uomini usciti dal castello hanno assalito certi svizzeri; i milanesi sono in allarme; il castellano di Trezzo è arrivato con alcuni cavalli fino alle porte di Milano procurando danni ai milanesi. Notizie dell'arrivo del duca Massimiliano Sforza giungono a Bergamo direttamente dal segretario ducale Giovan Pietro Stella da Bado (?) il 25 agosto [Lett. S.3.1, 81]. In una lettera indirizzata a Domenico Contarini, provveditore di Bergamo, oppure ad altro provveditore (il che dimostra che lo scrivente non era al corrente che il da Mosto stava in città dopo ben due mesi dal suo arrivo) lo Stella prega di inoltrare certe lettere allegate attraverso un sicuro cavallaro, perché sono importanti. De qui se ha el zonzer ad (?) de Maximiliano fiol del q. signor Ludovico duca de Milano, quale se ne vien a Trento, poi a Milano, a tuor el possesso del suo duchato. Iudico quelli omini millanesi sono qui ma sono in accordo cum questi signori, et serìa cossa molto bona et ad proposito nostro. Nec alia. A Vostra Magnificentia me racomando et prego le allegate a mi cugnato lì a Bergamo siano...

Marin Zorzi informa da Bologna che il cardinale Medici va verso Firenze, dove si dirige anche da Modena il viceré. A Venezia si tenta di avere altro denaro. Lettere da Brescia del 23 riferiscono che il Capello sta seguendo da vicino le operazioni, ma la polvere scarseggia e quindi non si può sparare molto; si chiede denaro. E comincia anche il maltempo, come si scrive dal campo il 24. Sta piovendo molto, e questo ritarda le operazioni. Molte anche le difficoltà nel reclutare i guastatori, che sono impauriti; si è dovuto fare un proclama minacciando i disertori di impiccagione. Ancora si chiede denaro perché le truppe mormorano e non vogliono ubbidire. Il denaro promesso dai bresciani non è arrivato. La pioggia continuerà per qualche giorno.

Torniamo per un momento a Bergamo, dove nella sua seduta del 23 agosto, il Consiglio della comunità prende alcuni provvedimenti interessanti [Az 12, 21r]. Innanzitutto, si pone e si discute una parte che dice:

Multa et diversa superioribus diebus sub ill.mo Dominio nostro Venetiarum et maxime de mense februarii nuper ellapso huic mag.ce comunitati nostre pro beneficio et honore ill.mi Dominii et etiam ipsius civitatis occursa sunt ut asseritur dispendia, quibus debitum et conveniens satisfieri arbitramur. Et quia super eisdem impensis occurrit in dies disputari et contendi, utrum ad easdem omnes impensas mag.ca comunitas ipsa teneatur; idcirco vadit pars quod elligantur quatuor probi et circumspecti cives qui habeant dilligenter videre et examinare omnes et quascumque impensas tunc temporis assertas factas nomine et de comissione mag.ce comunitatis, et ad quas ipsa mag.ca comunitas teneatur, vel ne, et omnia particulariter et distincte refferant decidenda in Consilio maiori. Et hoc in una et pluribus vicibus, prout eis videbitur. La parte passa con 45 voti a 11. I quattro deputati alle spese che vengono successivamente eletti sono Antonio de Lulmo, Bernardino Calepio, Iacobo de Garganis e G. Francesco de Melioratis.

Si pone poi un'altra parte: considerato che ...Expedit enim sumopere ut tam ad prestandam debitam reverentiam et aliquod bone et inconcusse huius mag.ce comunitatis fidei signum erga ill.mum et exc.mum Dominium nostrum Venetiarum, tam etiam diversis aliis de causis pro beneficio et interesse predicte mag.ce civitatis, ad eodem prelibatum Dominium quam citius oratores destinentur; si propone di eleggere sei oratori che vadano a Venezia e a nome della città salutino e congratulino il Dominio e poi lo rassicurino della fedeltà di Bergamo. Le loro precise commissioni saranno decise dal Consiglio successivamente, ed essi dovranno partire dopo l'autorizzazione del Consiglio stesso. Compiuto poi l'atto di omaggio, quattro degli ambasciatori ritorneranno, lasciando a Venezia gli altri due per l'espletamento dei loro incarichi. La proposta viene a lungo discussa e poi approvata 31 a 25. Il Consiglio viene riconvocato all'indomani per eleggere gli oratori, ma nel corso di quella seduta [Az 12, 22r] se ne scelgono soltanto quattro, che sono Leonardo Comenduno, Benedetto Gislandi, i conti Andrea Calepio e Guido Benaglio.

