CAPITOLO 9 - LUGLIO

Mentre a Bergamo il Consiglio continua a rimanere apparentemente inerte, il provveditore Bartolomeo da Mosto cerca di mettere qualche ordine in città e nel territorio, dove lo stato dell'ordine pubblico sembra fortemente compromesso. Particolarmente minacciosa è la situazione a Lovere, dove da qualche settimana è in corso una vera e propria ribellione al dominio veneto, ma più in particolare alla città di Bergamo. Questo fatto è molto preoccupante agli occhi delle autorità cittadine, che temono di perdere il controllo di quella podestaria. Per ragioni d'ordine e di continuità, è opportuno raccontare questa vicenda separatamente dal contesto generale, trattandola in questo capitolo perché proprio nel mese di luglio essa prevalentemente si concentra. E i suoi sviluppi sono i seguenti.

L'11 giugno in una lettera da Acquanegra alla comunità di Lovere il Capello, probabilmente convinto da una cospicua largizione di denaro, nomina un signorotto veneto, Zaccaria de Priuli, rettore di Lovere fino a che la Signoria non provveda altrimenti. La ragione addotta per questa nomina irrituale - l'elezione dei vicari di fuori era infatti di competenza del Consiglio bergamasco - è quella di non lasciare quegli uomini privi di un'autorità che amministri loro giustizia. Tuttavia, l'elezione è ambigua anche per altre ragioni. Innanzitutto, perché soltanto Lovere, quando molti dei vicariati del territorio si trovavano nelle medesime condizioni? Poi, il titolo conferito, cioé quello di rettore, non era una dignità usuale e, in particolare, Lovere aveva tradizionalmente un podestà residente. Infine, la durata dell'incarico, conferito ad beneplacitum del Dominio, e non annualmente, come di rito. Pare che il Priuli fosse un nobile veneto rimasto il val Camonica a tener desto lo spirito marchesco dopo la rotta di Agnadello [SILINI, 1994]. Come si è già narrato, dopo le proteste dei bergamaschi, già il 29 giugno il governo veneto aveva ritrattato la nomina, ma ormai il nuovo podestà si era insediato e governava a Lovere a nome di Venezia. Con questa nomina, Lovere coronava un sogno a lungo accarezzato di indipendenza da Bergamo nella scelta del suo podestà, eleggendo per di più un cittadino veneto, e non un bergamasco, come già da molti anni Clusone era riuscita ad ottenere.

Di fronte all'insubordinazione della comunità di Lovere, Bergamo nomina subito alla podestaria un suo cittadino, Nicolò del Passo, e lo invia alla sede. Costui dovrebbe essere giunto a Lovere intorno alla fine di giugno. Da lì, il 1° luglio, dopo essersi reso conto della situazione, egli scrive nei seguenti termini ai deputati della città [Lett. 9.3.6. # 14]:

Dil successo dele cose di qua dago particular notitia al mag.co Proveditore, et altro non ne scrivo ale Magnificentie vostre perché saria prolixo narrar, ma da lui haverite ad plenum il tuto. Et per che, come sanno le Magnificentie vostre, qua se tracta più evidentissimo interesse de questa mag.ca Comunità che mio, io per amor de quella me ne restarò qua fin tanto che haverò risposta de opportuna provisione dal mag.co Proveditor et dale Magnificentie vostre, pregando quelle non vogliano manchar totis viribus ad farli gagliardissima provixione et expedita.
Et per che io scrivo al mag.co Proveditor voglia mandar il suo Vicario cum soldati a formar questi processi, se a vuy paresse remover questo et proveder di mandar persona più al proposito, remetto ale Magnificentie vostre. Ma aciò si possa meter terrore a costoro, a me pareria expediente mandar qualche fantarie deli conestabili novamente venuti, aut piliar altre provisione, che se facia demostratione de li sinistri deportamenti per loro usati contra lo honore de questa mag.ca Comunità.
Scrivando sono sopragionti qua li homini de questa terra et hanno exposto quello è sottoscritto nele littere scritte al mag.co Proveditore, quali le Magnificentie vostre vederanno, et subito far exequir le conclusione se contiene in calce de essa lettera. Et come più prudentissimamente potrà proveder le Magnificentie vostre, ale quale di continuo me recomando
.

Dal che si deduce che il del Passo aveva grandi difficoltà ad esercitare il suo mandato; che non riusciva ad istruire certi processi (la cui natura non è nota) ed invocava per questo l'invio di un giudice più autorevole; che la sua azione era ostacolata dalla presenza del Priuli; e che forse i loveresi si sarebbero più facilmente ridotti all'obbedienza se convinti con la forza. Accogliendo quel suggerimento, il da Mosto tenta di forzare la situazione, imponendo ai loveresi la volontà di Venezia e la giurisdizione di Bergamo manu militari. Il modo, lo si apprende da due lettere del 4 luglio, quando alcuni uomini al soldo di Venezia scrivono al provveditore bergamasco. La prima lettera [Lett. S.3.1, 178] viene da Lovere e, in una lingua piuttosto incerta, dice:

Avisamo la S. V. como siamo stato qua a Lover e avemo parlato como questi omeni de la tera, ma queli del Consilio non è avemo mai posuto avir niuno omo, per che la litera che aviva scrito la S. V. a noi l'ha retenuta e aperta e fato fugar li omeni del Consilio: e questo è stato el Podestà causa de tuto. E avemo voluto andar a casa per casa de li omeni del Consilio e scriti a noi per la S. V. e noi avemo fato tuto el poder nostero per mandar a efeto la comesione de la S. V. Tuta questa tera è in armi contera de noi, e questo è per la sobornaziò del Podestà de qua da Lover, che s'anno tolto Lover da sua posta. Non altero; se recomandemo ala S. V. e retornaremo da la S. V. Galante de Asola, Vizenzo da Matallo, Bertolamè dala Barba.

L'altra lettera [Lett. S.3.1, 177], più informativa, scritta da Castro poche ore dopo, riferisce:

Per che V. S. sia avisata del tuto, nui siamo azonti dominicha da matina (cioè lo stesso 4 luglio) ad ore 13 vel circha a la tera de Lover et poi azonti abiamo trovato tuta quela tera in arme et molto mal disposta contra de nui, dicendo che lor non ne vol dar obedientia alchuna, atento che abiamo mostrato le litere insieme con li mandati de V. S. ali predicti de la dicta tera de Lover, et pur asai molti altre male parole le quale ne ano usati. Et da poi questo abiamo intese che V. S. ne à mandato una litera per un chavalar el qual a nome .... official de la cità de Bergamo, la quale dovesemo aver sabacto proximo pasato, del tenor de la quale V. S. sa la importantia. La qual litera abiamo intese che la son andata in mano del Podestà che lori de la tera de Lover, et qual a nome miser Zacharia di Prioli. La qual litera abiamo receputa dominicha ad ore desdoto. Avuta et poi eleta quela, noviter siamo tornati ala predita tera per far citar tuti queli 13 omeni de lì, quali non abiamo trovati alchuno. Onde ne è parso dar notitia la S. V., pregando quela ne volia subito dar risposta per lo presente latore, per che nui tuti insieme con le nostre compagnie sì a cavalo come a pìe se trovamo senza un bet (?), et molto pocho pan et vini retrovandose in questi lochi. Et anchora averesemo a char asai che V. S. ne dese aviso de le litere che à scripto al Provededor del campo, de li denari li quali averemo a tochar. Nec plura, si non che di continuo se aricomandamo a V. S. Galante de Asola, Bertholomio de la Barba, Vizenzo de Matalon, servitori de la prefata S. V.

Chi erano questi tre militari cui il da Mosto aveva demandato la soluzione di forza della questione? Lo si desume da una lettera già riportata del 26 giugno allo stesso da Mosto da parte del Capello, da cui sembra che egli non sapesse come impiegare quei vallenthuomeni e li mandasse a Bergamo, nella speranza che il da Mosto rimediasse loro uno stipendio. Il testo della lettera da Castro lascia intendere che problemi concreti di sopravvivenza, piuttosto che i litigi tra Bergamo e Lovere, preoccupassero quei poveracci.

Sta di fatto che essi non riescono a portare a termine la loro missione. Ecco quindi il testo di un'ingiunzione del da Mosto ai consiglieri della comunità di Lovere del 6 luglio [Lett. 9.3.6. # 15]:

Dilectissimi nostri,
havendo ad communicare cum voi, d.ni Consiliarii dil locho da Lovere, per alchune cose concernente al stato di nostra ill.ma Signoria, imperhò a voi tuti Conseieri et nodaro di la predicta Comunità, vi cometemo che, ala pena de mille ducati per cadauno inobediente applicandi a la Camera Ducale, dobiati personalmente cadauno, infra il termine de doi giorni dapoi la intimation de le presente nostre, comparer avanti di noi, altramente subito vi faremo portar per debitori a la Camera preditta, et farase la exequtione senza remission alchuna
. L'ingiunzione dell'ordine, che appare in calce al testo, è molto significativa:

Die decimo iulii 1512 retulit Betinus de Guarneriis de Albino, corerius comunis Bergomi, se die octavo instantis de mandato prefati mag.ci d.ni Provisoris portasse, dedisse et in scriptis dimisisse suprascriptas litteras in forma utsupra, et sigilatas sigilo d.ni sancti Marci, mag.co d.no Zacharia de Priolis, se pro potestate gerenti in loco de Luere, convocatis etiam ad hoc nonnullis hominibus ipsius loci per prefatum mag.cum d.num Zachariam. Cui nuntio ipse mag.cus d.nus Zacharias, in presentia prefatorum hominum et consulis ipsius loci, respondit quod consiliarii ipsius loci tunc erant extra ipsam terram in diversis eorum negociis, et cum primum rediisent, quod eos admonerent de predictis et subinde responsum darent.

Ma mentre tentava di sbloccare la resistenza passiva dei loveresi nel modo descritto, il da Mosto aveva avvertito il governo veneto del probabile fallimento del suo tentativo. Già il 10 luglio parte da Venezia una nuova e più vibrata ducale al provveditore [Reg. Duc. A, 178r ed altrove]. Essa dice, tra l'altro: Per le ultime vostre inter cetera ne significate che havendo quella magnifica et fidelissima comunità da Bergomo iuxta i suoi privilegii mandà a Lovere un de quelli cittadini per podestà, come soleva far avanti la guerra, par che non sia stà acceptato né obedito alli mandati vostri, havendose intruso de lì ser Zecharia di Prioli senza ordine nostro. Al che respondendo, ve dicemo, laudandovi grandamente, che faciate ad unguem observar li privilegii de la detta fidelissima communità sì che a quelli non sia in alchuna parte derogado, prestandoli ogni favor, come merita la fede et devotion sua al stato nostro. Et per quanto spetta a quelli da Lovere, volemo che li dobbiati imponere nostro nomine ad acceptar quello cittadino eletto da essa fidelissima comunità, imponendo a ser Zecharia di Prioli che per quanto l'ha chara la gratia de la Signoria nostra, si debba levar de lì, né impedirse in alchuna cosa senza ordine nostro.

