CAPITOLO 15 - IL SEGUITO

Lo scopo di questo capitolo finale è di narrare concisamente le vicende successive al 1512 nella città e nel territorio di Bergamo – anche se spesso la complicazione delle situazioni non consente la desiderata brevità - fino a circa il 1516, anno nel quale il periodo delle guerre d'Italia si può considerare concluso con il ritorno stabile di Venezia sulla terraferma lombarda. Seguendo lo schema utilizzato nel capitolo 2, si considereranno separatamente per maggior chiarezza gli avvenimenti politici e militari generali, gli eventi riguardanti la città e quelli che interessarono il territorio.



Il periodo della presenza spagnola ed imperiale (1513-1516)

Sul piano della politica italiana, nel febbraio del 1513 si verifica un importante avvenimento, destinato ad accelerare la ristrutturazione delle alleanze, cioè la morte di papa Giulio II, che già dal 15 febbraio era malato [SAN, XV, 502]. Ecco come il Beretta ricostruisce da Bergamo questa fase e descrive le vicende della Chiesa: Agebatur Romæ in basilica Lateranensi concilium generale ex indictione Iulii II Pontificis, ubi inter multa declaratum fuit cardinales conciliabuli Pisani cum adhærentibus fuisse et esse hereticos et schismaticos, et sanctæ Romanæ Ecclesiæ rebelles, simul cum Ludovico Rege Francorum ac omnibus prælatis et principibus Franciæ receptantibus eos et continue favorem præstantibus; et tractabatur in dicto concilio de eximenda Franciæ potestate et omni auctoritate, ac tradenda aliis principibus Christianis; sed quia Iulius Pontifex die 21 februarii moritur, res mansit imperfecta et dux Mediolani auxilio Raimundi viceregis hispani Placentiam et Parmam, quæ in Pontificis manu tenebantur, recepit; ac interim Iohannes de Medicis florentinus cardinalis diaconus sanctæ Mariæ in Domnica creatur Pontifex romanus, ac Leo decimus appellatur, in cuius bonis moribus et religionis fama spes Italiæ componendæ et pacificandæ divulgatur [BER, 112v].

La ricostruzione del diarista bergamasco, per quanto concisa, è tuttavia esatta perché, approfittando della sede vacante, Parma e Piacenza abbandonano di fatto la Chiesa ed il Cardona le occupa in nome di Milano. Il nuovo papa, Leone X Medici, non è sfavorevole ai francesi e questo attenua un poco la pressione sul re, che continua tuttavia a trattare la progettata composizione con Venezia e conclude finalmente il 23 marzo 1513 un nuovo accordo a Blois. In base ad esso, Venezia e Francia combatteranno insieme gli spagnoli, che ormai sono divenuti i comuni nemici, e, in caso di vittoria, porranno i rispettivi confini sull'Adda. Venezia non aveva tuttavia interesse ad alienarsi il nuovo pontefice e gli rivolge un invito ad entrare nella nuova alleanza. Venezia è anche molto cauta nell’informare del trattato gli spagnoli e gli ungheresi, protestando di essere stata costretta a stipulare i nuovi patti per tentare di recuperare le sua terre [SAN, XVI, 170]. L’ambasciatore spagnolo fino all’ultimo non cessa di far recedere la Repubblica e di prolungare la tregua [SAN, XVI, 163 e 182]. Leone X invece, ben sapendo che i francesi avrebbero rivendicato Parma e Piacenza, dalle quali egli non si voleva separare, preferisce rinnovare i suoi patti con l'Imperatore. E di fatto concorda, in opposizione agli alleati di Blois, la lega di Malines (5 aprile 1513) con Massimiliano d'Austria, Enrico VIII d'Inghilterra e Ferdinando il Cattolico di Spagna.

Con queste nuove ristrutturazioni, tutte le possibili permutazioni tra le potenze in lotta si erano ormai verificate. I principali protagonisti che avevano stipulato la lega di Cambrai, in meno di cinque anni avevano così cambiato le rispettive posizioni: dapprima (1508) Francia ed il papa contro Venezia; poi (1510) il papa e Venezia contro Francia; ed ora (1513) Venezia e Francia contro il papa.

Subito hanno inizio i preparativi per il confronto militare. All'inizio di maggio 1513 un forte esercito francese, al comando di Giovan Giacomo Triulzio e del signore de la Tremoïlle, entra in Italia; mentre il 15 dello stesso mese Bartolomeo Alviano assume la carica di comandante generale dell'esercito veneto, e si accampa in Lombardia. Il duchetto Massimiliano Sforza - le cui fortune con la perdita di Parma e Piacenza cominciavano già a tramontare - muove con i suoi mercenari svizzeri incontro all'armata francese a Novara. Ed ivi il 6 giugno, contro ogni previsione e nonostante un rapporto di forze assolutamente a favore dei francesi, costoro subiscono una severa sconfitta e si ritirano precipitosamente verso le Alpi. Rientrando a Milano lo Sforza è riacclamato entusiasticamente, risollevando così la sua reputazione.

Con la sconfitta di Novara, l'esercito veneto si vede privato del suo alleato, ancor prima di cominciare a combattere. Sentendosi insicuri, i veneti si ritirano oltre l'Adige. Contemporaneamente le truppe del Cardona e del Colonna avanzano verso est, obbligando i veneti ad un’ulteriore ritirata in difesa di Padova. Nella loro incontrastata avanzata verso Venezia, gli spagnoli arrivano fino sulle rive della laguna, ma poi, nel timore di essersi spinti troppo avanti, si arrestano. Di fronte alla minaccia diretta sulla città, il doge Loredan lancia un disperato grido d'aiuto ai suoi sudditi, chiedendo loro denaro e uomini a protezione della Repubblica. Tuttavia, nell'impossibilità di accedere a Venezia per la mancanza di attrezzature e navi, il viceré decide di ritirarsi, tallonato da vicino dall'esercito veneto che nel frattempo ha riguadagnato fiducia. I due eserciti si scontrano il 7 ottobre a Schio, e qui le truppe dell'Alviano vengono messe in fuga e devono subire, oltre che una cocente sconfitta, perdite gravi. La disfatta di Schio conclude la campagna militare del 1513 e gli eserciti, esausti, si ritirano al campo invernale.

A questo punto si viene a creare una situazione di stallo. Da una parte, Venezia si sente incapace di agire da sola, ma non può contare sull'alleato francese, il quale è a sua volta incapace di prestare attenzione alla situazione italiana, pressato come si trova a nord da un'invasione degli inglesi e ad est dalla minaccia degli svizzeri. Dall'altra parte il Papa, meno motivato del suo predecessore all'azione militare, si trova coinvolto con i lavori del Consiglio Laterano. Per parte sua, l'Imperatore Massimiliano, incerto e squattrinato come sempre, è incapace di agire. In queste condizioni trascorre tutto il 1514, fino a quando, nel gennaio 1515, muore Luigi XII, ed a lui succede Francesco I.

Costui assume il titolo di duca di Milano, rinnova il trattato con Venezia e raccoglie nel Delfinato un imponente esercito di 50 mila cavalli e 60 mila fanti. Lo comandano Gian Giacomo Triulzio, Monsieur de la Palice ed il signore di Lautrec, pronti a riprendere la campagna d'Italia. Quattro eserciti si raccolgono per fronteggiarli: quello del papa, al comando di Giuliano de Medici, che si schiera a protezione di Piacenza; quello spagnolo del viceré Raimondo di Cardona, che si dirige su Verona, nel tentativo di impedire alle truppe venete il ricongiungimento con l'alleato francese; quello milanese dello Sforza; ed infine un forte contingente di svizzeri, che sono di fatto padroni di Milano, e che avanzano verso le Alpi per bloccare l'arrivo dei francesi, schierandosi allo sbocco dei passi del Moncenisio e del Monginevro.

Con una mossa abilissima, il Triulzio scendendo per la valle dello Stura, aggira gli svizzeri e si attesta a Marignano (Melegnano), nell'attesa dell'esercito veneto che egli sperava potesse a sua volta aggirare l'ostacolo del Cardona. Gli svizzeri piombano sul campo del Triulzi il 13 settembre 1515 nel pomeriggio e soffrono da prima pesanti perdite. Gli scontri vengono interrotti per la notte e riprendono al mattino seguente con un nuovo assalto. E proprio quando gli svizzeri paiono prendere il sopravvento, fortunosamente compaiono le truppe dell'Alviano che avevano superato gli spagnoli. L'azione congiunta dell’esercito franco-veneto ha alla fine ragione delle truppe svizzere. La battaglia di Marignano viene considerata l'ultimo episodio rilevante delle guerre iniziate con la lega di Cambrai.

Il 4 ottobre 1515 le truppe francesi prendono formale possesso di Milano. Due mesi dopo papa Leone X e Francesco I si incontrano a Bologna e siglano un nuovo accordo. In base ad esso il pontefice cede il possesso di Parma e Piacenza, in cambio dell'assenso francese all'acquisizione del ducato di Urbino. Quanto a Venezia, essa non aveva per nulla rinunciato all'idea di recuperare i suoi territori di Terraferma, ma al suo disegno si opponeva l'Imperatore Massimiliano, che si appoggiava sugli svizzeri, sugli spagnoli rimasti in Lombardia e su alcune truppe mercenarie.

Ma, del tutto inaspettatamente, Massimiliano su sollecitazione del cardinale svizzero Schiner scende in Italia con l'intento di liberare Brescia e di aggiungere al territorio di Verona - che già era in suo possesso - le zone di Terraferma in mano di Venezia ed il ducato di Milano. Il suo esercito è formato in gran parte da bande di lanzichenecchi. Nel marzo 1516 egli arriva sul bresciano, creando disorientamento nei suoi oppositori. I francesi preferiscono ritirare l'esercito sulla linea dell'Oglio ed attendervi uno scontro campale; il provveditore veneto Gritti decide in un primo tempo di attendere l'Imperatore a piè fermo, anzi si adopera a munire i valichi delle valli bresciane (Sabbia, Camonica, Chiese, Caffaro) senza peraltro riuscire ad arrestare le colonne degli imperiali che ne discendono per ricongiungersi con la colonna principale dell'esercito cesareo che scende per la valle dell'Adige su Verona per incontrarsi con la guarnigione austriaca che la occupa.

Alla fine, l'esercito veneto, nonostante la sua superiorità numerica, decide per la prudenza e si ritira verso Cremona, Crema e la linea dell'Adda. La guarnigione spagnola ed imperiale che sta in Brescia si rianima, così come i ghibellini bresciani che si preparano a ricevere degnamente l'Imperatore. Ma l'azione di Massimiliano si dipana lenta e confusa: nel tentativo di assicurarsi i rifornimenti alle spalle egli si attarda ad Asola, poi si dirige su Milano ed arriva fino a Lambrate. La lentezza della sua avanzata dà però tempo al Gritti di organizzare la difesa di Milano, cosicché, quando l'Imperatore vi giunge, trova una situazione del tutto diversa da quella che aveva sperato, cioè con gli abitanti disposti a consegnargli la città. Altrettanto inopinatamente come era giunto, Massimiliano decide di ritirarsi, abbandonando le sue truppe. All’inizio di aprile 1516 egli ripassa l'Adda e, attraverso Bergamo e la valle Cavallina, giunge a Lovere, che lo accoglie e lo aiuta nella sua ritirata e ne viene ricompensata con un privilegio dato da Riva di Trento il 4 maggio 1516.

L'abbandono di Massimiliano getta l’esercito imperiale nello scompiglio. Una parte delle truppe, con Marcantonio Colonna, si chiude in Lodi, mentre bande di svizzeri e tedeschi sulla via del ritorno scorrono i luoghi dove transitano, taglieggiando gli abitanti e saccheggiando ogni cosa. Lo spagnolo Icart, sempre assediato in Brescia, accoglie alcuni degli sbandati per rafforzare le sue difese. Ma le incomprensioni ed i dissapori tra tedeschi e spagnoli della guarnigione si rivelano insanabili e ciascuna delle due parti, all'insaputa dell'altra, tratta con i veneti. Il denaro di questi ultimi induce molti a disertare e ad abbandonare la difesa, fino a quando restano in città circa un migliaio di uomini, ai quali lo Schiner ordina di resistere ad ogni costo, nell'attesa dell’Imperatore che si trova a Riva di Trento. Tuttavia, quando appare chiaro che costui sta abbandonando le terre italiane verso l'Austria, i resti del suo esercito si chiudono in Verona.

Risolti i conti con Bergamo, il Gritti si rivolge verso Brescia ed il 17 maggio lancia su di essa un attacco che spera risolutivo. Ma non lo è, e ancora i veneti si schierano in assedio. Invano gli imperiali tentano una volta di più di inviare soccorsi agli assediati da Verona attraverso la val Sabbia: i soccorsi vengono fermati.

L’Icart, conscio che la sua situazione si va facendo sempre più precaria, tenta di nuovo la via della trattativa. Preferisce accordarsi con i francesi e si impegna ad abbandonare Brescia se entro il 24 maggio non gli giungeranno soccorsi. Così, il 26 maggio 1516 anche Brescia si arrende e l’Icart con la sua gente si allontana con l’onore delle armi. I primi ad entrare in Brescia sono i francesi; poi il comando viene ceduto ai veneti. Il 27 maggio si raduna il Consiglio generale di Brescia, che ratifica il ritorno della città sotto il dominio di Venezia.

A poco a poco anche l’intero territorio della Lombardia veneta viene occupato. Venezia invia a Brescia un provveditore straordinario, Andrea Trevisan. Lasciato in città un presidio, il 7 giugno il Gritti si allontana verso Verona – ancora in mano imperiale – che verrà riconquistata a fatica il 17 gennaio 1517.

Nell'agosto 1516 intanto, a Noyon Ferdinando e Carlo I di Spagna - che diventerà presto l'Imperatore Carlo V - stipulano una pace con Francesco I. Il trattato riconosce al re francese la sovranità su Milano, in cambio della sovranità spagnola su Napoli. Nel dicembre dello stesso anno a Bruxelles Massimiliano d'Austria cede per denaro ai veneziani i suoi diritti sulle terre che egli aveva loro promesso a Cambrai, ivi inclusa Verona che, per ragioni di prestigio, verrà alla fine ceduta mediante un complesso passaggio di poteri.
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Bergamo sotto il dominio spagnolo ed imperiale

Come si è narrato al capitolo 14, intorno al dicembre 1512 la città attraversa un periodo di grande disagio nei confronti di Venezia: vorrebbe infatti inviare oratori per difendere energicamente i suoi diritti che sono - a suo parere - continuamente infranti, ma ne è impedita da un ordine del Dominio che esclude l'invio di ambasciate ufficiali. Pensa allora di mandare in esplorazione una sola persona per chiedere il permesso all’invio di una legazione [3 gennaio 1513; Az 12, 75r]. Non è facile trovare qualcuno disposto a partire, ma alla fine Nicolò Marchesi accetta [7 e 18 gennaio 1513; Az 12, 75r e 79r]. Nelle more del viaggio, da Bergamo si scrivono lettere per supplicare la conferma dei privilegi: dal testo si deduce che vi erano problemi per la conservazione alla città degli uffici territoriali di Lovere, Gandino e Clusone. Bergamo chiede che in nessun modo vengano prese decisioni lesive dei suoi diritti fino a quando non arrivino ambascerie ufficiali. Le lettere vengono spedite immediatamente al Marchesi a Venezia per essere presentate al Dominio, e l'oratore viene avvertito di non impegnarsi in alcuna disputa su questi argomenti, facendo poi subito ritorno a Bergamo [5 febbraio 1513; Az 12, 85r].

Mentre il Consiglio stende un testo preciso delle concessioni da chiedere [9 febbraio e 3 marzo 1513; Az 12, 86r e 92r], il Marchesi viene tenuto a fare anticamera a Venezia [1 e 11 marzo 1513; Az 12, 91v e 96r]. Il Consiglio cittadino considera anche la possibilità di forzare la situazione inviando una deputazione alla capitale [11 marzo 1513; Az 12, 96r], ma non riesce a decidere. Alla fine il Marchesi viene ricevuto dalla Signoria, ma, contrariamente agli ordini, si lascia coinvolgere in discussioni giuridiche, senza prima consultare il Consiglio della città. Il quale, deplorando il suo comportamento, immediatamente lo richiama in patria [15 marzo 1513; Az 19, 97r]. Egli ritorna a Bergamo il 30 marzo, fa la sua relazione e presenta lettere ducali datate 19 marzo, sulle quali il Consiglio ragiona e disputa a lungo [Az 12, 103v]. Esse sono nella collezione di ducali originali nella Biblioteca Civica di Bergamo [# 25] e sono rivolte non alla città ma al suo provveditore. Il testo ricorda che con una memoria del 5 marzo, recapitata dal Marchesi, Bergamo aveva manifestato a Venezia il suo desiderio di vedere confermati e mantenuti i suoi privilegi, come avveniva prima che i francesi la occupassero. Una volta di più, il doge ribadisce la sua ferma intenzione di osservare, e possibilmente di accrescere, le precedenti concessioni, in riconoscimento dei meriti di Bergamo. Il testo conferma di fatto l'esistenza di questioni giuridiche riguardanti l'interpretazione della precedente missiva del 5 dicembre [già citata, cfr. BALDI, Somm. Gr., 310 e Reg. A, 125r] circa l'alloggiamento degli stradiotti. Un causidico, Pietro da Sonega, era stato udito ed aveva precisato che queste lettere erano state impetrate non in nome della città, ma della pianura di Bergamo. La Signoria modifica allora il testo di quella risoluzione, abolendo una clausola.

Tuttavia, ancora il 1° aprile 1513 la questione dei privilegi richiesti dalla città rimane irrisolta: a quella data, infatti, il da Mosto informa il Consiglio dei Dieci che la città è disillusa per la mancata accettazione delle sue richieste. Contemporaneamente, tuttavia, il da Mosto consiglia che le cose a Bergamo vengano lasciate immutate e che la questione dei privilegi bergamaschi venga rimandata a dopo la conclusione della guerra [Archivio di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei X, Lettere dei Rettori di Bergamo, busta 1].

Intanto, nel dicembre aveva cominciato ad avvicinarsi pericolosamente alla città l'esercito spagnolo. Come si è detto, il 1° dicembre 1512 [Az 12, 49v], il Consiglio di Bergamo aveva per la prima volta manifestato preoccupazione per il potenziale pericolo posto dalle truppe che vagavano per la pianura fino a giungere sotto le mura della città, senza che si potessero intuire le loro intenzioni, probabilmente non amichevoli. Lettere provenienti da Bergamo da parte del provveditore da Mosto e di Vittore Lippomanno, datate intorno alla fine di dicembre informano Venezia che le truppe spagnole si stanno dirigendo verso Trezzo con l’intenzione di espugnare il castello, presidiato dal barone di Sbernia per i francesi, mentre il 26 dicembre Novara cade preda dei milanesi e Gian Giacomo Triulzi attende a Susa con 800 lance lo sviluppo della progettata alleanza veneto-francese [SAN, XV, 448]. A Bergamo permane uno stato di grande incertezza e paura, anche perché vi sono episodi singoli di violenza contro certi spagnoli che erano arrivati in città [SAN, XV, 467 e 477] e corrono voci di una possibile azione congiunta su Bergamo degli alleati spagnoli-svizzeri-milanesi.

Interessante e preoccupante la descrizione che delle truppe spagnole fa l'8 gennaio 1513 il Beretta nel suo diario: ...Hispani pedites iverunt in agrum Cremonensem et Brixianum, viventes suo appetitu tanquam domini seu tyranni totius Lombardiæ; quod mirum omnibus videbatur ut tam pauci numero et tam viles erant Judei, Marani, Boscayni, Catellani, rustici, et totam Italiam quassabant et terrefaciebant, sed hoc Dei judicio fiebat. Italia et præcipue Lombardia pompis, gula, odiis, usuriis, impudicitiis luxuriabat, nec bonorum religiosorum prædicationes audiebat [BER, 112r]. Alla fine queste truppe si ritirano tuttavia verso la pianura perché a Bergamo si ha aviso per più vie, spagnoli dize si la Signoria non si acorda con loro, tutta Italia va in preda, perché la Signoria si acorderà con Franza e schazerà todeschi e loro de Italia, e zà si vede che spagnoli vanno a la volta del cremonese, perché hanno paura non li sia serà i passi; chi dize vanno verso Verona [SAN, XV, 499]. A più riprese da Bergamo il provveditore da Mosto invia denari a Crema, dove il capitano veneto delle fanterie Renzo Orsini si prepara a resistere.

Nonostante la pessima reputazione dei militari spagnoli, si imponeva tuttavia ai bergamaschi la necessità di venire a patti con loro: l'eco dei tentativi di un accordo si coglie indirettamente nella successiva narrazione del Beretta: Die lunæ primo februarii 1513 in ecclesia sancte Mariæ prædicator de mandato provisoris legit super pulpito litteras ducales diei 28 ianuarii, quod Maximilianus imperator dominis Venetis prorogaverat treguam cum eis per mensem præsentem, et successive per mensem martii, ut interim opera oratoris hispani concordium sequeretur, et item die primo aprilis 1513 ipsa tregua publicata fuit per mensem [BER, ibidem].

Anche se a Bergamo voci su un possibile accordo tra Venezia e Francia erano cominciate a circolare già da gennaio [SAN, XV, 514], la notizia ufficiale del trattato di Blois viene trasmessa in una ducale di Leonardo Loredan al da Mosto solo il 18 maggio [R.99.23, 57r]. Così il Beretta narra la sua pubblicazione a Bergamo: Die dominico 22 maii 1513, celebri processione præcedente in maximo populi coetu, solemniter super regio novo proclamata fuit pax et confederatio perpetua inter Ludovicum 12 Franciæ regem et Dominium Venetum et pro successoribus, ad constructionem et commodum utriusque status, et quietem reipublice Christianæ, et sedis apostolicæ bonum, reservato honorificentissimo loco in dicta confederatione Leoni X Pontifici romano, pro honore et reverentia erga Suam Sanctitatem. Nè manca il disilluso diarista, stupito per il capovolgimento delle alleanze che il trattato comportava, di far seguire alcune riflessioni sulla precarietà delle fortune umane e la conseguente necessità di confidare sempre e soltanto in Dio: libet hic mecum admirari Principum voluntates mutabiles et Dominorum status maxime et vere instabiles: anno superiori nullam vidi acriorem inimicitiam et odium efficacius quam inter Francos et Venetos, nullam infestiorem perscrutationem in eorum alteros amicos; nunc ipsi confederati amicorum utriusque amicos recipiant, et inimicorum inimicos oderunt et chi ha male suo, suo è 'l danno; adeo melius est confidere in Domino quam in mundi principibus qui suorum commodorum solum habentes curam, alienas parvipendunt utilitates, sed omnis potestas a Deo est; vulgo dicitur li signori si abbracciano, li sudditi se ammazzano [BER, 114v].