Il 24 agosto Vittore Lippomanno informa Venezia che il cardinale svizzero intendeva venire a Milano con le sue truppe, ma il vescovo di Lodi lo aveva convinto a non muoversi da Vigevano, visto l'annunciato imminente arrivo di Massimiliano Sforza. Infatti, anche Piero Lando da Trento scrive il 25 di essere in attesa del Curzense, che era andato verso Innsbruck per incontrare lo Sforza. I provveditori dal campo il 26 riferiscono di un'altra sortita dei francesi da Brescia. Intanto, le artiglierie sono state piazzate alla porta delle Pile, ma i francesi hanno installato essi stessi un cannone sul torrione della porta, con il quale provocano molti danni. Si sta sempre in attesa delle polveri e del denaro, ma si spera di ottenere Crema pacificamente, mediante i buoni uffici di Benedetto Crivelli. Costui avanza tuttavia pesanti richieste: vorrebbe infatti esser fatto gentiluomo veneto e vorrebbe ottenere una rendita di 1000 ducati sui beni dei ribelli di Crema, nonché il saldo dei debiti che ha con i suoi soldati; gli è stato promesso il tutto. In una lettera successiva, sempre del 26, i provveditori descrivono la situazione di Brescia, dove vi è carestia, soprattutto di pane; l'Obignì conforta le truppe dicendo di essere in attesa di soccorsi. Anche una lettera da Salò riferisce del bombardamento di Brescia, dove sono stati convocati molti falegnami, forse per costruire attrezzature per scalare le mura. Dalla riviera benacense si mandano al campo 100 sacchi di pane al giorno, polvere da sparo e 30 bombardieri.

Il 27 agosto vi sono spostamenti delle artiglierie per battere le mura; alcuni prigionieri hanno riferito che il bombardamento produce danni in città; vi è carestia e si andrebbe profilando la possibilità di una resa. Ma si attendono denaro e polveri. A Crema si aspetta la risposta del Crivelli: il capitano delle fanterie ha chiesto ed ottenuto 300 cavalli leggeri e 2200 ducati per reclutare fanti. La Signoria fa un conto del denaro mandati da diverse parti ai provveditori, che assomma a 2000 raynes e 9500 ducati; tuttavia dal campo se ne reclamano altri.

I provveditori scrivono di nuovo il 28: si sa da Crema che un certo numero di truppe è in arrivo da Milano, forse per espugnare Crema; il vescovo di Lodi manda messi al Crivelli in Crema per convincere la città a darsi al Duchetto. Il capitano delle fanterie ha richiesto al campo 300 cavalli leggeri e 1000 fanti ed a Bergamo per averne altri 500. L'artiglieria continua a sparare su Brescia.

Giovan Giacomo Caroldo, da Milano - dove è arrivato ed ha conferito col vescovo di Lodi - scrive il 27 agosto a Venezia circa l'arrivo del Duchetto. Ora andrà a Vigevano dal cardinale svizzero per consegnargli altri soldi. Il vescovo di Lodi manda un suo segretario alla Signoria. Il 28 e 29 le notizie dal campo non sono significative: la situazione permane bloccata per la mancanza di denaro, che viene insistentemente sollecitato amore Dei. I Savi promettono soldi e munizioni e chiedono ai provveditori di reclutare 500 spagnoli per sollecitare l'impresa di Brescia.

Sempre nel tentativo di recuperare denaro, i provveditori si rivolgono una volta ancora al da Mosto il 28 agosto [Lett. S.3.1, 90] In passato, stante una controversia tra l'Ospedale Grande e la Misericordia Maggiore, da una parte; e Daniele Brembati, dall'altra, la Signoria aveva ordinato che i frutti dell'eredità sulla quale si litigava fossero sequestrati in mano del camerlengo di Bergamo usque ad ius cognitum. Nelle grandi necessità in cui l'esercito si trova, tuttavia, gli scriventi ordinano di ritirare subito il sequestro e di mandarlo al trato di tuti queli che si trovano sequestrati, dal tempo del primo sequestro e fino ad ora, per che li renderemo poy a chi de rason deverano rendersi.

Contemporaneamente, va anche menzionato un importante documento alla data del 28 agosto. Si tratta di una ducale diretta a Bartolomeo da Mosto [R.99.23, 55r] nella quale il doge, dopo aver elogiato la fede e generosità dei bergamaschi, dà disposizioni al provveditore perché si elenchino, nome per nome, tutti coloro che hanno prestato denaro, sia laici che ecclesiastici, per tenerne de le bone operatione sue optimo conto. Il provveditore viene incoraggiato a pubblicare quest'ordine perché iudicamo cadauno de ditti fidelissimi nostri vorano monstrar la fede et promptitudine sua verso la Signoria nostra. Che è, come il testo stesso del resto riconosce, un atto di gratitudine per la passata generosità, inteso ad assicurarsi la munificenza futura.