Contemporaneamente, la comunità di Bergamo mediante i suoi rappresentanti a Venezia, l'Assonica e l'Albani, preme sul governo per altra via. I due oratori il 13 luglio così scrivono ai deputati della città [Lett. 9.3.6. # 16]:

...per la littera de dì 9 le Magnificentie vostre ne fa intender la ostinacion et inconvenienti fatti per quelli da Lover in non voler aceptar el vichario li avetti mandatto, et che non anno volutto obedir el comandamento a loro fatto per el mag.co Proveditor, anzi anno fatto demonstration grande como ribelli de questo exc.mo Dominio et dela cità nostra, saltando in arme cum menaze grande; cometandone dobiamo far intender el tuto ala ill.ma Signoria nostra.
Et cossì tuta la medesima matina che havessemo le ditte vostre stesemo a Palazo per haver da quella audientia per rechiederli opportuno remedio, sechondo ne avetti comesso, et non fo posibile quella matina per la grande ochupation poter haver audientia. Et vedando che modo non li era de haver audientia, mandasemo dentro le lettere del mag.co Proveditor hautte insieme cum le vostre. Qual in quello instante forno lette et a sua Magnificentia fo fatto risposta, et quella mandatta per le poste, quala a questa hora pensiamo l'abiatti vista in bona forma.
Poi domenicha matina avesemo audientia et apresentasemo le tre vostre littere schrite ala ill.ma Signoria, qual forno lette et da tuti benignamente ascoltate, et dimostrorno haver grandissimo dispiacer a intender le malle opperation di questi ostinatti maligni da Lover, et ne respoxeno havere schripto al mag.co Proveditor in oportuna forma, che omnino dovesse remover quel zentilomo da Cha de Prioli de ditto offitio. Et a richiesta nostra hordinorno un'altra littera cum Zonta, che se ditto zentilomo fosse pertinaze in non voler obedir, li fosse fatto comandamento a pena dela desgratia dela ill.ma Signoria se havesse apresentar de qui, lasando el ditto locho in arbitrio de quella comunità. Et atiò che tal sua deliberation havesse asortir bon effetto, ordinorno fosse schripto un'altra littera al ditto zentilomo in ditta forma, et che ditti homini da Lover dovesse aceptar el mandatario vostro. Sì che speramo el se deba levar et lasar el ditto locho in desposition vostra.
Qual littera non abiamo potuto haver se non ozi che questi canzeleri per molte ochupationi non l'anno potuta far prima. Vero è che per qualche uno de questi Signori de Colegio n'è stà rechordatto vi dobiamo schriver dobiatti veder cum destreza de haver vostra intention, se posibile hè, che poi cum tempo li farano intender che anno ben cogniosuto le sue malle operation. De questo le Magnificentie vostre faza quello le par sia per lo meglio. Qual littere si manda qui aligatte.
Apresso abiamo richiesto ala prelibatta ill.ma Signoria, in nome di vostre Magnificentie sechondo ne avetti comesso, la replication dela littera fo schrita a quella mag.ca Comunità questo febraro pasato, bolatta de bolla doro cum el cordon cremexino, per la confermation de tuti privilegii de quella, per che quella molto satisfatoria a tuta la cità, qual insieme cum tuti li altri privilegii originalli vi forno tolti per li agenti del Re de Franza, apelandovi per ribelli et privandovi di tal privilegii. Et visto quella vi fezeno magior fortuna per la dismostration grande de bon amor fatta per ditta littera per ditta ill.ma Signoria verso la sua fidelissima et carissima cità, qual cosa per noi exposta l'anno intesa cum gran dispiacer. Et gratioxamente anno hordinato sia replicatto un'altra littera de quel medesimo tenor, la quale solicitarano per farla far in bona littera et farla bolar in bolla de oro, a laude et gloria de questo ill.mo Dominio et per satisfaction dela richiesta vostra et contento de tuta quella cità. Dinotandove che non se siamo offerti de pagar l'oro andarà in ditta bolla per che, abiandolo loro paghatto una volta, non ne pareva honesto de questo darli altra angaria. Et se de questo havessemo preterito el voler vostro, ne haveretti per schuxà, però che l'abiamo fatto a bon fine per non restar per questo de haver ditta littera. La qual littera, hautta l'averemo, ve la mandaremo per lo primo.
Quelli de Gandino se ritrovano qui et per quanto abiamo inteso zerchano la confirmation de alchuni suoy capituli. Ben abiamo fatto qualche praticha, che se loro domandarano cossa che abia atornar contra la comunità nostra ne fazino chiamar, che zercharemo de obstar non sia fatto cossa che torni a quella preiudizio....


La nuova ducale cui fanno riferimento i due ambasciatori della comunità di Bergamo è quella che porta appunto la data del 13 luglio, inviata da Venezia al Da Mosto [Reg. Duc. A, 178v ed altrove], che recita:

...Havendo heri riceuto per mano di prudenti fidelissimi nostri Zoan Antonio de Pasino e Thadio d'Albano tre lettere di quella communità magnifica et charissima, le habbiamo vedute cum singular nostra satisfaction per il paterno amor nostro verso di lei. Ma ben ne è stato molesto intender il pocho capitale ha fatto el nobel huomo Zacharia di Prioli del mandato vostro fatto in execution de quanto ne scrivessemo in simil materia. Et anchora che per le secunde lettere habbiate potuto veder el firmo proposito nostro avanti il ricever de le predette, non habbiamo tamen voluto restar di farli questa terza mano de lettere ne la forma efficace che per lo inserto exemplo vederete. Perhò semo certissimi ch'el non achaderà altro, ma che li ordeni nostri sortiranno votivo exito. Quanto specta alli privilegii et altre scritture tolte da francesi ad essa charissima communità, noi habbiamo commesso che immediate ge sia levato tutto quelli i desiderano, et così li dinotarete in nome nostro, facendoli certi che noi tanto desideramo ogni suo bene et commodo, quanto de proprii filioli del stato nostro. Circa l'imprestedo non vi diremo altro perché per le precedente vi habbiamo compitamente dechiarito la nostra intentione....

Il provveditore bergamasco non aveva tuttavia atteso questa nuova missiva, che ancora non conosceva. Dopo aver ricevuto la precedente ducale del 10 luglio, ne manda copia a Lovere e così si rivolge ai capi della ribellione (15 luglio) [Lett. 9.3.6. # 17]:

Miser Zacharia et voi dilectissimi Conseieri di la Comunità da Lover,
a questi zorni passati io come representante la ill.ma Signoria vi feci più comandamenti, che per observantia di privilegii di questa cità, et anchora in exeqution de littere de la prelibata ill.ma Signoria nostra, voi predicto miser Zacharia vi dovesti totalmente partir di quello locho et iurisdictione et transferirvi altrove; et voi Conseieri dovesti aceptar il zentilhomo qual se vi manda per questa cità di Bergomo per podestà vostro.
Et havendo la ill.ma Signoria hauto di questo in parte notitia, et non già totalmente di la expressa inobedientia vostra, novamente ne ha scripto le littere, la copia di le quale vi mandamo qua inclusa: che per quanto aveti caro la gratia sua, vi dobiati levar de lì, né impedirvi in alchuna cosa. Et così, in exeqution di quelle, vi cometemo che subito vi dobiati levarvi; et similiter voi Consilieri acceptareti il podestà vi sarà mandato per questa cità, come è la mente di nostra ill.ma Signoria.
Advertendo voi bene ad non esser più renitenti, per che poteria esser cum grandissimo danno et preiuditio vostro. Voi cognosceti quanto importi ad esser inobedienti a li comandamenti di nostra ill.ma Signoria, et imperhò non vi dicemo altro. Mandiamo il presente lator cancellero nostro per haver bona resolutione de questa cosa, come non dubitiamo. Come homeni di qualche prudentia fareti quanto vi ven ordinato per beneficio vostro
.

Ser Zaccaria si rende immediatamente conto di aver resistito anche troppo a lungo e concisamente comunica da Lovere il 19 luglio al da Mosto [Lett. S.3.1, 158]:

Magnifice et generose domine mi maior honorande,
per il presente cavalar et latore ho receudo una di V. M. insieme cum una dela ill.ma Signoria, et inteso il tenor di quella. Domani, piacendo a Idio, me levarò per andar a Venetia, per esser così la mente dela ill.ma Signoria. Ala qual humiliter a Sua Magnificentia me arecomando
.

Dopo di che il Priuli apparentemente scompare, senza peraltro compromettere irreparabilmente i suoi rapporti con Venezia, perché tornerà in patria, vi si sposerà molto vecchio e vi morirà a 85 anni.

I loveresi, al contrario, non si rassegnano e decidono di resistere. In una minuta del 22 luglio da Bergamo [Lett. 9.3.6. # 19] il da Mosto, dopo aver preso atto della dipartita del Priuli, dice:

...essendo per la occorentia di tempi presenti bisogno conferire, tractar et disponer cum voi molte cose de non picola importantia per il stato de prelibata ill.ma Signoria; per la presente vi comandemo che, subito viste le presente, quatro o sei de voi Consilieri, inseme cum il nodaro vostro, deba transferirse da noi, per intender et exequir quanto gli imponeremo. Preterea, bisognando per la assecuratione et total recuperatione del paese nostro grande quantità de danari, vi ordinemo et comandamo che anchora voi vogliati far la parte vostra et subito portarne li danari di la limitatione, et se non tutti al mancho la magior parte. Et quelli danari portareti serano acceptati senza preiuditio di alchuna vostra ragione et privilegio, et omni meliori modo el si convenerà.

Dal che si comprende che i loveresi, oltre che disubbidienti in fatto di giurisdizione, erano altresì renitenti nel versare le tasse, dettaglio di non poco rilievo. Conclude allora la lettera il da Mosto: Et per quanto haveti caro la gratia dila ill.ma Signoria, non fatti fallo di exequire questi comandamenti nostri, aciò non ne sia datto causa di scriver ala ill.ma Signoria et si facia provisione di sorte che sia in vergogna et danno vostro. Ma poi il provveditore ha un pentimento, cancella quest'ultima frase e la sostituisce, più diplomaticamente, con quest'altra: Et in questo voi non fareti fallo, come siamo certi come boni et fideli subditi a questo non manchareti, né voreti darne causa di far altre provisione, né si dogliamo di voi et di questo ne sia dato notitia ala ill.ma Signoria nostra. Bene valete.

Interrompiamo qui la narrazione delle vicende di Lovere, per riprenderla successivamente, e torniamo invece alla situazione politica e militarr generale, così com'essa appare verso l'inizio di luglio.

