Inventario
a cura di Bruno Baldis
Bergamo, maggio 1995



Presentazione dell'archivio

L'archivio "Carli Rubbi" conservato nella Biblioteca Civica di Bergamo comprende per lo più carte private (lettere e documenti) di Gian Rinaldo Carli, politico ed economista del Settecento, e di suo figlio Agostino. Trattasi di archivio alquanto frammentario, che tuttavia, per la documentazione ivi contenuta sulle condizioni economiche della famiglia e sui rapporti personali tra padre e figlio, integra le carte "Carli" possedute dalla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, che sono ben più numerose di quelle bergamasche e di maggior rilievo per la storia dell'Illuminismo italiano, trattandosi della documentazione sull'attività politica ed intellettuale di Gian Rinaldo.
Il presente inventario si basa sull'ordinamento dato alle carte da Luigi Chiodi, direttore della Biblioteca dal 1957 al 1978, il quale compilò per i fascicoli I-XIII (escludendo i fascicoli XIV-XV che si limitò solo a segnalare) un inventario sommario dattiloscritto (Sala Tassiana, Ar 38/2) contenente l'indicazione dei nomi dei corrispondenti, della data topica e cronica. Nella nuova inventariazione si danno notizie più particolareggiate del contenuto di ciascun documento.
L'archivio è così suddiviso:

Fascicolo I: Lettere di Gian Rinaldo e Agostino Carli Rubbi
Fascicolo II: Lettere senza firma (o con firma non letta)
Fascicolo III: Lettere in francese di Solar de Monasterol ad Agostino Carli Rubbi
Fascicolo IV: Lettere del conte Ignazio Somis a Gian Rinaldo Carli Rubbi
Fascicolo V: Lettere di Carlo Raiberti a Gian Rinaldo Carli Rubbi
Fascicolo VI: Lettere di Giuseppe Tamagno a Gian Rinaldo Carli Rubbi
Fascicolo VII: Lettere (in minuta) di Agostino Carli Rubbi a diversi
Fascicolo VIII: Carte varie: appunti, relazioni, memorie di Gian Rinaldo e Agostino Carli Rubbi
Fascicolo IX: Testamenti e libelli
Fascicolo X: Carte varie: affari e vicende famigliari di Agostino Carli Rubbi
Fascicolo XI: Ricerche araldiche per la famiglia Carli Rubbi
Fascicolo XII: Carte personali di Gian Rinaldo Carli Rubbi
Fascicolo XIII: Carte personali di Agostino Carli Rubbi
Fascicolo XIV: Carte personali di Paolina Carli Rubbi, figlia di Agostino
Fascicolo XV: Lettere di Gian Rinaldo Carli Rubbi al figlio Agostino

Per una migliore intelligenza del presente inventario si fanno seguire alcune notizie biografiche di Gian Rinaldo Carli Rubbi e le voci "Carli Gian Rinaldo" e "Carli Rubbi Agostino" del Dizionario biografico degli italiani, vol. XX.
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Notizie biografiche di Gian Rinaldo Carli Rubbi

Non è un nome di vasta risonanza, ma nemmeno un Carneade: anche i manuali di storia della letteratura non mancano di citarlo al capitolo sulla cultura italiana del secondo Settecento.
Già al suo tempo, ma specialmente in età risorgimentale, fu celebrato soprattutto per il libretto "La Patria degli Italiani", uno dei primi sintomi di risveglio della coscienza nazionale italiana.
Poligrafo ed erudito di gran classe, "uomo di alto ingegno e di vasta cultura" (Sapegno) volle cimentarsi nella conoscenza di molte discipline, tanto da apparire, di opera in opera, economista e sociologo, storico e letterato, moralista e pedagogo, giurista e scienziato, archeologo e numismatico.
Ma un'opera ponderosa, il trattato "Delle Monete" lo consegna ai posteri come economista fra i maggiori del suo tempo.
E infine fu anche uomo politico di alto livello, avendo governato per 15 anni l'intera economia del Ducato di Milano.

Ma vediamo per sommi capi i giorni e le opere di Gian Rinaldo Carli:

Nacque a Capodistria, l'11 apr. 1720, primogenito conte Rinaldo e di Cecilia Imberti. La famiglia Carli, di modesta nobiltà proviniciale, forse oriunda dall'Italia centrale, iscritta nel Registro dei nobili di Capodistria sin dal 1431, doveva la dignità comitale a un prozio del Carli, che l'aveva conseguita nel 1716. A Gian Rinaldo seguirono tre fratelli e due sorelle.
Educato in casa sino agli undici anni, continuò lodevolmente gli studi nel seminario laico d'educazione della sua città, gestito dagli scolopi, e dimostrò precocità d'ingegno componendo, nel 1732 il dramma Menalca, che però non ci è giunto. Poi venne mandato a Flambro, in Friuli, e affidato all'abate G. Bini, che vi era vicario e che, arcade e muratoriano, rendeva partecipi i suoi allievi della più progredita cultura italiana d'allora. Vi rimase fino all'autunno del 1738 esercitandosi, come scrisse al suo fedele amico e cugino, Girolamo Gravisi, "in filosofia, geografia, cosmografia, cronologia e, qualche volta, in tempo avanzato, nella cara poesia..." lett. del 7 apr. 1737, in Ziliotto, Trecentosessantasei lettere...), e dedicandosi a ricerche di storia istriana e friulana, sulla scia degli interessi del Bini. Rafforzava, nell'attivo e moderno ambiente culturale friulano, il suo carattere serio ed operoso, desideroso di innovare e, insieme, di affermarsi. La chiusa e povera Capodistria non era a lui adatta, e se ne persuase dopo avervi fondato, con un gruppo di giovani, l'Accademia degli Operosi, per reagire, ispirandosi alla più matura Arcadia, alla cultura e alla mentalità della generazione dei padri. Fu questa la prima eco, a Capodistria, del rinnovamento culturale in atto, in quel secolo, in Italia, ma non superò i limiti dell'episodico; lo stesso Bini esortò il Carli a trovare un campo più adatto alle sue possibilità e lo presentò ad A. Zeno. Ottenuto uno dei sussidi che la città di Capodistria metteva a disposizione dei propri giovani desiderosi di continuare gli studi, il Carli si recò a Padova.
Qui si iscrisse, nell'anno 1739, ai corsi di giurisprudenza dell'università, ma ne seguì i programmi, casistici e scolastici, senza molto interesse; di più lo attrassero lo sperimentalismo e il classicismo di maestri quali Vallisneri, Poleni, Facciolati, che davano lustro all'ateneo pur in questo periodo per esso di decadenza. Soprattutto frequentava A. Zeno, che lo aveva preso in simpatia e condivideva i suoi interessi per la storia istriana; così il Carli poté conoscere studiosi eminenti, come S. Maffei e il p. B. M. de Rubeis, e trovare aiuto e strumenti per i suoi prediletti studi eruditi per i quali continuò a dimostrare notevole attitudine. Era socievole, e si inserì bene nella società veneziana e anche fu accolto, nel 1740, nell'illustre Accademia padovana dei Ricovrati. Ebbe pure, in questi anni, una figlia naturale, Giustina Steffenelli, che egli in seguito riconobbe e che ebbe infelice vita.

