CAPITOLO 7 - MAGGIO

Maggio si apre a Venezia con una relazione di Giovan Battista Spinelli, ambasciatore del vicerè spagnolo, di ritorno da una riunione con il Cardona. L'ambasciatore informa la Signoria sulla strategia che il vicerè intenderebbe seguire allo scopo di allontanare i francesi dall'Italia. Egli vorrebbe radunare al più presto ottomila fanti e almeno trecento lanze, che si dovrebbero congiungere con quelle del duca di Urbino, in attesa di altre lanze dalla Sicilia. Queste truppe, unite a quelle di Prospero Colonna, avrebbero costituito un'armata importante. Il Cardona intende andare a Napoli per organizzare le truppe e non chiede altri denari a Venezia, fino a quando l'esercito non sia approntato. Per seguire lo svolgimento di questo progetto, la Signoria invia istruzioni al suo ambasciatore Vincenzo Guidotto, che viene incaricato di accompagnare il Cardona da Ancona verso Napoli.

Sullo scacchiere settentrionale, i cantoni svizzeri informano la Repubblica che hanno concluso di vegnir adosso francesi sul stado di Milan, et desidera il campo dil Papa e di Spagna vadi avanti e fazino valentemente, e cussì il campo di la Signoria nostra; et che a dì 6, zoè il zuoba da poi el dì de la + [cioè il 3 maggio], insirano di loro territorii et vegnirano contra il re di Franza inimico di Santa Chiexia. Et zonte ditte letere e lete in Colegio, venuta la voce zoso, tutta la terra fo aliegra, et che adesso vien il tempo franzesi sarano cazadi de Italia, si Spagna et Inglaterra romperano di sora, et s'il campo di Spagna e dil Papa sarà per tutto sto mexe in ordene... [SAN, XIV, 184].

Quanto al Papa, lettere da Roma avvisano che el Papa è più gaiardo che mai contra Franza. E Venezia ulteriormente lo rincuora, spronandolo ad agire energicamente contro i francesi, perché ormai gli svizzeri sono in arrivo. La Signoria scrive anche agli svizzeri per informarli che il vicerè sarà presto in campagna, insieme con il Papa; l'esercito veneto è in ordine, e gli svizzeri dovrebbero a questo punto scendere contro i Francesi. Si inviano fondi al Capello a Vicenza, mentre le truppe francesi si vanno ritirando da Mantova e da Verona verso Milano. Nei giorni successivi esse si ritireranno rapidamente anche dal Polesine, da Chioggia e da Rimini e dall'intera Romagna, da Ferrara e da Mantova.

Pare, nel complesso, che si vadano profilando tempi più favorevoli per Venezia, anche se la situazione rimane incerta a Verona fino all'8 maggio, quando il Capello informa che le truppe imperiali si sono finalmente risolte ad accettare ed osservare la tregua, perché l'Imperatore si è convinto in questo senso e permetterà agli svizzeri di passare per il veronese ed il vicentino. Massimiliano insiste tuttavia su tre condizioni: più denari dei 40 mila ducati promessi; la restituzione dei suoi prigionieri; la tregua da dichiarare d'inverno e non d'estate.

Il Capello avverte da Vicenza che il Re francese sta di fatto convogliando parte delle sue truppe in Francia, dove ha richiamato il de la Palice con 600 lanze. Il cardinale degli svizzeri, desideroso di andare al campo incontro ai suoi, parte da Venezia il 12 come legato papale, portando con sé molto denaro della Signoria. Intesa l'imminente discesa degli svizzeri, si comincia a fare provvisione di pane e vino per il campo veneto, mentre il Collegio decide che Bartolomeo da Mosto, che era stato provveditore alle fortificazioni a Treviso, vada ora a Vicenza come provveditore in campo per le vettovaglie. Lo ritroveremo a Bergamo in giungo.

La prima segnalazione della discesa degli svizzeri giunge a Venezia l'11 maggio e viene proprio dal territorio bergamasco: ...uno che vien di bergamascha, è zorni 3, referisse sguizari esser calati et venuti a Lover, su lago d'Ixeo, gran numero et aver mandato a dimandar il passo a Bergamo; e non avendo voluto dargelo, sono descesi per forza in quelle valle, facendo certi danni, adeo tutti quelli non è marcheschi fuzivano come meglio poteano etc... [SAN, XIV, 209]. Stando a questa informazione, gli svizzeri dovrebbero essere comparsi sul bergamasco intorno all'8 maggio. Ma, come al solito, nessun cenno a questa minaccia compare nelle carte ufficiali della città di Bergamo, che pare invece intenta a contrattare con il regime francese le sue esenzioni, piuttosto che a proteggersi contro una sempre più concreta minaccia di invasione. Seguiamo per ordine i documenti che ci sono pervenuti.