A Bergamo, anche per l’ambiguità delle istruzioni impartite da Venezia, la situazione si presenta estremamente incerta: Quoniam treguæ inter Cæsarem et Venetos complebantur in fine Aprilis, et omnes stabant suspensi et in timore, die primo maii in nocte veniente die secundo allatæ sunt litteræ ducales ex Venetiis diei 28 aprilis, quibus declarabatur et mandabatur domino Provisori Bergomi et Cremæ ut non permitterent aliqua nocumenta inferri subditis Imperatoris, hispanis nec Mediolanensibus, nisi essent provocati ab eis per injurias, et quod oculis apertis vigilanter intenderetur ne ab aliquo loco offensiones orirentur, ac civitas custodiretur cum diligentia [BER, 113v]. E questa incertezza durerà per qualche mese. Anche il comportamento del provveditore bergamasco da Mosto contribuisce a creare instabilità: infatti, all’inizio di aprile, egli prega la Signoria li dagi licentia; è stato assa’ fuora [SAN, XVI, 128]. Poi, verso la metà del mese, informa che il campi spagnolo e francese si stanno avvicinando a Bergamo [ibidem, 241 e 259]

Già il 22 marzo 1513 il provveditore aveva informato Venezia che le truppe spagnole avevano preso Caravaggio, consegnatasi all'Imperatore, e che si erano pubblicati nella Ghiara d'Adda ordini per imporre l'obbedienza a lui [SAN, XVI, 63]. Il 24 aprile Bartolomeo da Mosto informa la Signoria del ritorno in patria del conte Trussardo Calepio e di Galeazzo Colombo, rilasciati dalla prigionia in Francia [SAN, XVI, 182]. Nota intanto il Beretta in data 27 aprile [BER, 113v] che per la gran carestia di pane, vino ed altre vettovaglie molte persone si erano rifugiate in città. Non solo, ma in diversi luoghi serpeggiava la peste. Per evitare pericoli maggiori, si era deciso di raccogliere nella cittadella ormai sguarnita di soldati tutti i poveri, che venivano nutriti a spese dei privati, della Misericordia e dell'Ospedale grande. Col passare dei giorni, la minaccia dell'esercito spagnolo si fa sempre più concreta: il 9 maggio il Consiglio cittadino nomina dieci deputati alla guerra, avvertita ormai come imminente [CALVI, 2, 51]. Si sparge in città la notizia che gli spagnoli starebbero costruendo ponti sull'Oglio e che Orzinuovi, e forse Bergamo stessa, sarebbero sotto minaccia di saccheggio.

Ecco come il Beretta descrive lo stato di Bergamo, tra dicerie e smentite: Die dominico Pentecostes 15 maii 1513 in Bergamo publice dicebatur quod Io. Iacobus Triultius pro rege Francorum applicuerat Astam cum exercitu; Theodorus Trultius Venetias adiverat orator regius cum Bertolomeo Viano absoluto a rege Francorum; Maximilianus Sfort ia dux Mediolanensis cum Raimundo vicerege Hispaniæ aufugerant Placentiam et in Parmensi dux captus erat. Et hæc procedere ex foedere Venetorum cum Gallis inito, quia Imperator nolebat restituere Veronam nec Brixiam Veneto Dominio. Postea compertum est Ducem Mediolani cum equitibus et peditibus Hispanis ivisse Alexandriam versus ad compescendos Gallicæ factionis homines, et ut se opponeret, si Franci venirent. Verum nec Io. Iacobus Triultius advenerat, nec Franci milites, sed Triultiani quidam ferebatur; tamen exercitum Francorum esse super Alpibus, et Bartolomeus Vianus iam in exercitu Venetorum imperator generalis electus Veronam versus castra ducere nunciatur; et Laurentius Anguillaria ex Crema cum aliquod equitibus et peditibus die 20 maii tulerat alimenta Francis in castrum Cremonæ. Stradioti Bergomo exeuntes in territorium Trivilii excurrentes animalia bubula abegerant, licet Provisor Bergomi publicis proclamationibus mandavisset non debere excursiones facere in alienas terras circumvicinas et, fide in scriptis adhibita, per salvos conductus ad Caravagi ducalem commissarium destinasset nuntium. Stradioti prædæ avidissimi omnibus spretis etiam die 22 maii abduxerunt ex Glarea Abduæ bestiamina plurima [BER, 114r].

Di fatto, l'esercito veneto al comando di Bartolomeo Alviano e di Teodoro Triulzio si era attestato tra Verona e Vicenza nell'attesa dei francesi, i quali ai primi di maggio avevano varcato il confine e avanzavano rapidamente su Milano. Nonostante i patti stipulati a Malines, il re di Spagna aveva concesso un anno di tregua ai francesi ed il pontefice ed il re d'Inghilterra non accennavano a muoversi. In queste condizioni, tutto il peso dell'azione militare ricadeva quindi sulle truppe imperiali che occupavano Verona, Peschiera ed il litorale del Garda.

Con il passare dei giorni, le operazioni si fanno sempre pi&ugra ve; vivaci. L'esercito veneto riesce a recuperare Valeggio, Peschiera, Pontevico, Cremona, la Ghiara d'Adda e Lodi. I veneti entrano anche indisturbati a Brescia il 13 maggio 1513, mentre il comandante spagnolo Icart si barrica nel castello. Il Beretta così testimonia - e commenta – questa fase: Die 27 maii 1513 hora duodecima Theodorus Triultius cum Bertolameo Viano et parte exercitus Veneti recepit Cremonam, dedentibus cremonensibus nomine Regis Franciæ; et dicebatur Hispanos, Helvetios et alios divisim recessisse ab expeditione adversus Francos, et Mediolanum vocare Francos ad ducatum suscipiendum. Vide fortunæ ludos instabilis, et omnia vertentis, convertentis et subvertentis, quod propediem cernet Italia suo malo maximo et superbia obcæcante [BER, 115r].

E successivamente: Die mercurii primo iunii 1513 ex castris Venetis apud Bassianum territorii Laudensis dominus Dominicus Contarenus provisor generalis scripsit pluribus et ditioribus civibus bergomensibus quod recepta erat Brixia de manu Hispaniorum, et quod quantas possent pecunias mutuo darent et in castra mitterent ad se, quia ex Venetiis ob itineris longitudinem non poterant tam commode et subito haberi pecunias. E qui il diarista fa seguire un elenco dei bergamaschi che contribuirono al prestito, insieme con le somme offerte da ciascuno [BER,115v].

Ancora all'inizio del giugno 1513 Bergamo rimane in possesso dell’amministrazione veneta ed il da Mosto comunica a Venezia di aver raccolto denaro per il provveditore generale. La Signoria, ringraziandolo, gli manda istruzioni per la restituzione dei 3600 ducati di un prestito, che egli aveva raccolto nel luglio 1512 [R.99.23, 57r]. Ma il da Mosto da Bergamo e Bartolomeo Contarini da Crema informano Venezia tra il 9 ed il 10 giugno del fatto d’arme avvenuto tra Francesi e svizzeri il 6 precedente nella campagna tra Vigevano e Trecate [SAN, XVI, 367 e 368]. Anche il Beretta [BER, 116r] narra queste vicende dal suo punto di osservazione in Bergamo come segue: Die martis 7 iunii 1513 venit nuncius quod in oppugnatione Novariæ Galli fugati sunt ab Helvetiis die hesterna (6 giugno) et in proelio pedites Gallici (manca) occisi. Quo nuncio accepto, Mediolanenses arma susceperunt contra Gallicos qui Mediolanum venerant, clamantes nomen Mauri Maximiani Sfortie absentis. Cremona, Laude et Papia idem fecit. Exercitus Venetus discessit ab agro cremonensi. Sacramorus Vicecomes dux Gallorum venit citra Adduam cum equitibus octingentis et se contulit in exercitum Venetum mandato Iohannis Iacobi Triultii, ut dicebatur. Timor erat Bergomi, maxime quia dictum fuerat Helvetios accedere velle Bergomi. Laurentius Anguillarius, qui pro Venetis parabat expugnationem castelli Brixiæ, inde abiit Cremam cum suis militibus. Exercitus Venetus retrocessit ad Albaretum; Gallici timore Helvetiorum iverunt versus montes ducis Sabaudiæ. Dux Mediolani scripsit hominibus Glaree Abduæ ut non molestarent bergomenses nec cremonenses, nisi lacessiti iniuria aliqua. Ma per diversi giorni non appare affatto chiaro chi tra francesi e svizzeri abbia vinto momentaneamente lo scontro. Quel che è certo è che il 23 giugno gli spagnoli si vanno minacciosamente avvicinando a Bergamo, con l’intenzione di saccheggiare la città o di esigere una taglia [SAN, XVI, 410 e 414].

Verso la fine di giugno del 1513 si va profilando la dedizione di Bergamo agli spagnoli, perdurando tuttavia il medesimo clima di estrema incertezza descritto per l'innanzi: Die 23 iunii veniebant nuntii ab exercitu Veneto dicentes quod erant in tractatu deditionis Veronæ, et quod sine dubio futurum erat concordium. Civitas Bergomi de hiis læta propter timorem imminentium hostium expectabat litteras provisorum de receptione Veronæ; aliqui dicebant adventare Hispanos fere nullo credebant; alii asserebant a Gallico exercitu prope montem Calvum Montisferrati in quadam valle reclusos esse Helvetios et Mediolanense exercitum; sed omnes nuncii erant incerti. Erant qui affirmarent stradiotas pro Venetis circumstare Brixiam cum pluribus aliis equitibus lævis armaturæ, sed omnia incerta iactabantur. Dictum fuit die crastina (24 giugno) adfuturum nuntium viceregis Hispani et Bergomi deditionem petiturum. Hoc aliqui credebant, aliqui non credebant. Stupor erat, et supra omnem admirationem videre tot statuum tam brevi tempore innovationes et revolutiones diversorum et alienorum principum [BER, 116v].

Le informazioni riferite dal Beretta rispondevano a verità. Infatti, giusta la voce sparsasi il giorno precedente, il 24 giugno 1513, Bartolomeo da Mosto informa Venezia che i cittadini gli hanno manifestato l’intenzione di non opporsi alle truppe spagnole, per essere troppo deboli. Pertanto, anche se essi sono a favore della Repubblica di Venezia, hanno chiesto al provveditore di ritirarsi nella Cappella portando con sé i beni che vorrà, mentre loro si arrenderanno per evitare guai maggiori. E così il da Mosto fa - insieme con Carlo Miani, e alcuni fanti capeggiati da Gerolamo Tartaro - portando vettovaglie sufficienti per un anno e con l’intenzione di resistere [SAN, XVI, 419]. Il cancelliere del da Mosto lascia Bergamo: egli giungerà a Venezia il 28 giugno e confermerà alla Signoria la resa della città [SAN, XVI, 420].

Di fatto, dopo aver occupato i dintorni, il commissario spagnolo de Spug chiede la dedizione di Bergamo e ne prende possesso, in nome del re di Spagna e dell'imperatore [Az 12, 121v; BALDI, Somm. Gr., 310v e 311]. Tre giorni dopo, i cittadini prestano il giuramento di fedeltà richiesto. Il grosso dell'esercito veneto si ritira verso Crema, mentre gli imperiali vanno occupando la pianura.

Ecco il racconto dettagliato di questi avvenimenti: Die 24 iunii 1513 post prandium hora 15 venit Bergomum unus tubicen cum Bernardino de Vegis filio q. domini Scipionis bergomatis Mediolani habitatore, qui dixit habere litteras viceregis. Ductus ad dominum Bartolameum Mustum provisorem, apertæ sunt litteræ per provisorem dominum Bortium (?) Venerium et Franciscum Bellafinum cancellarium comunitatis, et de eius voluntate vocati statim aliqui ex primoribus, intellecto tenore litterarum, dominus provisor, cognito quod aderant Hispani et impossibile erat eir resistere, et nullus erat Bergomi miles, ne præda et incendio vastaretur, dixit quod cives consulerent rebus suis et facerent prout a Deo inspirarentur; et se contulit in capellam. Cives aperuerunt portas Francisco viceregis commissario; et in ecclesia sanctæ Mariæ maioris in præsentia populi lecte sunt littere et dictum quod per Andream Gallum tubicinem in platea, et omnibus vicinantiis publicaretur tenor ipsarum litterarum, et omnes convenirent in dictam ecclesiam ad dicendum voluntatem suam circa deditionem et conservationem civitatis termino duarum horarum, quia sic petebat comissarius. Coacto populo ad altare maius, commissarius exposuit voluntatem suam duobus vicibus, dicens velle oboedientiam nomine Maximiani imperatoris et subsidium pecuniarum pro exercitu, et habere licentiam componendi de summa, bonis verbis exhortatur ad eo (?). Populus admiratur de denariorum tam subita et magna petitione, tandem ibi nominatim eliguntur nomine civitatis qui consultent, respondeant et decernant, sicut Deo inspirante melius videbitur prudentiæ eorum pro beneficio publico [BER, 117r].

La lettera che il vicerè Raimondo di Cardona invia tramite il suo commissario de Spug agli anziani della città, e che fu letta – come testimonia il Beretta - in santa Maria maggiore dallo stesso commissario, è la seguente:

Magnifici viri nobis carissimi,
Parmi usare l'offitio conveniente verso questa città, et per evitare li danni che li poriano venire mandarli el magnifico meser Francisco de Spug, capitan generale della Grassa de questo felicissimo exercito, ad significarli che se voglia rendere et donare al dominio della Cesarea Maestà, della quale nui tenimo el carigo di Locotenente general in Italia, et prestarle la debita obbedientia, et farli quello servitio che lo bisogno merita; et state de bono animo che la sua Maestà Cesarea et suoi ministri sarete talmente tractati, che ve ne trovarete ben contenti; altrimente ne haverete per excusati, perché noi venimo recto tramite alli danni et alla expugnatione de ditta città; riferendo più particolarmente intenderete dal detto miser Pus
(?), al quale ne exortamo vogliate donare fede et reverentia in tutto quel che da nostra parte ve dirà. Datum in felicibus castris prope civitatem Laude, 23 iunii 1513 [BER, 117v].

Ed ecco, infine, i nomi dei cittadini eletti a trattare con il vicerè in merito alle condizioni imposte: Trussardo Calepio (che aveva fatto ritorno in città il 20 aprile 1513, dopo la sua deportazione in Francia), Francesco Albani, Leonardo Comenduno, Domenico Tassi, David Brembati, Oliverio Agosti, Giorgio Benaglio, Pietro Rivola, Gerolamo Colleoni, Gerolamo Poncino, Francesco Olmo, Alvise Passi, Battistino Rota, Salvo Lupi. Costoro si consultano rapidamente e decidono di rispondere che intendono darsi all'Imperatore e sono pronti ad obbedirgli; quanto al denaro, tuttavia, si riservano di avvicinare direttamente il vicerè per esporgli le precarie condizioni della città. Vengono nominati Francesco Albani e Oliverio Agosti per raggiungere il Cardona a Coccaglio. Naturalmente, con la mutata temperie politica, si manifestano a Bergamo alcuni disordini, particolarmente nella casa di Giacomo Olmo, che Giacomo Suardi ed altri milanesi vorrebbero sequestrare e derubare. Ma il commissario imperiale fa catturare i sediziosi dai suoi militari e, per evitare ulteriori tumulti, comanda a tutti di deporre le armi.

Scrivendo dalla Cappella di Bergamo il 25 giugno, il da Mosto narra alla Signoria di Venezia i fatti di Bergamo: e riferisce che i bergamaschi, nonostante la resa, restavano fidelissimi nostri. Essi avevano addirittura festeggiato credendo aver conzo le cose loro; ma inteso poi spagnoli averli dato taia ducati 60 milia, restono di sonar e far fuogi, etc. [SAN, XVI, 442].

L'Albani e l'Agosti fanno ritorno a Bergamo il 26 giugno, e subito convocano i deputati eletti per discutere dell'oblazione richiesta. Il giorno seguente si radunano in santa Maria maggiore i rappresentanti delle famiglie cittadine, che prestano innanzitutto giuramento di fedeltà nelle mani del commissario spagnolo. Poi viene annunciato che il viceré Cardona intende ottenere dal territorio di Bergamo quarantamila ducati, di cui dieci in dono ed i restanti trentamila a titolo di sussidio per l'esercito spagnolo. Si informa anche quod intra biduum sub poena civitas tribuisse debeat ducatos sex mille, qui per deputatos dicebantur dari debere et taxari super quadam talea anni 1491, de qua fere omnes lamentabantur, quia facta fuerat iniuste et inique, aggravando minores et divites exonerando, debita summa nummorum; sed non profuit reclamare in præsentiarum... [BER, 119r].

Le ragioni delle lamentele dei cittadini - che non sono ta nto nei confronti della somma richiesta, quanto del modo di dividerla - vengono così giustificate dal Beretta: Hic nolo prætermittere quod semper fuit constans opinio universitatis civium et populi Bergomi, quod quotiescumque superioribus annis sub dominio Francorum et in omni mutatione status, etiam nunc petita fuit aliqua magna talea seu imprestitum, illi cives qui habebant bona rebellium confiscata tempore dominorum Venetorum, dubitantes et timentes ne ex mutatione dominorum eis dicta bona acciperentur, et redderentur hæredibus ipsorum rebellium revertentium Bergomum, atque ut conservarent in manibus emptorum et possidentium, curabant se aut amicos suos eligi et deputari ad colloquia et tractatus talearum et imprestitorum prædictorum, et consentiebant ipsis taleis secreto, dummodo manutenerentur in possessione dictorum bonorum quondam rebellium; et parum curabant de damno aliorum civium, proprio bono et suæ utilitati intendentes; et semper fuit suspicio quod tales habentes bona rebellium semper primi et in primis concordent se cum inimicis dicta de causa [BER, 119v]. Subito il Consiglio bergamasco si preoccupa dei privilegi da chiedere al nuovo governo [30 giugno e 3 luglio 1513; Az 130r e 131r].

Si comincia a raccogliere la taglia, al cui proposito già il 29 giugno il da Mosto (informando la Signoria dell’avvenuta riduzione a 32 mila ducati) aveva suggerito l’opportunità di un’incursione di Renzo da Ceri da Crema su Bergamo per impadronirsi del denaro raccolto. Il provveditore aveva anche confermato che l’archivio nel palazzo di Bergamo era andato a fuoco [SAN, XVI, 453]. Forse raccogliendo quell’indicazione del provveditore, nella notte del 3 luglio parte del denaro viene sequestrato con un colpo di mano delle truppe venete. Il Beretta [BER, 120r] si sofferma a lungo su questa vicenda: Die dominico 3 iulii 1513 hora quinta noctis veniente die lunæ Laurentius Anguillarius ex Crema misit continum Martinengum, Maffeum Cagnolum cum equitibus quamplurimis et paucis peditibus armatis; qui, dispositis tabulis supra Serium, ascenderunt muros; et venientes per suburbium sancti Antonii ingressi sunt civitatem Bergomi per Planchetam portæ Pictæ; et ante lucem facto impetu, intraverunt domum domini David de Brembate, ubi erant comissarius et gubernator Hispani, et summa omnis denariorum exactorum pro talea; quod exinde abacceperunt et Cremam detulerunt. Comissarius et gubernator in loco subterraneo clam occlusi permanserunt; pedites Veneti ex Capella descendentes per burgum Canalis domos ingrediebantur, farinam et alia cibaria in Capellam deportant. Maxima pars civium cum familiis et rebus, ut poterant, montana cursu petit. Erat timor prædæ ab Hispanis qui continue expectabantur ex castris viceregis, ubique in urbe pavor, tremor et latibulorum cogitatio. Deputati sunt tumultuarie, ut fit in periculis instantibus pro regimine et conservatione civitatis, domini David Brembatus, Franciscus Albanus et alii quidam, qui nomine publico proclamari iusserunt ne offensiones aliquo modo alicui fierent. Pedites 200 ex ere comuni describuntur, qui civitatem custodiant; castellanus Capelle cum sui peditibus in Capellam rediit, civitate in terrore et lacrimis derelicta. Excubiæ in platea et suburbiis constitute, ne subita et improvisa irruptione hostis prædæ et sanguinis avidus ingrederetur. Hora noctis prima commissarius et gubernator in lucem educto (?) commiserant civitatis administrationem civibus deputatis, et abierunt in castra viceregis, sed prius criminati sunt civitatem, quod Venetis militibus obstare noluerat. Altrove [BER, 2, 19r] lo stesso Beretta fornisce ulteriori dettagli sul denaro sottratto (5000 o 6000 ducati) c he avrebbe dovuto essere consegnato al campo del viceré sul territorio veronese. Nei giorni successivi altri testimoni informano la Signoria dell’incursione su Bergamo [SAN, XVI, 478 e 488].

Molti dei cittadini che non erano fuggiti verso i monti - come racconta il diarista - preoccupati per la temuta ritorsione degli spagnoli, si radunano nella chiesa di santa Maria maggiore e designano alcuni rappresentanti, conferendo loro ogni libertà ed autorità di provvedere per il bene della città. Vengono designati Francesco Albani, David Brembati, Oliverio Agosti, Battistino Rota e Gerolamo Colleoni per la città; G.Gerolamo Albricci, Bernardino de Muleris ed un Borelli per il borgo di sant'Antonio; Stefano Salvagni, Cristoforo Bresciani e Lavazolo Colombo per il borgo di san Leonardo.

Il giorno seguente poi (5 luglio 1513) si eleggono nella sala delle provvisioni nove conestabili di fanteria, con il compito di reclutare tra 25 e 50 fanti ciascuno a spese del comune per la custodia della città. Francesco Albani e David Brembati sono incaricati di sovrintendere al reclutamento e di controllare i conestabili ed i militari loro sottoposti. I nomi dei conestabili sono: G. Antonio q. Marchesini de Rota, Alvise Pozano da Venezia, Bernardino Locatelli, Agostino Ficieni, Gabriel Zonca, Carlo de Medici, Sebastiano Rota, G.Pietro Tiraboschi e Giorgio Rota. Mentre (12 luglio 1513) l'Albani e l'Agosti sollecitano i bergamaschi a pagare la taglia, l’11 luglio 1513 rientrano a Bergamo, il Ripadaneira ed il de Spug [BER, 2, 28r]. Nel tentativo di ingraziarseli, la città fa loro dono di qualche centinaio di ducati (29 luglio).