Proprio il 1° luglio, Paolo Capello da Adorno nel pavese comunica a Venezia che le lanze del Savello - già al presidio di Bergamo e che stavano ora lasciando Pavia perché il loro salvacondotto era scaduto - sono state aggredite e rapinate dagli svizzeri, ma difese dalle truppe venete. In quell'occasione vi sono state baruffe tra soldati italiani e svizzeri, poi sedate. Questi disordini sono menzionati anche in una lettera del Mocenigo da Pavia. Il vescovo di Monopoli, che era stato al campo per portare denaro ed ha poi fatto ritorno a Venezia, riferisce in Collegio che i comportamenti del cardinale svizzero permangono ambigui e che egli non ubbidisce ai voleri del Papa. Il vescovo aggiunge anche molte altre informazioni: Sguizari sono 18 milia in tutto, mal vestiti, onti etc erano. Li vide in Pavia, i quali stanno per robar e aver danari; il cardinal à auto assai; et come quel zeneral di Bianchi di Landriano fa mal oficio contro la Signoria nostra. In Cremona è domino Alexandro Sforza prothonotario posto per la Liga, e cussì in li castelli di Geradada e Sonzino e Pizigatone; et il remedio a dar licentia a' sguizari saria di far venir spagnuoli et le zente dil Papa di qua, e con 10 milia ducati che desse la Signoria per la soa parte, si faria bon fruto, e sguizari, che non sariano superiori, aria di gratia di levarsi, perché il soldo non li coreria.... Dice in Brexa esser 200 lanze, 1000 cavali lizieri et 2000 fanti francesi, et che si voria mandar a tuor le terre e mandar homeni capi di reputatione e non Piero Longena... [SAN, XIV, 458].

Sempre da Adorno, scrive anche il Capello in data 2 luglio che i francesi da Susa attraverso il Monginevro sono entrati in Francia siché si pol reputar siano fora de Italia. Anche il Triulzi si starebbe recando in Francia per due ragioni: per giustificarsi con il re e perché teme gli svizzeri. Il Capello stesso che scrive ha intenzione di andare a Pavia per consultazioni con il cardinale.

Proprio al cardinale sedunense il 5 luglio la Signoria invia una lettera, nella quale ricorda che i francesi rimasti occupano ancora le fortezze di Milano, Cremona, Brescia (dove si trovano ancora più di mille cavalieri e tremila fanti) nonché Crema, la Capella di Bergamo ed altri posti fortificati. Essendo l'esercito della santissima Lega lontano da tutti questi luoghi, i francesi escono dai castelli - soprattutto a Brescia - e mettono a sacco impunemente i luoghi adiacenti. E poiché è necessario reprimere queste intollerabili insolenze, la Signoria invita il cardinale a mandare in campo le sue milizie, che - suggerisce abilmente - non solo avranno ragione dei nemici, ma potranno anche fare ingente preda delle ricchezze che i francesi hanno accumulato nelle postazioni occupate. Anche Cristoforo Moro, che è in viaggio verso Pavia, scrive da Lodi il 2, confermando che le truppe francesi, fuoruscendo da Brescia, fanno ingenti danni nel territorio.

Ma, come narra il Capello il 3 luglio, gli svizzeri non si muovono da Pavia, in attesa di 5000 ducati del taglione imposto alla città. Non solo, ma il cardinale si mostra risentito con i veneti che hanno ucciso quindici dei suoi nel tentativo di aiutare le lanze fiorentine del Savelli: il cardinale intende vendicare il sangue degli svizzeri e chiede 2000 scudi di riparazione: veramente inesauribile la sete di denaro dello Schiner! Il Capello cerca di acquietarlo, mentre il protonotario Mocenigo molto prudentemente lo abbandona e va verso il campo veneto, dove si sente più sicuro. Il nuovo provveditore generale Cristoforo Moro è giunto a Lodi. E intanto i francesi passano i monti perché il Re li richiama in patria.

Il 4 luglio anche il nuovo provveditore bresciano Leonardo Emo arriva ad Iseo ed ha un consulto con 190 bresciani che vorrebbero assediare la loro città e sono disposti a trovare 600 ducati a questo scopo. Il 3 luglio da Palazzolo l'Emo scrive al da Mosto [Lett. S.3.1, 179], confermando che sta lavorando alla riconquista di Brescia:

Cum el nome del sanctissimo nostro Idio sun venuto in questo teritorio brexano per expedir et liberar la cità de le man de li inimici nostri .... Spero a consolation di V. M. presto intenderà in tal materia cossa a quella .... Et per che pur se ha bixogno in simil expeditione de valenti homini, perhò la prego mi mandi subito quelli fidelissimi et probatissimi capi, li quali honorerò segondo el poter mio libenti animo. Et se di qui V. M. et altro loco li piacerà servirse de me, la prego el faci cum ogni virtù perhò prontissimo in .... a satisfarla. Io mi atroverò domane a Ixè. Nec alia.

Poi, alla stessa data da Rovato [Lett. S.3.1, 174]:

Io sun per adoperar el strenuo Iacomin de Valtrompia a questa presente impresa de Brexa nel conto di primi homini che habia, per che el sa et valle in saper et poter. El qual me ha facto intender haver una lite cum miser Symon Valier per causa de certi prexoni, la qual è per expedir a questi proximi giorni. Et per che non è honesto patischa, maxime essendo ali servitii nostri, et presertim in questo caxo importantissimo, ne ha facto pregar voglia instar ch'el non se proceda, donec et usque el non possa venir a usar de le sue raxon. Per tanto prego la M. V. che per li respecti preditti, et etiam per amor mio et mazormente per lo dover, ch'el soprasede al proveder in cosa alguna in questa materia in termine de dieci zorni; li quali elapsi io el licentiarò aciò el vegni a usar dele rason sue. Questo che dico del strenuo Iacomino soprascripto dico etiam di la sua fideiussion. Insuper, per altre ho pregato V. M. me mandi quelli capi son de lì: iterum li replico li piaqua li quali sum disposto honorarli et darli utile in ogni loco, et presertim in questa presente impresa de Bressa. A la M. V. me offerro et ricomando.

Sempre sul medesimo argomento, lo stesso Emo precisa in data non nota [Lett. S.3.1, 169] i dettagli della questione, affinché il Da Mosto possa amministrare giustizia ai litiganti.

Due lettere in data 3 e 4 luglio del Capello da Adorno confermano che il cardinale sta sempre in Pavia e non rivela le sue intenzioni. Su richiesta di alcuni capitani svizzeri che gli chiedevano conto di tutto il denaro dato al cardinale (anch'essi evidentemente avevano qualche sospetto sul loro protettore), il provveditore ha fornito loro un elenco completo. Due svizzeri e due italiani si stanno accordando sul bottino delle lanze fiorentine. Ma il cardinale fa pesimo officio nè si lassa intender quello el voglii far. Lui provedador sta con le zente oculato et voria redursi verso Po al ponte per ogni bon rispeto etc [SAN, XIV, 465]. L'altro provveditore Cristoforo Moro è giunto nel frattempo a Pavia e lo attende.

Bartolomeo da Mosto scrive da Bergamo a Venezia il 4. Vorrebbe avere un camerlengo per riscuotere le entrate e intanto ha nominato a questo ufficio Carlo Miani. Ha recuperato 2000 ducati e li impiegherà nel reclutare soldati per prendere la Capella, ma ha bisogno dell'artiglieria pesante ed ha scritto in tal senso al provveditore Capello. La Signoria informa il Papa circa la mala condotta del cardinale svizzero, con richiesta di prendere provvedimenti; scrive anche ai provveditori generali lodando il Capello per aver rivelato i denari dati al cardinale. Le istruzioni sono di tenerlo buono: un provveditore dovrà restare con lui, mentre l'altro andrà in Geradadda, ma è necessario vigilare, fino a quando arriveranno le lettere dal Papa. La Signoria scrive anche all'Emo dandogli libertà di stringere Brescia.

L'oratore veneto da Roma riferisce che il Papa è ansioso di conoscere l'esito della missione dello svizzero Marchiò, inviato al cardinale Sedunense a far consignasse Cremona a la Signoria, al qual li promise intrada per ducati 2000, come scrisse, aliter li toria l'ubidientia.... Item, che à inteso la Signoria vol le zenti yspane vengi di longo et contribuir etc.; di la qual cossa il Papa non li pareva, tamen si la Signoria voleva si adateria, ma faria melio tenir una parte di sguizari [SAN, XIV, 469]. La lettera di un altro informatore conferma che il Papa non è favorevole a che gli spagnoli vengano verso la Romagna, per paura che mettano a fuoco e fiamme tutto quel paese.

Cristoforo Moro dice il 4 luglio da Pavia che egli, in viaggio verso il campo, ha consegnato al cardinale 4000 ducati da parte della Signoria. Poi, da un'altra lettera dello stesso Moro, insieme con il Capello da Adorno in data 5, si sa che le lanze fiorentine sono partite per Firenze, mentre si cerca di comporre le divergenze con gli svizzeri sul bottino preso alle stesse lanze. Leonardo Emo scrive da Rovato il 6 e riferisce come i cittadini bresciani vadano progettando grandi cose e intendano raccogliere 10 mila ducati e reclutare cavalli leggeri per prendere Brescia. Dove, incidentalmente, vi è la peste e muoiono 40 persone al giorno.

Nonostante i buoni propositi dei responsabili dei territori confinanti, quotidianamente si riportano liti e ruberie ai confini del ducato di Milano. A simili episodi si riferisce una lettera del commissario generale Visconti, da Acquate al da Mosto [Lett. S.3.1, 170]. Costui dice di aver preso atto di quanto il da Mosto scrive circa certi Vincenzo e compagni per un bottino da loro fatto in questo fidelissimo et ducale stato. Sono comparsi davanti a lui certi sudditi, lamentandosi di essere stati derubati di circa 70 animali. Egli ha imprigionato Vincenzo e prega il da Mosto di costringere i suoi a restituire il bestiame.

Ha scritto ancora a Bergamo che in val Sassina i bergamaschi hanno rubato ai milanesi animali ed altre cose. Ma non ha avuto risposta, anzi ha appreso di parole minacciose pronunciate contro i suoi emissari. Prega che per la tranquillità dei rapporti il tutto sia restituito, altrimenti non potrà evitare ritorsioni. Tanto più che heri sera per compagni di Iacobo da Valle di Magna è stato morto et ferito a morte alchuni d'epso contado in case sue proprie. Sarà di piazer de V. M. provider como spero et è mente della Lega Sanctissima .... a li excessi passati et punir li auctori, di tale sorte che siano exemplo ad altri; che dal canto nostro di qua io me offero a far il tutto ad ciò tutti siano boni vicini....

Di argomento analogo è anche un'altra lettera che due deputati del Monte di Brianza, Tomaso Landriano e Lino Airoldi, inviano al provveditore di Bergamo da Merate l'11 luglio [Lett. S.3.1, 164]. Anch'essi fanno riferimento ai propositi di buon vicinato espressi in passato tra milanesi e bergamaschi, con la promessa vicendevole di non molestarsi. Orbene, i brianzoli hanno tenuto fede, ma i bergamaschi no. Infatti, gli scriventi, hanno ricevuto una lamentela da Gerolamo da Molgora abitante a Merate. Egli, trovandosi a Pontida per caricare del vino, è stato detenuto da certi bergamaschi. Lorenzo Crippa da Caprino, che è suo cognato, è riuscito ad ottenere un ordine di rilascio dal Commissario di Caprino. Ma il Crippa, a richiesta di coloro che hanno fatto prigioniero Gerolamo - pare per imposizione dello stesso da Mosto - è stato a sua volta imprigionato, sotto pretesto che Gerolamo ha comprato una mula da certo Bertino da Villa. Sono state anche commesse altre angherie contro Lorenzo. Tutto questo dipende dalla cattura iniziale di Gerolamo, fatta indebitamente. Questioni intricatissime, come si vede. Pregano quindi i deputati che Lorenzo sia liberato, e gli siano restituiti i denari, e si amministri giustizia, come la ragion vuole. Se il da Mosto non provvederà, gli scriventi dovranno avvertire i loro superiori e i bergamaschi ne potrebbero patire molestia.