I suoi lavori giovanili nascono da interessi sviluppati negli ambienti dotti che aveva avvicinato, e in questi è notevole il proposito di rinnovare la storiografia tradizionale istriana: nel Della spedizione degli Argonauti in Calco (Venezia 1745, ma scritto tra il 1739 e il 1743) affronta dibattuti problemi di cronologia, dei quali si era occupato pure Newton, e insieme critica la tradizione secondo cui le cittadine dell'Istria sarebbero state fondate in conseguenza di quella mitica spedizione; nel Delle antichità di Capodistria (in Raccolta di opuscoli scient. e filologici..., XXVIII, Venezia 1743) confuta la tradizione del primato capodistriano sulla penisola, e asserisce che la città doveva il nome al solo fatto di essere situata al capo dell'Istria. La stesura di questa operetta gli dette occasione di farsi conoscere dal Muratori. Altri suoi saggi vertono sugli allora discussi problemi del teatro italiano e del suo rinnovamento: nel discorso Dell'indole del teatro tragico (ibid., XXXV, Venezia 1746, ma scritto nel 1744) prende partito contro i sostenitori della tragedia di modello greco-romano, e sostiene che pure la tragedia italiana doveva rispondere ai caratteri dell'età presente e abbandonare, quando necessario, le formali unità aristoteliche. La Ifigenia in Tauri, tragedia di tipo classico riformato che stampò nel 1744 a Venezia e che fu rappresentata, voleva essere un esempio dell'applicazione di alcune di queste tesi, ma il carattere più saliente le viene dal continuo incalzare dell'azione. La cultura del giovane Carli ha un orientamento razionalista, che è molto evidente nelle pagine che premise alla sua traduzione della Teogonia di Esiodo (Venezia 1744), dove afferma, in polemica con N. A. Pluche, che la credenza negli dei nacque dall'esser stato falsamente inteso il linguaggio dei filosofi; più scoperto e conseguenziale è nella dissertazione Intorno all'origine e falsità della dottrina dei maghi e delle streghe (1744), che mandò a G. Tartarotti, dopo aver letto il ms. del suo Del congresso notturno delle Lamie (e fu pubblicata poi a Rovereto nel 1749 in appendice all'opera del Tartarotti), proponendogli di confutare non solo la credenza nelle streghe, ma lo stesso concetto di magia, la quale ben si poteva spiegare come filosofia mal capita, o mal utilizzata. Spunto audace, che s'inseriva nella lotta alla superstizione, allora viva in Italia.

La sua ambizione per la carriera degli studi lo portò però alla rottura col padre, che voleva ch'egli si dedicasse seriamente alla professione legale. Questa situazione, anche per le sue conseguenze economiche, lo impegnò maggiormente a cercare una sistemazione, e riuscì ad ottenere, presso la sua università, il lettorato di teoria dell'arte nautica, utilizzando potenti appoggi, tra cui quello del celebre matematico G. Poleni, e quello del letterato e futuro doge Marco Foscarini, riformatore allo Studio di Padova. Del resto il Carli non era alieno dagli interessi sperimentali, e la scienza nautica, che stava diventando teorica, interessava a Venezia, dove si era consapevoli dell'arretratezza tecnica delle maestranze dell'Arsenale, la cui scuola pratica venne pure affidata al Carli. Il suo insegnamento fu zelante, ma non fruttuoso scientificamente, e abbiamo di lui solo un saggio attinente alla nautica, sulla declinazione dell'ago magnetico (Intorno alla declinazione e variazione della calamita, in Nuovo diz. scientifico di G. Pivati, III, pp. 77-87). Né risulta vero quanto sostenuto dai primi biografi del C., che egli abbia avuto parte importante nella progettazione della nota nave "S. Carlo", e che questa da lui abbia preso il nome. Nel 1746 gli fu affidato pure l'insegnamento della geografia. Fu maggior successo per lui, in questi anni, il matrimonio con la giovane, bella e ambita ereditiera Paolina Rubbi, che nel giugno 1748 gli dava il figlio Agostino Giovanni (nel contratto nuziale il Carli si impegnò, tra l'altro, ad assumere il cognome della sposa accanto al proprio, e perciò alcune sue opere portano il nome Carli-Rubbi). Divenne pure principe dell'Accademia dei Ricovrati.
Ora emergono i suoi interessi per il mondo sociale, finora latenti, e lo portano ai problemi dell'economia politica. Nella memoria Parere sull'impiego del denaro (1747, in Opere, I) appoggiò, sia pur con qualche limite, la combattuta tesi del Maffei sulla liceità del prestito a interesse, e nel poemetto Andropologia, ossia della società e della felicità (che fu completato appena nel 1763; ibid., XVI) parla, con mediocri versi, dell'evolversi della natura, del carattere organicistico della società e di quello antidispotico della sovranità. Questi interessi si consolidano dopo il 1749, che fu per il Carli anno di dura crisi: morì infatti sua moglie, dopo repentina malattia, ed egli si trovò amministratore della sostanza di lei, valutata oltre 160.000 zecchini.