Intanto il 27 luglio il da Mosto, dalla fortezza della Capella dove si era rinchiuso, sollecita Renzo da Ceri a inviare a Bergamo Cagnolo Carrara con 300 fanti per riprendere la città, assicu rando la disponibilità di altrettanti armati per parte sua [SAN, XVI, 578]. Rispondendo al suo invito, il 1° agosto il Carrara raggiunge il da Mosto nella Cappella [SAN, XVI, 597] e pochi giorni dopo (4 agosto 1513) il luogotenente di Renzo da Ceri, con 300 cavalli e 500 fanti, entra in città, favorito dai cittadini. Il Ripadaneira ed il de Spug si rifugiano a loro volta nella rocca, assediati e bombardati dai soldati del da Mosto. Ivi resistono per un giorno, cedendo poi al provveditore, il quale trova presso gli spagnoli 3000 ducati della taglia ed altri 8000 appartenenti a persone diverse. E così Bergamo è tornato soto la Signoria nostra; manderanno per li homeni di le Valle, farano fanti e lo tegnirano [SAN, XVI, 603]. Gli avvenimenti seguenti sono raccontati dal Beretta [BER, 2, 20r]: Die VI augusti 1513 in sala maiori provisionum Bergomi. In quo quidem loco, ibidem astante magna populi multitudine convocata per mag.cum dominum Bartholomeum de Mosto provisorem Venetum qui ex summa arce sive Capella quam nomine dominorum Venetorum tenebat, una cum domino Carolo Miliano castellano et Hieronymo Tartaro comestabile, venerat in civitaten in quam die hesterna in mane milites ill.mi domini Laurentii de Anguilaria capitanei generalis prædicti ill.mi Dominii Venetorum in oppido Cremæ residentis intraverunt pedestres et equestres numero plus quam mille pro prædandis et accipiendis pecuniis collectis ex taliono civitati et territorio imposito per mag.cum dominum Franciscum de Spug comissarium gubernatorem ill.mi viceregis Hispani. Multa exposita fuere pro tempore conditionis (?); ac deinde per ipsum mag.cum provisorem una cum aliis civibus astantibus utsupra, oretenus et viva voce electi fuerunt omnes infrascripti cives cum omnimoda auctoritate et libertate providendi quibuscumque occurrentiis præsentibus pro conservatione civitatis, et maxi me exigendi omnes residuos talearum his præteritis diebus impositarum civitati per Hispanos; et ad videndum computa camere; cum expressa reservatione et terminatione ibidem facta per clar.mum provisorem, quod omnes illi qui aggravati erant ad solvendum plus quam eorum facultates patiantur, debeant refici et reficiantur quandoque cognitum fuerit de eorum gravamine per eius magnificentiam sive per deputatos ad extimum reformandum. Seguono quindi i nomi degli eletti, che sono: Leonardo Comenduno, Gerolamo Gratarolo, Bartolomeo da Calepio, Marco Antonio Grumelli, Castello Benaglio, Giovan Enrico Albricci, Giovan Pietro Colleoni, Bertono Rota, Andrea del Passo, Pietro Andrea del Cornello, Venturino Calepio, Giacomo Salvagni, Giacomo Agosti. Il giorno stesso, factis nonnullis opugnationibus arci civitatis in quam confugerant magnifici domini Comissarius et Antonius de Ripa da Neira Gubernator Bergomi cum aliis Hispanis circa 25 ipsam arcem tutantibus cum pecuniis talioni collectis introportatis, tandem se tradidere discretioni. Militi Venetorum per ipsam arcem ingressi prædictos omnes captivos fecerunt et istos in sero cum pecuniis Cremam obduxerunt [BER, 2, 20v].

Intorno all’8 agosto il da Mosto scrive a Venezia, informando di essere alloggiato in cittadella nel palazzo del capitano e di aver mandato 1700 ducati a Crema (dove tuttavia si conferma l’arrivo di solo 1600). I cittadini intendono resistere, anche reclutando 500 fanti a loro spese e chiamando in città i fedeli delle valli [SAN, XVI, 606].

Alla notizia della riconquista di Bergamo da parte delle truppe venete, entra in scena da Milano il duca Massimiliano Sforza, che con alcune truppe e bande di armati passa il confine dell'Adda, saccheggia le terre circostanti ed il 9 agosto pone l'assedio alla città. In un primo tempo Renzo da Ceri con le sue truppe lo assale alle spalle e la sua mossa disorienta i milanesi; ma poi le sorti della battaglia volgono in favore di questi ultimi ed i veneti vengono estromessi dalla città, che ancora una volta si ritrova in balia degli spagnoli.

In data 11 agosto Antonio de Leyva, capitano generale dell'esercito spagnolo e Aloisio Icart, governatore di Brescia, scrivono da Orzinuovi al comune ed ai deputati di Bergamo: ...Havemo inteso questa novità fatta in questa cità et siamo certi che la causa di essa novità non è stà fatta gente, ma da alchuni tristi particulari. Chiedono quindi di mandare doi o tri homeni vostri da noi, aciò possiamo piliar qualche bono appostamento per lo beneficio vostro. Et questo acciò cognoscati la bona voluntà che sempre vi havemo tenuta et tenimo, che certo non recerchamo procurare altro che quello sia la utilità, honor et beneficio vostro et nostro... [BER, 2, 21r].

Dopo aver discusso la lettera ed avvisato il provveditore veneto, la città elegge ambasciatori che si rechino l'indomani presto dal de Leyva e dall'Icart, con l'icarico che risulta dalle loro lettere di commissione del 13 agosto [ibidem]:

Quantumque il clar.mo provedidor de signori Venitiani habe questa cità in suo dominio, nondimancho desiderando in spetie saper quello ne richiedono gli ill.mi signori Gubernator de Bressa et signor Antonio da Leva per lettere di Sue Signorie scripte adì XI dell'instante presentate per uno suo trombetta, commettemo a voi magnifici domini Francisco Albano, cavaler, Antonio da Lulmo, Paolo Zancho et Oliverio di Avosti, doctori, che subito andar debbiate da le Signorie Sue per intender il loro voler. Il che inteso, subito ritornerete, aciò possiamo far cosa grata a p refate Sue Signorie et a noi utile et honorevole. In quorum fidem, etc.

Il 15 agosto dalla Cappella di Bergamo il da Mosto informa di nuovo Venezia che ha tentato di difendere la città da 6000 brianzoli venuti per prenderla, ma che si è dovuto ritirare di nuovo nella fortezza con 40 fanti. Un soldato trevisano che ha recapitato la lettera del provveditore racconta a sua volta dell’incursione milanese su Bergamo; che il da Mosto aveva chiesto aiuto all’Orsini a Crema e costui gli aveva inviato soccorsi di fanteria e cavalleria; che i bergamaschi non erano stati avvertiti del loro arrivo, perché il messaggero che portava la notizia era stato catturato dal milanesi; che costoro erano allora entrati per il borgo di sant’Antonio e si era accesa una mischia, da cui i veneti erano usciti sconfitti [SAN, XVI, 653 e 654]. A seguito di tutto questo, considerata l'indifendibilità della città, di nuovo il da Mosto si era rifugiato nella Cappella, dando libertà ai cittadini di decidere sul loro futuro. Gli oratori eletti dai cittadini partono per Brescia e riescono ad ottenere dagli spagnoli che Bergamo non venga saccheggiata. Il capitano spagnolo Matteo Granata ne prende possesso.

Poco dopo, il 20 agosto, il Ripadaneira ed il de Spug, liberati da Crema, fanno ritorno in città. Il seguito della vicenda è così narrato dal Beretta [BER, 2, 21v]: Die XXVIII augusti 1513 in templo sanctæ Mariæ maioris Bergomi. Essendo nel sopraditto loco convocato et congregato grande numero di popolo de la città, citato prima cadauno a la habitatione sua per parte de li ill.mi signor Gubernator de Bressa et signor Gubernator de Bergamo et de li mag.ci Deputati et al governo di essa città, li preditti signori Gubernatori et Deputati fanno intendere a tutti quanto al presente accadeva circa le occorrentie di la cità et maxime ch'el si volesse far bona provisione de spetabili Deputati al governo di la mag.ca Comunità, perché li deputati presenti recusano de voler più haver tal officio et cargo, dicendo loro hormai haver fatto più che la parte sua; et pertanto ch'el si facesse nova provisione, perché loro deliberavano di non torre più questa tanta impresa. Et sopra ciò dette molte et diverse cose, tandem viva voce, niuno contradicendo, a tutti piacque che li detti mag.ci Deputati presenti remanessero in ditto offitio et si confermasseno; et così novamente furono confirmati et approbati come homeni de integrità et sufficientia a tal offitio accomodati et experti cum ogni plena authorità et libertà di far tutte quelle cose che potesse far tutta la cità. Volendo et ratificando tutto quello venerà esser fatto per loro esser valido et fermo come s'el fosse fatto per la università di la preditta cità; et in tutto et per tutto come nella elletione altra volta de loro fatta se contene, quale confirmano et validano secondo che giace, ogni exceptione et contradictione remossa. Et de le preditte cose al dì et loco predetti noi Martino di Ficieni et Francisco Bellafino cancelleri di la mag.ca Comunità preditta fussemo rogati. Ali quali preditto illustre Gubernator de Bressa comandò che dovessimo haver per notati li spett.li XXV deputati preditti, li quali Sue Signorie, viste tutte le altre elettioni et il tutto ben considerato, approbano, confirmano et di novo elizzeno.

Tutto questo ha l'aspetto di una resa totale, certamente dovuta a cause di forza maggiore. Ma, ciò nonostante, la comunità bergamasca tenta ad ogni costo di difendere il suo onore. Ed il 13 settembre il Consiglio incarica due oratori, Oliverio Agosti e Cristoforo da Romano, di difendere la città contro certi sindaci di val Seriana inferiore che l'avevano diffamata presso l'Icart: Ite m, omnibus suffragiis captum fuit conscientia sive qærela nomine comunis contra sindicos Vallis Serianæ inferioris pro verbis falso contra magnificam Comunitatem obiectis coram ill.mo Gubernatore Brixiæ de rebellione, videlicet, quod civitas Bergomi evocaverat superioribus diebus milites ill.mi Icartii et quod fecerat deditionem. Et super hoc omnia possibilia fiant pro honore civitatis [BER, 2, 22r]. Questa difesa durò otto giorni e costò alla comunità 50 lire.

Riferisce alla Signoria il da Mosto dalla Cappella il 6 settembre di essere sempre assediato dagli spagnoli, che talvolta vengono fin sotto le mura a scaramuzar con i suoi uomini. Dice anche cose spiacevoli circa il comportamento di Carlo Miani, che si trova con lui e che fa danni grandissimi a amici et nimici e merita grandissima punitione [SAN, XVII, 49]. Il completo ritiro delle truppe venete si conclude l’8 ottobre con la resa della Cappella da parte di Bartolomeo da Mosto che lascia per Venezia, dove il 13 ottobre compare davanti al Consiglio dei Dieci per riferire. E narra che gli spagnoli avevano minato le fondamenta del colle dove stava la Cappella, minacciando di farlo saltare se entro quattro giorni non si fosse arreso a discrezione, cosa che egli aveva fatto nell’impossibilità di avere soccorsi e di resistere [SAN, XVII, 194]. Sostanzialmente simile la relazione di Carlo Miani del 16 ottobre, il quale si dichiara sempre pronto a servire la Signoria. Sorvolando sulle accuse del da Mosto nei suoi confronti dice icasticamente il Sanudo [SAN, XVII, 206]: … il Principe comesse a li savii vedesseno.

Si deve notare a questo punto che, dal momento della resa della Cappella e per molti mesi nessuna informazione giunge apparentemente a Venezia circa la situazione di Bergamo: infatti il Sanudo nulla riporta in proposit o. E’ quindi necessario ricostruire le vicende bergamasche soltanto in base alla documentazione conservata localmente. Dopo la sconfitta di Schio (7 ottobre 1513) Bergamo - ma con il capoluogo anche l'intero territorio - si trova ad attraversare un periodo molto difficile, sottoposta com'è ad un'amministrazione militare: le taglie, le spese per l'alloggio dei soldati, le violenze della truppa d'occupazione, il riaccendersi delle rivalità tra le fazioni cittadine, creano condizioni economiche e di convivenza molto precarie. Lo stillicidio delle nuove taglie obbliga la città a ricorrere a prestiti con i privati. Sul piano sanitario, la situazione non è migliore perché la peste miete vittime.

Nel tentativo di alleviare le miserevoli condizioni in cui sono costretti a vivere, i cittadini decidono di mandare ambascerie al viceré perché restituisca loro i tradizionali privilegi, ed allevii un poco la gravezza del suo regime. Già il 20 ottobre 1513 il Consiglio di Bergamo nomina ambasciatori da inviare a Brescia presso il viceré, e nel novembre essi intraprendono la loro missione per ottenere da lui certi capitoli, il cui testo ci è pervenuto [R.99.23, 57v].

Il Beretta [BER, 2, 23r; ma vedi anche in Reg. Duc. A, 180v] così narra questa vicenda: ...nota quod cum de mense novembris 1513 sp. dominus Oliverius de Augustis una cum rev.do domino Hieronymo de Tertio ordinis Minorum et d. comite Coriolano de Brembate, oratores mag.ce Comunitatis, ivissent Brixiam et inde se conferrent ad ill.mum dominium, Comes de Cariate et Gubernator Brixiæ imposuerunt prædictis mag.cis d.nis oratoribus ne ultra irent, sed domum reverterent, et quando esset tempus eundi ad prefatum dominum Viceregem admonerent civitatem et porrigerent libenti animo omnem favorem et auxilium pro ipsis capitulis impetrandis. Ita que prefati domini oratores domum redierunt et postmodum cum de mense decembris esset in hac civitate, predictus ill.mus Comes, Dominationi Suæ porrecta fuerunt ipsa capitula in domo mag.ci David de Brembate in qua hospitabatur. Quibus capitulis respondit ut in eis, et tamen ea confirmare noluit, sed reservavit confirmationem eorum ill.mo Viceregi et pollicitus est se daturum omnem operam ut ab ill.ma Sua Dominatione confirmarentur; et propterea hac de causa fuit transmissus ad prefatum ill.mum Viceregem d. Oliverius de Augustis orator, qui rediit nulla habita confirmatione...

Importante è anche una lettera dello Spinelli del 5 novembre 1513 da Brescia e pubblicate a Bergamo dal Ripadaneira il successivo 8 novembre, contenente disposizioni circa il trattamento dei militari spagnoli di stanza sul territorio [ibidem; anche in R.99.23, 93r e segg.]:

Perché lo ill.mo signor Vicerè have hordinato che in tutto lo bergamascho cessano li alloggiamenti, et non vole che capitanio, homo d'arme, cavallegero né infante allogi in bergamascho né li contadini siano obligati darge cosa alchuna né stantia né feno né altro se non per lo iusto pretio; per questo ordino et comando de parte de Sua ill.ma Signoria a tutti offitiali, capitanei de gente d'arme o de infanteria o li homini d'arme, cavalli legeri, infanti, comissarii et altri qual se voglia persone de lo exercito del Re nostro Signore che de qua et davante non debbiano constringere li populi et contadini del bergamascho et Bergomo a darli stantia né cosa alchuna se non per lo pretio iusto, sotto pena de la desgratia de sua ill.ma Signoria et altra reservata a suo arbitrio. Et alle università, consoli et contadini sia licito resistere a chi li volesse far violentia et allogiare et levare le cose sue, reservando solamente quelli havessono per lo advenire commissione de sua ill.ma Signoria o del signor Gubernatore de alogiare et ad quelli si ha da dare stantia et strame gratis tantum, et le altre cose ne lo iusto. Queste disposizioni appaiono profondamente innovative della situazione fino allora vigente, e sono volte a sgravare i sudditi di parte del peso degli alloggiamenti per i soldati. Non è chiaro tuttavia come i cittadini bergamaschi inermi avrebbero potuto resistere alle richieste dei militari armati.

Allo stesso tempo, o poco dopo [14 dicembre 1513, R.99.23, 93r e segg.; anche in BER, 2, 23v], lo Spinelli prescrive il numero ed i doveri degli ufficiali di governo e di polizia di stanza a Bergamo:

In Bergomo haveno da restar li seguenti, videlicet,
Lo mag.co Gubernatore, et non bisogna Podestà,
(e questa appare come una vera innovazione sul piano delle istituzioni e dell’amministrazione) Lo Tesorero o Camerlengo, lo Vicario, lo Iudice de Malefitii, lo Iudice de Rason, lo Notaro de la Camera, lo Cancelero, uno Comestabile, uno Cavaliere, uno Agozino che sia etiam Cavaleri, uno Capo de XIIII cavalli che è mastro Marco de Calabria per la guardia del paese, sette Comestabili alle porte de la città de Bergamo et del Borgo cum doi fanti per uno, sei Alabardieri del Governator. Per ciascuno di questi ufficiali vengono emanate disposizioni precise circa i doveri dei rispettivi uffici.

Il 18 dicembre 1513 [R.99.23, 93r e segg.] seguono ordini dettagliati al governatore ed al capitano circa il modo di esigere il taglione. Secondo le istruzioni, i contributi relativi saranno esatti soltanto dalle persone in grado di pagare e non da quelle povere, miserabile et impotente. A tal fine, per ogni contrada saranno designati degli incaricati, personalmente responsabili delle somme non riscosse nel termine di quattro giorni. Nel caso in cui qualche uomo potente del distretto si rifiutasse di pagare, il capitano lo farà pignorare, sia per il capitale sia per le pene, in modo che siano castigo ad essi et exempio ali altri. Le valli saranno ammonite per iscritto a pagare entro quattro giorni, scaduto il qual termine saranno parimenti pignorate. Tutte le somme dovute dovranno essere riscosse entro dieci giorni, o al massimo entro la fine di dicembre. Martinengo è sospesa dai pagamenti, tranne 100 ducati da versare entro lo stesso termine. Le terre sachezate e disfate pagheranno 400 scudi e non dovranno essere saccheggiate del tutto. Se le valli saranno condannate a contribuire per i danni del piano, bisognerà tener conto dei bisogni della Camera e delle stesse valli.

Sempre al 18 dicembre 1513, infine, il conte di Cariate detta ordini in merito a quello se deve fare per la guardia et conservation de la cità et borgi di Bergamo da parte del governatore in un documento molto dettagliato. In sunto, egli dovrà far pubblicare proclami per la vigilanza, custodia e riparazione delle mura; proibire i contatti tra città e territorio di Crema e suoi abitanti; denunciare e catturare eventuali spie; prendere in nota, equipaggiare e tenere alle armi 200 uomini per borgo e 300 per la città, a difesa del territorio; deputare ufficiali per il comando di questi uomini; rimpiazzare eventuali coscritti che si dovessero assentare; nominare ufficiali di collegamento tra il governatore e questi coscritti. Viene lasciato un certo margine di discrezionalità al governatore per le difese ma, allo stesso tempo, si avvertono i deputati della città a non contravenire et essere vigillanti; e quando seguisse alcuno inconveniente ala cità o ad alcuno citadino o che Marcheschi ocupassero la cità [..] saria necessario fare inquisitione et processi de le cose vegie et nove. Se necessario, i deputati potranno richiedere l'invio di 2 00 fanti spagnoli. Quanto alle vallate, essa saranno mantenute accessibili perché possano inviare, al bisogno 500 o 1000 uomini [R.99.23, 95v; anche in BER, 2, 26r].

Di grande interesse per comprendere la natura delle rivendicazioni della città nei confronti del regime spagnolo appare il testo di alcuni capitoli (su un totale di 22) che la comunità di Bergamo intendeva impetrare [Reg. Duc. A, 180v] e le risposte date dal conte di Cariate in occasione della sua visita a Bergamo del dicembre. Alla città che chiede la conferma di tutti i precedenti privilegi, statuti, prerogative e concessioni (cap. I) lo Spinelli risponde che farà di tutto per aiutarla. Bergamo domanda che tutto il territorio le sia soggetto in civile e criminale (cap. II) e che gli uffici, benefici e giurisdizioni siano affidati a cittadini sotto la responsabilità del Consiglio (cap. III): il conte dichiara che si conserveranno le usanze in essere nei dieci anni precedenti. La città chiede ancora che nessuna parte del territorio (montagne o piano) possa essere infeudata o separata a qualsiasi altro titolo ma l'intero distretto le sia sottoposto (cap. IV); che le podestarie e giurisdizioni di val Seriana superiore, Martinengo e Romano con le loro pertinenze (le quali tutte erano in passato gestite da Bergamo, ma da qualche tempo occupate da veneziani) le siano restituite (cap. VI); e che nessuno possa ottenere privilegi per le podestarie in parola che siano contrari alle concessioni fatte alla città (cap. VII): il conte si impegna ad interporre i suoi buoni uffici a questi fini presso l'imperatore. Concessioni importanti riguardano anche le risoluzioni del Consiglio maggiore, che non debbano essere ratificate da altri per essere valide (cap. XI); la competenza del podestà bergamasco negli appelli delle sentenze (cap. XIII); ed il ritorno alla giurisdizione di Bergamo dei territori già appartenuti a Bartolomeo Colleoni (cap. XVI): per tutte queste richieste la risposta è positiva, con riserva di approvazione del governatore. Dall'intero contesto appare che Bergamo intende ottenere ad ogni costo e soprattutto, forse più che non degli sconti di denaro, il controllo del territorio.