Sempre al 28 agosto, il provveditore di Bergamo e sette deputati alla guerra si riuniscono [Az 12, 23r] ed eleggono Leonardo de Comenduno e Giorgio Benaglio oratori presso i provveditori generali a Brescia con l'incarico di salutarli a nome della cità ed offrire loro ogni aiuto per la spedizione di Brescia; di procurare che il Dominio conservi i privilegi liberamente e spontaneamente confermati alla città, senza innovarli, soprattutto i privilegi riguardanti le giurisdizioni del territorio e la giurisdizione della città in criminale; di esporre ai provveditori la necessità di agire contro i francesi nel castello di Trezzo e circa gli stradiotti inviati nell'agro bergamasco, costrigendo chiunque è tenuto a contribuire agli alloggiamenti e spese degli stessi stradiotti e di altri militari; infine, di provvedere circa Bergamo Boselli comestabile di fanti, che dovrà essere mandato dove gli stessi provveditori decideranno.

Da Roma, intanto, il Papa attraverso un suo messo va sollecitando un'impresa contro Ferrara. Dal campo, in data 29, i provveditori informano che il capitano delle fanterie è giunto da Crema ed ha riferito che 300 uomini d'arme sono arrivati da Milano a Pizzighettone. Egli chiede aiuto per ottenere Crema, per amore o per forza, e riesce ad ottenere alcuni pochi rinforzi.

Un messo del vescovo di Lodi arriva a Venezia per sollecitare la fornitura di artiglierie per battere il castello di Milano, tuttora in mano dei francesi. Contemporaneamente, l'inviato fa capire che il vescovo sarebbe contento che Venezia riavesse le sue terre, in cambio di un appoggio per ottenere il ducato di Milano, al posto di Massimiliano Sforza. La cosa, destinata ad essere riservata, viene invece divulgata.

Il 30 agosto le artiglierie battono le mura di Brescia, ma i provveditori ritengono che non si debba dilazionare oltre la battaglia perché sono arrivati a Crema 300 uomini d'arme e 3000 fanti; tanto più che un fuoruscito riferisce che i bresciani hanno paura. Arrivano intanto al campo 2000 raynes e si attende il resto.

Proprio in quel giorno Vittore Lippomanno si trova al campo veneto e riferisce che il capitano delle fanterie, venuto da Crema, ha informato che il vescovo di Lodi vorrebbe mandare a Crema 500 uomini d'arme per difendere la città dai veneti. Il capitano è poi ripartito per Crema, non senza aver criticato la tattica dei provveditori. Il cannoneggiamento di Brescia continua e si cerca di avvicinare i cannoni alle mura. L'artiglieria bresciana quasi non reagisce al fuoco e in città vi è molto scoramento. Non pare tuttavia che la battaglia finale sia molto vicina perché i veneti intendono allargare il varco nelle mura, e ciò richiederà ancora giorni. Inoltre, l'invio dei rinforzi a Crema ha allontanato la prospettiva di uno scontro, che sarebbe certamente cruento. Il 31 agosto, mentre continua il bombardamento, arrivano altri 6000 ducati. Si sta cercando di reclutare fanti spagnoli da Mantova per portare l'effettivo ai 10 mila fanti previsti, mentre i francesi accendono fuochi in Brescia, dei quali non si comprende il significato.

Giovan Giacomo Caroldo da Vigevano il 29 agosto informa su certi colloqui avuti con il cardinale degli svizzeri, cui ha consegnato le lettere di cambio del denaro. Il cardinale vorrebbe un'alleanza tra Venezia e Milano e parla delle condizioni alle quali gli svizzeri verrebbero in aiuto dello stato di Milano. Da Roma si conferma invece l'opposizione del Papa agli spagnoli e si menzionano altri diversi intrighi alla corte papale. Si apprende da Milano che il Re francese a Parigi ha accusato ed imprigionato monsieur de la Palice ed il generale di Normandia per non aver seguito la vitoria quando rupeno spagnoli. Gian Giacomo Triulzi chiede truppe al Re per venire in Italia e recuperare alla Francia Milano e gli altri territori che Francia ivi possedeva.

Da ultimo, restano da considerare materie diverse trattate nella corrispondenza indirizzata a Bartolomeo da Mosto. Si comincerà con alcune lettere concernenti l'amministrazione del territorio.