Per onorare la defunta stampò a Lucca nel 1750 le Private disavventure d'una donna di vero spirito, ma dovette distruggere l'edizione per l'intervento di un medico, ritenutosi diffamato da alcuni apprezzamenti espressi nell'opera; subito dopo si trovò implicato nella nota polemica sulla magia, che seguì alla pubblicazione del Del congresso notturno del Tartarotti, nel qual volume, in appendice, il Tartarotti aveva stampato la sua epistola sui maghi e sulle streghe, con una confutazione in cui, tra l'altro, avanzava il sospetto che la tesi del Carli fosse da considerarsi eretica. Il Carli asserì di aver scritto al Tartarotti di non pubblicare la dissertazione, ma questi negò di aver mai ricevuto la lettera. Nella polemica, che attesta la diffusione raggiunta dal razionalismo italiano, il Carli - che però subì solo qualche attacco da gesuiti di Venezia - ebbe parte assai marginale, e fu difeso dal Maffei. L'episodio però lo ammonì a star lontano dalle posizioni radicali cui, del resto, la sua natura non inclinava. Trovò conforto e svago, allora, in alcuni viaggi, tra cui uno lungo le coste istriane, dove studiò l'anfiteatro romano di Pola, avendo per compagno l'amico e naturalista Vitagliano Donati. Questi raccolse il frutto delle ricerche compiute per proprio conto nel volume Della storia naturale marina dell'Adriatico, che il Carli pubblicò a proprie spese (Venezia 1750).

Il Carli, diventato ricco, si dimise, nel 1750, dalla cattedra di Padova, che non rispondeva ai suoi reali interessi, e dagli altri impegni che aveva in quella città e pubblicò, l'anno dopo, i suoi primi studi sulla dibattuta questione monetaria, Dell'origine e del commercio delle monete e dell'istituzione delle zecche d'Italia (L'Haya [ma Venezia] 1751).

Affermava tesi non discoste dalle teorie tradizionali e mercantiliste, e attribuiva alla fissazione arbitraria del valore della moneta la causa delle instabilità monetarie e di molti mali economici; elaborò perciò tabelle di conguaglio del valore delle principali monete italiane, calcolandone il contenuto di metallo puro. E' da notare che in questi studi il Carli dimostra coscienza dell'Italia come di un organismo economico unitario, e sente la questione monetaria come un problema nazionale. Così, per la via più sicura delle questioni tecniche, riemergeva il suo animo innovatore e lo portava ad aderire all'affermantesi partito delle riforme; è stato notato che questi studi sono un chiaro esempio di evoluzione da interessi eruditi ad interessi di tipo illuminista (Venturi, 1958, p. 417). L'opera procurò molti elogi al Carli, tra cui quello di P. Neri, ma anche un aspro attacco dell'ab. A. de Magistris, esponente dei curialisti romani, per aver egli sostenuto, a proposito della zecca di Roma, la tesi "ghibellina" dell'esistenza di un Senato padrone dell'Urbe nell'Alto Medioevo. A propria difesa il Carli fece circolare manoscritte in Roma alcune "Lettere confidenziali apologetiche", rimaste inedite (Udine, Archivio capitolare, Carte Bini).

Si era frattanto (1752) risposato con Anna Maria Lanfranchi Chiccoli vedova Sammartini, di nobile e nota famiglia pisana, e il matrimonio aveva coronato una relazione amorosa, nata dopo che il toscano abate Nicolini aveva fatto conoscere, con un espediente, la piacente vedova al Carli. Il nuovo matrimonio e il successo dei saggi sulle monete, che gli consentiva di presentarsi come tecnico di riforme politiche, e di aspirare ad un impiego presso qualche corte, le ambizioni della nuova consorte e, infine, la constatazione che egli, nobile di provincia, non aveva possibilità di carriera a Venezia lo spinsero a cercare successo altrove; soggiornò lungamente a Milano e in Toscana, stringendo molte relazioni ma ottenendo, in fatto di impieghi, solo vaghe promesse. Fu anche a Torino, dove ricevette le insegne dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, ma dopo aver investito, per conto della Commenda, quattromila zecchini nel Monte della città. Furono però anni di fruttuoso lavoro: a Milano collaborò, nel 1755, con P. Verri alla difesa di C. Goldoni (col quale era in rapporti di personale amicizia, e che gli dedicò la commedia Il poeta fanatico) dagli attacchi di P. Chiari, e stese, su invito dei barnabiti di quella città, nel cui collegio aveva collocato il figlio, gli Elementi di morale (Lugano 1755), testo di precettistica, con qualche ambizione di partecipare alla discussione sul problema morale, allora viva, in cui è notevole il rilievo che si dà alle norme del vivere sociale.
In Toscana prese l'iniziativa di innestare il vaiolo al figlio. Sempre in Toscana, tra il 1754 e il 1760, uscirono i quattro volumi della sua grande opera sulle monete (I, L'Haya 1754; II, Pisa 1757; III e IV, Lucca 1760), articolata in Otto distinte dissertazioni, con notevoli contributi alla numismatica italiana e con interessanti tesi economiche, quale la teoria del valore prospettato come dipendente dalla quantità relativa dei metalli, e non da quella assoluta; il tentativo di fissare il valore delle antiche monete rispetto a quelle in corso, e di ricostruire i prezzi dei generi nei secoli anteriori; notevole pure l'affermazione che, dopo la scoperta delle miniere americane, l'Italia si era impoverita di metalli preziosi, per cui vi si era diffusa la moneta "bassa", o erosa. Le sue pagine sulla decadenza economica dell'Italia sono degne di nota, come pure quelle del Saggio politico ed economico sopra la Toscana (1757, in Opere, I) in cui, utilizzando anche documenti fornitigli da F. M. Gianni, auspicò libertà di commercio per quel paese.
Non trovando in impiego politico, tornò a Capodistria, dove, morto nel 1757 suo padre, doveva anche sistemare il patrimonio familiare (e lo fece dopo aspra lite coi fratelli e facendo pesare i suoi diritti di primogenito). Con i mezzi di cui ora disponeva, suoi e della prima moglie, costruì una villa nella località di Cerè, che fu dimora sontuosa e ospitale. Qui riprese il giovanile disegno di rinnovare la cultura della sua città: assunse il principato della importante Accademia locale dei Risorti e pubblicò altre dissertazioni (Delle antichità romane dell'Istria, Venezia 1760) per dare alla sua regione una moderna storiografia e per nobilitarla. Sostenne che gli antichi Istri erano colti popoli di origine milesia, e che mai l'Istria era stata compresa nell'antico Illirico, dove la romanità era debolmente penetrata. I suoi progetti erano vasti, ma inadeguati i mezzi e spesso gli fu ostile l'ambiente, dove non pochi vedevano di lui soprattutto l'ambizione; ebbe così a questionare, per banali incidenti, con molti accademici e con lo stesso podestà. Pure i suoi rapporti con la nuova consorte qui si guastarono, perché essa mal si adattava e al carattere del marito e a risiedere in questa periferica provincia. Gli nacque una bambina, morta dopo pochi mesi.