Dalle carceri di Trezzo scrive al da Mosto [Lett. S.3.1, 167] l'8 luglio anche frate Filippo dell'Ordine degli Umiliati. Ricorda di aver già scritto in precedenza per chiedere aiuto per la persona mia. Stamani ha parlato con la Signoria di monsignor Barone - era il castellano di Trezzo -, il quale gli ha riferito che, se il da Mosto gli farà una fideiussione, lo lascerà libero per otto giorni, in modo che possa provvedere al fato mio, cioè di darli quatro arceri aut cento scudi aut di retornar ala carcere. Prega quindi che il da Mosto si degni di esaudire la richiesta, promettendo che si comporterà bene e non gli farà vergogna. Lo scrivente verrà poi a Bergamo per conferire con il da Mosto e fare in modo che tutto si svolga senza scandalo perché, non potendo avere gli arceri, troverà il modo di reperire il denaro.

Insieme con questa, va considerata anche un'altra lettera da Trezzo del 9 luglio, scritta in un italiano molto approssimativo, da parte di uno sconosciuto, forse il carceriere francese di frate Filippo [Lett. S.3.1, 163]:

Magnifico monsegnor, o herebuto una vostra litera et averebe a caro a quella sapese il mjo core per fare bene a ogni uno, maxima mente ala M. V., che merita ogni bene. Ma a quela fazo intendere che a questo Io. Filipo non è mjo presone, ma me è stato consignato per parte dela Magestà de Re et con mjo onore non potrebe liberarlo, se non fuse in contra cambio, como è volso fare per 4 arcerii, overo la tagllia facta de cento ducati per recuperar li diti arcerii. Ma per che la M. V. intenda che mi sono desideroso farli piacere, non manchando il mio onore, farò così che la M. V. me mande una litera sota scrita de sua mane, quale me prometa infra octo zorni mandar li diti 4 arcerii o vero li 100 ducati per recuperarli, o vero lo dito Io Filipo inter li mane mia; et per amor dela M. V. mi lo lagarò andare a cercar il facto suo. Che è esattamente la fideiussione richiesta dal frate.

I provveditori scrivono da Adorno in data 6 che il cardinale intende levarsi il 7 e passare il Po con la sua gente. Vorrebbe che una parte degli svizzeri tornassse a casa e vorrebbe dividere il resto tra Milano e Genova, da una parte, ed il campo veneto, dall'altra. Il cardinale era contento che dito nostro campo venisse in brexana aver Brexa et Crema, e daria l'artellarie bisogna per obtenir le terre; ma bisogna danari per il resto dicono aver, ch'è li ducati 18 milia per tuto zugno pasato. Item, à mandato a dir che li provedadori prediti vadino a Pavia per lui [SAN, XIV, 472]. Ma i capitani svizzeri sarebbero a favore della Signoria e il cardinale avrebbe soltanto tre cantoni dalla sua parte.

L'oratore spagnolo a Venezia insiste perché il vicerè con le sue truppe si trasferisca verso nord. Dal campo i provveditori avvertono in data 7 che gli svizzeri non si sono levati da Pavia, anzi hanno puntato i cannoni contro il cardinale reclamando denari, cioè la loro parte del taglione ed i 14 mila ducati dovuti per giugno. I capitani svizzeri hanno anche chiamato i provveditori, che andranno a Pavia domani.

Il Da Mosto scrive da Bergamo il 7, dove è in attesa delle artiglierie per espugnare la Capella. Si apprende intanto a Venezia che è morto il fratello di Domenico Contarini, nominato provveditore a Bergamo, ma quest'ultimo cerca ancora di guadagnar tempo circa la sua andata all'ufficio. Leonardo Emo informa da Brescia che si sta raccogliendo il denaro per reclutare fanti e cavalli leggeri; ma in città si muore assai di peste. Si discute tra i Savi a Venezia circa l'atteggiamento del cardinale e delle sue truppe. Poi si decide di scrivere ai provveditori di non passare il Po con l'esercito, di mandare gli svizzeri a recuperare le terre venete e di licenziarne una parte.

I provveditori scrivono in data 8 da Adorno che gli svizzeri sono stati in lite con il cardinale, il quale sosteneva che essi non meritassero alcuna paga per avere faticato poco; ma la lite è ora placata. Il 9 mattina gli svizzeri lasceranno Pavia e passeranno il Po ed il Ticino. Di fatto, il 9 gli svizzeri si muovono e si accampano a Sannazzaro, lasciando a Pavia solo due bandiere. Poi il 10 proseguono per Castelnuovo. Il cardinale vorrebbe che tutto il campo veneto e svizzero passasse il Po per rafforzare la posizione della Lega, dal momento che alcuni francesi stanno ancora tra Susa e Chieri. Vorrebbe quindi convocare un consiglio quando l'esercito avrà raggiunto Alessandria. L'11 luglio, su ordine del cardinale, anche i provveditori passano il Po e sono a Cornalo. Da lì scrivono al Consiglio dei X informandolo del malanimo del cardinale e degli svizzeri nei confronti dei veneti.

Il 15 luglio l'oratore spagnolo informa Venezia che gli spagnoli sono giunti a Rimini con 500 lanze, 7000 fanti e 1200 cavalli leggeri (cifre approssimativamente confermate anche da Vincenzo Guidotti che segue il vicerè). L'ambasciatore di Venezia a Roma informa che il Papa, appreso della morte del vescovo di Bergamo Gabriel, vorrebbe dare il vescovado a Nicolò Lippomanno, fedele della Signoria. Scrive ancora: Item, (il Papa) à riceuto nostre letere zercha scriver al cardinal licentii le nostre zente vadino a recuperar le nostre terre. Il Papa dice lo faria, domente non fusse disturbo a lo exercito sguizaro; et farà far il breve in bona forma, et aspeta saper lo effecto farà il messo andò al cardinal etc. Scrive che l'orator yspano à dimandato il passo al Papa per le zente dil vicerè, quale voleno venir di longo. Il Papa disse non voler darli danari; l'orator yspano rispose non voler nì danari nì altro dal Papa, solum passo e vituarie per li soi danari, e che 'l Papa li havia concesso etc [SAN, XIV, 480]. Intanto, il 12 ed il 13 il campo veneto sta a Vigizuolo, 2 miglia da Tortona, ed anche il cardinale lo segue.

Leonardo Emo scrive il 14 che i preparativi per prendere Brescia proseguono. I contatti tra l'Emo ed il da Mosto erano, come si è visto, frequenti e cordiali. Il 13 luglio da Rovato l'Emo gli aveva scritto [Lett. S.3.1, 165], chiedendo di poter utilizzare il collaterale bergamasco Silvio Taglioni, in questi termini:

Io riceveti le vostre littere quale furno tarde, come sa il nepote dela M. V. Et per che el mio colaterale si è amalato, priego V. M. che subito viste le presente me volia mandare Silvio perché ne habiamo grandissimo bisogno. Me arecomando ala M. V.

Tra l'10 e il 20 luglio il provveditore da Mosto effettua un intervento a favore del cancelliere della comunità Francesco Bellafino per tentare di liberarlo dal carcere della Cappella in cui si trova rinchiuso con alcuni altri cittadini, ottenendone però un rifiuto. Testimonianza di questo tentativo è in uno scritto di Odetto di Causer al provveditore, scritta appunto dalla Cappella il 20 luglio [Lett. S.3.1, 155]. Dice la lettera :

Heri receveti una littera de la M. V. a undeci de questo. He dicite in quele che miser Francescho Belafino pochi iorni inanzi che la cità de Bergamo tornase ala ill.ma Signoria de Venetia hera stato liberato per li nostri superiori he che non resta si non per eser in Capella. Aviso la M. V. che non me consta de niente né may ha fato per meso né per litere he quando luy he li altri zentilomini bergamaschi chi li sono anchora qui averano li soy mandati de li segnori Senatori de Milano chi me li ano dati in custodia mi farò quelo che uno zentilomo debe fare. La M. V. dice che cum honor io lo posso fare; quela me perdona che non me saria se non largo (?) de queli chi me ano a comandare; e se altro cum honor mio poso fare, lo farò voluntera. Non altro.

Il da Mosto era continuamente occupato in materie di ordine pubblico. A parte il caso di Lovere già in parte descritto, il 30 giugno [Lett. S.3.1, 182] egli era stato informato del caso di Marcon da Valdimagna, che si rifiutava di ubbidire e meritava una punizione esemplare. Il 1° luglio Innocenzo Rota riscrive al provveditore [Lett. S.3.1, 181]:

Heri scrise ala M. V. che uno Marchono di Valdimagnia haveva fato certi insolentii et robarie a uno Fachino di Layno qua in la iurisdictione mia; et non volse ubedir ali miei comandamenti. Iterum hozi è venuto da mi Martina, dona de Boneto de Borlicho presente latore, et se lamenta ch'el dito Marchono et soy compagni, non contento dele predite cose, à destegnudo el dito Boneto et uno suo fiolo et ge ha dato dele squasate de corda, minazandoli de apicarli, et ge ha robato et sachezato la casa in el dito loco de Borlacho dela iurisdictione de Almeno. Sì che non volendo el dito Marchon ubedir ali miei comandamenti, prego V. M. che quela volia proveder talmente ch'el dito Marchon com soy compagni sia punito, como son certo quela farà....

Dal campo veneto presso Castellazzo il 12 luglio anche i provveditori generali riferiscono al da Mosto [Lett. S.3.1, 149] come sia venuto da loro un certo Francesco da Villa, bergamasco. Quando la prima volta Bergamo si era data ai Francesi, certe persone di Trevi gli avevano rubato tutto il bestiame che possedeva. Per ritorsione, Francesco aveva preso loro un cavallo. Ora quelli di Trevi lo molestano. Amministri il da Mosto giustizia sommaria e non restituisca il cavallo senza la restituzione degli altri animali.

Ancora, il 14 luglio da Caravaggio [Lett. S.3.1, 162] Giacomo Secco d'Aragona, che si qualifica come gubernator in Ghiara d'Adda dice che si è presentato a lui Bartolomeo Brello da Casirate, e gli ha riferito di aver subito un sequestro per ordine del da Mosto al tempo che la città di Bergamo venne alla deditione de vostra ill.ma Signoria contra Francesi. La lettera va molto nel dettaglio, ma in sostanza prega che le parti siano indirizzate allo scrivente. Prega anche che il da Mosto non voglia permettere che ogni dì le querele de subditi pervengino cum carico comune ali iorechi de superiori, che in vero ogni giorno ne ho qualche erubesentia apresso de loro et non per altro sono per esser troppo modesto et patiente ale cosse che ogni dì li vostri fanno verso de questi nostri qua. Et protesto ala M. V. se quella non provede sarò sforzato ad farvi provixione che ogni dì non siano molestati.