Nel mese di dicembre 1513 e nel gennaio successivo si susseguono nel Consiglio elezioni di ambasciatori presso il viceré per impetrare l'approvazione di questi capitoli [Az 12, 183 r e v, 187v, 189r]. Le difficoltà che città e territorio attraversano in questa fase sono aggravate da due circostanze. La prima, che spesso le decisioni su materie anche di scarso interesse vengono prese a Brescia ed inviate a Bergamo per esecuzione. Così succede, per esempio, alla data del 21 dicembre 1513, quando lo Spinelli scrive ad ufficiali bergamaschi trasmettendo ordini in nome dell'Icart su certe elemosine da distribuire in città [R.99.23, 59r]. L'altra circostanza è che il dominio spagnolo mantiene uno strettissimo controllo sul Consiglio della città: per esempio, il 5 gennaio 1514 il governatore Ripadaneira, dovendosi recare a Martinengo, comanda ai deputati bergamaschi che, per quanto hanno a caro la grazia della cesarea Maestà, si astengano dallo spedire ambasciatori all'imperatore o dal comminare condanne di sorta, se non alla presenza del suo vicario [R.99.23, 60v]. Sempre al governatore di Brescia si devono rivolgere i bergamaschi per lamentarsi di certe autorizzazioni a sequestri che costui ha ordinato nel confronti di persone abitanti a Bergamo, contro gli statuti cittadini e l'interesse di Bergamo, poiché tali sequestri si fanno senza citare le parti. E l'Icart annulla le autorizzazioni, eccettuando tuttavia le cause del sale [11 agosto 1514; R.99.23, 60v].

Ancora al 10 gennaio 1514 l'approvazione dei privilegi richiesti non è avv enuta [Az 12, 194r]. Il 30 gennaio il governatore Ripadaneira, sconfessando tutte le decisioni del Consiglio alle quali non ha partecipato, richiede copia dei capitoli inviati per approvazione al viceré. Il mandato viene letto dal Cancelliere Francesco Bellafino nel corso del consiglio del 3 febbraio. Così intima il governatore ai bergamaschi [BER, 2, 24v]:

...Volendo noi per quanto pertene allo officio nostro conservar gli honori et iurisditioni di la Cesarea Maestà ad quieto et bene universale di questa cità, per tenor dil presente mandato nostro comandemo a voi spettabili citadini al presente deputati al guberno di essa cità - et sotto pena di ducati mille d'oro da esser tolti per cadauno di voi che sarà inobediente ad questo nostro mandato et da esser applicati alla phiscal camera nello arbitrio nostro - nello advenire non dobbiate congregarve per far conseglio di sorte alcuna senza nostra saputa et special licentia; né mandar ad alchuno loco ambassiatori né messi di qualunque sorte per nome de ditta cità, senza nostro consentimento expresso; et de tutte le deliberatione et atti fatti nelli dicti vostri consegli al tempo dela absentia nostra et delli capituli mandati alo ill.mo signor Viceré subito ne facciate haver copia authentica, adciò quanto ad noi sarà expediente et rasonevole possiamo ordinare et deliberare. Comandando a voi cancelleri d'essa cità che dobiate il presente nostro mandato intimar ad ciaschaduno de essi deputati et delle relationi della intimation farne nota aciò alchuno non possa del presente mandato pretender ignorantia....

Contemporaneamente tuttavia l'Icart scrive ai deputati bergamaschi [BER, 2, 25v] di non lasciarsi impressionare dalle minacce del Ripadaneira; ed allo stesso tempo indirizza anche a quest'ultimo un'altra lettera, di cui non si conosce il testo, forse di rampogna, dal momento che il Ripadaneira rifiuta di darne copia alla comunità di Bergamo. Nei confronti dei deputati della città l'Icart così si esprime: ...Io ho provisto et scrivo la alligata al mag.co signor Gubernator per la qual non vi donerà molestia circa tal causa, et quando pure volesse, procurerò no ce la donati et non cerchati d'altro. Solum me avisate che ne farò un altra provisione per questo; né occorre altro. Solum me offero al comando et piacer de questa magnifica Comunità, et guardare Vostre Signorie come desiate. Si tratta, con ogni evidenza, di scarichi di responsabilità o di doppi giochi da parte delle autorità spagnole nei confronti degli abitanti dei Bergamo.

Il 2 febbraio 1514 si discute nel Consiglio di Bergamo una lettera di Prospero Colonna, data a Soresina il 31 gennaio ed indirizzata al governatore bergamasco Ripadaneira. Subito si citano per l'indomani cittadini delle diverse vicinie per discutere sulle conseguenti provvisioni [BER, 2, 24r]:

Signor comendator,
questa sera martedì ultimo del presente ad hore 24 ho riceputo una litera dal Proveditore che sta in Crema per la quale me significha che per tutto venerdì primo che sarà 3 de februario habbia ad durar la tregua overo la suspensione de le arme. Perhò ne ho dato notitia a Vostra Magnificentia adciò possiati proveder che non siate molestati da mo avanti; et così ve exorto ad farlo. Dal canto mio se farà ogni opera possibile de proveder di modo che ad me ricerca; et anche ve exorto ad tenire modi che in questa terra non seguano inconvenienti de danni per tal causa.


Il 3 febbraio 1514 Oliverio Agosti, ambasc iatore di Bergamo presso il viceré ritorna dalla sua missione portando lettere per i deputati della città [R.99.23, 95r; anche in BER, 2, 24v] nelle quali il Cardona si giustifica di non avere approvato i privilegi richiesti Così recita il testo della lettera, data da Montagnana il 25 gennaio 1514:

Magnifici viri nobis charissimi,
haviamo inteso lo vostro ambasciator circa la expedition deli vostri capituli. Et perché la Maestà Cesarea è per venir in Italia prestissimo, non havemo voluto determinar cosa alcuna, parendone honesto et debito remettere le cose ala Maestà Sua. Et perhò haviamo voluto sopraseder fino ala venuta sua. Quando sarà in Italia noi andaremo ad basare la mano ad Sua Maestà et recomandaremo le cose de questa comunità ala Maestà Sua, et quando noy non andassemo, anderìa lo Conte de Cariate, al qual doneremo comissione che prochura le cose vostre. Et perhò ne conforto ad star de bona voglia perché veramente noy amamo questa magnifica cità et sempre faremo per essa il possibile. Interim, ve dicemo che usati liberamente li vostri offitii, i statuti et consuetudine iuxta solitum et consuetum. Et per la presente ordinamo al Gubernator general de Bressa et etiam al Gubernator de Bergamo che in questo non vi debbano innovare cosa alcuna; et più ve dicemo che sempre che vogliati mandare da la Cesarea Maestà per vostri bisogni et occurrentie, mandati liberamente ad vostro piacere.


In sostanza, sembra dire la lettera, nell'attesa dei privilegi richiesti, la città potrà continuare a fare uso dei suoi statuti, consuetudini ed uffici, con la diffida ai governatori di Brescia e Bergamo ad innovare alcunché rispetto ai diritti in essi contenuti.

Si conosce anche il testo di un’altra le ttera che i deputati bergamaschi indirizzano a Prospero Colonna, forse in risposta a quella precedentemente citata del condottiero papale, e che viene inviata per un messo dello stesso Consiglio [BER, 2, 28r]:

Ill.mo et exc. domino observandissimo,
ali proximi zorni gionse de qui il signor capitano Perutio cum la compagnia sua et senza vostra saputa, dove gran incommodo fu ad questa cità così al improvista provederli de allogiamenti. Pur sforzando le debile forze nostre, gli fu provisto, talmente che crediamo se potessino contentare. La fidutia habbiamo con la Sua Signoria et l'amor sapiamo porta ad questa cità ne suade et dà baldeza de … et ad sua correctione dirli che essendo al bisogno il stare in questa terra de dicti soldati non solum questi ma … di altri siamo pronti acceptar alegramente per la affection singular habiamo ala Cesarea Maestà Re catholico, in particular ala Signoria Vostra, quando veramente il star suo qui … ad quella non paresse necessario, la pregamo et suplicamo ge piaqui et se degni sublevare questa povera cità de questo cargo, quale certamente e da talgioni ed altri infini pessi è stà longo tempo tanto oppressa et exha… che meriteria che li sia concesso de potere un pocho respirar. Pur il tutto rimetiamo al sapientissimo iuditio et sapere di Vostra Signoria, qual in ogni sua deliberazione et … siamo pronti di bon animo...
.

Lo stato di confusione che regna nell'amministrazione spagnola di Bergamo è testimoniato da altre due lettere dell'Icart al Ripadaneira del 10 e 20 agosto 1514 [R.99.23, 61 r e v]. Nella prima l'Icart riferisce di gravi lamentele di certi oratori della città, dove vi sono troppe persone che comandano. Già in precedenza, ricorda il governatore di Brescia, il Ripadaneira era stato ammonito a non delegare le sue responsabilità, ma pa re che ora il tesoriere s'impicci di cose estranee alla Camera fiscale; che il castellano della Capella ordini alla città ed al territorio di consegnargli uomini e vettovaglie, senza passare attraverso il governatore; che il capitano Marco di Calabria esorbiti dai suoi doveri di militare; che gli alabardieri dello stesso Ripadaneira si facciano lecito di comandare ai cittadini, senza ubbidire ai loro ufficiali. Pertanto, ingiunge l'Icart, ognuno facia lo offitio suo et lo guberno di la cità non vada per altre mano che per le vostre, et a tutto, Signor, doveti ben advertir, como più volte vi ho ditto et anche per littere scripto. Fatti questi rimproveri, l'Icart comanda di prendere provvedimenti contro coloro che estorcono denari o beni ai bergamaschi, o riscuotono denari per conto della comunità senza espressa autorizzazione. Nella seconda lettera, spedita al Ripadaneira poche settimane prima della sua morte, l'Icart prende le difese della città contro innovazioni introdotte in tema di forniture ai militari della Cappella e comanda che, prima di costringere i bergamaschi ad alcunché, si parli con i loro deputati per chiarirne gli orientamenti e la volontà.

Si conosce dell’8 agosto 1514 un lungo documento [BER, 2, 29r] in cui si specificano molto dettagliatamente le Rasone et cause per le quale la fera non se debe fare. Ragioni che hanno a che fare con il rischio eccessivo di contagio che la celebrazione della fiera avrebbe potuto arrecare alla salute pubblica. Il Consiglio decide infatti pochi giorni dopo che la fiera debba essere sospesa, pagando ai daziari il mancato lucro.

Tra le vittime della peste che continua a serpeggiare in città, vi è anche lo stesso Governatore spagnolo Ripadaneira, il quale muore il 10 settembre 1514. Gli succede (15 settembre) [R.99.23, 62r] Alvaro Guzman. Il 20 set tembre successivo alla presenza dei Deputati della città, delle vicinie, delle valli e della pianura (escluse Romano, Martinengo e Lovere) il difensore del comune di Bergamo comunica che il viceré ed il governatore di Brescia hanno chiesto una taglia all'intero territorio [Az 13, 17r]. Nel seguito del Libro delle Azioni vi sono numerose discussioni per il pagamento di questa taglia. Si tratta di una somma di 5658 scudi da pagare entro la fine di settembre e 6708 per ottobre. La città assume a prestito da privati le somme necessarie.

In relazione al pagamento di queste somme vi sono alcuni appunti di difficile datazione, ma presumibilmente del 24 settembre 1514 [Lett. 9.3.1. # 766]. Essi riguardano la minuta di una seduta del maggior Consiglio nel corso del quale si propone che Francesco Girardello mittatur Brixiam nomine comunitatis Bergomi, ad ill.mum d. Gubernatorem Brixie et Bergomi et ad alia officia, secundum commissionem sibi fiendam, causa precepti seu terminationis vel citationis facte contra cives XXII inferius descriptos per mag. d. ...., seu prout in ipso mandato et ordinationes seu terminationes inferius registratas continetur. La proposta è approvata 25 a 3. Segue un testo: Mag.ci Deputati, quello che per ordine delo ill.mo signor Vicerè haveti de imprestar a sua ill.ma Signoria, come altra ve have dato, et è a questo modo, che li diti mesi de septembrio et ottobrio chi montano in tutto cinqui milia secento et cinquanta otto scuti et marcelli quatro, videlicet, scuti 5658, marzelli 4, che haveti a dar in fine di questo mese de settembrio. Li mesi de novembrio et decembrio, che montano sei milia settecento otto, marcelli quatro, li haveti a dar in fin del mese de ottobrio, et vi sarà consignata tanta altra suma in poter de li denari come venir (?) la rata de mese in mese. Et in questo non havete de manchar de piliar subito la resoluti one, per quanto comple et servicio dela christianissima Maestà e del ill.mo signor Vicerè. Et non volendo far subito questo, ve exorto et comando da parte delo ill.mo signor Vicerè che in zorni quatro faciati si apresentano li infrascritti notati et nominati, sotto pena de rebelione, davanti a sua ill.ma Signoria. Et di questo subito fateli intimar ad essi tuti particolarmente aut per publico bando. Seguono 32 (non 22) nomi ed un atto di citazione.

Per quanto riguarda l'attività militare, verso la fine del 1514, l'esercito veneto, che si era mantenuto di là dall'Adige, comincia ad avanzare, costringendo Raimondo di Cardona ad abbandonare la pianura veneta. L'Orsini stesso da Crema passa ad imprese più audaci e intorno alla fine di settembre, con l’aiuto di alcuni bergamaschi di fede marchesca [SAN, XIX, 82], medita di ritornare a Bergamo e ne fa partecipe la Signoria [SAN, XIX, 98]. Il 20 ottobre si diffonde a Venezia la notizia come nostri haveano auto Bergamo … si havea che Mafio Cagnolin era partito con 1500 fanti di Crema, et andato verso Bergamo; siché de facile potrà esser intrà in Bergamo [SAN, XIX, 144]. Notizie più precise arrivano a Venezia con una lettera di Bartolomeo Contarini da Crema datata 14 ottobre [SAN, XIX, 145]:…havendo il signor capitano (cioè Renzo da Ceri) terminato tuor Bergamo, havia mandà il Cagnolin con 500 cavali et 500 fanti in gropa, con hordine, 150 spagnoli che andavano per intrar in Bergam,o dovessero, auto la terra, 300 di loro venir a trovarli; ma nostri ne l’andar li trovono in certa villa chiamata…et li amazono, e andati a Bergamo, ebbeno a la porta certa resistentia da li spagnoli, pur a la fine introno dentro li nostri, e il commissario spagnol con alcuni fanti scampono in la Capella. Et perché a la porta era roto, adeo cavali non poteno intrar dentro, però per quella note alozono di fuora, e il dì seguente li manderia il capitano 1000 altri fanti; siché vol tenir quella terra et aver la Capella. Li fanti nostri fono dentro et ivi alozono et introno per la porta chiamata… con qualche intelligentia di quelli di la terra…Mentre il presidio spagnolo si chiude nella rocca, la città è presidiata da 2000 fanti e 400 cavalli di Bartolomeo di Villa Chiara, perché l’Orsini è determinato a tenerla [SAN, XIX, 171]. Il capitano delle fanterie medita (24-28 ottobre) di ispezionare la città [SAN, XIX, 184], dove di fatto si reca tra il 29 e 30. Ed infatti il 1° novembre egli scrive a Venezia proprio da Bergamo e manda le seguenti notizie [SAN, XIX, 214]: che egli dispone di 3000 fanti, che spera di accrescere presto a 5000; che sta fortificando la città con l’aiuto di 4000 guastatori, con l’intento di costruire due bastioni e scavare un fosso, con cui ritiene di poter difendere la città per l’inverno; che ha trovato denari in luogo ed altri spera di ottenerne, fino a diecimila ducati, con cui comprare gli spagnoli; che il castellano spagnolo della Cappella è morto di peste e la fortezza è nelle mani del governatore di Bergamo, ma soffre tuttavia di carestia di farine e di vino; che Bergamo ha bisogno di qualcuno che la governi e che egli è più che mai determinato a tenerla.

Il viceré Cardona, intanto, aveva raccolto milizie proprie e rinforzi viscontei. Il 22 ottobre egli muove da Lendinara dove era accampato, e per la via di Brescia e Chiari arriva fino a Bergamo, dove vi sono scontri con truppe di cavalleria leggera dell’Orsini intorno all’inizio di novembre [SAN, XIX, 245, 247]. Spie provenienti dal campo spagnolo informano che il viceré si era congiunto con Prospero Colonna ed insieme erano andati ad alloggiare nei borghi di Bergamo, avendo raccolto 3000 persone a piedi ed a cavallo. L’artiglieria spagnola bombarda la città, nella quale sta rinchiuso l’Orsini con 4000 o 5000 fanti al soldo ed altri homeni da fati delle vallate e del circondario, fino al numero di diecimila. Vi sono schermaglie il giorno 11 fuori della città, nelle quali i veneti sembrano prevalere. Il capitano delle fanterie si difende bene ed il capitano generale lo incoraggia a resistere promettendogli un soccorso di cavalli leggeri con cui infestar i nemici, anzi, medita addirittura di venirgli in aiuto con tutto l’esercito. Il morale dgli assediati è alto ed anche Venezia li incoraggia [SAN, XIX, 255-258]. Un ragazzo uscito da Bergamo il 13 novembre riferisce che l’Orsini ha invitato il vicerè ad entrare in città e conquistarla, invece che bombardarla. Ed avendogli il viceré risposto di consegnare le chiavi, allora l’Orsini ha messo una chiave su una lancia e l’ha issata sulle mura, sfidando i nemici a venirla a prendere. Non solo, ma sotto i bombardamenti gli assediati erano su le mura sonando una piva [ibidem, 259]. Il grande coraggio dell’Orsini in questa occasione viene favorevolmente commentato, sia a Venezia che dai nemici. Una relazione dettagliata della vicenda dell’assedio di Bergamo sta in una lettera di Ludovico di Cozalli scritta dal campo veneto in Lignago il 13 novembre [SAN, XIX, 263]. Ma altre due lettere a Venezia da parte del capitano generale e del provveditore generale Contarini scrivono come… Mercore (15 novembre) spagnoli haveano auto Bergamo, et che, fato la bataja, el signor Renzo vene a parlamento con il viceré e con il signor Prospero Colona, et conclusero darli la terra salvo lui e li soldati, i quali il Zuoba (16 novembre) erano ussiti fuora e aviati verso Crema; et che era stà leto taia per il viceré a Bergamo ducati 50 mila [SAN, XIX, 265]. Commenta il Sanudo [ibidem]: Et tutta la terra (Venezia) fo piena di questa nova cativa, et ognun diceva la sua, desiderando il signor Renzo e le zente siano salve; chi dicea bergamaschi si hanno voluto dar, e il signor Renzo visto questo ha patuito prima; chi si doleva de li ducati 50 mila, che mantegnirà spagnoli in campo; chi voria il campo nostro che è a Lignago fosse in loco securo a Padoa e non star a Lignago in pericolo: e cussì se feva vari discorsi. Il Sanudo fornisce anche un regesto dei capitoli della resa di Bergamo firmati dal Cardona il 15 novembre 1514 [SAN, XIX, 294].

Ma la conferma della caduta della città lombarda tarda un poco ad arrivare a Venezia. Il 20 novembre i Savi, in considerazione dell’importanza strategica di questo evento, nonché di un nuovo rapporto secondo il quale il campo spagnolo si stava pericolosamente avvicinando a quello veneto, preparano un ordine al capitano generale: Et come questa nuova di Bergamo è de importantia, et semo certi soa excellentia averà a mente la conservation di quel esercito, ch’è la pupilla dil Stato nostro, et saria bon salvarsi verso Padoa aziò i nimici non venissero, et maxime acresendoli le forze di le zente erano in Lombardia…[SAN, XIX, 270]. Soltanto verso la fine della giornata, lettere a Venezia dell’Orsini da Caravaggio forniscono una relazione sui fatti di Bergamo. Dopo aver rafforzato Crema, dove si sta recando, il capitano delle fanterie annuncia che intende venire alla presenza della Signoria [ibidem, 271].

Obbedendo all’ordine di Venezia, l’esercito si sposta effettivamente a Bassanello, nei pressi di Padova, tra il 20 ed il 22 novembre, ma non viene fatto entrare in città. Venezia si congratula con il capitano generale Bartolomeo d’Alviano per aver posto in salvo le truppe [SAN, XIX, 280]. Il 25 del mese viene annunciato l’arrivo del capitano delle fanterie Renzo Orsini a Chioggia, accompagnato da 130 uomini d’arme, 300 cavalli leggeri e 500 fanti. La Signoria stabilisce che egli venga accolto da eroe, anche se qualcuno avanza qualche sospetto sulla presenza di questi so ldati [SAN, XIX, 284] nei pressi della capitale: essi erano tuttavia soltanto parte delle sue truppe, avendo lasciato a Crema, dove intendeva ritornare, altri fanti al comando di uomini fidati [SAN, XIX, 285]. Il 28 ed il 29 novembre l’Orsini viene accolto a Venezia ed il Sanudo si diffonde a descrivere gli onori che gli vengono tributati. Non mancano però alcuni screzi tra l’Orsini e l’Alviano, cui il primo rimprovera di aver ritardato l’invio di aiuti a Bergamo. Ma la Signoria si adopera per acquietarli [SAN, XIX, 313 e 314].

Avuta Bergamo, il Cardona ne prende possesso ed i bergamaschi lo supplicano di risparmiarli, offrendogli denaro e vettovaglie. Ma il vicerè chiede un sussidio di 7500 ducati ed impone nuove taglie anche al piano ed alle valli per pagare lanzichenecchi ed altre truppe. Bergamo deve porre all'incanto le proprietà dei luoghi pii. In questa occasione emergono grandi difficoltà nelle relazioni tra città e territorio - come al solito – a causa della ripartizione delle spese per i militari. Il Registro delle Ducali A [Reg. Duc. A, 186v] contiene diversi compartiti del novembre 1514 e gennaio 1515. Bergamo vorrebbe che queste spese fossero suddivise con le valli e la pianura in base all'estimo, e così supplica al Governatore di Brescia attraverso un suo ambasciatore [30 gennaio 1515; Az 13, 81r]. Ma il 15 febbraio 1515 Raimondo di Cardona ordina invece al governatore di Bergamo di suddividerle a metà tra il capoluogo ed il resto del distretto [Reg. Duc. A, 188v]: e Bergamo, riluttante, deve eseguire [23 febbraio 1515; Az 13, 92r], non rassegnandosi tuttavia alla suddivisione secondo un tale criterio. Essa desidererebbe continuare nel vecchio regime d'estimo su 50 carati del 1476 e riesce ad ottenere su questo punto il suo scopo con una terminazione dell'8 maggio 1515 [Reg. Duc. A, 189r]. Con questo documento il viceré: a. riconosce che la presenza delle tru ppe va a vantaggio di tutti ed ordina che le spese per la custodia della città siano suddivise secondo l'estimo veneto; b. ordina che, a partire dal 16 gennaio passato, tutti, esenti o no, indifferentemente concorrano a queste spese; c. decide che le mura del borgo di santa Caterina danneggiate dall'artiglieria vengano riparate con il contributo della città e del distretto. Un Compartito de la spesa per lo stipendio dei soldati posti a la custodia de la cità sopra el carattato universale de la cità, montagna e planitie, che è caratti 50, comenzando al giorno de la recuperatione de la cità, che fo adì 16 novembrio 1514, secondo l'ordine de lo ill.mo signor Viceré si trova in [R.99.23, 288r e segg.].