Episodio notevole di questo soggiorno capodistriano - e prova della ora scoperta esigenza del Carli di tradurre le sue aspirazioni rinnovatrici in operosità concreta - fu l'erezione, vicino alla sua villa, di un lanificio capace di cinquanta telai. La fabbrica faceva parte del patrimonio della prima moglie, e il Carli la portò via da Venezia, sperando di renderne attiva la gestione, nonostante il declino dell'industria veneta della lana, grazie ai minori costi ottenibili in provincia, ed esportando nei paesi austriaci. Ma queste condizioni non si realizzarono: errori e disgrazie e, infine, l'opposizione dei parenti della defunta all'investimento nell'impresa del capitale del figlio la portarono al fallimento. Queste vicende furono raccontate dal poeta capodistriano Alessandro Gavardo, amico del Carli, in un poema eroicomico incompiuto, La Rinaldeide, ossia il lanificio di Garlisburgo (solo parzialmente pubblicato da B. Ziliotto, in Archeografo triestino,[1946]) con grande abbondanza di fantasia, ma anche con fedeltà storica. Intanto la Lanfrancha era tornata a Pisa, e le pendenze economiche del matrimonio provocarono una aspra lite fra i coniugi, risolta dal tribunale di Venezia abbastanza soddisfacentemente per il Carli. Nel 1764, superata una grave malattia, lasciava nuovamente Capodistria.

Non aveva mai interrotto del tutto la ricerca di impiego politico e da Piacenza - vi fu ospite della contessa Della Somaglia - dopo un'infruttuosa trattativa con Parma, concluse felicemente le pratiche iniziate tempo prima a Vienna dove, sapendosi che gli Asburgo progettavano, nel generale processo di riorganizzazione dei loro Stati, importanti riforme pure nel Milanese, aveva fatto pervenire dei piani per il riassetto del commercio e delle monete di quel ducato all'ab. L. Giusti, veneziano, che vi era consigliere aulico e referendario d'Italia. P. Verri, col quale il Carli era stato tutto questo tempo in amichevoli rapporti, lamentò in seguito che, per la stesura di questi piani, furono utilizzate non solo sue carte, ma pure suoi consigli; ma è comunque da osservare che le idee del Carli collimavano con orientamento al riformismo graduale ed empirico dell'imperatrice Maria Teresa, e che a Vienna si apprezzava la sua personale indipendenza dall'ambiente milanese. I rapporti con il Verri e con i suoi amici dettero occasione alla stesura dello scritto tra i più noti del Carli, il discorso su La patria degli Italiani, apparso anonimo nel Caffè (II [1765], fascicolo II) e a lungo attribuito al Verri. Spesso inteso come preludio di vera e propria mentalità risorgimentale, esso risente della valorizzazione dell'idea di patriottismo allora frequente in Europa, e della personale esperienza e formazione culturale del Carli; vi si denuncia il "pregiudizio" che fa gli Italiani "inimici di lor medesimi", con grave danno per la cultura nazionale, e si chiede che essi solidarizzino, almeno per quanto riguarda i progressi delle scienze e delle arti. Il Verri giudicò inopportuno questo anticosmopolitismo.

Il 20 nov. 1765 il C. fu nominato presidente del neoistituito Supremo Consiglio di economia e consigliere della nuova Deputazione per gli studi nel ducato di Milano, e iniziò alacremente a dedicarsi ai compiti postigli da questi uffici, che dovevano dirigere e coordinare l'economia lombarda, promuovere riforme, e anche funzionavano come tribunale per il censo e per le corporazioni. Si occupò di monopoli e di privative, di annona, di commercio e di manifatture, di monete, di scuole, di censura e di rapporti con la Chiesa.