Altra corrispondenza indirizzata al provveditore riguarda pagamenti od ospitalità ai militari. Per esempio, la lettera con cui il 2 luglio da Nembro [Lett. S.3.1, 180] Giacomo Passo, Vicario di val Seriana inferiore, lo informa di aver ordinato al Consiglio di quella valle di provedere de la sua portione de li lire 150 per li cavalli et fanti 200, ma che essi intendono mandare da V. M. soy homeni da mattina ad exqusactione sua. Oppure, la lettera del 3 luglio del capitano Cagnolo da Bergamo [Lett. S.3.1, 176] che comanda a voi homini, consoli et sindici de Valseriana sotto, mezo et sopra, che al .... frater de Bergomo et compagnia dar debiati alozamenti de loco ad locum, per andar ad effeto mandato per la ill.ma Signoria. Oppure ancora, quella del 9 luglio del vicario di Almenno, Alessandro de Preposulo [Lett. S.3.1, 168], che era stato appena nominato a quella giurisdizione dello stesso da Mosto il 3 luglio [Lett. 9.3.1. # 717]. La lettera dice:

Aciò la M. V. possa exequir quanto bisognarà cum li homini di questo vicariato circa la spesa de cavalli e fantarie si mantengono drio a Ada per resister ali inimici, adviso quella come subito receptis literis, benché fosseno alquanto tarde date a mi, fu fato el comandamento ali consoli e sindici in omnibus iuxta tenorem litterarum M. V. datarum sub die primo iulii et die septimo eiusdem mihi presentatarum ut ex actis canzellarii nostri patet. Bene valeat predicta M. V., cui me plurime et subditos comendo.

Talvolta si tratta del pagamento di spese militari pregresse, come nel caso di Soccino Secco, che il 16 luglio scrive ai deputati di Bergamo da Caravaggio dicendo [Lett. 9.3.6. # 18]:

Essendone ne li mesi passati a la venuta de li ill.mi Signori Venetiani dato dinari al mag.co miser Luha da Brambato et a me per quella mag.ca Comunità per portar al signor Antonio Maria Pallavicino per far quelli fanti che le Magnificentie vostre puono saper, come noto è, andassemo secundo la comissione data et tali dinari furono exborsati, excepto certo puocho resto che Io. Augustino Suardo me retornoe indrieto. Li quali puoi per me a beneficio de quella mag.ca Re Publica sono stati spesi, insieme con magior suma, como ad ogni beneplacito de le Magnificentie vostre farò vedere quando sarò lì, che sarà tra cinque o sey dì.
Ben le prego non vogliano d'epso resto avanzato darne molestia a esso Io. Augustino, perché non luy ma io son obligato renderne el conto, per esser in me pervenuto li dinari, como perhò credo le Magnificentie vostre farano. Ale quale me recomando
.

I Consigli del 6 e dell'8 luglio a Bergamo sono senza storia [Az 12, 7v e 8r]; solo, a quest'ultima data, compare un provvedimento per il territorio, in base al quale si dà una commissione scritta a Pezolo di Simone Zanchi perché, secondo il tenore delle lettere già a lui concesse per la commissaria della valle di san Martino da Alvise Garzon e Francesco Venier, acceda a quell'ufficio e completi il tempo per cui Angelo da Alzano era stato eletto in Commissario a quello stesso ufficio.

Nella seduta del 9 luglio [Az 12, 8v], si registrano nuovi segni della presenza di un contagio. Infatti, nella sagrestia di santa Maria maggiore, alla presenza di 8 dei 10 Deputati, si eleggono Giovanni da Albano e Vincenzo de Advinatris, con Albertino de Vegis e Facino Rivola, in Deputati alla sanità, con libertà ed autorità per esercitare l'ufficio con ogni vigilanza. Si ordina poi agli uomini del borgo di san Leonardo che in pena di 50 ducati eleggano i loro deputati sulla peste. Si elegge G. Pietro Benaglio quale depositario dei denari del prestito imposto nei giorni scorsi alla città per la peste, da spendere a tal fine. Poi - vi era sempre qualcuno che tentava in tempi fortunosi si approfittare della situazione - il Consiglio ordina a Belfantino de Tirabuschis che entro il prossimo 12 luglio debba provare di essere stato spogliato dei 50 scudi che la comunità gli aveva dato per andare a Cremona a consegnare il pane al campo del Re, secondo il precetto del Podestà; in caso contrario, gli sarà fatto un sequestro.

Altre disposizioni ancora per fronteggiare il contagio vengono nella seduta del 13 luglio [Az 12, 9v], nel corso della quale si decide che i deputati alla fabbrica del lazzaretto debbano rivedere i conti del defunto Bertrametto de Gavazis, già depositario della stessa fabbrica; nel frattempo si sospende l'esecuzione in corso contro i suoi eredi. Si elegge poi Quintiliano da Mapello come esattore del prestito imposto nei giorni scorsi per la peste, da riscuotere con ogni possibile celerità. Si nomina infine come deputato alla peste, in luogo di Giovanni Albani che rinuncia per diversi impegni, Dondacio Colleoni, con i medesimi poteri. Il 15 luglio i deputati cittadini cancellano la sospensione dello ius [Az 12, 10r], che ricomincerà ad essere amministrato il 19 luglio prossimo, lunedì: forse l'indizio di un qualche ritorno alla normalità. La decisione viene proclamata sul Regio. Essa compare anche in un appunto in [Lett. 9.3.6 # 19].

E' tempo tuttavia di ritornare alla situazione militare, seguendo le vicende dell'esercito veneto che il 14 luglio è accampato a Castellazzo, nei pressi di Alessandria, dove stanno gli svizzeri col cardinale. Costui chiede di vedere i provveditori, i quali si dispongono a raggiungerlo il 15, pur ignorando le ragioni dell'incontro. Il giorno stesso del 15 il provveditore esecutore Alvise Bembo informa Venezia che nel corso della riunione in Alessandria il cardinale ha chiesto altro denaro ed ha avuto una lite con i provveditori, consegnandoli poi prigionieri in mano di certi suoi capitani. Il Bembo, ritornato al campo, scrive che il cardinale reclama i 14 mila ducati che deve avere per giugno. Il governatore Giovan Paolo Baglioni, saputo della detenzione dei provveditori, ha puntato le artiglierie contro il cardinale, ha messo in allarme il campo ed attende ordini dalla Signoria.

Il cardinale legato, anche se occupato in queste liti, trova tuttavia il tempo di scrivere a Bartolomeo da Mosto proprio da Alessandria il 15 luglio [Lett. S.3.1, 161]. Dice di aver appreso con disappunto che il provveditore, ad istanza di un temerario frate, ha concesso un sequestro sui frutti del beneficio di sant'Alessandro in Colonna contro il suo uditore Francesco Chieregato. Lo scrivente pensava che, avendo egli conferito il beneficio, il da Mosto lo volesse conservare; et la guerra è cum voi et non cum miser Francesco. Prega quindi che il sequestro sia revocato.

Inteso l'episodio gravissimo della detenzione dei provveditori, il Doge ed i Savi si riuniscono a consulto, vincolando al segreto il Collegio, e ne informano il Papa. La Signoria scrive anche al governatore generale di aver cura dell'esercito fino all'indomani, quando riceverà istruzioni e prende provvedimenti per inviare subito 3000 ducati per le truppe venete.

Gli oratori spagnolo e papale, appositamente convocati, compaiono in Collegio il 19 luglio ed il doge li informa della detenzione dei provveditori. Gli ambasciatori si dolseno assai et aricordono le provisioni, e che il cardinal havia fato mal a far questa novità, et li scriverano in bona forma, mostrando tal cossa dispiacerà a la Liga [SAN, XIV, 489]. Anche il vicerè (che sta a Cesena) viene avvertito di affrettare il cammino perché si va forse avvicinando il momento della resa dei conti con gli svizzeri.

Nota il Sanudo: Tutta la terra (Venezia) di mala voia. Fo leto molte letere, e tra le qual aperto al Pregadi alcune letere di 8 luio fin questo zorno drizate al Conseio di X, zercha el mal animo dil cardinal verso la Signoria nostra, et la praticha con li do capitani sguizari, quali è stà tolti con provision annual di ducati ..., zoè domino Jacomo Stafer et ...; et lete dite letere, quelli di Pregadi mormorono assai dil Colegio, che stante questi avisi si habi fato passar Po il nostro exercito [SAN, XIV, 490].

Gli ordini che la Repubblica invia al governatore Baglioni sono di custodire l'esercito e di prepararsi, se necessario, a ripiegare in luogo sicuro. La Signoria si meraviglia del comportamento del cardinale, cui Venezia non deve nulla. La lettera viene indirizzata anche ai provveditori generali, qualora essi siano già liberi. Contemporaneamente, si avverte il segretario Vincenzo Guidotto, che è al seguito del vicerè, che Venezia è pronta verso sua eccellenza, per tener fede alla confederazione con la Maestà Cattolica. Intanto, il 20 luglio, lettere dall'ambasciatore veneto presso il Papa informano che Nicolò Lippomanno è stato nominato vescovo di Bergamo.

Fortunatamente l'episodio del sequestro dei provveditori si risolve presto: essi stessi informano il 16 luglio da Castellazzo di essere stati subito liberati e di essere già al campo. Raccontano di come sono stati trattati e del fatto che hanno dovuto promettere 8000 raines ai capitani svizzeri per risarcire il bottino delle lanze fiorentine. Item, sguizari voleno, questa Madalena (cioè entro il 22 luglio) da la Liga come il cardinale e loro li hano dito, raynes 96 milia. Scriveno essi sguizari tutti non sono 10 milia in zercha, e presto si disolverano bona parte, et non li stimano. Il nostro exercito è ben disposto, e lauda il signor governador, qual stete in hordine etc; ben dimandano danari per pagar le zente nostre. Et che ozi 500 fanti di la compagnia dil capitanio di le fantarie erano partiti dil nostro campo dal Castelazo e andati in Alexandria a trovar il cardinal e dimandarli danari, perché non hanno auto danari zà più zorni, dolendosi de li provedadori; il qual cardinal li hanno promesso di satisfarli. Scriveno che l'instrumento i feno di raynes 8000 è stà sforzati, ergo etc; [SAN, XIV, 491]. Da notare che in questo episodio era entrato anche il generale di Landriano, del quale si è detto sopra. Il Sanudo narra di dissapori tra Jacomo Stafer, che era stato avvicinato da Venezia per una condotta, ed aveva litigato con il cardinale quando la cosa era stata scoperta; il che era stato in parte causa dei dissapori con il cardinale.

A dimostrazione che i provveditori non erano stati poi molto colpiti dalla loro breve detenzione, è una lettera di Paolo Capello al da Mosto del 18 luglio dal campo presso Castellazzo [Lett. S.3.1, 152] a proposito di un beneficio ecclesiastico. Essi raccontano che il vescovo Iustinopolitano si è lamentato per essere stato privato di un beneficio in Bergamo, a seguito di certe lettere dello stesso Capello, che vi aveva insediato invece un certo Vincentino di Chieregati, cosa che facilmente potria esser, non sapendo nuy altramente chi possedesse dicto benefitio. Pertanto, qualora sia provato per testimoni degni di fede che il prefato vescovo sia stato al possesso del beneficio, il da Mosto glielo dovrebbe restituire.