All'inizio del giugno 1515 vi è un avvicendamento nelle truppe che presidiano Bergamo: 300 alemanni che vi erano stati per più di sei mesi, dopo aver ricevuto un cospicuo regalo, lasciano la città e vengono rimpiazzati da 150 soldati spagnoli. In esecuzione delle decisioni prese, il governatore stabilisce che essi saranno mantenuti a spese della città, valli e pianura, secondo il rispettivo estimo [Az 13, 137r e 140r]. Il 12 giugno 1515 si fanno mandati ai luoghi delle valli e della pianura per comparire presso il governatore a prendere atto dei recenti ordini del governo spagnolo [Az 13, 144r]. E subito la pianura si organizza in sindacato per controbattere queste decisioni [3 luglio 1515; Az 13, 152r].

Sul piano generale, come si è ricordato, vi era stato intanto il rovesciamento delle alleanze, che culminerà nella battaglia di Marignano del 14 settembre 1515. Con il ritorno di Bergamo e del suo territorio a Venezia si ristabilisce il flusso di informazioni dalla periferia verso il centro dello stato: questa è la ragione per cui, a partire dal settembre 1515, all’incirca, riprendono le segnalazioni di notizie bergamasc he nei diari del Sanudo. Il 3 settembre Bartolomeo Contarini, capitano e provveditore a Crema segnala a Venezia che Bergamo se havia mandato ad oferir di darsi a la Signoria nostra; ma esso capitanio li havia risposto: non è il tempo e stagi cussì [SAN, XXI, 52]. Più tardi, tuttavia, lo stesso Contarini invia a Bergamo per far levar in quella terra le insegne di San Marco Maffeo Cagnolo Carrara [ibidem, 111]. Il Sanudo riporta anche relazioni sullo svolgimento della battaglia di Marignano [ibidem, 111 e 128].

All'approssimarsi delle truppe di Francesco I gli spagnoli abbandonano Bergamo, lasciandovi soltanto una piccola guarnigione chiusa nella Cappella. Le chiavi della città vengono date a Francesco Albani ed il Consiglio maggiore approva ordini per l'autogestione della comunità. Si nominano 12 cittadini al governo di Bergamo, che a loro volta eleggono 11 delegati alla difesa ed alle armi, un vicario, un giudice del Malefizio e vicari all'incanto dei dazi. In questo frangente, il Consiglio bergamasco si affretta ad assicurarsi il possesso del territorio, un obiettivo da sempre prioritario per la città. Il 7 settembre invia a Caprino Gerolamo Colleoni ed intima a Gandino il versamento dei dazi [Az 13, 175v]. Il 9 settembre elegge Francesco Albani all'ufficio di val Seriana inferiore [Az 13, 176v]. Alla metà di settembre 1515 anche Martinengo ritorna sotto Venezia, che vi invia come podestà Baldassare Minio [CAPRONI et al., 1992]. Appena informati della vittoria di Marignano, i bergamaschi inviano ambasciatori ai provveditori Contarini ed Emo, offrendosi al dominio Veneto. In data 16 settembre si segnala infatti dal campo da parte del provveditore generale Domenico Contarini che … sono venuti nunci de la Magnifica Comunità di Pergamo con letere a farne intender la terra esser de la Illustrissima Signor ia nostra, et ne prega a non li mandar né provedador, né soldati pro nunc [SAN, XXI, 129]. Una richiesta veramente strana, probabilmente motivata dal desiderio di evitare la presenza di militari in città.

Il governo militare veneto ignora l’istanza ed infatti, il 16 di settembre arriva a Bergamo Giorgio Vallaresso, che ne assume il possesso con Maffeo Cagnolo Carrara e circa 250 soldati. Dopo il suo insediamento, il 21 settembre, in una sua lettera a Venezia, il Vallaresso informa di esser giunto in città da Crema, mandato dai provveditori generali e di avere seco Maffeo Cagnolin con un certo numero fanti, che Bergamo tuttavia non vuole [SAN, XXI, 149].

Oltre a porre all’incanto alcuni dazi, il Vallaresso nomina anche vicari nel territorio, contro la volontà di Bergamo, che se ne lamenta presso i provveditori generali. Scrivono costoro da Belgioioso il 22 circa … il venir da lori di oratori di Bergamo, tra li quali domino Trusardo di Calepio, esponendo esser boni marcheschi, et voler la confermation di soi privilegi havevano per avanti con la Signoria nostra, instando soprattutto li vicariati, dolendosi che sier Zorzi Valaresso proveditor in Bergamo havia dato do vicariadi via, ch’è di la terra. Il che essi provveditori li acetono graziosamente, dicendo è da dimenticarsi ogni cossa, e li conossemo per fedelissimi, e hanno scrito al dito proveditor di Bergamo non innovi alcuna cossa di vicariati … [SAN, XXI, 151]. Infatti, in una lettera al Vallaresso del 22 settembre 1515 l’Emo ed il Contarini gli impongono l'osservanza dei diritti del capoluogo e la revoca dei vicari nominati [Reg. Duc. A, 190v; vedi anche Az 13, 185v]. Il 7 ottobre Bergamo invia lettere di congratulazione al dominio veneto per la vittoriosa soluzione della guerra e per chiedere la conferma di tutti i precedenti privilegi [Az 13, 185r]. Il Vallaresso tenta a più riprese di impadronirsi della Cappel la, com’egli stesso informa [SAN, XXI, 198]:… Come havia fato experientia di aver la Capella, e datoli una bataya con quella poca zente l’hà, intervenendo Mafio Cagnolin, è lì con alcuni fanti, e altri bergamaschi marcheschi; ma nulla potè far; siché volendo averla, bisogna mandarli qualche zente. I suoi tentativi di conquistare la Capella proseguirono ancora fino al 20 ottobre [SAN, XXI, 228 e 250].

Durante tutto lo scorcio del 1515 la difesa dei diritti della città prosegue con determinazione. In data 12 ottobre Bergamo invia oratori ai provveditori generali per difendere la giurisdizione della podestaria di Lovere, le cui vicende durante questo periodo sono trattate in dettaglio da SILINI [SILINI, 1993]. Si intima anche al giusdicente della val Brembana inferiore, che era stato nominato dal provveditore bergamasco di lasciare l'ufficio e di presentarsi in Consiglio per difendersi dall'opposizione che la stessa valle gli aveva fatto. Si scrivono lettere al Dominio contro coloro che avevano richiesto lettere ducali per farsi nominare a Gandino, Nembro e Caprino [23 novembre 1515; Az 13, 197v]. E si mandano a Clusone emissari per trattare quanto necessario per mantenere la giurisdizione della città su quella valle [Az 13, 198v].

Il provveditore Vallaresso viene abbastanza presto sostituito nella carica da Vittore Michiel (padre di Marcantonio, cui si deve la prima descrizione del territorio bergamasco riportata al capitolo 1), inviato da Venezia il 13 ottobre [SAN, XXI, 226] e giunto a Bergamo il 7 novembre [SAN, XXI, 277 e 331]. Il passaggio delle consegne tra i due provveditori avviene l’8 novembre. Nelle relazioni che il Michiel invia a Venezia vi sono molte notizie di interesse per Bergamo [SAN, XXI, 332]. Per esempio, l’8 novembre sulla nomina del Consiglio dei XII che era stata fatta dopo l’uscita degli spagnoli, allargando la rappresentatività ; della cittadinanza in senso, si direbbe oggi, più democratico: … a la qual eletion non solum concorsero li LXXII, come si soleva già far, ma li artefici anchora, non che li novi et mediocri cittadini a contrada per contrada, et per la illustrissima Signoria, furono confirmati donec fusse deliberato altro per lei; et erano sei de li privilegiati per la leze del 38 et sei de li novi non inclusi nel privilegio. Poi, sul presidio spagnolo della Capella ed i tentativi per conquistarla, sia mediante mine e cannoneggiamento, sia bloccando ogni aiuto agli assediati e trovando denaro per le paghe di coloro che stavano alla guardia. Altre notizie interessanti del 10 novembre riguardano il tentativo di recuperare i beni dei Secco, dei Suardi e dei Maldura. Costoro …haveano fatto quelle male operatione contra San Marco, et contra li cittadini di quella terra marcheschi, et erano stati autori et consiglieri di spagnoli; haveano dato taglie a tutti quelli cittadini, sì grandi come mediocri, in modo che haveano impoverito quella terra: per le qual operation si haveano contratto tanto odio, che se, consii de li lor mali, non si havesseno abstati, senza dubio, venuta la terra sotto San Marco, sariano stati tagliati a pezi. Et pubblicamente gli ofesi dicevano che se tornavano tolti a gratia da la Signoria, come essi predicavano sperar, senza rispeto alcuno li tageriano a pezi [SAN, XXI, 332]. Da tempo, tuttavia, i cittadini bergamaschi ribelli a Venezia e di fede ghibellina, avendo fiutato l’aria del cambiamento, si erano allontanati dalla città: i Suardi, per esempio, si erano rifugiati a Mantova fin dal maggio precedente [SAN, XX, 237].

Nonostante gli assalti, il 30 novembre la Cappella è ancora nelle mani degli spagnoli, i quali, approfittando di una disattenzione della guardia veneta, fuoriescono, assaltano gli alloggiamenti delle guardie e vi appiccano il fuoco. A stento si riesce a ricacciarli all’interno della fortezza [SAN, XXI, 334 ].

Gli accordi tra Venezia e Francia avrebbero previsto di dedicare un grosso sforzo comune alla ripresa di Brescia. Ma l'Alviano, dopo la rioccupazione di Bergamo, senza attendere l'arrivo delle truppe francesi, si era diretto alla volta di Brescia ed aveva iniziato l'assedio. L'artiglieria veneta aveva cominciato il bombardamento delle mura di Brescia il 12 ottobre 1515 e la fanteria aveva tentato anche un assalto, ma la difesa era stata efficace ed i veneti erano stati costretti a ripiegare ed a procedere nel frattempo all'occupazione del territorio. Dal campo veneto il provveditore generale Domenico Contarini scrive al provveditore e capitano di Bergamo per l'invio di 1000 guastatori, ai quali alcune valli contribuiscono inviando 600 uomini [21 novembre 1515; BALDI, Reg. A, 166v]. Il 22 novembre la Signoria chiede a Bergamo e territorio un prestito di 12 mila ducati come anticipo sui dazi, somma che non si riesce facilmente a raccogliere in un territorio già impoverito dalle taglie degli spagnoli, dalle scorrerie delle truppe dell’Orsini, dalle angherie dei guastatori e da altre ragioni ancora [SAN, XXI, 334]. Nonostante ciò, fino al 5 dicembre successivo, Bergamo ed il territorio, Lovere in particolare, fanno pervenire al campo 5600 ducati a conto di dazi ed altri 1600 a conto di prestito [SAN, XXI, 335]. Inoltre, verso la fine di novembre 1515 le valli inviano all’impresa di Brescia altri 200 guastatori ed il piano altri 100, i quali ultimi, tuttavia, dopo aver ricevuto la loro paga, fuggono. I valligiani restano per 15 giorni a spese delle loro comunità, meritandosi il plauso del provveditore Contarini che il 10 dicembre scrive al provveditore di Bergamo lodando la fede dei valligiani ed ordinando di perseguire i fuggitivi [BALDI, Somm. Gr., 315]. Si ha ancora notizia di altri invii di denaro al campo veneto da parte di Vittore Michiel da Bergamo, per 10 mila ducati, il 19 dicembre 1515 [SAN, XXI, 412] e 4 mila il 6 febbrai o 1516 [SAN, XXI, 505].

La cattiva stagione rallenta però le operazioni dell'assedio di Brescia. Occupata anche Cremona, rinforzi francesi vengono convogliati sulla città e di nuovo riprende il cannoneggiamento. Sorgono contrasti tra l'esercito veneto e quello francese circa la conduzione delle operazioni: a seguito di questi, si ritira per primo dall'assedio l'Emo (6 novembre 1515) e poi i francesi (16 novembre). Intanto a Bergamo, come riferisce Vittore Michiel il 17 gennaio, giunge Odetto di Caucens, che già era stato castellano della Cappella per 4 anni a nome dei francesi. Egli è accompagnato da 400 guasconi e sette pezzi di artiglieria tra cannoni, colubrine e mezze colubrine, e viene per riconquistare la fortezza che è sempre in possesso degli spagnoli. Egli si dà a preparare tutto il necessario, anche con l’aiuto di rifornimenti venuti da Crema [SAN, XXI, 461]. Prima di cominciare il piazzamento delle artiglierie il Caucens ed il Michiel chiedono al castellano spagnolo la resa, ma egli risponde … che l’havea quella fortezza per consegnata da la Maestà Cesarea, et che piuttosto el voleva morir che venir a mancho de la sua fede [SAN, XXI, 468]. Il 18 gennaio l’artiglieria viene sistemata [SAN, XXI, 473], ma il bombardamento cessa il 21 mattina, quando gli assediati segnalano al Caucens il loro desiderio di trattare una resa. Dopo gran parlamentare, gli spagnoli propongono alcuni patti, che vengono esaminati dal Michiel e dal Caucens e ridotti a nove capitoli (il Sanudo di fatto ne elenca sette). La resa ha luogo il 22 gennaio 1516 [SAN, XXI, 481].

Superati i dissapori tra veneti e francesi, finalmente, nei primi giorni di febbraio 1516, Venezia nomina come suo provveditore Andrea Gritti e Odetto de Foix assume il comando delle truppe francesi. Tra i primi atti del Gritti vi è la richiesta a Bergamo un prestito di 9.000 ducati: la città ne può raccogl iere soltanto 1.800, e Lovere provvede a pareggiare il conto [8 febbraio 1516; CALVI, I, 192], alienando ai privati beni comunali e ricevendone in cambio esenzioni fiscali.

Il Doge Leonardo Loredan, in una lettera a Vittore Michiel, podestà e provveditore di Bergamo dell'8 febbraio 1516 [Reg. estimi..., 90v] menziona lettere del Gritti secondo le quali, dovendosi fare contribuzioni di legna e strame per l'esercito veneto, si è creata una disparità d'opinione tra i cittadini di Bergamo e gli abitanti del territorio, rifiutandosi i cittadini di contribuire, cosa - dice il testo - veramente penitus aliena da ogni dover et expectation nostra. Il doge ricorda che la qualità dei tempi è tale che nessuno si dovrebbe sottrarre al suo dovere di provvedere alle necessità dell'esercito, al di là di privilegi ed esenzioni, ed impone al podestà di eseguire questa sua volontà. Nello stesso anno (ma in data non nota) l'intera valle Brembana si oppone alle spese di alloggiamento dei militari, ma il Gritti impone che le altre valli non suppliscano per quelle che si rifiutano [BALDI, Somm. Gr., 320].

Come si è menzionato, a partire dal marzo 1516 Massimiliano d'Austria opera la sua incursione in Italia. Di fronte al suo arrivo, l'esercito franco-veneto si ritira oltre l'Oglio, indeciso circa le future mosse dell'Imperatore. Intorno al 20 marzo, l’Imperatore con le sue truppe viene dato tra Pralboino e Cassano, dove intenderebbe passare l’Adda ed andare verso Milano: Sono in tutto de’ fanti, tra sguizari e lanzinech, todeschi et altri, numero … milia, e cavali 2000, et l’Imperador in persona, et lì era zonto fanti 3000 novamente alemanni. Et ch’el nostro campo si levava quel zorno per andar a Pizegaton per eser più pres to di loro i nimici di là di Ada, e andavano con gran vigoria. Il campo di Franza havia fanti 12 milia et il nostro 3000… [SAN, XXII, 64]. Alla stessa data del 20 marzo il provveditore Gritti ordina a Vittore Michiel, che presidia Bergamo di resistere alle truppe tedesche soltanto se riterrà di essere in condizione di difendersi, autorizzandolo, in caso contrario, a ritirarsi. Prendendo atto della sua inferiorità, il Michiel abbandona la città e si ritira in Crema (21 marzo). Il Beretta così narra gli avvenimenti successivi [BER, 2, 32r]: Hora sexta novembris diei veneris 21 maii (?) suprascripti 1516, veniente die sabbati 22 suprascripti. Tubicen Cesaree Maiestatis adventavit ad hanc villam et detulit litteras tenoris infrascripti; et convocatis nonnullis civibus super lobia nova et lectis litteris, responsum fuit per dictum tubicine quod difficile esset congregare populum, cui spectat dare responsum, attenta presentis noctis hora; et quod summo mane vocabitur populus et dabit responsum, sicuti per supradictum populum videbitur; et sic missus fuit dictus tubicen ad hospitium.

Il testo della lettera che il trombetta consegna a nome dell’Imperatore è il seguente: …Tenore præsentium ac etiam per tubicinem hunc nostrum earum latorem, requirimus Comunitatem et homines civitatis Bergomi quatenus statim et de continenti deditionem nobis facere velint, ac civitatem et se fidei nostræ comittere. Insuperque ad castra nostra victualia cuiuscumque generis mittere sub honesto pretio vendenda. Denunciantes præfatæ Comunitati et hominibus quod si se faciles ut convenit fidelibus et devotis Sacri Romani Imperii ad hanc deditionem faciendam exhibuerint, benigne et gratiose omnes tractabimus; quod si huic nostræ requisitioni parere distulerint aut neglexerint pro hostibus eos habebimus et ipsi a nobis penas expectare haben ab hoste ad hostem infligi solitas. Harum testimonio libera.. nostri sigilli munimine robo... Datum in castris nostris felicissimis apud Ludrianum, die XXI maii 1516, regni nostri XXXV.

Ed il giorno seguente [ibidem, 32v] die sabbati 22 maii 1516 in consilio.
Lectis et publicatis litteris suprascriptis, per d. Oliverium de Augustis dicta fuerunt verba hæc, vel similia: Magnifici zentilhomini et voi altri homeni da bene, havete inteso el tenore dele litere come sono stà lette; imperò ogniun dica el parer suo circa el far la deditione a la Cesarea Maestà; et quelli che non contradiranno se intenderanno assentir a dicta deditione.
Et dite queste parole, niuno fu che contradicesse, imo con segni et mutti contentorno a ditta dedizione. Et fatto questo, sopra la sala del conseio si redussero li deputati infrascripti
Lucas Brembatus, eques

comes Coriolanus Brembatus Ottolinus de Alzano
Oliverius de Augustis Baldassar de Bolis
Zinifortus de Agardis Paulus Benalius
Io.Petrus de Zoan de Iohannes Alexander de Tertio
Iacobus Selvagnus Andreas de Guarneris
Franciscus de Maffeis Io. Antonius de Borellis
Franciscus de Camartinono Antonius de Coleonibus
Io. Antonius de Cerosolis Io. Andreas de la Valle
In quo concilio ordinatum fuit quod vocaretur tubicen qui detulit literas Ser.mi Imperatoris; cui ita vocato sp.lis d. Oliverius dicit quod convocato populo alacri animo fuit facta deditio ipsius civitatis Cesareæ Maiestati. Quibus auditis, præfatus tubicen dixit civitas bene fecisse.
L’Imperatore non aveva evidentemente alcun dubbio sul fatto che la città si sarebbe data a lui. Prosegue infatti il testo narrando che il trombetta illic exhibuit literas Cesareæ Maiestatis tenoris infrascripti, videlicet,
Magnifici, spectabiles, prudentes fideles dilecti,
Intelleximus … relatione vos quam primum vobis licuit. abjecto riego
(?) hostili ad nos … et legitimum Principem et dominum reversos. In quo laudamus plurimum studia vestra et ea omni clementia complectimus. Quapropter iniungimus vobis ut confestim destinetis ad nos duodecim ex vobis com pleno et sufficienti mandato universitatis, ad prestandum nobis debitum iuramentum fidelitatis et intelligendum ulterius voluntatem nostram. Parabitis autem cum omni diligentia commeatus omnis generis et quanto citius … ad castra nostra, sicuti vobis latius referet tubicen presentium exhibitor. Datæ in castris nostris felicissimis ad Fontanellam, die XXprimo mensis maii anno Domini 1516, Regni nostri XXXprimo… [ibidem, 32v e 33r].

Il giorno stesso, nel pomeriggio si approva all’unanimità un mandato ad alcuni cittadini che si apprestano a recarsi all a presenza dell’Imperatore. I loro nomi sono i seguenti: Coriolano da Brembate, Guido Marenzi, Alessandro Terzi, Gio.Andrea della Valle, Oliverio Agosti, Obertino de Vegis, Gio.Antonio Borella, Francesco Maffei, Gio.Pietro Coreggii, Gio.Giacomo Olmo, Gio.Antonio Colleoni, Valerio da Ponte. Il Consiglio dà loro istruzioni di prestare il giuramento di fedeltà a Massimiliano in nome della città, secondo le decisioni prese; e di raccogliere la volontà dell’Imperatore, cosicché la città possa prendere le misure necessarie. Ed aggiunge il testo del mandato: Item, si videbitis intentionem Magnificentiæ suæ esset mittere Gubernatorem de proximo aliquem ad regimen civitatis, procurabitis ita qua decet dexteritate et reverentia ut mittatur aliquis ex suis Germanis probitatis et integritatis quæ convenit fidei et devotionis huius magnificæ Comunitatis. Procurabitis quod omnia statuta, privilegia et indulta generaliter conserventur et confirmata habeantur, cum reservatione supplicandi alia, prout erit ordinatum per magnificam Comunitatem… [ibidem, 33r]. Il Consiglio elegge infine come scrivano al seguito degli ambasciatori Martino del Zoppo, ordinando di portare all’Imperatore copia dei privilegi della città.