Alla data del 3 maggio scrivono da Milano [Lett. 9.3.3. # 136/9] gli oratori Francesco Albani e Oliverio Agosti, ai Dieci Deputati della città e informano:

Heri sera azonzessemo a Milano et parlassemo cum uno di nostri benefactori et protectori, el quale ne viste voluntera et promise di parlar et operare cum questi ill.mi Signori cum ogni studio et diligentia, a benefitio de la città nostra. Da po' in questa matina havemo parlato cum miser Io. Iacomo Saconardo, el quale me fece intendere che li Signori faceva gran difficultà in el dono et volerne privar de quello. Noy ge havemo risposto che senza quello principalmente non semo per concluder cosa alcuna. Da po' anchora me ha dito che li Signori voluntera concluderiano una summa ala cità et distreto. Noy respondessimo che da tal cosa non havemo comissione alcuna. Havemo anchora acompagnato li Signori a Santa Maria de li Gratii et ge havemo fato reverentia; tamen, non havemo fato altre parole cum le sue Signorie. Saremo attenti et soliciti et a dì per dì et hora per hora scriveremo ale Magnificentie vostre tuto quelo achaderà. La compagnia del ill.mo signor Io. Iacomo cum alcuni fanti venerà a Bergomo in breve. De altri soldati non intendemo altro.... Segue nella medesima lettera un poscritto con grafia diversa: Expreso aviso Vostre Magnificentie como el cl.mo nostro Podestà fu heri sera da li Singori Monsignor Canzeler et Monsignor General, in presentia del rev.mo Cardinal de Samalo, in presentia el Capitano de Iustitia, donde el recomandò molto la cità et farli intender la mal contenteza de quale era ... per la qual cosa luy me dise che al credeva che le cose nostre pasarano asay bene. Non mancheremo de far el debito nostro.

Le informazioni sono un poco oscure, ma par di comprendere, in buona sostanza, che, attraverso intermediari favorevoli a Bergamo, gli ambasciatori stanno trattando il problema della restituzione del cosiddetto dono regio, circa il quale tuttavia essi non avevano ricevuto specifico mandato. Mentre contemporaneamente, il podestà bergamasco si trovava anch'egli a Milano e cercava di agire in favore della città.

Si nota in questa fase una certa confusione tra le azioni di Bergamo e Milano, perché nessuna notizia di un prossimo arrivo di militari evidentemente aveva ancora raggiunto Bergamo il 4 maggio, quando invece in città si sparge la voce che mille guasconi verranno presto ad alloggiarvi. Il Consiglio ordina quindi di scrivere per corriere agli oratori perché avvicinino G. Giacomo Triulzio, tentino di capire se questa sia veramente l'intenzione sua, e diano un'immediata risposta. Nello stesso giorno i due oratori proseguono nei loro contatti [Lett. 9.3.3. # 136/10] e informano, in tono rassicurante:

Fina hora non è seguito altro. Li nostri protectori fidelmente se adoperano a benefitio nostro. Da po' disnare dovemo essere in siema. Non dubitate che non se tractarà se non cose honorevole per la cità nostra, et de tuto subito daremo aviso ale Magnificentie vostre, ale quale se recomandemo.

Ma la lettera del Consiglio giunge a Milano soltanto dopo di questa ed il 5 parte una nuova informativa per gli Anziani e deputati della città [Lett. 9.3.3. # 136/11]:

Heri ale tre hore recevessemo una di vostre Magnificentie per el correre. In questa matina al alba semo stà dal ill.mo signor Io. Iacobo, el quale me dice che guasconi non venerano a Bergomo; et che a Bergomo venerà solum la sua compagnia et cinquecento in fina mille fanti; et che sua Signoria ha acceptato quello alozamento, aciò che noy sentiamo mancho danni. El resto del campo, como a noy per altri è dito, viene al drito per la strada Romea.
Heri de matina scrivessemo ale Magnificentie vostre che el era dato ordine da esser insiema da po' disnar per la resolutione de le cose nostre. Noy stessemo a casa del ill.mo Generale, comenzando ale 16 hore fina ale XXIIII. Tante fo le occupatione di Signori, che del fato nostro non fo tractato cosa alcuna. Ozi et ogni dì et hora staremo attenti ale expeditione nostre, et de tuto daremo subito aviso ale Magnificentie vostre, ale quale de continuo se recomandemo. Honesto sarìa che le Magnificentie vostre me mandasse qualche dinari. Que bene valeant.