Si ricorderà come il 30 luglio Bertono Rota, governatore della valle di san Martino, aveva accennato in una sua lettera al fatto che Pezolo Simone Zanchi doveva sostituirlo nell'incarico, manifestando nel contempo qualche scontento circa il trattamento che gli era stato riservato. Una lettera del 13 agosto dei provveditori a Bartolomeo da Mosto [Lett. S.3.1, 99] ricorda che il 5 giugno Paolo Ponte aveva spedito con lettere patenti il Rota in quella valle con ordini che gli si prestasse obbedienza. Pare che ora il da Mosto lo abbia allontanato ed abbia invece affidato la commissaria a Pezolo Simone, cosa che i provveditori hanno appreso con grande molestia. Essi non gradiscono che il da Mosto sostituisca gli ufficiali da loro designati e gli ingiungono quindi di lasciare Bertono al governo della valle, fino a quando la Signoria ordinerà diversamente. Il fatto che questa lettera sia stata presentata dallo stesso Bertono, che ne chiede l'esecuzione il 28 agosto, indica che egli aveva sollecitato l'ordine. Tuttavia, quest'ordine viene rovesciato da una successiva lettera del Capello del 31 agosto [Lett. S.3.1, 86]. Spiega infatti il provveditore generale che, trovandosi egli nei mesi scorsi a Pontevico, aveva mandato Bertono a Caprino, un provvedimento che a quel tempo egli riteneva necessario perché si stava inseguendo l'esercito francese. Ora, tuttavia, Pezolo Simone Zanchi gli ha fatto presente che l'ufficio di commissario di valle spetta invece a lui, dal momento che prima della rotta di Gera d'Adda egli era stato designato come commissario come per patente de quelli ... appar et de novo appar per altre de Vostra Magnificentia, asserendo dicto offitio haveti de novo concesso come cosa spectante a quella mag.ca Comunità et in execution de li privilegii de quella. Nell'osservanza di tali privilegi, lo scrivente conferma che se Bergamo di fatto ha titolo per tale elezione e se essa è stata fatta de consensu e se Pezolo è stato eletto in commissario, Bertono dovrà cedere l'ufficio a Pezolo. Avendo costui presentato l'ordine al da Mosto il 1° settembre, il provveditore ne dispone la nomina in forma pubblica e solenne.

Si è accennato al capitolo 2 al caso di opportunismo politico-amministrativo di Giovan Francesco Donadoni, che si faceva chiamare Fiamma da Bergamo. Con lettera del 27 agosto dal campo [Lett. S.3.1, 94] i provveditori rammentano la fede ed i meriti del Donadoni e gli concedono in uso la casa di Francesco Soardo doctor quondam Pantalon, situata presso la Cittadella e l'ufficio del banco della Nodaria del Maleficio. Il da Mosto metterà quindi Giovan Francesco in possesso della casa e dell'ufficio, con tutti i modi, condition, utilità, preminentie et jurisdiction che haveva et godeva Iacomo di Zilioli nodaro. Oltre a ciò, lo carecerete cum ogni effecto per che li meriti sui, come habiamo predito, sono de qualità ch'el merita ogni bona gratia de la ill.ma Signoria nostra, che ha scritto di averlo carissimo.

Diversi bergamaschi si erano tuttavia indignati per questa concessione e se ne erano evidentemente lamentati presso i provveditori. A questo proposito si deve menzionare allora una seconda lettera del 31 agosto dei provveditori stessi [Lett. S.3.1, 84] scritta al da Mosto dal campo presso Brescia. Essi hanno preso atto dell'ufficio conferito a Zuan Francesco Fiama per i suoi meriti, ed anche per i meriti della sua casa. Voglia tenerlo e mantenerlo al possesso dell'ufficio conferitogli, facendogli riscuotere le utilità e non sequestrando alcunché, come nelle precedenti lettere degli stessi scriventi che il da Mosto avrebbe dovuto eseguire. E tutto questo nonostante le lamentele dei gentiluomini della città.

Come si è detto, gli stradiotti mandati a protezione delle incursioni, uccisioni ed incendi che si succedevoano da parte del castellano di Trezzo arrivano nel territorio intorno al 14. Essi erano stati accompagnati da due guide, Ottolino da Alzano e Felice Turge de Rota, dal campo dell'esercito alle loro destinazioni [Az 12, 20r]. Subito scoppiano tra gli abitanti del territorio le solite liti per la ripartizione delle spese del mantenimento di queste truppe. Scrivono infatti i provveditori il 18 agosto [Lett. S.3.1, 100] che messi della val Seriana superiore sono comparsi al campo e si sono lamentati per un mandato del da Mosto, che la valle contribuisse alle spese di 110 cavalli stradiotti. In tal modo, essi dicono, i loro privilegi sarebbero stati infranti. I Provveditori ordinano quindi che il da Mosto non debba assolutamente costringere la valle, essendo ciò contro i privilegi e ritenendo che tale sia la volontà della Signoria. Il da Mosto restituirà inoltre quanto avessero già pagato.

Analogo il tono di un'altra lettera [Lett. S.3.1, 103] del 20 agosto, sollecitata questa volta dalle lamentele di alcuni abitanti delle zone della pianura dove i cavalli sono di fatto alloggiati. Et parendone cossa necessaria et honestissima che tuto quel territorio et la cità debi contribuir a simel graveze, perhò pregamo la M. V. vogli far la contributione de simel spese talmente che niuno habi causa de venirse più ad dolerse ad nuy; et a quella se ricomandamo. Et quella li farà levar de dove sono et li farano andar in qualche altro loco azò ognuno habi la rason sua. Memoria di questa lettera si trova anche nelle carte del notaio Bernardino Baldi [BALDI, Somm. Gr., 304r. 20 agosto 1512]. Egli ricorda che i provveditori generali scrivono a Bartolomeo da Mosto che alle spese degli stradiotti in territorio bergamasco devono contribuire sia la città che le valli; che il compartitore aveva certificato come anche in passato (1483, 1484, 1500, 1508) le valli avevano contribuito alle spese di guerra; che le valli fecero ricorso ai provveditori che le esentarono da quelle spese in una dichiarazione del 31 agosto 1512 dal campo sotto Brescia, riportata qui sotto.