Sempre il 18, da Caprino, giungono informazioni dal confine milanese, inviate da uno sconosciuto ad Alberto Rota, governatore della valle di san Martino e da questi rimandate al da Mosto [Lett. S.3.1, 156]. Scrive l'informatore per farvi intender questa matina per uno de Ambersago melanese ha inteso che l'altra sera zoè venerdì de sera veneteno a Trizio cavali 100 francesi chi veneno de Cremona; et che ieri sera veneno a Paterno per mezo Chaluscho per venir a tor le artilarie che vene da Milano a Lego, quale se dice deno passar al porto d'Ambersago zovè a Villa Dada et possa andar de soto Bisono a Lego. Et che ieri arivono a Ceruschio apresso a Merà del Monte de Brianza. Pur tuta via domino .... qual stà Ambersago intese la venuta de diti cavali et subito fece sbarar le strade in modo che diti cavali non ebeno suo intento. Et noi intendiamo che lo castelano da Trezo e altri francesi chi sono lì molto ne menaza a noi de Caprino. Pur non stemo senza dubio. Abiamo dato ordine ale guarde ... et abiamo fate conzar le giave ale porte; staremo atenti al possibile .... schivar la fortuna. Se vi pare a farlo intender al mag.co Proveditor, si vi pare; pur a mi pararave sarave ch'è meglio far intender a S. M. per tuti li respeti; se altro acaderà del tuto darò aviso a S. Sp. Nec plura, salvo acadendo altro vi prego fazendo intender azò possiamo star atenti questa dove che sta ala giesia qual è da Bripio non se vol partir etiam.... per domino Nozente per parte del mag.co Proveditor commandati e tuta via fa venir da Bripio e messi et imbasate al Caraviva, Sozo et altri soy seguaze, non intendo a que fine. Provedete mo a vostro modo. Bene valete.

Da quella medesima zona, cioè da Magdalena presso Lecco scrive al da Mosto il 19 Francesco Moio (?), che si qualifica come commissario della santissima Lega [Lett. S.3.1, 153]. Un certo Bonoldo da Mortirono asserisce di avere avuto dal da Mosto un mandato per la restituzione di beni toltigli da persone di Foyplano. Siccome pare che il mandato debba ora essere revocato, lo scrivente raccomanda Bonoldo, il quale era stato derubato dopo aver giurato fedeltà. Anche un certo Gasperino da Monterono è stato fatto prigioniero dopo aver giurato fedeltà, e non dovrebbe quindi essere molestato. A Gasperino era anche stato tolto un mulo da parte di certi bergamaschi. Voglia il da Mosto far restituire il tutto. In caso contrario, lo scrivente dovrà provvedere a punire il furto. Avvisa che se li homini di quella vale là più molestarano li homini de Brumano et Morterono, li farò tal provisione se repentirano. Et basta.

A Venezia, nel Consiglio dei X, si discute segretamente con gli ambasciatori di Spagna e di Roma su una possibile nuova lega e che l'acordo de l'Imperador siegua in questo modo, che l'Imperador habi Milan e la ducea e Cremona e Geradada, et a la Signoria resti il stado haveamo prima, videlicet Bergamo, Brexa, Crema et Verona e conzar con danari a l'Imperador etc; [SAN, XIV, 491]. Si discute anche dei finanziamenti dovuti agli svizzeri, che sono, secondo gli accordi, 2000 ducati dalla Signoria e 12 mila dal Papa e Spagna. Venezia deve in più 24 mila ducati all'Imperatore per la tregua.

Il 21 luglio si apprende a Venezia che il vicerè spagnolo sta arrivando a Faenza. Si apprende anche che i provveditori chiedono denaro per i soldati, i quali giustamente si lamentano. Il cassiere degli svizzeri ha chiesto il pagamento di 14 mila ducati e 6000 raynes entro luglio, altrimenti il cardinale non risponderà di eventuali inconvenienti. A questo i provveditori hanno risposto che Venezia deve loro soltanto 2000 ducati, che sono il resto di 14 mila, mentre il resto è a carico del Papa e di Spagna. Il cardinale vorrebbe marciare verso Asti, ma i provveditori rifiutano l'ordine; essi vorrebbero invece andare sul territorio bresciano per ricuperare quanto è ancora in mano ai francesi. Anche il governatore ha maltrattato il cassiere del cardinale e ha rimproverato agli svizzeri la loro inerzia; il cassiere ha compreso e riferirà. Presto, con l'arrivo delle truppe spagnole, le cose cambieranno, pensano i provveditori: gli svizzeri sono circa 10 mila e stanno per partire, mentre il cardinale rimarrà solo e svergognato. Per parte loro, le truppe venete intendono difendersi e resistere ad eventuali mosse degli svizzeri, che appaiono tuttavia improbabili. Ma serve molto denaro. Un messo da Milano offre uomini e vettovaglie e afferma che i milanesi vogliono restare uniti a Venezia, purché capeggiati da uno Sforza.

Il 22 luglio, festa della Maddalena, si riferisce da Verona che la città si trova in grande confusione, governata da otto persone di diversa nazionalità e custodita da pochi alemanni. L'Emo da Rovato informa che sta raccogliendo truppe, mentre i francesi devastano il territorio; analoga la situazione a Crema, dove i francesi danneggiano e rapinano, senza che il Zivran si muova per contrastarli. A Venezia si autorizzano i provveditori a sganciarsi dai francesi nel miglior modo possibile. Contemporaneamente, si scrive a Roma dolendosi del cardinale e degli svizzeri ed assicurando il Papa della fedeltà di Venezia. Si conferisce anche il possesso della diocesi di Bergamo al Lippomanno.

Il cardinale però sembra aver assunto ora un atteggiamento più ragionevole, pur continuando a chiedere denaro. I provveditori gli hanno replicato che avrà quanto la Signoria gli deve, invitandolo ad andarsene, a scanso di inconvenienti. Il 23 luglio si apprende dai provveditori che il cassiere del cardinale pretende i denari dovuti dalla Signoria e minaccia di svaligiare i veneti. Grande sfuriata del governatore contro queste pretese, mentre i provveditori confermano di non voler più obbedire al cardinale senza ordini del Papa e di Venezia.

Ma Venezia ha ormai compreso che deve sganciarsi dal cardinale svizzero. Il 24 luglio i Savi gli scrivono cercando di rabbonirlo e spiegando che l'allontanamento del campo veneto è dovuto all'arrivo degli spagnoli, gli dicono anche che Venezia intende mandargli presto Giovan Pietro Stella, già segretario presso la dieta degli svizzeri, con l'incarico di stipulare un accordo e lega perpetua. Contemporaneamente, i Savi scrivono ai provveditori di ritirarsi al di qua del Po in luogo sicuro, prima di recapitare la lettera precedente al cardinale. Si danno anche disposizioni a Leonardo Emo di reclutare con i denari dei bresciani 200-250 uomini d'arme, di cui 100 per Taddeo della Motella: presto si raccoglieranno tali forze che Brescia cadrà ed i francesi si pentiranno di non averla ceduta prima.

A Roma intanto l'oratore veneto discute con il Papa l'incidente occorso tra il cardinale svizzero ed i provveditori, a proposito del quale il Papa ha ricevuto le scuse dal cardinale. Pare quindi che questo problema sia risolto. Tuttavia, Giulio II non intende dare denari agli spagnoli e rimane contrario ad un'alleanza con loro; vedrebbe invece meglio un rapporto tra Venezia e gli svizzeri in funzione anti-spagnola. Vuole comunque che Venezia abbia le sue terre ed ha sollecitato il cardinale a ricuperare le città in mano francese, in accordo con i veneti. Il 21 luglio l'esercito è ancora in Castellazzo, in partenza per Novi. Un breve papale ai provveditori li esorta a recuperare le città in mano ai francesi.

Continua incessante il lavorio dei politici per esplorare la fattibilità di nuove alleanze. Si svolgono a Trento colloqui tra l'ambasciatore spagnolo, il conte di Cariate, ed il vescovo Curzense, rappresentante dell'Imperatore, su un possibile accordo tra spagnoli ed Imperiali, da trattarsi a Mantova. Il viaggio del Curzense a Mantova è confermato anche dall'oratore veneto a Trento. A Venezia il Doge informa i Savi di questi colloqui, sollecitando il loro parere. Si decide alla fine di scrivere all'oratore spagnolo che Venezia si rimette al Papa, come capo della Lega, e non intende mandare alcun rappresentante a Mantova, essendo la cosa iniziata a Roma; la Repubblica non è in grado di aiutare le truppe spagnole per le grandi spese che deve sostenere; finanzierà tuttavia il viaggio del Curzense a Mantova; non ha richieste da avanzare riguardo al ducato di Milano, materia per la quale si rimette al Papa, ma intende solo riavere le sue terre; ordina infine a Pietro Lando, oratore a Trento, di accompagnare il Curzense a Mantova in veste di osservatore e informatore. Il viaggio ha inizio poco dopo.

I provveditori intanto sono arrivati a Novi il 22 luglio e da lì riferiscono che molti svizzeri sono ritornati ai loro paesi, anche se alcuni permangono in Alessandria. Sono stati dati denari al cardinale, ma gli svizzeri ne esigono molti altri. La Signoria invita allora i provveditori a passare il Po e venire verso est. Approva il pagamento fatto al cardinale e manderà altri denari per le truppe venete. Se gli svizzeri vorranno, potranno seguire il campo veneto nel suo spostamento, ma i provveditori non dovranno attenderli.

I provveditori decidono di muovere da Novi il 25, in esecuzione dell'ordine ricevuto, portando con loro 4000 o 5000 svizzeri: gli altri andranno a Milano per cercare di espugnare il castello. In base a loro informazioni, i provveditori non ritengono che il cardinale Sedunense voglia ottemperare agli ordini papali. Hanno quindi deciso di avviare il campo verso Voghera, attraversando il Po a Casalmaggiore dove stanno costruendo un ponte. Non temono gli svizzeri, ma non vorrebbero scontrarsi con gli spagnoli, e proprio per questo vogliono affrettarsi. Sollecitano l'invio di denaro a Pontevico, il primo luogo in territorio veneto dove vorrebbero alloggiare; sollecitano anche che le fanterie reclutate a Brescia vengano loro incontro. Per parte sua, il cardinale va verso Casale Monferrato, ma non si comprende il suo disegno, che potrebbe mettere in pericolo i successi passati.

La marcia dell'esercito prosegue per Voghera, mentre da Brescia giungono informazioni che in città vi è carestia. La guarnigione è di sole 150 lanze e 2500 fanti e l'Obignì non riesce a farsi ubbidire dalle truppe che non è in grado di pagare. La città è sporchissima e pare possa essere una facile preda. Leonardo Emo informa da Rovato che alcuni francesi fuorusciti dalla città hanno assalito certe ville, ammazzando 40 persone. Ma abitanti del contado, cittadini fuorusciti e lo stesso provveditore li hanno affrontati, ne hanno ucciso 200, fatti prigionieri 150, hanno riacquistato il bottino e costretto gli altri a fuggire in città. I contadini per rappresaglia hanno ucciso tutti i prigionieri.