Poveri oratori costretti ad anticipare le spese della loro missione! A mezzanotte dello stesso giorno l'Albani e l'Agosti scrivono ancora [Lett. 9.3.3. # 136/9] e riferiscono della lunga anticamera cui li costringe il Generale di Normandia, che sta evidentemente cercando di logorare i suoi avversari:

Fina questa hora non è fata altra resolutione ale cose nostre. In questa matina Monsignor ill.mo Generale me disse che da po' disnare dovessemo andar da la sua Signoria per tractar de le cose nostre, sì che ale XVI hore, secundo lo ordine, andassemo et stessemo in camera sua una meza hora al cospeto di sua Signoria, et non me disse altro. Da po' el compagnassemo al Senato, et dopo el compagnassemo a casa, et lì aspetassemo fin che l'ussisse de camera, et ge fessemo reverentia. Sua Signoria me fece bona chyera et non me disse altro.
Noy se apresantamo ad ogni hora et aspetamo che sua Signoria me richieda, et per non far danno ale cose nostre non instamo con importunità, ma più presto stamo in expectatione, et questo facemo anchora de consciglio di nostri protectori. Se le Magnificentie vostre havesse altra opinione, datime aviso. Noy iudicamo essere aproposito nostro apresentarse ad ogni hora et aspetar che sua Signoria me dimanda, che instare cum celerità.
Di qua se intende ch'el se tracta la pace cum el Summo Pontifice, et che gli sguizeri hano rechiesti li ambassatori de la Christianissima Maiestà per essere a parlamento cum loro, facendoge salvo conduto; quale cosa par essere inditio de pace. Del successo di fati nostri sempre sareti avisati et saremo soliciti et attenti, como è debito nostro...
.

Evidentemente, la continua presenza tra la folla dei clienti che seguivano il Generale degli ambasciatori bergamaschi - che egli stesso aveva convocato - era un normale atto di omaggio da parte dei questuanti ed un mezzo di pressione dello stesso Generale per fiaccare lo spirito dei bergamaschi e convinverli a pagare.

Il Consiglio il 5 maggio [Az 11, 244v] dona, tra l'altro, sempre decentibus de causis et ex urbanitate alcuni denari - relativamente pochi per la verità, 10 scudi ciascuno - al Cancelliere di Leone Belon e al coadiutore di G. Francesco Caym segretario, per soddisfare una promessa verbale fatta a nome dei sei Deputati. Dà anche disposizioni per soddisfare una polizza di spese fatte da Ludovico Suardo per il vitto del Vicecancelliere e di Leone Belon e rispettive famiglie, che erano stati ospiti in casa sua. Non è data la cifra, ma si deve pensare che non fosse piccola. Lo scopo di queste azioni è apertamente quello di ingraziarsi le autorità francesi.

Tra il 7 ed il 9 maggio l'attenzione del Consiglio bergamasco è assorbita dalle disposizioni rese necessarie per l'arrivo di molti militari in città, che devono essere nutriti ed ospitati, e per i quali bisogna fissare regole di comportamento. Il giorno 7 [Az 11, 245r], si eleggono Bertolino Baniati e Benedetto de Passis a stabilire con il Magno Preposito Regio Citramontes il prezzo delle vettovaglie che si venderanno ai guasconi che giungeranno presto in città ed a fare su questa materia terminazioni e proclami. Vi sono tuttavia a questa data altre importanti informazioni: Die veneris 7 maii 1512 deputati sunt qui ordinarent allodiamenta pro millibus peditibus Vasconibus in civitate, qui jam venerant Arcene cum disturbatione multa; et ea die, in executione litterarum honorandi Generalis Normandiæ, vocati sunt infrascripti cives in civitatulam, ubi eis per locumtenentem iussum fuit ire obsides extra Adduam, et sese præsentare in termino dierum duorum Mediolani coram d.no Cancellario Parlamenti regii: d.ni David Brembatus, Andreas Passus, Johannes Albanus, Augustinus della Turre, mag.cus comes Andreas Callepius, Georgius Benalius, Stephanus Vianova, Petrus Grumellus, Franciscus Rota antiquus, Franciscus Rota iuvenis, Dominicus del Cornello, Leonardus Cumendunus, Ludovicus Rota, Petrus Sonica, doctores, Aluisius Passus, Nicolaus Bongus, Pezolus Simon Zanchus, Antonius Lulmus, doctor, Gabriel Lulmus, Marcus Antonius Gromellus, Paulus Benalius doctor, Gaspar Benalius, Zininus Borella, Hieronimus Colleonus, Nicolaus Zanchus doctor, Franciscus Albanus, Salvus Lupus [BER, 100v]. Sentendo che la loro posizione si sta facendo difficile, per evitare altre sorprese, i francesi prendono quindi alcuni ostaggi in città.