Nonostante l'opposizione degli interessi colpiti, si raggiunsero buoni risultati, allentando vincoli che pesavano sulle industrie e sui negozianti e avocando allo Stato molte regalie; in particolare il Carli si ascrisse il merito di avere, nel 1767, con le proprie teorie monetarie, persuaso l'imperatrice Maria Teresa a redimere queste ultime tenendo conto dell'avvenuto deprezzamento della moneta. Su molte questioni egli stese dettagliati memoriali, tra cui le Osservazioni preventive al piano intorno alle monete di Milano (Milano 1766) e il Saggio di economia pubblica, sulla situazione e sulle risorse del ducato, preparato per la visita a Milano di Giuseppe II nel 1769 (ora edita in Saggi inediti, a cura di C. R. Vianello). In questa occasione l'imperatore assistette a numerose sedute del Supremo Consiglio e anche al contrasto, ivi manifestatosi, fra le posizioni del Carli, che presentò un quadro ottimista della situazione lombarda e prese posizione moderata nel dibattuto problema della redenzione delle regalie appaltate (le "ferme"), e le posizioni del Verri, più pessimiste e più intransigenti. Egli giudicò il Carli "savio et astuto", e gli espresse la propria soddisfazione con un aumento di stipendio e con la nomina a consigliere intimo attuale di Stato.

I rapporti con il Verri si erano inaspriti per questioni di competenza e anche per gelosia, ma il contrasto era, al fondo, ideologico. Il Carli non era portato alla pura teoria, concepiva l'economia non tanto come scienza della pubblica felicità, quanto come attività da compiersi nell'ambito e sotto controllo dello Stato (Barié); rispetto al Verri egli apparteneva ad una altra generazione. Il loro antagonismo fu elemento della lotta politica milanese di questi anni e si manifestò più volte, sui problemi delle "ferme", delle corporazioni, del commercio del grano, e sempre il Carli tenne atteggiamenti moderati. Ma la direttiva riformista della politica viennese progressivamente si accentuava e si sviluppava, e le idee del Verri spesso prevalsero. Pare anzi che a Vienna si fosse sul punto di togliere al Carli, per darla al suo rivale, la direzione degli affari di commercio, ma poi, sia per effetto delle sue pronte proteste, sia perché il cancelliere Kaunitz e Maria Teresa ancora lo preferivano, il riassetto della amministrazione milanese si risolse, nel 1771, con la soppressione del Supremo Consiglio e la sua sostituzione con il R. D. Magistrato camerale, con autorità amministrativa assoluta su tutti i rami di finanza, del quale si affidarono la presidenza al Carli e la vicepresidenza al Verri. Il Carli persi-tette nell'atteggiamento moderato e cercò di arginare la sormontante corrente del riformismo radicale giuseppino; alla sua personale insistenza si deve la rifusione delle monete del ducato, effettuata nel 1788.

Scrisse in questi anni il Breve ragionamento sopra i bilanci economici delle Nazioni (1770, in Opere, I); Il censimento di Milano (1770, ibid.), dove rifà la storia dell'economia lombarda nel sec. XVII e analizza il censimento promosso dall'amministrazione asburgica; Del libero commercio dei grani (1771, ibid.), dove si oppone alla teoria di illimitata libertà in questo campo. Stampò anche, nel 1771 a Venezia, con intento polemico, le Meditazioni sull'economia politica del Verri, aggiungendovi anonime annotazioni contro di lui e contro il moderno orientamento economico, le quali sono degne di nota. Subito dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, nel Nuovo metodo per le scuole pubbliche d'Italia (Lucca 1774), sostenne il diritto dello Stato sull'istruzione e le necessità dell'istruzione popolare, proponendo un nuovo dettagliato piano di studi per tutti gli ordini di scuole, prospettando un'educazione realistica e moderna, non soltanto umanistica e letteraria, ma pure civile e pratica, un metodo oggettivo d'insegnamento, sia pur meccanicisticamente delineato.

Mentre declinava il suo prestigio di politico che credeva nella funzione dei corpi intermedi nella società e nell'azione graduale e cauta, altre traversie pativa nella vita privata. La moglie divorziata ricorse personalmente a Vienna, esigendo maggiori sussidi, e ne fu allontanata per ordine di Maria Teresa, e dapprima mandata in monastero a Lubiana e poi, per qualche tempo, relegata a Pisa. Asprissimi contrasti ebbe col figlio, il cui carattere era irrequieto e fantasioso e che, recatosi nel 1777 a Ginevra, aveva ivi aderito a teorie di libero pensiero; avendolo egli punito, questi ricorse al tribunale per ottenere la disponibilità dell'eredità materna, la ottenne, e da allora padre e figlio non si riconciliarono più.
L'evoluzione dei tempi rendeva il Carli sempre più conservatore e lo spingeva ad affrontare più direttamente i temi della politica. Stampò L'uomo libero (Milano 1778), "sulla libertà naturale e civile dell'uomo" a confutazione del Contratto sociale di Rousseau, e il lavoro si può considerare come la trasposizione sul piano storico-politico delle sue concezioni economiche (Venturi, in Illuministi italiani, p. 430).

Il Carli fa sua la teoria aristotelica dell'origine della società civile da quella familiare, afferma la naturalità della disuguaglianza e della subordinazione, che nascono dallo sviluppo della società, ripone la vera libertà nella proprietà e nell'osservanza delle leggi, sostiene che solo la sovranità, purché non dispotica, può garantire l'equilibrio sociale. Il suo riformismo, limitato prevalentemente ai fatti economici e giuridici, lo portava ad irreparabile rottura con l'illuminismo. La giustificazione del potere assoluto è pure uno dei fili conduttori delle cinquantacinque Lettere americane, indirizzate al Gravisi, che cominciò a stampare nel 1780 (Cosmopoli, ma Firenze), e che ebbero grande successo, essendo l'argomento di molta attualità. Contro l'olandese Pauw (che chiama Paw) e la sua affermazione dell'inettitudine degli Indiani d'America alla civiltà, il Carli, ritornando al tema a lui caro delle antiche civiltà, difende quella peruviana e vuol provare gli stretti rapporti delle civiltà precolombiano con le mediterranee, ammettendo l'esistenza dell'antica Atlantide. Pieno di ammirazione per i leggendari ordinamenti politici peruviani, vi proietta le proprie convinzioni, ed esalta il dispotismo filantropico giungendo addirittura,con l'illustrare la bontà dell'economia regolata e della sovranità teocratica, a vagheggiare il perfetto comunismo. Nonostante l'eccesso di fantasia, è opera da vero poligrafo per il numero di argomenti; ebbe l'elogio di B. Franklin (cfr. Opere, XII, pp. IX-X).