Puntualmente, il 21 agosto è la città a protestare [Lett. S.3.1, 101]. I provveditori generali hanno veduto ed inteso quanto gli oratori di Bergamo hanno esposto a nome della città. Benché heri copiosamente ve scrivessemo che dovesti far che quelli strathioti contra quelli da Trezo et altri inimici de la sanctissima Liga dovesse correr et usar tuti quelli modi hostili se convien per le cause in esser, hora ve replicamo che lo faciate far et commandarli che non stiano de molestarli li inimici et correr de lì, et far el tuto come se conviene, non havendo però altro in contrario dalla ill.ma Signoria nostra. Circa i strathioti, ve dicemo che vediate de darli la paga, come già ve habiamo scripto, la qual havuta farete che loro se facino le spexe, come è consuetudine. Circa autem ala contribution, che dicete esser controversia et ... ve dicemo opinion nostra esser de non innovar né far novo ordine alcun contra i previlegii de la cità, over valade o altri, imperò el voler nostro exequirete non havendo altro in contrario, come ve habiamo predicto, da la ill.ma Signoria nostra. La lettera viene presentata il 22 agosto da un rappresentante della città, che ne chiede l'esecuzione.

La controversia continua con un'altra lettera dei provveditori del 30 agosto, presentata al da Mosto dai rappresentanti delle valli [Lett. S.3.1, 83, anche in BALDI, Reg. A, f. 123v e BALDI, MMB 150, 203, ma alla data del 31 agosto]. Leonardo Comenduno e Gregorio Benaglio, oratori di Bergamo - dice il testo - desidererebbero che i provveditori approvassero la contribuzione dei valleriani alle spese degli stradiotti. I valligiani asseriscono, invece, di non essere tenuti a contribuire e reclamano l'osservanza dei loro privilegi. I provveditori hanno quindi deliberato di scrivere, chiedendo al da Mosto di non obbligare i valligiani a contribuire, intendendo che i privilegi siano osservati in ogni loro parte. Et se nui voremo che in questo over in altro facino qualche factione, non per obligatione, se rendemo certissimi che per la fede hano a la nostra ill.ma Signoria quando li rechiederemo cosa alguna non si renderano difficili ad compiacerne a quanto li rechiederemo. Gli oratori hanno chiesto anche la osservanza dei privilegi cittadini: anche questi saranno osservati in omnibus né in alguna minima parte violati. Si tratta, com'è evidente, dei consueti equilibrismi cui i provveditori usavano far ricorso, dando ragione un poco agli uni ed un poco agli altri, nel tentativo di spremere denaro da tutti.

Tutto questo per quanto riguarda le spese per il mantenimento delle truppe. Ma lamentele per i soprusi degli stradiotti non tardano ad arrivare agli orecchi del provveditore da varie fonti. Intorno alla metà di agosto (la data è incerta perché il documento è in parte rovinato) il podestà di un territorio al confine col milanese scrive al da Mosto [Lett. S.3.1, 115] di avere inteso dell'arrivo degli stradiotti, i quali devono custodire il paese contro le scorrerie e la violenze dei francesi di Trezzo. Ne ha avuto piacere perché da molti giorni non poteva uscire, per timore dei francesi stessi, che recentemente hanno danneggiato questa terra, hanno preso prigionieri, hanno rubato ed hanno minacciato di fare ancora peggio. Ora, nella speranza che gli stradiotti rintuzzino i francesi, potrà almeno uscire di casa. Gli è stato riferito che il capitano degli stradiotti ha detto che questa terra è francese: l'ha in tal modo offesa. Non solo, ma i militari hanno cominciato a molestare qualcuno per le strade. Scrive quindi per avvertire di quanto accade e afferma che chi va dicendo che la terra è francese dice il falso. E sappia il da Mosto che se così fosse lo scrivente non sarebbe podestà di questa terra, dove è stato mandato per nome della santissima Lega, verso la quale lo scrivente sarà sempre responsabile di deportarsi fidelmente. I francesi hanno fatto prigionieri, che non si sono potuti riscattare senza grandi spese, come ben sanno i Governatori di Milano. Questi uomini sono stati necessitati a chiedere un salvacondotto dai francesi, ma ciò è stato fatto con licenza dei superiori, i quali, di fronte alle rovine della stessa terra, non hanno potuto negare tale licenza. Pare anche che la terra sia angustiata da alcuni tristarelli e mendici che sono andati con i francesi: sono in tutto otto o dieci. Ciò riesce molto molesto alla terra e per questo hanno richiesto allo scrivente che proceda contro di loro e li punisca; ha quindi chiesto che siano banditi.