Il 27 marzo il Michiel viene dato a Crema e Venezia viene avvertita che … Bergamo ha levato le insegne imperial. Da Crema si informa anche che l’Imperatore è entrato nei borghi di Milano [SAN, XXII, 99]

Gli ambasciatori bergamaschi, secondo il Belotti [BELOTTI, IV, 74] sono dall’Imperatore rimandati al cardinale svizzero Schiner, che chiede loro 40 mila scudi, poi ridotti a 20 mila, di cui dieci da versare entro la fine di marzo. Anche il Sanudo [SAN, XXII, 113 e 114] fa riferimento a questa taglia. Tutta via, fino al 1° aprile Bergamo non riesce a pagare, neppure sotto le minacce del Cardinale. La città si vede allora costretta a vendere proprietà pubbliche [CALVI, 1, 383].

Una lettera di Zaccaria Loredan, podestà e provveditore di Crema, indirizzata a suo fratello alla data del 3 aprile, riassume efficacemente gli spostamenti dell’Imperatore in quei giorni. Domenica 30 marzo egli passa l’Adda e alloggia a Palatio nel cremasco, a Pandino e dintorni; lunedì 31 va a Caravaggio alloggiando in un monastero dei frati zoccolanti di San Bernardino, mentre le sue fanterie si dispongono intorno a Caravaggio, con il cardinale degli Svizzeri, gli ambasciatori di Spagna ed Inghilterra, il conte di Cariate, il marchese di Brandeburgo ed altri nobili, mettendo quasi a sacco il paese, con grande rabbia dell’Imperatore; martedì 1° aprile egli si sposta a Martinengo e Pontoglio dove risiede ancora il giorno 3. La causa del suo dimorar, chi dice esser perché aspeta la taglia de li 20 milia ducati che l’ha dato a Bergamo; chi perché el voglia tuor suso per non fidarsi de’ sguizari, né del signor Marco Antonio Colona per causa del signor Prospero Colona; chi perché i nostri, vedendo esser diviso lo esercito di Sua Maestà, habino causa de ussir da Milan, aziò quel populo tutto se sublevi da poi loro ussiti et non li lassi più ritornar: ognuno dice la sua [SAN, XXII, 115]. Anche Giovanni Vitturi, provveditore di cavalli leggeri, scrivendo il 5 aprile da Asola ad un suo cognato, afferma che l’esercito con l’Imperatore sta a Pontoglio: …Judico, cugnato mio, che questo ritrarsi sia più presto per tema de’ sguizari non li fazi qualche garbuglio per la paga deno haver, et lui vedendosi non poter, se è retracto, maxime conoscendoli avidi a la pecunia… [SAN, XXII, 117]. Un prigioniero borgognone, interrogato circa le mosse dell’esercito imperiale il 4 aprile, dopo averne descritto gli effettivi (tra genti d’arme e fanterie, computati gli italiani, circa 2000; 20 mila fanti svizzeri e 10 mila lanzichenecchi; 28 pezzi d’artiglieria tra grossi e piccoli, con molte munizioni; penuria di vettovaglie, pane, vino e tutto il resto), …adimandato di la causa di la qual fu mosso l’Imperador ad ritrarsi con l’esercito suo et passar con la mitade di qua de Ada, dice, per juditio de tutti, che quando furono propinqui a Milano, et che da una et l’altra parte foron tracte artellarie et scaramuzato insieme, tutti i credevan in quel zorno far ingresso ne la citade, et con adiuto dil populo che havesseno a tore le arme in mano contra lo esercito nostro; et che vedendo la cosa non reussir ad vota, sono retrati, et dicono voler venir a la volta di Brexa [SAN, XXII, 118]. Analoghe le testimonianze di altri due prigionieri, uno dei quali dice anche: …Che lo Imperador, mo terzo zorno, dovea andar fino a Piovenedego, miglia 5 distante da Bergamo, per la taglia, ma che fu incontrato da li ambasadori che li fecero promission assai, et cussì se ritornò a Ponte Oglio, dove ancor è con li 10 milia lanzinech et tutti li cavali todeschi… [ibidem, 119].

Il Loredan scrive ancora da Crema a Venezia il giorno 5 e avverte che l’Imperatore si sta avviando verso la bocca dell’Oglio sul lago d’Iseo, da dove pare probabile che si voglia avviare verso Valcamonica, Valtellina e Alemagna [SAN, XXII, 123]. Il 9 aprile l’Imperatore vien dato a Lovere e diretto attraverso Valcamonica a Bolzano; il 9 e 10 in partenza verso Innsbruck, dopo aver riscosso da Bergamo 4000 ducati ed altri 12 mila da una valle [SAN, XXII, 127]; il 9 sarebbe partito da Lovere [SAN, XXII, 129], dove avrebbe chiesto tutte le barche reperibili per portarsi ad Iseo ed in Alemagna, mentre da altre fonti si riferisce invece che ha percorso la val Canonica verso Breno, sempre nella medesima direzione [ib idem, 133 e 135]. Una lettera del Loredan da Crema in data 11 [ibidem, 136] aggiunge altri particolari: Circa el regresso di la Cesarea Maestà, si ha che avendo extrato Sua Maestà per la summa di ducati 3000 da le mano di quelli di Lover, dove el si trovava, Sua Maestà Cesarea è passata a Bren, e del tutto se n’è andata verso Alemagna; et li capitani todeschi hanno fato di possanza per volerlo tenir. Item, per uno ussito di Brexa, degno di fede, havemo che in Brexa tutta quanta la chieresia fu messa in ponto et preparata con apparati grandi, como si fa ne le processione, et stete in axpectatione, tenendo pro constanti, che da Lover Sua Maestà dovesse venir a Brexa; et avendo aspetato un zorno, visto che la non vene, rimaseno molto contristati…Il 13 aprile l’Imperatore è a Trento [ibidem, 137 e 138]. Il 3, il 6 ed il 10 maggio l’Imperatore viene dato a Riva di Trento [ibidem, 204, 198 e 207, rispettivamente]. L’11 maggio, mentre egli ancora soggiorna a Riva, 10 mila dei suoi fanti vanno rientrando in Alemagna [ibidem]. Il 15 maggio anche il cardinale Sedunense con 100 uomini d’arme va verso Riva e poi verso Alemagna, mentre l’Imperatore stesso, che stava a Trento, si muove per Bolzano. La sua scorta, invece, mal contenta, ritorna indietro [SAN, XXII, 217].

Uscito l’Imperatore dalla scena italiana, vediamo di seguire i movimenti delle truppe che egli ha lasciato indietro nella sua precipitosa fuga verso l’Austria.

Quando, intorno al 9 aprile, l’Imperatore lascia Lovere verso la Valcamonica, per non avere di che pagare gli svizzeri al suo soldo e per non aver trovato le cose italiane così come avrebbe desiderato, egli porta con sè soltanto una piccola parte della sua truppa, soprattutto gli alemanni, per un totale di quattro bandiere di fanteria e circa 300 cavalli [SAN, XXII, 129]. Un’altra parte dell’esercito imperiale, circa 4000 persone, rimane tra Ba gnatica e Costa Mezzate consumando el bergamasco. Essi saccheggiano i luoghi intorno a Chiuduno e presidiano Bergamo con 100 cavalli e 200 fanti. Riescono così a raccogliere circa dieci mila ducati, bruciando e depredando anche diverse case in città. Altre truppe ancora, circa 25 mila persone, sono ferme a Lodi [SAN, XXII, 133].

Il provveditore veneto Gritti sta in attesa dell’arrivo dell’esercito francese, dato per imminente. Alcune delle truppe imperiali in Lodi, circa 200 fanti tedeschi, l’8 aprile cercano di passare l’Oglio e vengono affrontate da 20 uomini d’arme di Malatesta Baglioni e del contino di Martinengo; nello scontro che segue 100 fanti vengono uccisi e gli altri messi in fuga [SAN, XXII, 133 e 134]. L’11 aprile [SAN, XXII, 136], dopo la dipartita dell’Imperatore da Lovere, 500 fanti tedeschi arrivano a Brescia, chiedendo di entrare; ma essi vengono riforniti di pane e fatti allontanare verso l’Alemagna. Il governatore spagnolo di Brescia, sempre l’11 aprile, teme che, essendo l’Imperatore ormai partito, le sue truppe in Lodi si possano accordare con i veneti. In Brescia rimangono soltanto 300 fanti male in armese.

Da Asola, il 13 aprile, il provveditore veneto Francesco Contarini riferisce tuttavia di dissapori tra le componenti spagnola e tedesca della truppa imperiale [SAN, XXII, 135]: a Brescia 8 bandiere di tedeschi hanno tolto le chiavi della città al governatore spagnolo, il quale si è ritirato con i suoi ed il denaro nella rocca. I tedeschi reclamano la paga che devono avere, in mancanza della quale minacciano di cedere Brescia a chi li pagherà loro il soldo. Il 16 aprile gli svizzeri che stavano a Lodi danno segni di muoversi: costruiscono un ponte sull’Adda, passano e vanno verso Bergamo con l’intenzione di saccheggiare la città e poi di partire verso i loro luoghi. Per stornare questo pericolo il Gritti si sposta verso Cassano, dopo aver avvertito il governatore ge nerale veneto Teodoro Triulzi, di convergere egli stesso su Lodi [SAN, XXII, 142].

Da Crema si avverte intanto Venezia che [SAN, XXII, 153] partito il pastor, dispergentur oves. Il Gritti scrive il 15 aprile [ibidem] circa l’imminente arrivo dell’esercito del re francese, che è atteso in Lombardia entro la fine del mese: si tratterebbe di 10 mila fanti, ai quali si uniranno presto altri 12 mila lanzichenecchi. Di fatto, il 18 aprile l’esercito francese muove da Lione con 6000 fanti comandati da monsignor di San Valier [SAN, XXII, 160].

Il Sanudo [SAN, XXII, 172 e segg.] riporta alcune lettere del 15 aprile da Lodi, dalle quali si ricava l’intenzione dei capitani svizzeri e tedeschi di marciare su Bergamo. E proprio intorno a quella data, la fanteria svizzera dell’esercito spagnolo-imperiale, insieme con l’artiglieria, va alla volta di Bergamo mentre la cavalleria alloggia sulla Ghiara d’Adda. Le truppe imperiali in marcia vengono inseguite e disturbate dalla cavalleria leggera veneta. Nel loro spostamento verso Bergamo, il 16 ed il 17 aprile gli imperiali saccheggiano Soncino, Caravaggio ed altri luoghi, tallonati da Mercurio Bua che cerca di disturbarli. Si manifestano tuttavia profondi dissensi tra truppe svizzere e tedesche perché le prime, contro il volere degli altri, saccheggiano e prendono ostaggi. Pare comunque che questi militari vogliano fermarsi a Bergamo per tre giorni circa [SAN, XXII, 161]. L’esercito veneto sta con il Gritti a Cassano, Janus di Campo Fregoso sta tra Crema e Caravaggio, Teodoro Triulzi a Lodi. Anche a Brescia continuano le discordie e la confusione tra tedeschi e spagnoli, per il possesso del denaro che il governatore ha portato con sé nel castello [SAN, XXII, 161]

Notizie indirette da Bergamo arrivano a Venezia il 20 aprile da parte del duca di Ferrara, secondo il quale il 20 aprile gli svizzeri ed altre truppe cesaree avrebbero chiest o alla città una taglia di 25 mila ducati [SAN, XXII, 155]. Il giorno dopo anche il Gritti da Cassano manda notizie dettagliate [ibidem]. Egli narra che la truppa svizzera che si era mossa verso Bergamo si era fermata intorno a Romano e Martinengo ed aveva avuto una rata della paga. Soltanto 1500 svizzeri erano entrati in città per chiedere una taglia e per saccheggiarla: egli stesso si era avvicinato con il campo a circa 4 miglia da Bergamo ed aveva mandato a dire ai cittadini che stessero saldi fino alla partenza degli svizzeri perché, in caso di bisogno egli era pronto a mandare soccorsi. I cittadini tuttavia erano profondamente divisi perché alcuni volevano che il Gritti intervenisse, altri no. Alla fine, temendo che il suo intervento avrebbe ruinato la città, egli aveva deciso di non entrare.

Il 21 aprile il Gritti si sposta a Milano, da dove scrive [SAN, XXII, 160] di aver avuto consultazioni con la controparte francese; poi fa subito ritorno a Cassano, sempre in attesa dell’esercito che è in arrivo da oltralpe. Ed informa che gli svizzeri alloggiati in Bergamo non hanno ottenuto il denaro richiesto e per questo si teme che possano mettere a sacco la città [SAN, XXII, 167]. Anche Teodoro Triulzi segnala da Lodi il 23 che gli svizzeri che stavano a Bergamo, non avendo avuto il denaro, si preparano a lasciare la città entro quattro giorni ed ad allontanarsi verso i loro luoghi d’origine [ibidem]. Il 22 da Crema Zaccaria Loredan scrive [ibidem] che il Gritti, ritornato dal consulto di Milano è risoluto ad incalzare i nemici. I quali stanno sollecitando la taglia dai bergamaschi e, quando l’avranno, partiranno verso Lecco, dove aspetteranno la paga loro promessa dall’Imperatore, e poi verso Bellinzona. Alcune lettere dell’Imperatore, scritte dalla val di Sole, intercettate in Valtellina e dirette al marchese di Brandeburgo ed altri capitani tedeschi e svizzeri, promettono loro il denaro e li esortano a non abbandonare l’impresa. Intanto, per pagare la taglia i bergamaschi fundeno i calesi e le croxe per torse li sguizari da le spale.

Verso il 24 aprile, numerose testimonianze parlano di un allontanamento degli svizzeri da Bergamo e, contemporaneamente, dell’arrivo a Milano di 3000 fanti francesi [SAN, XXII, 174]. Informa infatti il Gritti da Milano il 26 che è giunto a Bergamo il cardinale Sedunense con denari per pagare gli svizzeri, che poi se ne sono andati [SAN, XXII, 176 e segg.]. Il podestà e provveditore di Crema Zaccaria Loredan - scrivendo a Venezia alcuni giorni più tardi – fornisce qualche ulteriore utlie dettaglio. Avvisa egli infatti [SAN, XXII, 188] che in data 27 il cardinale svizzero è entrato in Bergamo con pochi denari venuto per tenir l’exercito con zanze. Ha cominciato a distribuire 3 raines ad ogni svizzero ed altri ne ha promesso entro 3 o 4 giorni. E ancora in queste condizioni, con l’Imperatore praticamente in fuga, va dicendo che Massimiliano fa provision de sorte che racolte le biave questa estate el portarà con sí tutta la Germania ne la Italia. Ma nessuno ormai lo crede più. Infatti, molti svizzeri sono usciti verso la val Brembana, mentre lo stesso cardinale con il resto delle truppe si è avviato verso Brescia. Queste notizie trovano conferma nei giorni successivi: il 30 aprile il Gritti da Cassano [SAN, XXII, 187] dice gli svizzeri stanno lasciando Bergamo, dopo aver avuto del denaro, e si tratta di due colonne, una diretta verso Lecco, l’altra verso Brescia e Cremona. Nel frattempo i francesi sono arrivati sulle rive dell’Adda. Si tratta di 16 mila fanti, cui si devono aggiungere 4000 fanti veneti. Anche se la strategia delle truppe francesi non è ancora ben delineata, lo stesso Gritti è risoluto a presidiare l’Adda.

Altre notizie ancora invia il provveditore veneto più tardi nella st essa giornata [ibidem] e racconta che gli svizzeri (circa 7000 persone) sono usciti da Bergamo per la porta di san Lorenzo, diretti - si pensa - verso le loro terre. Il restante delle truppe svizzere e tedesche (con Marco Antonio Colonna, il marchese di Brandeburgo, il cardinale Sedunense ed il conte di Cariate) hanno anch’esse abbandonato Bergamo e si dirigono verso Brescia, tallonate dalla cavalleria leggera di Mercurio Bua. Lettere di questi personaggi associati all’Imperatore, riferite dal Sanudo [SAN, XXII, 204], lo sollecitano ad inviare 40 mila raines aliter le zente si disolverano e la impresa sarà persa…Evidentemente essi confidavano ancora nell’Imperatore, che stava invece fuggendo, e speravano di convincerlo a non desistere.

Riesce veramente difficile ricostruire in questa fase i movimenti delle truppe, che si spostano non soltanto sul territorio, ma da un campo all’altro, cambiando bandiera e creando una sensazione di caos su tutto lo scacchiere lombardo. Nei giorni successivi molte altre fonti confermano tuttavia in generale le notizie date sopra. Quanto alla causa dell’allontanamento delle truppe da Bergamo, informerà più tardi Giovanni Vitturi, provveditore di cavalli leggeri e stradiotti per conto della Signoria [SAN, XXII, 202], …la potissima causa dil partir loro di Bergamo è stata… per il condur de li lanzinech partiti di Brexa, perché tra li sguizari et lanzichenech furono disensione di sorte che veneno a le arme, e alora se partirono per la via de li monti 4000 grisoni, et li disturbi nasino tra le zente o per danari, o per altro, e sono causa le più volte de le ruine loro.

Il 4 maggio il provveditore generale Gritti si trova a 8 miglia da Bergamo, probabilmente a Spirano, con il governatore Teodoro Triulzi [SAN, XXII, 197]. Essi vanno sollecitando i francesi ad attraversare l’Adda e a passare all’azione, ma le truppe di Sua Maestà temporeggiano, dicendo d i voler attendere ordini precisi dal re. La colonna di svizzeri e lanzichenecchi con il cardinale Sedunense sta a Lonato: si tratterebbe di un totale di 12 mila uomini. Il 5 maggio, sempre da Spirano il Gritti descrive una situazione militare invariata, ma sollecita Venezia all’invio di denaro per pagare i 4000 svizzeri che stanno al soldo dei francesi, i cui stipendi sono in ritardo [SAN, XXII, 199]. Il giorno 7 informa ancora il Gritti che, dopo l’uscita delle truppe da Bergamo, alcuni oratori della città sono venuti da lui a Spirano, scusandosi per l’accaduto e protestando il loro desiderio di tornare sotto Venezia. Vittore Michiel, che aveva riparato a Crema, viene inviato a Bergamo entro tre giorni, ma il provveditore generale è adirato per il comportamento di quei cittadini. Infatti, …vedendo essi a’ inimici aver dato di le taje danari libenti animo, imo alcuni aver comprato beni dil comun, li par che non li sia mantenuto tal comprade; siché à mal animo contra di loro; et diti oratori non li ha fato molte chareze.

Il 10 maggio Venezia viene avvisata [SAN, XXII, 205] che vi è stato a Peschiera un duro confronto tra il cardinale Sedunense e gli svizzeri, e che questi hanno preso in ostaggio lo stesso cardinale, l’ambasciatore inglese ed il conte di Cariate, reclamando il loro denaro: qualche soldo era giunto, ma non a sufficienza, per cui gli svizzeri avevano abbandonato il campo. Partita la componente svizzera, 7000 fanti alemanni e spagnoli e 1000 cavalli con Marco Antonio Colonna, il marchese di Brandeburgo e lo stesso cardinale si spostano su Verona [ibidem].

Sul fronte dell’Adda intanto, l’ambasciatore Trevisan comunica da Trezzo il giorno 9 che il re francese ha autorizzato (3 maggio) il Gran Conestabile a seguire i nemici verso Brescia e Verona, e che presto l’azione avrà inizio. I francesi chiedono tuttavia che Venezia faccia fronte all’onere del soldo di 8000 fanti, o almeno 4000 [ SAN, XXII, 206]. E lo stesso Gritti da Spirano scrive il 10 [ibidem] di avere già avviato le sue truppe verso Rovato, dove dovrebbe incontrare il Triulzi per andare insieme al recupero di Brescia. Il Gritti, il Trevisan ed il Gran Conestabile si accordano il 12 maggio sulle condizioni per finanziare la nuova fase dell’impresa su Brescia e Verona [SAN, XXII, 213]. Analoga determinazione a passare all’azione perché è venuto il tempo di la recuperation dil nostro Stato esprime il governatore Triulzi che sta a Rovato [ibidem].

Il 13 maggio, sempre da Spirano, il provveditore Gritti avverte che le artiglierie e le fanterie francesi si sono avviate verso Brescia. Item – ribadisce – à mandà sier Vetor Michiel a Bergamo al suo rezimento, et vol far bergamaschi dagi a la Signoria quello à dato a’ sguizari [SAN, XXII, 216]. Due giorni dopo lo stesso Gritti va verso Brescia, dopo aver visitato Crema per prelevare la gente che la presidiava. Egli si trova ad Orzinuovi, seguito a breve distanza dai francesi. Il governatore generale sta a Mompiano con 8-10 mila uomini. Jannes di Campo Fregoso è invece a Rezzato, con le truppe provenienti da Crema [SAN, XXII, 218].

Come si è detto, Brescia viene presa il 26 maggio e lo stesso giorno i 600 fanti a 400 cavalli spagnoli che la presidiavano escono dalla città in ordinanza al comando del governatore Icart, dirigendosi su Trento [SAN, XXII, 245]. Il giorno stesso della resa, scrive da lì un figlio di Vittore Michiel, Alvise, indirizzando al fratello Marco Antonio. Egli narra l’uscita degli spagnoli dalla città e come essa è stata presa. Vi sono a Venezia festeggiamenti in piazza per salutare il ritorno di Brescia ed i bergamaschi ivi residenti sfilano con una bandiera acclamando San Marco.

Da Bergamo riconquistata scrive invece il 22 maggio Vittore Michiel [SAN, XXII, 246] e riferisce che il Consiglio della città si è riunito per discutere la richiesta di denaro del provveditore Gritti. Si sono nominati due ambasciatori allo stesso provveditore (Ludovico Rota e Alessandro Romano) nel tentativo di stornare questa ulteriore taglia. Dopo la partenza degli svizzeri la città è rimasta vuota, perché gli abitanti l’avevano abbandonata. La truppa che la occupava ha lasciato un’incredibile sporcizia per ogni dove e si è dovuto provvedere a far sguazar le case e la tera. Il Consiglio ha anche provveduto ad eleggere 19 rappresentanti delle diverse vicinie. Avverte il Michiel: non sono homeni di molta reputation ma il forzo gelfi, e li principali cazeteno. Il Sanudo, cosa abbastanza inusitata, fornisce una precisa lista degli eletti e delle vicinie che essi rappresentano [SAN, XXII, 247].