L'avvento al trono ducale di Giuseppe II esautorava intanto il partito dei riformatori moderati e gli uffici presieduti dal Carli persero parte della loro importanza. Per questo, e per necessità di salute, chiese nel 1780 il collocamento a riposo, che ottenne conservando l'intero stipendio. Ma, dopo un anno, furono diminuite di due terzi tutte le pensioni e, ancora una volta nella vita, il Carli si trovò in strettezze. Seppe però rifiutare, nel 1783, una carica a Venezia, offerta gli per intercessione della sua ammiratrice procuratessa Tron, cui disse che, servita una monarchia, non poteva poi servire una repubblica.
Fu operosissimo anche negli ultimi anni, pubblicando dissertazioni di storia (sul vescovo eretico capodistriano P. P. Vergerio, in Opere, XV) e anche di fisiologia umana e di medicina (sulla teoria della circolazione del sangue, sulla memoria artificiale, sull'apoplessia e sulla podagra, ibid., XIX). Notevoli i cinque volumi Delle antichità italiche (Milano 1788-1791), vasta opera di erudizione dove raccolse e ampliò i risultati dei suoi precedenti lavori in questo settore, e che ebbe successo editoriale, pur essendo di modesto valore. Vi difende l'antica civiltà italica, autoctona e anteriore alla greca, sostiene l'origine nazionale e non fiorentina della lingua italiana, e ripete pure la ricordata tesi sull'origine del potere temporale dei papi. Notevole documento politico è il Ragionamento sulla disuguaglianza (Padova 1792), passionale attacco alla Rivoluzione francese (che pure, ai suoi inizi, aveva visto con favore) e alla ideologia roussoiana.
Per lasciare degno ricordo di sé, accudì pure alla raccolta delle sue opere (sulla cui stesura definitiva influì però il particolare momento politico in cui essa avvenne) e del suo epistolario, che pure rimaneggiò, ma non fece in tempo a dare alle stampe.
Morì di malattia a Cusano, presso Milano, il 22 febbraio del 1795.

Opere: rimane fondamentale l'edizione, dal Carli stesso curata, Delle opere del signor commendatore don G. Conte C., presidente emerito del Supremo Consiglio di pubblica economia e del R. D. Magistrato Camerale di Milano e consigliere intimo attuale di Stato di S.M.I.R. A., Milano 1784-1787, in XIX volumi. Non ne fanno parte: Intorno ad alcune monete che, nelle provincie del Friuli e dell'Istria, correvano ne' tempi del dominio dei patriarchi aquileiesi, edito in Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, XXV, Venezia 1741 Delle antichità di Capodistria. Ragionamento in cui si rappresenta lo stato suo a tempo dei Romani e si rende ragione della diversità dei suoi nomi, ibid., XXVIII, Venezia 1744 Intorno alla declinazione e variazione della calamita, o bussola nautica, dal Polo, in Nuovo dizionario scientifico e curioso sacro profano di G. Pivati, III, Venezia 1746, pp. 77-87; Private disavventure d'una donna di vero spirito, ossia vita della signora Paolina Rubbi, contessa Carli-Rubbi, Lucca 1750 (si conoscono solo due copie di questo libro, possedute dalle biblioteche comunali di Lucca e di Capodistria); Relazione delle scoperte fatte nell'anfiteatro di Pola nel mese di giugno 1750 dal conte G. R. C.-Rubbi, Venezia 1750. Delle antichità romane dell'Istria, libro primo e secondo, s.n.t. (ma Venezia 1760); Delle antichità italiche, Milano 1788-1791, in cinque volumi; alcune poesie del Carli furono stampate, occasionalmente, in raccolte diverse.
In Scrittori classici italiani di economia politica, parte moderna, XIV, Milano 1804, sono le sue Nuove osservazioni sulla riforma delle monete, del 1770, e in Saggi inediti di G. R. C. sull'economia pubblica dello Stato di Milano, a cura di C. A. Vianello, Firenze 1938, sono il Saggio di economia pubblica, del 1769, e due consulte sulla Riforma del mercimonio, e sulle Relazioni sui bilanci.

Fonti e Bibl.: Le carte del Carli sono conservate a Venezia nella Biblioteca naz. Marciana; un inventario di esse è in F. Majer, Invent. dell'antico Arch. comunale di Capodistria, Capodistria 1909, pp. 141-151. Sono state pubbl. varie sue lettere e alcuni carteggi: 5. Morpurgo, Vita di G.R.C. capodistriano dettata da G. Mazzuchelli, in Archeografo triestino, n.s., VII (t8So-81), pp. 312-372; B. Ziliotto, G.R.C. e G. Tartini, con tre lettere inedite, in Pagine istriane, Il (1904), 7, pp. 225-236; F. Pasini, Tra G.R.C. e G. Tartarotti, in Atti e mem. della Soc. istriana di st. patria, XX (1905), pp. 131-197 E. Longo, C. Goldoni nell'epist. del C., in Pag. istriane, V (1907), 2-3, pp. 43-47; B. Ziliotto, Trecentosessantasei lettere di G.R.G. capodistriano, cavate degli originali ed annotate, in Archeografo triestino, s. 3, IV (1910), pp. 1-105; V (1911), pp. 1-68; VI (1912), pp. 227-340; VII (1913), pp. 1-46; R. M. Cossar, Epistolario inedito del conte Stefano Carli (1726-1813), in Archeografo triestino, S. 4, XVI-XVII (1949-50), pp. 257-316; U. Marcelli, Il carteggio C.-Kaunitz, 1765-1793, in Arch. storico ital., CXIII (1955), pp. 388-407, 552-581; CXIV (1956), pp. 1,8-135, 771-788. Ancora inedito è il carteggio del Carli con G. Bini, custodito nell'Arch. capitolare di Udine (E. Apih, Un carteggio inedito fra G. R. C. e l'ab. G. Bini, in Pagine istriane, s. 4, XII [1962], 5-6, pp. 37-45), come pure quelli con O. Bocchi e con P. Frisi, conservati rispettivamente nel Museo Bocchi di Adria e nella Bibl. Ambrosiana di Milano. I due voli. ms. della Corrispon. scientifico-letteraria, curati e ritoccati dal Carli stesso, sono tra le sue carte.