Il 17 agosto [Lett. S.3.1, 110] Giacomo Secco de Anguillaria, cavaliere e Governatore Generale in Ghiara d'Adda informa il provveditore da Caravaggio di aver appreso che Zentilino Giozo da Treviglio è stato preso di qua dal Fosso bergamasco giurisdizione nostra dal Capitano degli stradiotti quale di presenti intendo esser venuto in paiesi al custodia de tutti contra comuni inimici. Conoscendo l'equità del da Mosto, scrive pregando che sia contenta sì per el debito, sì per honor mio, sì etiam ch'el para cum effecto la ill.ma Signoria sia in bona intelligenza cum questa sanctissima Liga, como sono certo che ella è, di far rilasciare Zentilino e compagni senza molestia alcuna o spesa. In vero per quanto io sono informato in loro non è error, pur quando di loro si havesse qualche informatione di male, la M. V. facia che mi siano messi in le mani, che io ne farò tal demonstratione che ... in exempio di altri. Né si manca dal canto nostro proceder contra alcuni di essa terra quali sono imputati di esser al soldo de li inimici, et ne faremo tal demonstratione che ognuno iudicarà le cose per li ... mal operate siano in displicentia ali boni.

Diverse lettere inviate al provveditore di Bergamo si riferiscono a problemi confinari, spesso in rapporto con furti o altre malversazioni di cui non pare possibile accertare le responsabilità: si trattava di situazioni politiche e territoriali molto incerte, delle quali gli abitanti delle comunità confinanti approfittavano per rubacchiare e rivalersi gli uni contro gli altri.

Così, il 3 agosto Vincentius Jose, commissario della magnifica Lega Grisa in valle Mixolcina si rivolge al da Mosto [Lett. S.3.1, 132] esponendo che lo scorso febbraio, venendo da Padova, Zane de Verdabio, vicino della stessa valle e uomo della Lega Grisa, arrivato a Bergamo, era stato spogliato e derubato dei suoi denari da certo Bonadeo da Serina Alta. Tra l'altro, gli erano stati tolti 270 fiorini del Reno ed era stato vituperato assai. Egli è ricorso ai miei magnifici Signori che sono risoluti a che ogni cosa gli sia restituita. Scrive per informazione, prima di procedere oltre. Prega ancora, da parte deli miei Signori de la Liga, che sommariamente il da Mosto provveda a che i denari siano restituiti, e subito; se così non sarà, verrà compiuta tale presalia sul Dominio veneto che meglio sarìa che a chostui li fusse facto il debito suo.

In ordine di data, un'altra missiva indirizzata al da Mosto da Milano il 4 agosto è del vescovo di Lodi [Lett. S.3.1, 127]. Costui informa che è venuto da lui Pietro Tarranto da Treviglio, dolendosi che, benché il reverendo ill.mo Monsignor Legato avesse scritto negli scorsi giorni al da Mosto pregandolo di restituirgli un cavallo con finimenti e 11 scudi toltigli da tale Francesco Villa da Ciserano ed altri che erano entrati in casa sua sulla strada di Treviglio; tuttavia, nonostante che il da Mosto avesse fatto incarcerare Francesco, costui non aveva ancora provveduto alla restituzione. Monsignore e lo stesso scrivente ne sono dispiaciuti e non intendono tollerare tale ruberia né il saccheggio fatto a Castello Pozono (?), come hanno già scritto. Chiedono quindi la restituzione del tutto, senza altre difficoltà. In caso contrario, gli faremo tal provisione che qualcuno ne restarà mal contento, né si comportarà che li subditi de questo ill.mo Dominio siano ad questo modo asaxinati et ogniuno ne farà che ne poterà et saperà fare.

Un'altra lettera del 5 agosto è sempre di Ottavio Maria Sforza [Lett. S.3.1, 129] il quale trasmette al da Mosto una supplica di Giacomo Prina, cittadino milanese. Narra la supplica [Lett. S.3.1, 128] che il Prina da tempo aveva acquistato certi beni immobili e mobili in territorio della Cava oltre l'Adda. Ora il Governatore di Caprino, col pretesto che ciò gli è stato imposto dal Provveditore di Bergamo, ha sequestrato presso i consoli la rendita di tali proprietà ed ha svaligiato la casa di ogni bene fino a che non si accerti se i detti beni siano di pertinenza della dominazione di Venezia. Il supplicante intendeva ricorrere e presentarsi a Bergamo, ma ne è stato impedito da certi bergamaschi delle valli, col risultato che egli è spogliato senza colpa dei suoi averi. Prega quindi il Provveditore di Bergamo di comandare al governatore di Caprino che i beni gli vengano restituiti.