I due oratori eletti da Bergamo raggiungono il Gritti a Brescia, da dove il provveditore informa sull’esito dell’ambasceria [ibidem]. Essi sono giunti per convincerlo a non esigere dai cittadini il resto della taglia promessa agli svizzeri e protestando che per versare quanto avevano raccolto avevano dovuto fondere l’argenteria delle chiese. Ma il Gritti si mostra irremovibile, perché è sdegnato con loro ed anche perché si trova in grande necessità di denaro; infatti ha chiesto anche 6000 ducati a Brescia e 10 mila al territorio bresciano. Se non riuscirà a raccogliere ancora 35 mila ducati da dare ai francesi, questi non si lasceranno convincere a marciare contro Verona.

Nei mesi che seguono, molto lentamente, si va verso una qualche forma di normalità. Intorno alla metà di giugno il Maggior Consiglio di Venezia decide di inviare a Brescia e Bergamo nuovamente acquisite alla Signoria nuovi rettori [SAN, XXII, 290]. A Bergamo viene designato Giustiniano Morosini con i titoli di podestà e provveditore. Alla fine dell o stesso mese si cominciano anche a pareggiare i conti con le famiglie ribelli e Bergamo invia al Consiglio dei Dieci i fascicoli dei processi intentati contro i Suardi, i Maldura ed altri [SAN, XXII, 324].

Il successivo 12 luglio il conte bergamasco Trussardo Calepino va in visita a Venezia e viene ricevuto nel Collegio [SAN, XXII, 358]. Ricostruendo le sue vicende recenti, egli protesta di essere fedelissimo servidor, stato in Franza per suspeto, poi al tempo di spagnoli e sguizari andò a li monti et con molti cittadini per non pagar la taja, unde i nimici vene su diti monti, che in memoria de homeni non vi vene esercito, et li depredò, e loro si salvò; hor come fedelissimo è venuto a inchinarsi. El Principe li usò bone parole, etc. Parrebbe una visita di cortesia, ma forse essa non era del tutto disinteressata. Infatti, pochi giorni più tardi, il 17 luglio, vengono ricevuti in Collegio due oratori inviati da Bergamo (Bartolomeo Calepio e Alvise Rota) arrivati a Venezia dopo l’insuccesso della precedente ambasciata al provveditore Gritti. Essi raccomandano la loro città alla Signoria e supplicano che Bergamo, già così provata, non sia ulteriormente angariata e costretta a pagare il resto del taglione imposto dagli svizzeri, circa 11 mila ducati. In contraddittorio con loro viene sentito anche il conte Trussardo che non vuole essere obbligato ad alcun pagamento per esser stà incluso nel numero di le valade et teritorio con li foraussiti di Bergamo erano tunc temporis [SAN, XXII, 370].

Si va ormai verso la pace di Noyon dell’agosto 1516. Il 5 di quel mese Venezia concede al capitano di Bergamo poter far fabricar il palazo dil capitanio in Citadela, qual è ruinato, di danari di la camera, nel qual possi spender fin ducati 150 [SAN, XXII, 405]. Un primo timido segno di ricostruzione dopo un periodo tristissimo. Ma la riparazione dei danni mater iali, politici, istituzionali, amministrativi, economici e sociali delle guerre d’Italia sarà lunghissima e ad essa Bergamo ed il territorio dovranno lavorare per molti decenni a venire.
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Le vicende nel territorio bergamasco

Territorio in generale

Nei primi mesi del 1513, mentre la situazione militare rimane ancora molto in dubbio, a Venezia si prendono misure per consolidare il dominio veneto con una decisione formale che Leonardo Loredan comunica al provveditore bergamasco Bartolomeo da Mosto, accludendo due parti del Senato del 2 marzo e 8 novembre 1512. Con la prima il Senato delibera che tutti gli atti, sentenze e processi iniziati dai giusdicenti cesarei nel tempo in cui erano stati in città siano invalidati, e le parti in causa siano ripristinate nel medesimo stato in cui si trovavano prima che la città fosse staccata da Venezia. La seconda parte ribadisce quest'ordine e lo estende a tutte le terre e luoghi che sono stati e saranno recuperati alla Repubblica [BALDI, Reg. A, 64v]. Molte questioni legali pregresse vengono automaticamente risolte con queste disposizioni [cfr., per esempio, una sentenza del 13 luglio 1519 in BALDI, Reg. A, 99v].

Il problema più grave che il Consiglio bergamasco deve affrontare in questi anni è quello di riacquisire la giurisdizione del territorio, che per i fatti ampiamente narrati in precedenza gli era sfuggita. Molte comunità locali, particolarmente le più popolose e ricche, approfittando della vacanza di autorità delle magistrature cittadine, avevano in vario modo tentato di riscattarsi dal predominio della città. Per tentare di riguadagnare il controllo di una situazione territoriale che appariva pericolante, il Consiglio cittadino decide di inviare un oratore a Venezia per ottenere la restituzione di quegli uffici che sarebbero stati a mano a mano recuperati al Dominio veneto, cercando di riottenerli per suo maggior comodo ed utilità [31 maggio 1513; Az 12, 121v]. Un’azione analoga nei confronti del dominio spagnolo viene intrapresa anche il 31 luglio dello stesso anno, quando Oliverio Agosti e Gerolamo Colleoni vengono mandati al governatore di Brescia per lamentarsi, oltre che delle gravosissime taglie, anche del fatto che gli uffici di Lovere e Gandino sono stati attribuiti contro la forma dei privilegi bergamaschi e per chiedere l’osservanza dei diritti cittadini [Az 12, 151r].

Al medesimo tempo, per recuperare il denaro delle taglie, il Consiglio decide anche che in occasione dell'elezione dei vicariati vacanti del territorio, i cittadini eletti debbano restare sedici mesi all’ufficio e che per accedere alle sedi loro designate gli eletti debbano pagare alla comunità una somma, tassata in misura diversa per i diversi uffici [6 settembre 1513; Az 12, 161r; CALVI, III, 27]. Questa prassi, destinata a durate per alcuni decenni, inaugura un periodo di gravi disordini amministrativi nell’attribuzione - e talvolta nella vendita - dei diritti agli uffici di fuori. Ecco la lista delle somme tassate ai vari uffici del territorio: Lovere, ducati 25; Val Seriana inferiore, ducati 20; Gandino, ducati 15; Valle san Martino, Almenno e Zogno, ducati 12; Urgnano e Cologno, ducati 10; Serina, Oltre la Gocchia e Scalve, ducati 5.

E subito, nella seduta del 7 settembre 1513, il Consiglio bergamasco elegge suoi cittadini a Lovere, Almeno, Zogno, Gandino, Cologno ed Urgnano, Serina, Scalve ed Oltre la Gocchia [Az 12, 162r] e spedisce contemporaneamente a Brescia Oliverio Agosti per ottenere da quel governatore la conferma delle nomine. La difesa dei diritti cittadini sugli uffici di fuori, Lovere in particolare, prosegue ancora il 13 settembre 1513 [Az 12, 164v] con gli oratori Oliverio Agosti e Cristoforo da Romano, inviati a tal fine presso il governatore a Brescia ed a Martinengo.

Nell’assemblea del 31 luglio 1514 [Az 12, 268v e 269r] il Consiglio cittadino elegge Oliverio Agosti e Gerolamo Poncino per una ambasceria in difesa dei diritti di Bergamo. Essi partono il 6 agosto e ritornano, rispettivamente, il 4 ottobre ed il 22 settembre 1514. Tra le commissioni a loro affidate figura, al quarto punto, l’opposizione nei confronti di Lovere i cui abitanti non solum querunt abalienare iurisdictionem ipsam a civitate, sed emolumentum banche dicti officii, ut sub isto pretextu tollatur et minatur iurisdictio.

Diverse zone del territorio erano rimaste agganciate alla città, ma non tutte: per esempio, il 13 dicembre 1514 [Az 13, 59r] il Consiglio bergamasco eleggeva vicari nelle valli Seriana e Brembana inferiori. Tuttavia, il 27 dello stesso mese [Az 13, 59r] la città nominava oratori alle autorità spagnole - se necessario anche al viceré - per difendere i privilegi, statuti, ordini ed uffici della città. Ed ancora, tra le commissioni affidate all’ambasciatore Battista Suardo che si recava a Brescia presso il governatore di quella città si legge: Per che sono emanate lettere di Sua Serenità (cioè il governatore stesso) in favore de la comunità da Lovere che non li siano comandati guastatori … contra le antiquissime consuetudini di essa città et in preiuditio dela Planitie di Bergomo dela quale el territorio de Lovere è parte, Sua Serenità si degni per debito di iustitia revocare ditte lettere.

Proseguendo l’occupazione di fatto del te rritorio da parte delle forze ispano-imperiali, il distretto bergamasco versa in uno stato di progressivo disordine. La città si trova a dover fronteggiare richieste provenienti da ogni parte ed a trattare l’invio di vicari bergamaschi con molti luoghi, sia delle valli che della pianura. Il Consiglio è un corpo troppo numeroso e lento nelle decisioni e non appare in grado di condurre le azioni necessarie. Decide quindi di nominare cinque deputati per ricercare con le diverse comunità gli aggiustamenti più convenienti, con mandato di riferire nel Consiglio stesso per indirizzarlo nelle decisioni più opportune [28 gennaio 1515; Az 13, 80v].

Una lettera del viceré Cardona al governatore bergamasco Guzman, datata 8 maggio 1515 [Reg. Duc. A, 189v] contiene alcuni utili elementi riguardanti la questione dell'elezione dei giusdicenti del territorio a quella data. A seguito delle lamentele della città per alcune nomine di giusdicenti fatte a sua insaputa, il viceré afferma - ma riesce davvero difficile credergli - che non era mai stata sua intenzione di ledere i diritti bergamaschi e che, quando fosse stato a conoscenza di una tale eventualità, non avrebbe certo consentito che giusdicenti eletti dal suo governo avessero accesso agli uffici del territorio. Ordina quindi al Guzman di consentire a Bergamo l'elezione dei cittadini ai vicariati di fuori, purché si tratti di persone idonee, lasciando nel contempo decadere i vicari di nomina spagnola. Quanto ai giusdicenti insediati per conto dell'imperatore, essi non potranno ovviamente essere rimossi. Sembra chiaro da tutto questo che il governo spagnolo, giocando su sottili distinzioni tra vicari di nomina propria oppure imperiale, stia conducendo un gioco ambiguo, assecondando nei fatti il desiderio di indipendenza di alcuni luoghi del territorio dalla città. Non si può escludere - sembra anzi probabile - che un tale comportamento sia fortemente condizio nato da oblazioni in denaro da parte delle località interessate - Lovere, Clusone e Gandino, in particolare - le quali paiono impegnate nella realizzazione del disegno a lungo accarezzato di un loro riscatto dall’egemonia del capoluogo.

Pare a proposito una lettera del 22 settembre 1515 che i provveditori generali veneti Giorgio Emo e Domenico Contarini scrivono dal campo presso Belgioioso al provveditore di Bergamo Giorgio Vallaresso [Reg. Duc. A, 190v], il quale aveva nominato alcuni vicari nel territorio. I provveditori generali gli impongono che, in considerazione dell’inconcussa fede della città, egli debba osservare alla lettera tutti i suoi diritti, privilegi e statuti, nulla innovando circa i vicari, la cui nomina spetta a Bergamo, e richiamando ogni vicario che fosse già all’ufficio. Si ricorda che ancora il 3 luglio 1516 [Az 14, 69r e v] Bergamo continua a chiedere il ritorno di Lovere sotto la sua giurisdizione. Ed il 21 ottobre dello stesso anno, in una lettera che il Consiglio indirizza a Pietro Assonica e Battista Zonca a Venezia, il Consiglio chiede loro di comparire presso il governo veneto pro observatione privilegiorum civitatis, et maxime pro iurisdictione vallis Seriane superioris … videtur velle usurpari et infringi per mag.cum potestatem Cluxioni; item, pro vicariatu Gandini pro quo Gabriel Bucelenus impetravit litteras a prefato serenissimo Dominio de ipso officio per decennium; item, pro potestaria Lueris, pro qua homines ipsius loci miserunt oratores suos ad prefatum exc.mum Dominium pro impetrando aliquem mag.cum nobilem venetum pro potestate ad ipsum officium…Da tutto questo si arguisce quanti e di qual natura fossero i problemi che angustiavano la città di Bergamo in fatto di amministrazione del territorio. Un argomento che meriterebbe forse una ricerca più estesa e puntuale.

Purtroppo, la ricostruzione precisa delle vicende che si svolsero nei vari uffici di podestaria e vicariato & egrave; resa molto difficile dalla mancanza di informazioni sistematiche. Pertanto, solo per alcuni luoghi più importanti - o per i quali siano state condotte indagini specifiche - vi sono dati sufficienti per delineare i mutamenti cui essi andarono incontro fino al ritorno stabile del dominio veneto intorno al 1516. Per tutti gli altri, le informazioni sono soltanto frammentarie.
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Gli uffici di fuori

Vediamo innanzitutto i luoghi che amministrativamente non facevano parte del territorio, in quanto Bergamo non vi inviava giusdicenti propri.
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Martinengo

Le vicende di Martinengo sono state trattate da Caproni, Persiani e Pagnoni [CAPRONI et al., 1992, particolarmente alle pagg. 106-108] e da esse si desume che al passaggio della terra sotto il regime spagnolo, il podestà veneto Baldassare Minio, che reggeva quell’ufficio, fugge. Il 25 giugno 1513 la comunità nomina quattro cittadini per prestare il giuramento di fedeltà al nuovo dominio. Nel corso del 1513 il Ripadaneira funge da podestà di Martinengo, sostituito poi nel 1514 da Consalvo Sanz e nel 1515 da Onorato de Feu. Sul finire del 1514 i veneziani offrono Martinengo in feudo a Renzo Orsini, il quale tuttavia non ne prende mai il possesso.

Anche Martinengo viene gravata da taglie e spese per il mantenimento di truppe, dalle quali cerca di difendersi supplicando invano il vic eré Cardona di concederle un qualche sollievo. Dopo la battaglia di Melegnano ritorna con il dominio di Venezia il podestà Minio ed anche Martinengo è costretta a contribuire pesantemente all’esercito veneto del Gritti impegnato nell’assedio di Brescia. Anche qui fa la sua comparsa all’inizio del 1516 l’Imperatore Massimiliano. Il 31 marzo 1516 viene nominato podestà Isnardo Colleoni. Uscito di scena Massimiliano, la comunità supplica Andrea Gritti di essere sollevata dal governo del Minio. Pertanto il 26 giugno 1516 viene di fatto nominato come luogotenente il nobile locale Francesco da Ponte, sostituito poi nel settembre da Benedetto Contarini e nel novembre da Giovan Antonio Giustinian. Con quest’ultimo riprende a Martinengo la serie dei podestà veneti. Come si vede, a parte i personaggi in scena, la vicenda storica complessiva non si discosta sostanzialmente de quella delineata per il capoluogo.
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Romano

Per quanto riguarda Romano, si sa che verso la fine del 1315 il Consiglio bergamasco elegge in podestà per un anno Nicolò de Sanguinaciis da Padova [Az 12, 183r], quindi non un cittadino.
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Podestaria della valle Seriana superiore (Clusone)

All’inizio del dominio spagnolo, il possesso di questa podestaria viene conferito al nobile milanese Bernardino de Vegis, eletto dalle comunità di valle e successivamente confermato dal Cardona e dall'Icart [3 settembre 1513; BALDI, MMB 150, 140 e Reg. A, 67v]. Egli rimane a Clusone soltanto otto giorni e poi fugge a seguito di una rivolta [Statuta…, 10v]. Il 18 ottobre, il de Vegis rinuncia [BALDI, Reg. A, 67v] e lascia Clusone per importantissime imprese sì per la Cesarea Maestà come per Antonio Maria Pallavicini. Quest'ultimo nomina in sua vece il bresciano Cristoforo Casaletto (che già stava al vicariato di Nembro) con il consenso dell'autorità spagnola. Il Baldi [BALDI, Somm. Gr., 311] si sofferma sulle complesse vicende ed i rapidi cambiamenti di dominio della valle negli anni 1513-1514.

Gli abitanti della valle contestano la giurisdizione bergamasca con lettere inviate al governatore di Brescia [29 marzo 1514; Az 12, 238r] e, nel tentativo di recuperare a sé l'ufficio di Clusone, Bergamo deve scendere a patti. Dopo aver consultato i dottori del Collegio, la città stila certi capitoli che vengono inviati ai suoi oratori a Clusone per la composizione della questione. Il loro contenuto è molto interessante [30 agosto 1514; Az 13, 11v]. Con essi, Bergamo concede libertà ai suoi emissari di offrire ai valligiani l'accrescimento della giurisdizione civile di 50 lire imperiali e, se del caso, di aumentare l'offerta a 100, 200 e fino ad un massimo di 400 lire. La giurisdizione criminale rimarrà invece invariata, impegnandosi la città a non permettere al giudice dei Malefizi cavalcate indebite o estorsioni. Per parte loro, i valligiani eleggeranno (come minimo) 12 uomini di diverse famiglie e ne estrarranno uno ogni anno come loro podestà alle condizioni solite. Trascorsi i 12 anni, si eleggeranno altri 12 di famiglie diverse. Se questo modo di elezione non verrà osservato, la giurisdizione loro concessa decadrà ed essi ritorneranno alla giurisdizione attuale. Non si tratta, come è evidente, di concessioni di poco conto, ma di una sostanziale libertà di nomina lasciata ai valligiani.

Si eleggono cinque persone per condurre le trattative; dal canto loro i due messi della valle chiedono una dilazione di sei giorni per favorire una composizione [13 settembre 1514; Az 13, 16v]. Il 19 settembre entrano nella trattativa anche i difensori della città [Az 13, 16v]. Non è noto se il prolungarsi delle consultazioni abbia il significato di una tattica dilatoria da parte di Clusone in attesa di sviluppi favorevoli: sta di fatto che il 22 febbraio 1515 l'ufficio podestarile della Val Seriana superiore viene attribuito per volontà stessa dell'Imperatore.

Narra infatti il Baldi [BALDI, Somm. Gr., 311v e MMB 150, 158; anche in Statuta…, 10v] che Massimiliano, volendo ricompensare la fedeltà dei suoi mastri di posta Giovan Battista e Davide Tassi, conferisce loro la podestaria con ogni diritto e giurisdizione, con lettere indirizzata all'Icart. Il 12 marzo 1515 la valle riceve come rettore Davide Tassi, senza pregiudizio dei suoi propri diritti. Il Tassi vi dimora soltanto pochi mesi e poi si allontana quando val Seriana ritorna sotto il dominio veneto con l'elezione nel 1516 di Antonio Gradenigo [BALDI, Somm. Gr., 317e MMB 150, 158].

Approssimandosi al territorio lombardo all’inizio del 1516, l'imperatore Massimiliano in un proclama chiede a tutte le terre, castelli, zone fortificate, comunità e luoghi del territorio bergamasco di arrendersi e di rifornire le sue truppe con vettovaglie, ad un prezzo onesto. Promette ricompense a chi si consegnerà e minaccia sanzioni a coloro che faranno resistenza [21 marzo 1516; BALDI, Reg. A, 87r]. Il giorno successivo un messo imperiale consegna a Bergamo queste lettere, che vengono annunciate a tutti i luoghi del territorio dai deputati della città [BALDI, Reg. A, 87r].

Così come ad altri luoghi di bergamasca, anche a val Seriana superiore l'imperatore concede un privilegio, il cui testo appare, nel complesso, piuttosto vago [19 aprile 1516; BALDI, Reg. A, 87v]. Con esso, per grazia speciale, la valle viene esentata dall'ospitare militari a piedi o a cavallo; le viene anche garantito (per quello che vale) di non essere molestata contro la volontà degli abitanti, che potranno pienamente fruire di queste immunità.

In corrispondenza con il ritorno a Venezia del territorio bergamasco, tra il maggio ed il luglio 1516, si determina nella valle un movimento tendente a separare taluni comuni dalla giurisdizione di Clusone. Ciò si deduce da un certo numero di pergamene conservate presso l'archivio comunale di Gromo, che riguardano i comuni di Gromo, Ardesio, Gandellino, Valgoglio e Parre. Non è noto se vi sia stato un seguito a tali dichiarazioni unilaterali di separazione, ma si osserva che molte delle comunità in parola entreranno a far parte della squadra di Ardesio, che si costituirà soltanto un secolo più tardi, il 17 agosto 1610 [Archivio Storico Gromo, Carte della squadra di Ardesio, 1].



Veniamo ora alle sedi di podestaria e vicariato cui Bergamo tradizionalmente inviava propri cittadini, cominciando con le podestarie.
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Podestaria di Scalve (Vilminore)

Sappiamo dal Libro delle Azioni di Bergamo che alla data del 22 agosto 1511 Giacomo Mozzi sta all’ufficio di quella podestaria, che egli aveva ottenuto prestando alla città 125 ducati [Az 11, 134v e Az 12, 247v]. Alla medesima data il Consiglio della città nomina a Vilminore Alessandro Balanza per un anno a partire dal 15 ottobre 1511. Costui dovrà prestare alla città 200 ducati, 125 dei quali da rendere al suo predece ssore [Az 11, 134v]. Si tratta però di una nomina puramente formale, perché il Mozzi continuava a reggere l’ufficio di Scalve durante nel 1512. Sotto il regime spagnolo, il 6 settembre 1513, la città decide che chi ricoprirà la carica dovrà donare alla città 5 ducati [Az 13, 161v] ed il giorno seguente 7 settembre designa a Vilminore Bernardino Barilli [Az 12, 162r].

L’anno seguente, e precisamente il 7 maggio 1514, la valle si lamenta presso la città perché la sua podestaria, che è nelle mani di Giacomo Mozzi, non viene di fatto esercitata. Il Consiglio di Bergamo ha già designato a Vilminore Bernardino Barilli, ma il Mozzi non intende lasciare libero l'ufficio fino a quando non avrà recuperato il credito di 150 lire, che aveva fatto alla città per ottenere quella podestaria. Bergamo non è in condizioni di pagare e chiede quindi al Barilli di rilevare il debito, con il diritto di rimanere all'incarico per un altro anno [Az 12, 247v].