Il giorno successivo, poi, 1512 die 8 maii die sabbati venerunt Bergomum Vascones pedites 1500, qui hospitati sunt in domibus civium, et omnes armigeri Triultii, et alii cum maximo damno et molestia omnium, etiam pauperrimorum; et die dominico nono maii super regio proclamatum quod per totam diem crastinam omnes Bergomenses consignasse et præsentasse deberent omnia arma cuiuscumque generis in civitatula, sub poena suspensionis; et postea proclamatum fuit quod omnes Bergomenses montani et totius territorii, in termino dierum duorum portasse debeant in civitatula omnia arma, sub dicta poena [BER, 101r]. La deportazione degli ostaggi e l'arrivo delle truppe sono le prime concrete manifestazioni che il dominio francese si va preparando ad uno scontro.

Sempre all'8 maggio [Az 11, 245v] alcune persone del Consiglio decidono di dare in dono a Giorgio Triulzi, che verrà ospite a Bergamo con la sua legione, tre some di biada. Naturalmente, la presenza di queste truppe, oltre che di una generica molestia agli abitanti, è anche causa di un rialzo nel prezzo delle derrate. E allora il 9 il Consiglio [Az 11, 246r] discute a lungo sugli alloggiamenti e le vettovaglie dei guasconi presenti in città ed elegge quattro persone che avvicinino il gran preposito dei militari e stabiliscano con lui ordini per gli alloggiamenti ed i prezzi delle derrate, risoluzione che era del resto già stata presa il 7 maggio. Infatti, la pubblicazione del calmiere è dell'8 maggio [Lett. 9.3.3. # 139] e dice

Nuy Aluysio ... Gran Prevosto per la S.M.R. de qua li Monti sotto li signori Maregiali de Franza, Comissario in questa parte mandato per dare ordine et meter tassa ale victualie quale se hano ad pagare così per le gente d'arme regie quanto etiam per le gente de pede alogiate in la cità di Bergamo; et per che siamo informati da testimoni digni de fede quello che valevano le victualie nanti che fuse nove che li soldati venessino in dicta cità; et per che trovamo che le fantarie et soldati regii non potriano vivere de lo suo soldo se a queste victualie non gli fuse miso qualche ordine; havemo ordinato et ordinemo che le victualie se habino ad pagare ala tassa et pretio infrascripto, zoè,
Primo, la libra de la carne di vitello s. 2 d. 6
la libra grosa di bove groso s. 2
la libra de la carne di castrone s. 2
la libra de la carne di capreto s. 2 d. 6
lo bochale de vino bono et puro s. 1
Le altre victualie, zoè, galini, caponi, polastri, pane, olio, candelle, formagio, butiro et altre victualie al pretio del merchato che gli è al presente, senza le ... per la venuta de dite gente d'arme. Datum Pergomi, die VIII maii 1512.
Seguono una firma e la sottoscrizione del cancelliere.

Del 9 maggio è invece la pubblicazione dgli ordini riguardanti il comportamento delle truppe [Lett. 9.3.3. # 140]:

Per parte de la S. R. M. et del suo Locotenente Generale se fa publica crida, bando et comandamento:
Che ogni persona di che stado, grado et conditione voglia se sia, così gente d'arme da cavalo quanto de pede, alogiate in questa tera non olsa né presuma alogiar in alcune caxe de dita terra se non in quelle che gli sarà dite per li suoy maregiali de logiar et foreri, soto la pena di esser punito corporalmente.
Item, che non sia persona utsupra qual olsa né presuma de dire vilanie né di batere alcuna persona di epsa terra, soto la medesima pena.
Item, che non sia persona utsupra qual olsa né presuma di tagliare alcune biade per dare ali cavali, ma vogliano andar ad tagliar de le herbe in li loci dove gli sarà ordinato per li mag.ci Deputati de dita cità, et questo soto la medesima pena.
Item, che essi soldati siano obligati di pigliare le victualie quale prenderano in le caxe dove sono alogiati a cuncto et taye, aziò quelle ala mostra se possano pagare, aut quelle acomprarle al modo et pretio se contene in le ordinationi sopra questo facte, et questo soto la medesima pena.
Item, che non sia persona alcuna utsupra qual olsa né presuma di andare fora di essa cità ad alcune cassine ... ad prendere galine né altre cose, soto pena di essere impichati per la gola
.

Si accentuano anche i timori del contagio, cosa del tutto normale in presenza di un tale affollamento di militari. Il 7 gli oratori a Milano scrivono ai deputati alla sanità di Bergamo [Lett. 9.3.3. # 136/13]:

Havemo receputo una di vostre Magnificentie circa el caso del Rizo fameyo de d. Alvise Boltega. (Il Boltega, già citato, era il famigerato conduttore dei dazi di Bergamo.) Vi avisemo che in questa matina et heri el vedessemo andar per Milano sano et salvo, sì che non m'è parso andar dali prefati Signori della Sanità a informarsi de quello havemo veduto oculis nostris.... Quindi, un allarme ingiustificato.

Nel frattempo, prosegue solerte l'opera dell'Albani e dell'Agosti a Milano, che mandano due relazioni ai sedici deputati della città ambedue alla data dell'8 maggio. Dice la prima [Lett. 9.3.3. # 136/14]:

In questa hora sono convenuti in siema li doy nostri ill.mi Signori, insiema cum uno di nostri protectori et lì, in nostra absentia però, è stà agità el caso nostro longamente; et par che si resolvano in questo, di voler abassare de la summa rechiesta e venir a conveniente summa. Ma vorebeno ch'el dono circa el quale pende la difficultà remanga sequestrato usque quo per la Regia Maestà sia deciso an debeatur. Per il che, non è aparso a noy né a nostri protectori de offerir summa alcuna, se prima non se daria aviso ale Magnificentie vostre, li quali deliberano et respondano como ge parerà. Noy semo sempre stà forti et galiardi di non venir a conclusion alcuna senza el dono. Pur havemo scrito questo ale Magnificentie vostre, aciò anche loro respondano ciò che ge pare.
De po' anchora hano deliberato che li mag.ci d.ni Vice Cancelario et Leono vengano di là per expedir li processi comenzi, et per metter fine a questi disturbii, imponendoli che fra X o XV dì ad summum debbano essersi expediti. Et per quello che noy havemo da li nostri protectori, utilissimo sarà ala cità nostra farge le spese et anche pagarge li sui salarii, perché in omnem eventum, et a tractar lo acordio et circa ogni altra occurentia, sarà a grandissimo proposito. Sì che me exhortano che a questo non voliamo far resistentia alcuna et paregiarge dove a voy parerà, et così anchora noy contentaremo per la opinione nostra a questo. Ulterius, per quello che vedemo et intendemo, non dubitati che non sarà fato alcuna impressione né effectuale executione per questi dinari richiesti da la cità.
Item, vi avisemo ch'el vene di là do compagnie che serano circa 75 lance, ciovè quella di Borsi et un'altra, in summa non passano 75 lance. La compagnia di fanti anchora non lo intendemo, et speremo che seguendo bona relatione et acordo, le spese se alevierano, se non in tuto almancho in parte. Vi mandamo de questo messo a posta, aciò che presto habiamo risposta dale Magnificentie vostre, al quale ge fareti far el dover suo. Vi pregemo che vi aricordati de mandarme danari. Altro per hora non achade, se non che se recomandemo ale Magnificentie vostre
.