Sempre abbondante la corrispondenza diretta al da Mosto a proposito dei beni ecclesiastici intorno ai quali, nonostante la difficile situazione politica e militare, si agitavano evidentemente cospicui interessi. Ecco le lettere a questo proposito ricevute dal provveditore nel mese di agosto. In data 6, i provveditori generali scrivono dal campo presso Bagnolo [Lett. S.3.1, 131] che un certo frate Giovan Battista, bergamasco, di santa Maria dei Servi, ha ... i frati del monastero di santa Maria del Lavello, senza l'autorizzazione della Sede Apostolica e senza il permesso dei superiori. Gli scriventi non hanno competenza sul caso e lo rimettono nelle mani del da Mosto perché egli indaghi e faccia giustizia. Il 7 agosto il Capello [Lett. S.3.1, 125] raccomanda una persona: Perché ho receputo lettere dal reverendo Episcopo ... Parenzo et dal suo fratello, instandome che debia scriverli sua commendatione per certo offitio promesso da la M. V., la qual prego la vogli haverlo per recommandato et farli tuti quelli apiaceri sia possibile, perché quella si reputi de tuto quello la farà al dicto Episcopo farlo a me. Sì che ge ricommando tanto quanto la persona mia propria, et maxime per le dignissime condition sue et per esser sta' sempre fidelissimo a la ill.ma Signoria nostra.

Ancora, il 17 agosto [Lett. S.3.1. 114] i provveditori ricordano di avere scritto in passato a favore di prete Zorzi de Facinis, che è stato spogliato per favorire G. Giacomo Triulzio del beneficio di sant'Alessandro in Colonna, a fine che il detto Giorgio fosse restituito al possesso. Ora si è presentato un nunzio di prè Benedetto de Ferrariis, che dice di essere in possesso del beneficio in virtù di lettere apostoliche. Scrivono perché, essendo Benedetto in possesso come dice, il da Mosto non lo molesti. Sempre i provveditori, il 26 agosto scrivono [Lett. S.3.1, 92] che il prete Giuliano da Terzo si è lamentato di essere stato spogliato del possesso del beneficio di santa Maria di Rosate, che è stato invece conferito a don Francesco Chieregato. I provveditori non sono competenti in queste faccende e non se ne vogliono occupare. Tuttavia, chiedono al da Mosto di far prendere tutte le entrate del beneficio e farle sequestrare presso persona idonea, fino a quando il giudice ecclesiastico competente avrà deciso a chi spetta il beneficio. Sempre il 26 agosto, e sempre a proposito di Giuliano da Terzo [Lett. S.3.1, 82], i provveditori sono informati che, possedendo costui il beneficio di santa Maria di Rosate da Bergamo (come scritto nella lettera precedente) alcuni suoi fratelli e parenti si sono opposti con le armi a che fosse spogliato del possesso. Pare che il da Mosto abbia sequestrato le armi e voglia procedere contro di loro. Gli scriventi non sanno di che sorte sia il maleficio di cui sono accusati, ma pregano che - però reservato honor vostro - il da Mosto non voglia procedere.

Il 27 agosto è di nuovo il vescovo di Lodi [Lett. S.3.1, 66] che scrive a richiesta di Nicolò da Arsago di Capitanei, fiolo del nostro medico, qual ha lì su il diocexe pergomense certi benefitii, et indebite non lassano gaudere. Per tanto la Magnificentia Vostra se dignarà per nostro amore farli fare le executione, secundo li precepti facti dal dellegato apostolico suo, pregando anchora quella sia contenta di lassare fare la executione dali nostri da Caravagio verso uno fictabile che sta lì propinquo.... Infine, il 28 agosto [Lett. S.3.1, 87] i provveditori generali al campo presso Brescia ascoltano molte ragioni dai rappresentanti di Giorgio de Facinis e del prete Benedetto Ferrari circa il beneficio di sant'Alessandro in Colonna. Non spetta a loro - dicono - deliberare su questa materia; tuttavia, poiché i contendenti desiderano che i frutti del beneficio fino a quando la lite non sarà risolta restino in mano di persona indipendente e non sospetta, il da Mosto provvederà in tal senso. Intanto, chi è al presente nel possesso del beneficio con soddisfazione dei vicini rimanga fino alla definizione, non intendendo gli scriventi che il beneficio sia dato ad una delle parti contendenti.

Molta corrispondenza indirizzata al provveditore di Bergamo riguarda, come al solito, problemi di ordine pubblico, oppure l'amministrazione della giustizia, soprattutto nei riguardi di militari al servizio della Repubblica. Ecco una breve rassegna delle lettere datate al mese di agosto.