Questa vicenda si trascina fino al 19 giugno 1517, quando la città designa a Vilminore Zaccaria de Passis che viene nominato per un anno dalla data del suo ingresso alla carica, alla condizione che egli rilevi il credito del Mozzi [19 giugno 1517; Az 14, 217v].
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Podestaria di Lovere

La vicenda storica di Lovere tra l’inizio della dominazione spagnola ed il ritorno stabile del regime veneto è stata ricostruita da Silini [SILINI, 1992, particolarmente al cap. V; SILINI, 1994, in particolare al cap. IV]. Durante questo periodo Lovere riesce per alcuni anni a svincolarsi dal capoluogo per la nomina del suo podestà. Come si è già narrato, a partire dal settembre 1512 e fino almeno al giugno 1513 la podestaria loverese viene retta da Paolo Ronchi. Nella sua seduta del 6 giugno 1513 il Consiglio maggiore della città nel corso dell’operazione ad ampio raggio già descritta, decide che i podestà che saranno eletti a Lovere dovranno versare una tassa di 25 ducati [Az 12, 161v]. Il giorno seguente poi designa a Lovere Oliverio Agosti [Az 12, 262r], che tuttavia non entrerà mai alla carica.

Una ventina di lettere tra il giugno ed il settembre 1514 [Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, Archivio Storico del Comune di Bergamo Sezione di Antico Regime, sottoserie 9.3: Lettere del Nunzio e degli oratori di Bergamo in Venezia, # 1] esaminate da Silini [SILINI, 1994] appare estremamente illuminante per ricostruire i rapporti tra il dominio spagnolo e la città di Bergamo in ordine ai vicariati, particolarmente quello di Lovere. Si tratta in massima parte di rapporti spediti da Brescia da parte di certi oratori bergamaschi colà inviati per difendere le ragioni della città. Dal carteggio traspare il tentativo dei loveresi di farsi nominare alla podestaria una persona gradita e di liberarsi dalla soggezione di Bergamo. Il governo spagnolo chiede alle comunità in lite di verificare i rispettivi diritti nel corso di un formale processo. Ma tra rinvii delle udienze, contestazioni formali, rimandi delle cause ad altri collegi giudicanti, ed interventi di alte personalità dall'una e dall'altra parte, i mesi passano senza alcuna conclusione.

Intorno al 20 settembre 1514 la discussione della causa ha finalmente inizio e le ragioni di Bergamo emergono palesemente come quelle valide. Tuttavia, la sentenza definitiva viene ancora rimandata al viceré, il quale il 28 settembre fa capire ai messi bergamaschi la sostanziale mancanza di volontà del dominio spagnolo a riconoscere il primato di Bergamo sui vicariati del distretto. Tutto questo mentre a Lovere siede come podestà un bresciano, Clemente Chizzola, che il Consiglio bergamasco cerca di scalzare attraverso i suoi ambasciatori, diffidando il viceré dal prestare fede ai consigli di persone insincere e sospette [Az 13, 10v].

Secondo la ricostruzione di Silini [SILINI, 1994] la successione temporale dei podestà loveresi è la seguente:1513-1514, Clemente Chizzola, bresciano, nominato dal dominio spagnolo; 1514-1515 Francesco della Vedova; 1515 Giovanni de Grignis, tutti personaggi provenienti da zone di influenza imperiale. Il 22 ottobre 1515 la città designa a Lovere Gerolamo Poncino [Az 13, 188v], che tuttavia non prenderà mai possesso dell'ufficio. Segue nel 1515-1516 Antonio Lana, nominato dal dominio spagnolo.

Invano Bergamo eleggerà altri suoi cittadini alla podestaria loverese: essi non potranno mai accedere alla giurisdizione per la strenua opposizione degli abitanti. Vi è grande determinazione nei loveresi nel perseguire questo loro disegno di indipendenza: Lovere continuerà infatti ad esercitare pressioni su Venezia e su Bergamo ed utilizzerà anche il provvidenziale aiuto dell’Imperatore Massimiliano per combattere la sua causa. Nel privilegio che Lovere ottiene dall’Imperatore il 4 maggio 1516 si concede infatti che la comunità sia liberata dalla pretesa superiorità e giurisdizione della città di Bergamo; che essa dipenda unicamente dall’Imperatore e dai suoi successori arciduchi d’Austria e conti del Tirolo; che possa liberamente ed a suo beneplacito governare i suoi abitanti, nomi nando ufficiali (graditi all’Imperatore) con mero e misto imperio e potestà del coltello; che possa emanare statuti e leggi municipali; che possa creare ed ordinare liberamente un pretore o podestà ed altri magistrati o ufficiali, comunque si chiameranno; che questo podestà abbia mero e misto imperio e potestà del coltello; che i profitti della banca spettino a Lovere e che tutti coloro che contribuiscono al suo salario siano a lui soggetti.

Alla fine tuttavia, quando il Dominio veneto farà ritorno in Lombardia, Lovere sarà costretta a cedere. Ma ancora alla fine del 1516 cercherà di contrattare con la città regole concordate nell’elezione del suo podestà, anche se ormai sembra chiaro che la lotta è divenuta impari. Un documento del giugno 1517 sembra preludere alla definitiva sconfitta. Il 24 luglio 1517 Guido Benaglio, cittadino bergamasco, eletto alla carica, rinuncia [Az 14, 234v]. E la vicenda si conclude nell’ottobre di quell’anno con la nomina di Francesco Albani, primo della nuova serie di podestà bergamaschi che da allora in poi reggeranno la podestaria loverese.
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Podestaria di Urgnano e Cologno

L’8 febbraio 1510 il podestà ed i deputati della città eleggono a questo ufficio Rainaldo del Zoppo, [Az 14, 101v], probabilmente a seguito di un prestito che egli fa alla città. Costui risulta ancora alla podestaria il 28 febbario dell’anno successivo [Az 11, 54r]. Nel giugno 1513 il Consiglio bergamasco decide di istituire una tassa di 10 ducati a carico di coloro che saranno inviati a quell’ufficio [Az 12, 161v] e vi designa Bernardino Colleoni [Az 12, 162r].

Tuttavia, all’inizio di giugno 1515 Rainaldo del Zoppo viene di nuovo restituito alla carica, risultando egli creditore della città [Az 13, 141r]. Ed ancora l’8 febbraio 1516 il del Zoppo viene confermato, sempre in virtù dell'elezione del 1510 [Az 14, 101v], permanendo evidentemente la sua posizione creditoria nei confronti di Bergamo. In epoca posteriore, dopo la pace di Noyon, il 16 gennaio 1517 Alessandro Colleoni sarà nominato ad Urgnano per concessione di Venezia [Az 14, 133r]. Ma ancora successivamente il Consiglio bergamasco discuterà del riscatto della podestaria, che sotto i francesi era stata concessa a privati [Az 14, 163r].
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Commissaria della valle san Martino (Caprino)

Come si è narrato al capitolo 6, il 5 giugno 1512 Bertono de Rota viene designato a Caprino dal provveditore generale veneto Paolo Capello [Lett. S.3.1, 86], ma in data 8 luglio 1512 Pezolo Simon Zanchi [Az 12, 8r], secondo il tenore di certe lettere già a lui concesse da Alvise Garzon e Francesco Venier, viene autorizzato ad accedere alla commissaria per completare il tempo per cui Angelo da Alzano era stato eletto in Commissario al medesimo ufficio. Successivamente la commissaria di Caprino viene tassata per 12 ducati [6 settembre 1513; Az 12, 161v] ed il 3 ottobre di quell’anno Antonio de Leyva vuole inviarvi il medico Ippolito de Fadigatis [Az 12, 170v]. Il Consiglio deve pregare "quod sue Dominationes (cioè le autorità spagnole) nolint abstringere magnificam comunitatem ad disponendum de dicto officio, nec aliis, contra formam suorum privilegiorum".

Alla commissaria della valle di san Martino Bergamo nomina intanto un suo cittadino, Gerolamo Colleoni, inviandone il nome per la ratifica al governatore spagnolo [17 agosto 1514; Az 13, 7r]. Ma vi sono problemi per recuperare l'ufficio da Alvise Baniati, che ancora deve esauire il tempo del suo incarico [19 settembre 1514; Az 13, 16v]. Il Baniati patteggia allora l'ufficio con la città [Az 13, 16v; anche in Az 96, 64r]. Dopo di lui il Consiglio nomina Ludovico Rota [22 ottobre 1515; Az 13, 189r] ed ancora successivamente Antonio Olmo [15 dicembre 1517; Az 14, 298r], che risulta ancora all'ufficio il 26 dicembre 1517 [Az 15, 5r].
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Vicariato di Gandino

Nella valle di Gandino, il movimento separatista che si era manifestato già sotto il dominio francese, continua anche sotto in regime spagnolo. Si ricorderà innanzitutto che nel gennaio 1512 risulta all’ufficio di Gandino Iacopo Bratello [Lett.9.3.1. # 129] e che nel giugno dello stesso anno Carlo Minio vi nomina vicario ad beneplacitum del dominio veneto Girardo Lupi [ibidem # 713 e 714]. Il 22 luglio 1513 il Consiglio bergamasco scrive al Governatore di Brescia contro gli abitanti del luogo che vorrebbero un vicario bresciano [Az 12, 147v]. Incurante delle ambizioni della valle, il 6 settembre 1513 il Consiglio bergamasco tassa l’ufficio di Gandino per 15 ducati [Az 12, 161v] ed il giorno seguente vi designa Giovan Enrico Albricci [Az 12, 172r].

A Gandino siede tuttavia un medico, Ippolito de Fadigatis, fo rse succeduto a Gerardo Lupi. Egli occupa la carica indebitamente ed il 3 dicembre 1513 viene privato in perpetuo di ogni ufficio e beneficio da parte di Bergamo, per esservi andato contro i privilegi ed ordini della città [Az 12, 181v]. Anche successivamente la città invia suppliche al governatore di Brescia contro gli abitanti di Gandino e chiunque voglia occupare quella sede [6 dicembre 1513; Az 12, 182v]. Poco dopo il Dominio spagnolo si intromette nella nomina del vicario di Gandino. Infatti, in una lettera del 18 febbraio 1514 il conte di Cariate, Giovan Battista Spinelli, raccomanda al Consiglio bergamasco il nome di Aloisio de Lalio per la nomina a Gandino oppure ad Almeno. Ed il 13 marzo il Consiglio lo designa a Gandino, ma soltanto dopo che l’Albricci, già in precedenza designato, avrà preso possesso della carica – ciò che egli non aveva ancora fatto - l’avrà esercitata e l’avrà lasciata [Reg. Duc. A, 185r; e Az 12, 235r e Az 96, 60v]. Il che equivale a dire, vista la rapidità con cui gli avvenimenti si succedevano, mai. Risulta dai documenti che solo il 17 agosto 1514 le lettere patenti dell'Albricci verranno inviate al dominio spagnolo per approvazione [Az 13, 7r]. Infine si sa che il 17 dicembre 1517 Ottolino da Alzano ottiene la nomina a vicario di Gandino, avendo prestato alla città una somma di denaro [Az 14, 302v]; egli risulta presente a Gandino il 26 dicembre successivo [Az 15, 5r].

Anche nel campo della giustizia criminale Gandino vorrebbe allontanarsi da Bergamo ed aggregarsi a Brescia, con lamentele della città [23 e 31 gennaio 1514; Reg. Duc. A, 184r e v]. E’ interessante ricostruire la vicenda che si svolge allorquando i gandinesi si oppongono al giudice dei Malefizi di Bergamo, il quale voleva esercitare le sue funzioni in un caso di omicidio. Un primo documento su questa vicenda è una lettera dello Spinelli al giudice del Malefizio di Bres cia [23 gennaio 1514; R.99.23, 94v]. Essa parla di lamentele di Oliverio Agosti, un ambasciatore della città, per un mandato concesso allo stesso giudice a Gandino per la sospensione della giurisdizione della città su quella terra: secondo l'ambasciatore, il mandato era stato concesso in virtù di una delega dello stesso Spinelli al giudice. Lo Spinelli asserisce di non rammentarsi di tale delega e che, quand'anche essa fosse stata rilasciata, sarebbe stata senza giusta causa e non avrebbe quindi alcun vigore. Dichiara quindi non essere sua intentione preiudicar ala iurisdictione dela dita cità: la causa dovrà quindi essere rimessa al giudice competente. L'Agosti presenta la lettera nel Consiglio di Bergamo il 3 febbraio 1514. Il 31 gennaio però il giudice del Malefizio di Brescia aveva scritto al governatore di Bergamo Ripadaneira e gli aveva comunicato di aver discusso della cosa con il governatore di Brescia, con il cui accordo aveva revocato ogni sospensione fatta in favore di val Gandino e contro la città, dichiarando di rimettere la causa allo stesso Ripadaneira. L'Icart stesso scrive poi il 1° febbraio ai deputati di Bergamo dicendosi a loro favorevole e dichiarando et ho piacer che me donati aviso de tute le ocorentie vostre ad tal che de continuo possa proveder ad quello che sia lo comodo, honore et utile di questa cità. Anche questa lettera viene consegnata il 3 febbraio dall'Agosti [Reg. Duc. A, 216v].

Negli sviluppi successivi di questa causa, per rivendicare i diritti di Bergamo, un ambasciatore viene inviato al viceré ed un altro al governatore [10 febbraio 1515, Az 13 85v]. Il viceré desidera udire le ragioni dei contendenti e la città invia allora altri oratori, facendo nel contempo citare Gandino [25 e 27 febbraio 1515; Az 13, 94r e 95r], che chiede una proroga dei termini [Az 13, 113v]. Dopo un nutrito scambio di lettere tra il viceré ; e la città, si arriva infine al giudizio. La sentenza [Reg. Duc. A, 188v] reca la data del 23 aprile ed è indirizzata per esecuzione al governatore bergamasco Guzman da Lendinara del Polesine. Dal contesto dell'atto si deduce che la causa ebbe uno svolgimento piuttosto avventuroso ed un giudizio sostanzialmente favorevole alla città. Bergamo esprime la sua riconoscenza al Cardona e manifesta nel contempo la sua preoccupazione per certe trame che quelli delle valli e della pianura starebbero ordendo contro di lei; decide anzi di spedire un nunzio per informarsi su queste manovre [28 maggio 1515; Az 13, 137r].

Come si è detto, val Gandino aveva ottenuto e concordato con Bergamo uno spostamento dei termini di comparsa al 30 marzo 1515. In quella data, la valle aveva esibito le sue ragioni, ma i patrocinatori di Bergamo non si erano fatti vivi. Il Cardona aveva quindi deciso che Gandino continuasse ad agire secondo i suoi diritti, mentre la città avrebbe potuto far valere i propri quando credeva, dovendo però risarcire la controparte per non essere comparsa. Gli oratori di Gandino lasciano il viceré ma, sulla via del ritorno, si imbattono in quelli di Bergamo, che chiedono loro di ritornare in giudizio, ottenendone un rifiuto. Alla fine, due oratori della valle e due della città, dopo una nuova convocazione del Cardona, si ritrovano ed espongono le loro tesi. Il viceré decide che la ragione sta dalla parte della città e che la giurisdizione della valle le appartiene. I gandinesi tuttavia asseriscono che una gran parte delle loro carte sono andate perdute per la turbolenza dei tempi e chiedono due mesi di proroga per presentarle. Il Cardona concede, a patto che nel frattempo soggiaciano alla giurisdizione della città. Quanto alla designazione del vicario di Gandino nulla si può decidere, in quanto il vicario che vi siede è di nomina imperiale (ma il suo nome non viene dato). Bergamo chiede ai gandinesi una pena, che il Cardona rifiuta [23 aprile 1515; Reg. Duc. A, 188v].
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Vicariato della valle Seriana inferiore (Nembro)

Per quanto riguarda la val Seriana inferiore, il 5 settembre 1513 [Az 12, 160r] Bergamo cerca di contrattare la conservazione alla sua giurisdizione di quel vicariato e nomina tre deputati per seguire la questione. Ma il governatore di Brescia intende inviare a Nembro per un anno il suo cancelliere Cristoforo [6 settembre 1513; Az 12, 161r]. Su richiesta della città, che fa presente come una tale nomina sarebbe in pregiudizio dei propri diritti sul vicariato, Cristoforo consente tuttavia a convertire il suo diritto alla carica in cambio del pagamento di 100 ducati d’oro, che la città prende a prestito da Francesco Albani. Più tardi Bergamo invierà tre messi a Nembro per trattare una composizione con gli abitanti della valle in merito al vicariato [17 novembre 1513; Az 12, 178r].

Il 13 dicembre 1514 il Consiglio maggiore della città elegge a Nembro Soccino Secco, per un anno dalla presa di possesso dell'ufficio [Az 13, 51v] e l’anno successivo dispone che chi andrà all'ufficio dovrà pagare una tassa di 20 ducati alla città [6 settembre 1515; Az 12, 161v]. Pochi giorni dopo, e precisamente il 9 settembre, Il Consiglio conferisce il vicariato per un anno a Francesco Albani [Az 13, 176v], in riconoscimento dei suoi meriti verso la città [Az 96, 76v].

Ritornato il dominio veneto sul territorio, il 17 febbraio 1517 Pezolo Simon Zanchi viene insediato a Nembro dai rettori di Bergamo, su specifica richiesta di Venezia [Az 14, 149r]. Ma nel dicembre dello stesso anno Bergamo vi nomina Alessandro Avogadri [15 dicembre 1517; Az 14, 296v], il quale risulta all'ufficio il giorno stesso della nomina [Az 15, 5r]. L’anno successivo [31 dicembre 1518; Az 15, 137r] lo Zanchi vorrebbe tornare a Nembro, a certe condizioni.
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Vicariato della valle Brembana superiore (Serina alta)

Anche a Serina, così come in altre sedi che non facevano parte delle terre donate all’Amboise (Scalve, Oltre la Gocchia), il vicariato fu affidato per danaro a privati e la città riuscì a ricuperarlo soltanto dopo anni. Infatti, il 10 agosto 1511 Giovan Maria Mozzi ottiene l’ufficio di Serina, con la condizione di concedere un prestito di 275 ducati alla città [Az 11, 129v]. Nonostante che il Consiglio di Bergamo stabilisca una tassa di 5 ducati a carico di chi andrà a Serina [6 settembre 1513; Az 13, 161v] e vi nomini poi Antonio da Adrara [7 settembre 1513; Az 12, 162r], pare probabile che il Mozzi continui ad esercitare la giurisdizione.

Infatti, il 21 dicembre 1518 il Libro delle Azioni di Bergamo riferisce che durante il regime francese, l'ufficio era stato concesso per denari ad una persona (non nominata) la quale a quella data stava ancora alla carica e dalla quale la città cerca di recuperare l'ufficio [Az 15, 123r]. Il 23 dicembre 1518 il Consiglio elegge a Serina Pietro Moioli, a condizione che costui dia in dono 15 ducati al suo predecessore, oppure alla città. Ma il 17 giugno 1519, ritenendo l'incarico non remunerativo, il Moioli si dimette e chiede l'elezione di un successore [Az 15, 126r e 189v].
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Vicariato della valle Brembana inferiore (Zogno)

Le notizie riguardanti questa zona del territorio sono a questo momento molto scarse. Si sa che il 5 giugno 1511 il vicariato di Zogno era occupato da Ludovico Agosti, il cui mandato viene prorogato per un altro anno [Az 11, 105v]. Sotto il protettorato spagnolo-imperiale, così come per molte altre sedi podestarili e vicariali, il Consiglio stabilisce una tassa di 12 ducati a carico di coloro che saranno designati a quell’ufficio [6 settembre 1513; Az 12, 161v] ed il giorno seguente vi nomina Vincenzo Advinatri [Az 12, 162r]. In seguito vi sarà designato per un anno Giovan Giacomo Mozzi [13 dicembre 1514; Az 13, 51v]. Ma il 23 novembre 1515 Benedetto di Aloisio Girardelli, che era stato inviato a Zogno dai provveditori di Bergamo, viene richiesto dalla città di lasciare l'ufficio per l’opposizione della valle [Az 13, 197v]. Si sa ancora che il 18 maggio 1517 è vicario a Zogno Stefano Vianova [Az 14, 198v] e che il 16 dicembre dello stesso anno la carica è conferita a Fedrigino del Zoppo [Az 14, 300r], il quale presta alla città una somma di denaro. Egli risulta all’ufficio il 26 dicembre successivo [Az 15, 5r].
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Vicariato di Almenno

Scarse le notizie anche a proposito del vicariato di Almeno. Nonostante che il Consiglio cittadino tassi quell’ufficio per 12 ducati [6 settembre 1513; Az 12, 161v] e che vi designi Bertolino Baniati [7 settembre 1513; Az 12, 162r], l’ufficio appare pe ricolante perché occupato da uno spagnolo [11 febbraio 1514; Az 12, 227v] e perché il governo spagnolo ritiene di poterne disporre [18 febbraio 1514; Reg. Duc. A, 185r]. Da una annotazione dell’11 febbraio 1514 si apprende che anteriormente a quella data un certo Balabastro spagnolo era all'ufficio [Az 102, 223r]. Successivamente (22 ottobre 1515) il Consiglio conferisce per tre mesi il vicariato di Almenno a Bertolino Baniati [Az 13, 189r] e poi (21 dicembre 1517) ad Alssandro Foresti [Az 15, 3r], il quale presta alla città una certa somma di denaro; costui risulta già all'ufficio il 26 dicembre 1517 [Az 15, 5r].
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Vicariato della valle Brembana Oltre la Gocchia (Piazza)

Alla data del 13 gennaio 1511 Martino di Baldassare de Bolis viene eletto al vicariato di Piazza, con la condizione che egli dovrà rifondere a Tommaso Tasca un prestito che quest’ultimo aveva fatto alla città [Az 11, 110r]. Il Bolis è ancora all'ufficio il 28 aprile del 1513. Gli Uditori veneziani avevano scritto al podestà di Bergamo contro il Bolis, cui il Consiglio aveva replicato con altre lettere indirizzate ai capi del Consiglio dei Dieci, nel tentativo di bloccare l’azione del podestà [Az 12, 111r].

Nonostante che nel settembre 1513 il Consiglio bergamasco decreti una tassa di 5 ducati per coloro che saranno mandati a Piazza brembana, e che vi designi poi Giovan Battista de Curteregia [6 e 7 settembre 1513; Az 12, 161v e 162r], si sa che ancora il 21 dicembre 1518 una persona che aveva avuto il vicariato della valle Oltre la Gocchia sotto il regime francese (probabilmente lo stesso Martino de Bolis) ancora occupava quella sede, perché la città cerca di recuperare da lui l’ufficio [Az 15, 123r].
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