Importante è la breve biografia del Carli stesa nel 1795 da G. Gravisi, tutt'ora inedita nell'arch. familiare dei march. Gravisi, presso l'attuale Arch. stor. comunale di Capodistria; da essa deriva quella di L. Bossi, Elogio stor. del conte comm. G.R.C., Venezia 1797. Inoltre: B. Ziliotto, La "Rinaldeide" di A. Gavardo e la giovinezza di G.R.C. (1720-1765), in Archeografo triestino, s. 4, X-XI (1946), pp. 237-368; Id., Un'avventuriera pisana del Settecento, in Il Palvese, I (1907), I, pp. I s. (riguardante la seconda moglie del Carli). Si vedano inoltre i seguenti studi critici: A. de Magistris, Delle osservazioni sopra un libro intitolato "Dell'origine e del commercio delle monete e dell'istituzione delle zecche d'Italia…", Roma 1752; L. Pecchio, Storia dell'economia pubblica in Italia, Lugano 1849, pp. 99-109; A. Errera, Storia dell'economia politica nei sec. XVII e XVIII negli Stati della Repubblica veneta, Venezia 1877, pp. 156-173; M. Tamaro, Nel primo centenario della morte di G.R.C., in Atti e mem. della Soc. istriana di archeol. e storia Patria, XI (1896), pp. 413-536; G. Novacco, Di G.R.C. scrittore di cose scolastiche, in An tal. veneta, Il (1901), 2, pp. 89-101; A. Favaro, I successori di Galileo nello Studio di Padova, in Nuovo Arch. veneto, n.s., XXXII (1917), I, pp. 131 ss.; G. Natali, G.R.G. geografo (1720-1795). Contr. alla st. della geogr. in Italia nel sec. XVIII, Bologna 1923; F. Luzzatto, Il pensiero di G.R.C. in tema di politica agraria, in Atti e mem. della Soc. istriana..., XL (1928), pp. 217-225; G. Trani, G.R.C. e la tragedia, in R. Liceo scient. G. R. Carli di Pisino. Annuario. Anno scolastico 1926-27, Parenzo 1928, pp. 3-29; B. Michiels, La critica della teoria della bilancia commerc. fatta da G.R.C. alla luce del suo tempo, in Introduz. alla storia delle dottr. econ. e polit., Bologna 1932, pp. 223-260; F. De Stefano, Cinque anni di sodalizio tra P. Verri e G.R.C. (1760-1765) con XXIV lettere ined. di P. Verri, in Atti e mem. della Soc. istriana..., XLV (1934), pp. 43-104; Id., G.R.C. (1720-5795). Contributo alla storia delle origini del Risorg. ital., Modena 1942; B. Ziliotto, Accademie ed accademici di Capodistria, in Archeogr. triest., s. 4, VII (1944), pp. 115-280; M. Fancelli, I critici ital. del Rousseau e il pens. politico di G.R.C., in Riv. internaz. di Filosofia del diritto, s. 3, XXV (1948), 3-4, pp. 249-300; F. Chessa, La moneta, Torino 1952, pp. 208 s.; E. Sestan, Europa settecentesca ed altri saggi, Milano-Napoli 1952, pp. 138-143; B. Ziliotto, G.R.C. da Capodistria e le orig. del Risorg., in La Porta Orient., XXIII (1953), pp. 249-266; A. Gerbi, La disputa del nuovo mondo. Storia di una polemica (1750-1900), Milano-Napoli 1955, pp. 254-262; U. Marcelli, La questione monetaria studiata da G.R.C., in Archivio storico ital., CXIII (r9s5), pp. 45-72; F. Venturi, in La letteratura ital. Storia e testi. Illuministi jt., III, Milano-Napoli 1958, pp. 419-439; O. Barié, La cultura politica nell'età delle riforme, in Storia di Milano, XII, Milano 1959, pp. 441 s.; F. Venturi, Settecento riformatore, Torino 1969, ad Ind.; E. Apih, La formazione culturale di G.R.C., Trieste 1973.

E. Apih


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Notizie biografiche di Agostino Giovanni Carli Rubbi

Nato a Venezia nel giugno 1748 dal primo matrimonio di Gian Rinaldo Carli con Paola Rubbi, fu tenuto a battesimo dal futuro doge Marco Foscarini che era già stato testimone alle nozze dei suoi genitori. Rimase orfano della madre il 12 ag. 1749 e, dopo le seconde nozze del padre con Anna Maria Lanfranchi Chiccoli, segui entrambi a Milano.

Qui studiò con profitto nel collegio dei nobili diretto dai barnabiti; suo padre compose per lui una fortunata operetta educativa intitolata Elementi morali o sieno Saggi di morale cristiana e civile (Milano 1755) che ebbe parecchie edizioni. Nel '56 rimase con la matrigna, mentre il padre soggiornava in Toscana, e nel '58 fu portato a Capodistria, affidato agli scolopi del collegio dei nobili e allo zio Stefano Carli.