Dal campo presso san Zenone (8 agosto) i provveditori scrivono a favore di Marco da Comenduno [Lett. S.3.1, 130]. Poiché in passato costui sarebbe stato ingiustamente bandito, volendo ora far valere le sue ragioni, i provveditori chiedono al da Mosto di rilasciargli un salvacondotto e di affidarlo ai Consoli di Giustizia, i quali provvederanno a giudicarlo entro un mese. Così il provveditore dispone, ma la vicenda del Comenduno si trascina insistentemente con altre lettere [Lett. S.3.1, 113, 107 e 93] fino al 28 agosto, senza arrivare ad una conclusione.

Un altro caso riguarda Francesco da Crema [Lett. S.3.1, 111]. Scrivono i provveditori al da Mosto il 9 agosto:

Essendo sta' tolte certe robe nel tempo de Francesi del fidelissimo nostro Francesco de Crema, qual sempre è stato ali stipendii nostri et hora è homo d'arme del signor Ianus da Campo Fregoso, et sapendo lui dove sono parte de dicte robe lì in Bergamo, perhò pregamo la M. V. li vogli dar ogni favor li serà possibele aciò el possi rehaver el suo, et quello lo expedisca presto presto per convenir ne li tempi presenti et in tanti urgentissimi bisogni ritrovarse qui in campo...

Sempre al 9 agosto [Lett. S.3.1, 121] i provveditori dicono:

Capitò heri qui in campo uno frate quale fu tolto suspecto perché pareva andassi verso Bressa. Et li fu trovato adosso lo inserto instrumento. Lo habiamo retenuto et ne havemo voluto dar notitia a V. M., pregando quela vogli tuor informatione veridica dal nominato nel instrumento, et de chi meglio li parerà, et darne del tuto particular notitia.

Il 18 agosto è la volta di Alvise da Cenate [Lett. S.3.1, 105], il quale ha una causa pendente davanti al vicario del da Mosto per un saccheggio in danno di Zanin Geb. Scrivono i provveditori perché la causa venga sospesa e le parti siano citate davanti agli stessi scriventi, affinché essi possano ordinare quanto decideranno in base a giustizia. Di difficile lettura è una lettera del 20 agosto [Lett. S.3.1, 88] riguardante Marco Antonio Rivola che ha una lite davanti al Consiglio dei Dieci. Sempre il 20 agosto è la volta di Marco Antonio Marigola [Lett. S.3.1, 89], che afferma di essere creditore di certi denari nei confronti di alcuni bergamaschi. Essendo egli al soldo della Repubblica e volendo riavere il suo, i provveditori chiedono al da Mosto di volerlo spedire immediatamente. Il 29 agosto i provveditori scrivono [Lett. S.3.1, 91] in favore di Bernardino, figlio di Montanin de Rivola, a proposito della restituzione di una mula; ed in favore di Giovan Antonio da Fin, capo squadra nell'esercito veneto, per la sospensione di una causa in discussione davanti al da Mosto [Lett. S.3.1, 45]. L'ultima lettera, il 31 agosto [Lett. S.3.1, 85] riguarda la concessione di un salvacondotto a Pietro Vacaro, previo pagamento di 31 ducati in camera fiscale.

Sorprende un poco la sollecitudine degli amministratori dell'esercito nei riguardi dei militari al soldo della Repubblica, che pare perfino eccessiva. D'altra parte, leggendo le lettere in favore dei soldati del territorio bergamasco, ed immaginando che analogo trattamento venisse riservato anche a quelli di altri territori, si comprendono le ragioni per le quali gli osservatori al campo constatavano il grande lavoro da cui i provveditori stessi erano oberati.

L'impressione che si trae da una valutazione complessiva degli eventi descritti nell'agosto 1512 è quella di uno stallo generale nell'azione militare a Brescia e Crema per il recupero definitivo di quelle città, nelle quali permangono presidi francesi. La mancanza di fondi adeguati per sostenere l'opera di recupero di quelle piazze è la causa prima dei ritardi. Da qui, l'opera continua ed insistente della Signoria e dei suoi provveditori in campo per recuperare in qualsiasi modo denaro, uomini e mezzi, a sostegno della campagna militare.

Anche sul piano politico, l'attesa pare lo stato d'animo prevalente, mentre si profila dall'Austria l'arrivo di Massimiliano Sforza, che si deve insediare a Milano, tra contrasti interni ed esterni che, come si vedrà, rallenteranno ancora per alcuni mesi questo evento. Per Venezia non si tratta però di un'attesa passiva, perché l'azione diplomatica alla ricerca di nuove alleanze prosegue assiduamente.

A Bergamo, dove la fortezza della Cappella permane in mano francese, si fatica molto a riguadagnare il possesso del territorio, soprattutto delle zone più periferiche; si soffre per la minaccia del contagio sempre incombente; si stenta a far fronte alle spese dei militari che dovrebbero difendere il territorio, ma lo vessano e lo devastano. Il quadro complessivo permane fosco e pericolosamente incerto.