Il 25 luglio il vicerè è a Bologna e afferma di essere in favore di Venezia. Egli ha ricevuto un messo dal cardinale, il quale lo avverte che, qualora venisse a Milano per imporre altri che non la persona voluta dal Papa, incontrerebbe l'opposizione degli svizzeri. Il 31 luglio, infine, Venezia scrive all'Emo nel bresciano che vada incontro ai provveditori verso il Po.

Per qualche giorno non arrivano notizie dal campo e a Venezia si sta in apprensione. Poi giunge una lettera di Pietro Lando da Mantova, dove egli è arrivato con il vescovo Curzense. Egli informa come Lignago sia stata ceduta dai francesi (allontanatisi con un salvacondotto) a Monsignor de la Roxa, a nome dell'Imperatore. Scrive che il campo veneto è arrivato sul Po contro Cremona, ma non può attraversare perché il cardinale svizzero, in combutta con il vescovo di Lodi, governatore di Milano, ha dato ordine di bruciare i ponti; per questo il territorio cremonese è in armi.

Da Roma si apprende che il Papa preme sul cardinale svizzero perché si decida con l'esercito a recuperare il territorio veneto, cioè Cremona, Brescia, Bergamo e Crema; il Pontefice rimane tuttavia contrario agli spagnoli, non intende dar loro denaro e non vuole che la Signoria gliene dia. Marin Zorzi, oratore Veneto a Bologna, e Vincenzo Guidotti informano che il vicerè è stato svaligiato delle sue truppe per non averle pagate ed è ora diretto verso Modena.

Scrive anche Taddeo della Motella dal Po, dove è arrivato con alcune truppe, che l'esercito veneto sta dall'altra parte del fiume e presto passerà. Tre lunghissime lettere dei provveditori, in data 28, 29 e 30 da Piacenza, narrano diffusamente le vicende del trasferimento da Casalmaggiore e la situazione attuale al campo. L'esercito dovrebbe passare il giorno 1 il Po per poi dirigersi su Crema.

Riprendiamo ora l'esame della situazione a Bergamo, sulla base della documentazione disponibile, cominciando dal Libro delle Azioni del Consiglio. Il 17 luglio [Az 12, 11r], i deputati restituiscono a Gerolamo Colleoni oltre 41 testoni che egli aveva dato a Bergamo Boselli per noleggiare lettti e biancheria per i suoi stipendiati. Contemporaneamente, i deputati decidono di rimuovere questi soldati dagli edifici della città dove sono alloggiati.

Nella riunione del 19 [Az 12, 11v] i deputati prendono atto di certe lettere del vescovo di Lodi e rispondono in buona forma che la causa non è di loro competenza e quindi non se ne possono occupare. Qualora tuttavia essi potessero compiacerlo, faranno di tutto per acccontentarlo. I documenti in parola sono state conservati. Il primo [Lett. 9.3.3. # 164/1] è dato da Milano, diretto agli oratori (?) di Bergamo, e dice:

Per la inclusa supplicatione de Gabriel et Io. Petro fratelli di Gambi, citadini et mercadanti milanesi, intendereti quanto ne hano exposto; et parendomi ch'el sia debito et honesto che né mercadanti né loro mercantie siano molestati, ve conforto et prego ad volere provedere che a dicti Gambi siano liberamente restituite le mercantie sue, insiemi con li dinari di quali se fa mentione in epsa supplicatione; non lassandoli più molestare indebitamente nel futuro, atteso che el simile se fa alli mercadanti de quella cità a quali sono usati termini amorevoli in questa cità, Et in questo site per farmi cosa grata, ita che sarò astretto ad renderne ben cambio.

Esso è accompagnato dalla supplica non datata di Gabriele e Giovan Pietro Gamba [Lett. 9.3.3. # 164/2], che dice, tra l'altro, ....facendo dicti frateli suplicanti condure certa quantità de pani de lana da uno loco ad uno altro loco de dicto distrecto, fu facto prisone et tolti li pani et dovendose dicto fatore liberare et redimere dicti panni, li fu forza dare a dicto .... e compagni ducati XXI doro. Supplicano quindi la restituzione.

Tra il 19 ed il 21 luglio il provveditore da Mosto provvede al rinnovo di alcune cariche cittadine ed elegge un Giudice dei Dazi, tre notai e tre coadiutori all'Ufficio del Malefizio, un esecutore, ed un ragioniere [Az 12, 11v e 12v]. Nella riunione del 21 poi vi è un'importante decisione: il provveditore e i deputati decidono di convocare per l'indomani tutti coloro che erano del Consiglio sotto il Dominio veneto, prima che la città cadesse sotto i Francesi, per deliberare circa alcune materie di interesse per la città. Anche il cronista ricorda: Die 22 julii 1512 de mandato præfati d.ni Provisoris, consiliarii civitatis qui erant ante Francorum adventum convocati sunt; et ut essent etiam consiliarii in futurum præter paucos, quod provisor noluit, et additi sunt alii ad numerum [BER, 104v].

Di fatto, il 22 luglio il Consiglio tiene due sedute. Nella prima [Az 12, 13r], che si svolge nel cortile della casa pretoria, 6 dei 10 Deputati concedono a Carlo Miliano - che aveva agito come provveditore dopo la recente dedizione a Venezia e molto aveva fatto per la città - un dono di cinque ducati d'oro, oltre ad un altro ducato che egli aveva avuto per le sue spese di soggiorno, cibo e bevanda, come da ricevuta. Alla seconda seduta [Az 12, 13v], che si tiene nella sala del Consiglio, partecipano il provveditore da Mosto e 49 consiglieri, nominativamente descritti. Parla prima il provveditore e poi si propone di eleggere i restanti consiglieri fino al numero di 72, secondo le norme statutarie, che vengono lette. Si passa allo scrutinio e risultano elette altre 8 persone. Tutti vengono citati a Consiglio per la prossima domenica 25. (Un’analisi della composizione del Consiglio ad alcune date cruciali dell’anno 1512 [Az in fine] dimostra come variò ai diversi tempi la rappresentanza delle varie famiglie in seno all’organo di governo della comunità bergamasca. I diversi nomi dei personaggi che vi compaiono rispecchiano il gioco delle correnti a favore e contro Venezia, appartenenti, rispettivamente alla fazione guelfa e ghibellina della città.)

Alla data del 25 luglio [Az 12, 14v], nella sala grande della residenza del provveditore e in presenza di 57 consiglieri, si dà il giuramento agli 8 appena eletti e poi il provveditore propone di autorizzare i dieci deputati, anche a maggioranza, a reperire, magari ad interesse, la somma di 225 ducati in pagamento di parte degli stipendi delle truppe di Bergamo Boselli, come da lettera dei provveditori generali, dando a tal fine in garanzia beni comunali. La parte è presa 42 a 16.

Sono interessanti a questo proposito tre documenti: il primo è proprio la lettera dei provveditori al da Mosto dal campo presso Castellazzo in data 19 [Lett. S.3.1, 142]. I provveditori, su domanda dello strenuo Bergamo Boselli, conestabile nostro a Bergamo, chiedono al da Mosto di pagare la sua compagnia, come fanno i bresciani ed i cremaschi; pur quando non volessemo, V. M. farà .... lo montar de dicta Compagnia come faceno la paga preterita et facino la rettention del danaro de quelle intrate de datii et altro, come foseno de la paga preditta. Il secondo è una nota del cronista che descrive come i denari - o almeno parte di essi - furono raccolti: Die 27 julii 1512 d.nus Bartolomeus Mustus provisor antedictus, quia Bergomus comestabilis suæ conductionis tempus finierat, et civitas amplius nolebat eum suis pecuniis, quia ipsius negligentia fere totus mons Sancti Vigilii conbustus et devastatus fuerat a Gallicis Capellæ, mandavit omnibus capitibus familiarum Bergomi ut convenirent in pallatium; et ibi Sua Magnificentia hortabatur omnes ut vellent eorum arbitrio donare aliquid pecuniarum, quibus dictus Bergemus cum suis peditibus possint vivere in civitate pro tutela et custodia etc.; et aliqui dederunt, aliqui non [BER, 105r].

L'ultimo documento, infine, [Lett. 9.3.1. # 725], posteriore alla decisione del Consiglio, cioè in data 28 luglio, elenca i pagamenti fatti ai 150 fanti del Boselli, con una lista dettagliata delle persone, ciascuna pagata 3 ducati. In chiusura della seduta, il Consiglio elegge altri quattro consiglieri fino al numero legittimo.

La riunione del 26 luglio [Az 12, 15v] è dedicata alla formazione di sei bine di Anziani che vadano fino al prossimo 1° gennaio, cominciando dal primo agosto, una al mese da estrarre a sorte. Questa procedura varrà una tantum e la bina che rimarrà non estratta a gennaio sarà nulla perché per allora saranno fatte altre bine. Sono quindi evidenti i segni della ripresa dell'attività amministrativa ordinaria. In questo senso va letta anche una risoluzione del Consiglio che si tenne il 24 luglio, della quale ci è giunta memoria in un appunto volante [Lett. 9.3.6. # 19]. In quell'occasione, infatti, otto Anziani elessero i servitori del comune.

L'ultima seduta di luglio, il giorno 30 [Az 12, 16r], si tiene sotto la loggia nuova, presenti il provveditore e 8 dei 10 Deputati. In essa ricompare frate Filippo de Casicis dell'ordine degli Umiliati, che chiede un'elemosina di 25 lire amore Dei, per essere stato per tre mesi e mezzo carcerato in mano dei francesi, periodo trascorso in parte nella Cappella di Bergamo e in parte nel castello di Trezzo. Questo perché lo scorso febbraio, quando la città si era data al dominio veneto, petiit civitatem ipsam regentibus pro Rege Francorum, nomine venetorum et ut se traderent ipsi ill.mo Dominio. Non appare molto chiara la natura del reato.

Molta altra corrispondenza è rimasta, indirizzata al provveditore da Mosto, ed essa verrà esaminata qui di seguito per argomenti omogenei, iniziando da quelli riguardanti l'ordine pubblico. Il 20 luglio i consoli di Treviglio scrivono [Lett. S.3.1, 157] a riguardo di un reclamo fatto davanti al provveditore da un Gariboldi da Zogno nei confronti di alcuni trevigliesi. Costui afferma di essere stato derubato, ferito e taglieggiato. I consoli hanno svolto diligenti indagini, a seguito delle quali mandano ser Betino Salvetto a riferire. Sempre il 20 luglio scrive il vicario di Almenno Alessandro Passo [Lett. S.3.1, 154] cui il da Mosto nei giorni scorsi aveva ingiunto di punire certi eccessi, anche armata manu. In osservanza dell'ordine, dice il Passo, io fece convocar li consoli et altri homini di questa iurisdiction; et a loro exposto tal cosa, fu dito asay. Et questi homini cum sue bone rasone deducevano ch'io non li volesse astrenzer a tali effetti perché saria la loro ruina, et che melio seu manco male sarìa esser differencia fra particular persone che tra comuni. Per tanto deliberay soprastare, vinto da alchune sue rasone deducevano. Donde manday il mio canzelero dala M. V. a far la scusa dil successo; e in vero da poy in qua non è achaduto novità alchuna che sapia. Ma perché heri un mio garzone me referite certe parole per parte dela preditta V. M., parendo quasi che a quella sia sta referto ch'io manchi in qualche cosa et che abia rispetto a costoro; dil che ho volesto referir ala M. V. ch'io son paratissimo ad obedire et oviar pro posse ali inconvenienti, non havendo rispetto a persona chi sia, dummodo possibile a mi, et che io non comanda cosa di la qual per li anteditti respetti ne segua mazor scandalo. Ben mi saria a charo saper coloro chi fano queste relacione, perché, ut dixi, non è achaduto da poy cosa alchuna habia saputo. Io più volentiera saria venuto personalmente dala M. V. per visitarla et conferir cum quella, ma certa infirmità me tien che non posso, e la M. V. me perdona. Ala quale de continuo me arecomando et offerisco pro veritate.