Dopo il divorzio fra i genitori (1761), il Carli rimase col padre che lo affidò al collegio di Parma; nel novembre '66 entrò nel collegio gesuitico Theresianum di Vienna, dove compì i suoi studi nel settembre '68, dimostrando predilezione per la legge. Il padre avrebbe desiderato fare di lui un funzionario statale, ma a ciò si ribellava il carattere impulsivo e indipendente del giovane. Questi rimase a Milano, dove segui nel '70 le lezioni di diritto del Beccaria (di cui tessé l'apologia); passò poi a Venezia, dove stese una relazione (ambedue gli scritti sono inediti: cfr. Cicognara) sulla popolazione di Rovigo, e, amicissimo del tipografo G. A. Pasquali, visse fra i più lieti divertimenti, attirandosi i rimproveri del padre. Nel '77, dopo un breve soggiorno a Milano, si trasferì a Ginevra, alternando gli studi di matematica, di fisica e di storia patria alla frequenza di salotti e teatri. Entrò in relazione con scienziati come il Bertrand e il Le Sage e col giurista G. Gorani; tradusse in francese scritti di idraulica di P. Frisi, e fu con P. Verri a Milano fra i fondatori della Società patriottica per incoraggiare l'agricoltura, le arti e le industrie.

Ridotto in strettezze, tentò con la mediazione di G. B. Confalonieri di riconciliarsi col padre. Invece ruppe definitivamente con lui e a suo danno vinse una causa giudiziaria per assicurarsi l'eredità materna. Dal luglio dell'83 lo ritroviamo a Venezia, fattosi più maturo e operoso, dedito agli studi storici e perciò in relazione col marchese G. Gravisi e col vescovo Bonifacio Da Ponte a Capodistria e con Michele de Sorgo, patrizio raguseo. Fu ascritto all'Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova.

Nel maggio del 1788 il C. ritornò a Capodistria, dove entrò nell'Accademia dei Risorti e dove il 20 marzo dell'89 sposò Maria Anna Pettenello. Con lei prese dimora a Trieste, dove gli nacque nel '91 la prima figlia; qui cercò nuove relazioni e un impiego. Ottenne da Vittorio Amedeo III la commenda dell'ordine militare dei SS. Maurizio e Lazzaro, ma gli avvenimenti politici gli impedirono di trasferirisi com'era sua intenzione alla corte di Torino. Trovò invece occupazione alla borsa di Trieste, per conto della quale stese un rapporto al governo il 10 sett. 1792 e quindi un saggio politico ed economico (inediti). Nel '95 si recò per breve tempo a Torino, e nel '96 gli nacque una seconda figlia.

La minaccia del Bonaparte lo persuase della utilità della dedizione dell'Istria all'Austria e tale tesi, contraddetta dalla volontà popolare, sostenne - per incitamento del governatore austriaco di Trieste - con i suoi corrispondenti G. P. Polesini, N. Del Bello, G. Gravisi e N. de Baseggio. Avvenuta l'occupazione austriaca, sperò perciò in un impiego governativo e si recò invano a ricercarlo a Vienna, dove rimase a lungo (febbraio 1801-aprile 1804).

Nel corso del 1806 pensò invece di poter trovare una sistemazione a Venezia, e non esitò per questo a rivolgersi dapprima al conte M. Serbelloni, poi allo stesso Napoleone con uno scritto Sur la maison Bonaparte. Preparò inoltre per la stampa l'unico suo scritto che sia stato pubblicato, la Dissertazione sopra il corpo di s. Marco Evangelista riposto nella R. Basilica di S. Marco (Venezia 1811). Solo nel maggio del '12 il Carli fu nominato a Milano regio delegato per il recupero dei documenti appartenenti all'Archivio diplomatico dispersi negli archivi demaniali del Veneto; nel giugno dello stesso anno fu ispettore al dipartimento del Tagliamento e nell'agosto alunno assistente onorario all'Archivio generale di Venezia, senza che tuttavia i proventi percepiti per questi incarichi gli fossero sufficienti a vivere.

La sua situazione finanziaria era nuovamente misera e si aggravò con le inutili spese giudiziarie fatte allo scopo di assicurarsi la eredità dello zio Stefano, che inaspettataente l'aveva diseredato. Finalmente nel febbraio del '15 fu confermato al posto di archivista e ottenne un discreto stipendio, e nel '16 ebbe la nomina a capo dell'archivio dei Frari che tenne fino alla morte.

Trascorse gli ultimi anni dedicandosi ai prediletti studi storico-eruditi, i quali rimasero manoscritti sia per il suo spirito critico che gli impediva di considerarli compiuti, sia per la salute malferma.
Il Carli morì nella città natale il 18 marzo 1825.

FONTI E BIBL.: L. Bossi, Elogio stor. del co. comm. G. R. Carli, Venezia 1797, p. 82; D. Venturini, Dall'epist. ined. di A. C.-R. (nell'arch. Gravisi di Capodistria), in Miscell. di studi in on. di A. Hortis, Trieste 1910, pp. 831-846; G. Babuder, Cenni intorno alla vita del marchese Gir. Gravisi, in Annuario dell'I. R. Ginnasio superiore di Capodistria, 1867-68, pp. 23 s.; L. Cicognara, Mem. tratte dai docum. originali, Venezia 1888, I, p. 217; lI, p. 109; P. Stancovich, Biogr. degli uomini distinti dell'Istria, Capodistria i888, p. 303; L. Volpis, Una lettera ined. di F. Combi, in Pagine istriane, V (1907), pp. 113-119; Id., A.G.C.-R., ibid., VII (1909), pp. 132-154, 169-185, 217-228, 266-272; VIII (1910), pp. 2-9, 28-36, 73-92; A. Gentile, Un biglietto da visita, ibid., VIII (1910), pp. 26 ss.; G. De Vergottini, L'Istria alla caduta della Repubblica di Venezia, in Atti e memorie della Società istr. di archeol. e st. Patria, XXXII (1920), pp. 220-228; G. Quarantotti, Trieste e l'Istria nell'età napoleonica, Firenze 1954, pp. 14 ss., 20 5., 39 5., 114, 289.

S. Cella
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