Il 21 luglio scrive ancora Bertono Rota, governatore della valle di san Martino [Lett. S.3.1, 151]:

Havendo ozi inteso da li homini de Calolzo di questa vale che heri et ozi molti homini armati sono venuti da Za Ada et hano fato uno presone sun questo territorio et hano fato alchune robarie et disolutione et sforzar done per cridar Marcho Marcho et ge hano dato dele bastonate per modo che hano fato male asay. Non intendo questo ho voluto avisar questo a V. M. et più hano dito li diti da Ulzinate che questa note voleno vegnir a brusar Calolzio et far del altro male. Donde prego V. M. che quela volia talmente proveder a queste cose aut avisar quelo ho ad far circha ciò et forse sarà bene ad avisarlo questo al mag.co Proveditor in campo et ala ill.ma Signoria dil gardinale se ale intention che sieno menati per questa via et ne porave reusir grande scandalo. Et ho ben scrito al capitano de Ulzinate de questo se a l'è sua intention vel ne, azò che sapia quello havemo a far. Non altro. Bene valete.

Bertono aggiunge il giorno seguente [Lett. S.3.1, 150]:

Post scripta. Sta matina ho inteso che quele zente chi sono andate a dar la batalia a Lecho hano serato la chiusa chi è nostra iurisdiction. Non so a que proposto. Me pare che se deportano molto male verso noy e mo(n)tarò a cavalo et me andarò a veder bene questo et intenderlo et da poy darò aviso a V.M.

Il 23 luglio è la volta del vescovo di Lodi Ottavio Maria Sforza da Milano. Egli manda una supplica [Lett. S.3.1, 145] in cui due persone, Francesco de Badagio e Bernabò de Aplano, espongono di aver mandato certi animali su un monte preso a fitto nella valle di Averara, come fanno ogni anno. Alla dipartita dei francesi, certi bergamaschi malnati avevano cercato di rubare il bestiame, dicendo che esso era milanese e che quindi potevano impadronirsene. Nonostante una protesta inoltrata al provveditore di Bergamo, gli animali erano stati trafugati, con un danno di 300 lire. Inoltre, i ladri non cessavano di molestare il comune di Averara. I due chiedono che si scriva al provveditore di Bergamo perché gli animali e le cose siano restituiti e sia ripagato ogni danno e che cessino le molestie al comune. O che, altrimenti, si possano rivalere sui bergamaschi che arrivano in territorio milanese.

Con riferimento a questa supplica, lo Sforza prega [Lett. S.3.1, 146] di non consentire che tutto ciò accada. E desidera per la presente confortare et pregare la V. M. a vicinare bene con questa nostra cità et terra a ley subiecte, et non lassare far quello ali nostri subditi, che noy non patirebemo verso li homini di quello paese, per che se rendemo certi questo essere la mente de la ill.ma Signoria vostra, quando bene avesse el Dominio fermo de quella cità. Questo anche perché richieste analoghe erano state avanzate a Milano. Faccia quindi restituire il bottino, per evitare ritorsioni.

Di argomento analogo è un'altra lettera [Lett. S.3.1, 148] di Giacomo Secco, governatore in Ghiara d'Adda, da Caravaggio, 23 luglio. Essa riguarda un pover'uomo che chiede la restituzione di un bove e che viene a Bergamo con i suoi testimoni da Treviglio. Il Secco chiede al provveditore di prestargli aiuto.

Ancora una lettera [Lett. S.3.1, 143] del 26 luglio riguarda certe ruberie di stradiotti comandati da Vincenzo da Chataro e compagni. Il 27 luglio riscrive da Milano il vescovo di Lodi [Lett. S.3.1, 136]. Egli espone che un suo provisionato, Calcin Rozon, gli ha riferito che nei giorni scorsi tale Giorgio da Brembate di Sopra insieme con alcuni compagni spagnoli è entrato a forza in casa sua e gli ha tolto roba e denari, come certo il Provveditore sa. Et perché non posso credere questo latrocinio et insulto essere facto cum saputa de quella, scrive pregando di costringere i colpevoli alla restituzione. Altrimenti, dovrà usare tutti i provvedimenti necessari per esaudire il suo provisionato, che gli è molto caro.

Giovan Battista de Monte, podestà di Palazzolo, scrive il 30 luglio al provveditore bergamasco riguardo ad un caso di sospetto spionaggio [Lett. S.3.1, 137]. Riferisce come sia capitato a Palazzolo un ragazzo che, interrogato, ha detto di essere bergamasco e di essere diretto a Brescia a trovare un suo fratello. E' stato levato ala corda ed ha confessato di essere briantese. Aveva 5 marcelli veneti. Lo scrivente lo ha fatto ritornare e lo ha indirizzato al Provveditore perché veda se si possa trovare in lui colpa alcuna. Infine, un altro caso di soperchieria viene segnalato da Caprino il 30 luglio da Bertono Rota, [Lett. S.3.1, 138], cui il provveditore aveva delegato la cattura di un certo Bernardino Belosino e del Sambuchino. Il Rota dichiara di non poter contare sui suoi ufficiali: licet sia uno tristo me dubito de non havere seguito de diti homini ymo plus s'el fuse retenuto non lo poteria mandarlo che non fuse tolto, sì che la M. V. me perdona che anchora volendo per la via de li offitiali de ditta valle farli retenir, non sono suficienti per esser zente viele. Avisando la M. V. che in questi zorni pasati fazando ditto Bernardino supergiaria a uno suo parente, li manday el mio cavaler cum doy offitiali cum luy; como ditto Bernardino intese che ditti offitiali andaveno per pilliarlo fu avisato et è andato via. Non poso intendere dove sia andato. In breve vegnarò dala M. V. et metteremo qualche ordine circha questo. La lettera è interessante anche perché contiene alcuni dettagli sul conferimento della commissaria di Caprino ad altra persona: E l'è venuto qui domino Pezolo Simone [Zanchi] cum una littera dela M. V. per intrare al posesso de questo officio. Li homeni de ditta valle sono queli chi li deno dar el posesso; loro hano tolto termine fino domenicha proxima per li respeti li quali ditti homini dela valle farano intender ala M. V. Quanto per mi, io restarò como gubernator per la comissione a mi data per la Magnificentia del Provididore secreta e palese; in el resto sono aparegiato a obedire la M. V., licet me sia fato qualche torto, como farò intendere ala M. V.". Questa vicenda avrà un seguito nel mese successivo.

Infine, un argomento sul quale il provveditore era continuamente chiamato ad intervenire era quello dei benefici ecclesiastici, evidentemente ambitissimi. Il Legato papale per la Lombardia scrive al provveditore da Alessandria il 20 luglio [Lett. S.3.1, 147]. Egli ricorda al da Mosto di avere già scritto nei giorni scorsi a nome della Santità di Nostro Signore perché volesse mettere al possesso del priorato di Pontida e Fontanella il rev.do mons. Carlo da Mantova e suoi agenti. Ma il Provveditore non aveva dato corso alla richiesta, Del che restiamo non poco admirati. Infatti, se il Provveditore non voleva portare rispetto al monsignore ed allo scrivente, doveva almeno aver rispetto per la Sede Apostolica ed i capitoli contrattati tra la Beatitudine Sua et quella ill.ma Signoria tempore absolutionis. Faccia quindi porre il suddetto in possesso dei priorati per eseguire la volontà di Sua Beatitudine, la quale ce ne scrive ad noi molto caldamente.

In un'altra occasione (20 luglio), la segnalazione viene dai procuratori di san Marco a Venezia Antonio Grimani e Angelo Venier [Lett. S.3.1, 112] a favore di Vincenzo, fratello di Galeazzo Colombo, anche a nome della moglie, che ha chiesto le possessioni ed i luoghi dell'Abbazia di sant'Egidio di Fontanella, luoghi che i supplicanti hanno avuto da molti anni in gestione. Poiché essi hanno sempre fatto il dover loro verso la chiesa di san Marco, è stato loro concesso di ritornare al possesso. Il da Mosto viene quindi pregato di prestare ai supplicanti ogni favore, sia per entrare al possesso dei benefici, sia per riscuotere i crediti.

Due segnalazioni sono infine da parte degli stessi provveditori generali il 22 luglio dal campo in Pavia. Nella prima [Lett. S.3.1, 159] il Capello raccomanda al da Mosto Francesco Chieregato, che era stato posto al possesso di tre benefici in Bergamo dal cardinal legato, come da una lettera già riportata. E dice: Et perché epso è persona necepsarissima al prefato rev.mo Legato et al ill.mo Stato nostro asai propitio, sum sforzato per ogni rispecto ricomandarlo ala M. V., pregando a quella che voglii astringer li parrocchiani et subditi sui a cognoscerlo per padrone et far che el ge sia restituiti integralmente tuti li fructi percepti dal tempo dela collatione fino a quest'hora, sotto le pene che a V. M. parerà. Et questo sarà acceptissimo al rev.mo Legato et a mi cosa gratissima, perché el prefato miser Francesco è persona da servire. Né altro. Ala M. V. me raccomando. Nella seconda [Lett. S.3.1, 135] i provveditori generali intervengono a favore di Giorgio de Facinis, che era stato spogliato del beneficio di sant'Alessandro in Colonna, con lettere dell'olim Senato di Milano senza saputa né citation alcuna. Al posto suo era stato messo un favorito di Giovan Giacomo Triulzio. Gli scriventi, che non sono personalmente informati dei fatti, dicono che, se così stanno veramente le cose, il da Mosto debba restituire il Facinis al beneficio, con tutte le utilità come per il passato, dando udienza alle parti, e amministrando ragione e giustizia, dopo aver fatto la restituzione.

Tutta la corrispondenza esaminata serve ad illustrare la quantità e la vastità dei problemi sul territorio di Bergamo. Quanto alla situazione militare, non si notano mutazioni significative delle forze in campo, tranne il definitivo allontanamento dell'esercito francese, che lascia tuttavia guarnigioni assediate nelle principali città di Terraferma. Il mese di luglio è caratterizzato dall'insorgenza di dissapori (che sfociano anche in un confronto diretto) tra la componente veneta e quella svizzera della forze alleate, anzi, più propriamente, tra i provveditori della Repubblica ed il cardinale Matteo Schiner. A questi dissapori Venezia cerca di ovviare in maniera duttile, evitando la contrapposizione armata diretta, ma premendo indirettamente sul cardinale attraverso il Papa. Non soltanto, ma la Signoria di Venezia si impegna in un'ampia opera di sondaggio diplomatico per isolare gli svizzeri e ricercare nuove alleanze.