Poche ore dopo i due aggiungono [Lett. 9.3.3. # 136/15]:

Heri sera recepute le littere date per Pantucio, subito andassemo dal ill.mo signor Io. Iacomo, ma non potessemo parlare per essere molto corozato. In questa matina havemo parlato cum sua Signoria, dicendo che sua Signoria me haveva dito ch'el voreria solum la sua compagnia e cinque cento in milli fanti, et che il se intendeva ch'el vegneva lanci CCC et doa milia guasconi. Sua Signoria me disse ch'el non era vera, et che solum venerà C lance et li fanti preditti, subiungendo che non voleva ch'el venisse adesso la sua compagnia, per che intendando el mal portamento el quale fano questi fanti, che non voleva cum lor mesedarsi, acio che non se dica che soto le sue spalle se faciano simile oltrazi et iniurie. Sì che intendeti el tuto, et anche poteti comesurare le menaze de CCC lance, et a que fine tendano. Bisogna armarse de bona patientia.
Circa el fato nostro, semo stà cum lo ill.mo Generale, et dise non voler la desfactione de la terra; tamen, intendeva ch'el dono fosse perso. Respondessemo che senza quello non erano per concluder cosa alcuna per che ultra il danno questa era sententia de rebellione.
Da po' se remesse de parlare cum lo ill.mo Cancellero, dal quale andassemo et prima ge fessemo parlare de uno di nostri protectori. Noy trovamo quello in ... ben disposto et circa el dono et altri capituli. Et heri tuti do fone insiema, tamen non tractono del caso nostro. Se sono remessi al dì odierno: staremo attenti et saremo soliciti. Le nostre calamità le predicemo, tamen non se zoverano.
Aspetavemo soccorso de danari da le Magnificentie vostre, tamen non vedemo provision alcuna: ve pregemo che vi siamo recomendati. Non ometto che in discursu sermonis cum Monsignore Generale ge fo ditto che la cità voleva mandar in Francia, non essendo molesto a sua Signoria. Me respose ch'el non ge era molesto per niente et che faressemo da savii andarge; tamen subiunse subridando che faria la executione. Vedremo fra puochi dì el fine di qua et la resolution che farano questi do signori, et de tuto daremo aviso ale Magnificentie vostre; ale quale se recomandemo
.

I testi riportati nella loro interezza sono molto interessanti, sia per delineare i termini della trattativa finanziaria in corso tra il Generale e gli oratori bergamaschi, sia per le sottili notazioni psicologiche delle parti. E dimostrano che gli ambasciatori di Bergamo erano persone tutt'altro che sprovvedute. Seguono dagli stessi ambasciatori altre due lettere in data 9 maggio, rispettivamente alle ore XIIII e XXII. La prima riguarda l'arrivo dei militari a Bergamo e dice [Lett. 9.3.3. # 136/16]:

Heri avisassemo ale Magnificentie vostre ch'el ill.mo signor Io. Iacomo, per li respeti in le nostre littere allegati, revocava la opinione di mandar la sua compagnia a Bergomo, et che di là erano deputate due compagnie de 75 lance. Adesso havemo inteso che la compagnia del prelibato Signor era venuta a Bergomo et, dubitando che ancora non venisse de là quelle due compagnie de lance 75, in questa matina semo andati dal prefato Signor, significandoli che la sua compagnia era azonta a Bergomo, et che a noy era più grato che altre compagnie del mondo, et che dubitavamo anchora che andasse de lì quelle altre due compagnie, et che questa graveza saria a noy insupportabile; pregando sua Signoria che non me lasasse ruinare in tuto. Sua Signoria me rispose che non veneriano altre zente d'arme, et che non dubitassemo; et questo presente el mag.co miser Laurentio da Mozanicha collaterale, el quale affermò el medemo. Sì che intendete le cose come passeno: non è marvelia se scrivemo qualche cosa diversa l'una da l'altra, perché questo non procede da noy, ma da quelli che sono sopra de noy. Nec plura; bene valeant Magnificentie vestre, quibus plurimum se nos comendamus.

La seconda tratta invece dei passi che si stanno facendo a proposito delle sanzioni comminate alla città accusata di ribelione, passi invero molto lenti [Lett. 9.3.3. # 136/17]:

In questa hora semo stà dal ill.mo Canceller, referendo gratie ala sua Signoria per la bona opera che fa sua Signoria per la cità nostra, pregandola volia perseverare, che la cità nostra non sarà ingrata a sua Signoria. Et questo havemo fato per comissione e conscilio de uno di nostri protectori.
Sua Signoria me ha risposto che è per operare tuta sua possanza ad auxilio nostro, dicendo che noy eremo stà negligenti a mandar ala Maestà Regia, et che bressani erano stà più sapienti et più diligenti a mandar el mag.co miser Baptista Piano, el quale, como intendeva, haveva optenuto pur asay cosa per la sua cità. Noy respondessemo che questo non procedeva da nostra negligentia, ma eramo stà tardi per riverentia dele sue Signorie, per che dubitavemo de andar cum sua desgratia; et che se così fosse, la andata nostra saria frustatoria. Me rispose che luy m'el haveva dito a la prima et che de questa andata ne haveva apiacere.
Dopo intrassemo al capitulo del dono, sua Signoria me assereva che vera mente la Maiestà Regia ha scrito la sua opinione cerca el dono, subdendo che s'el dono se sequestrasse scriveria in favor nostro ala Maiestà Regia et al Gran Canceller de Franza, et che se fessemo compositione me saria datto termino fra il quale potessemo andar in Franza. Noy ge rispondessimo che asay rengratiavemo sua Signoria de la offerta del scriver in Franza, dicendo però che la cità nostra non consenterebe may a compositione alcuna senza el dono; et così restassemo.
Ulterius, vi havemo avisato ch'el vene di là quelli do signori Iudici Delegati. Vedeti s'el aparese ale Magnificentie vostre che parlassemo a questi ill.mi Signori in questa forma, videlicet, admetano le defese de la cità et che ex nunc, constando etiam de la inocentia nostra, semo prompti a far quello conveniente dono ala Maestà Regia che potrà fare la cità; et questo a fine per far che intrano in opinione di voler veder le rason nostri. Le Magnificentie vostre sono sapientissime; faremo tanto quanto me cometerano. Que bene valeant
.

Queste trascritte da ultimo sono presumibilmente le lettere di cui il Consiglio prende nota il 10 [Az 11, 246v], senza peraltro assumere alcun provvedimento, nonostante le ripetute sollecitazioni degli oratori. I quali scrivono ancora il 10 [Lett. 9.3.3. # 136/18]:

Noy stamo in continua expectatione de la resposta di vostre Magnificentie, quale sapemo essere sapientissime et in le adversità contantissime (sic). In questa causa, quale è de tanta importantia, è de bisogno adoperar li amici, et como sapeti non vulgari, ma amici et protectori de somma auctorità et veramente ne servano di bon cuore. Tamen, noy cum la sua Signoria non potemo intrare cum quella fiducia se conveneria, per non haver se non parole da noy, et non retribution alcuna. Cum lo ill.mo Canceller havemo per ogni rispeto grandissime obligatione: saria a grandissimo proposito nostro et benefitio in questi tempi di usare qualche liberalità verso la sua Signoria. Similiter, cum lo ill.mo signor Vesconte per adesso, et cum lo ill.mo signor Io. Iacomo a suo tempo. Se in particulare havessemo qualche differentia, voressemo spender et spander in questa causa gravissima non se aresegemo spender un soldo. Se si volemo defender, necessario è far le debite provesione. Tamen, in tuto se remettemo a le Magnificentie vostre: vi pregemo ben che non vi dementegati li fatti nostri, aciò che possiamo star saldi a queste asperrime imprese et fatiche. Bene valeant Magnificentie vestre.... Insomma, dice palesemente la lettera, la città deve decidersi ad investire denaro per smuovere la trattativa, perché senza cospicue regalie i funzionari francesi non si potranno convincere.

Soltanto l'11 maggio i deputati cittadini si decidono a rispondere alle pressanti richieste dei loro oratori. La minuta della lettera ci è pervenuta e la risposta è assolutamente negativa [Lett. 9.3.3. # 136/19]:

In questa hora havemo receute vostre litere hozi date in Millano, ale quale respondemo per el presente impossibile esser a far denari, per le cause quale voy sapeti et grandi debiti nostri, et peius per queste zente d'arme et fantarie quali sono venuti in questi zorni et per quali tuta la cità è gravata ultra vires et como melio si pò, cercando satisfare a queste necessità de zente nove. Per la qual cosa non gli havemo ordine a quello scriveti, et in questo bisogna operar solum bone parolle, attenta la impossibilità de questa cità; quale perhò non fo may ingrata a chi gli ha fatto beneficio. Ma fatti non se pò exequir. Le Magnificentie vostre operi mo secundo la solita prudentia sua.

Agli ambasciatori non resta che prendere atto dell'impossibilità di Bergamo - non inattesa, del resto - a provvedere denaro per risolvere la vertenza e così rispondono, sempre in data 11, a stretto giro di corriere [Lett. 9.3.3. # 136/20]:

Havemo receputo la risposta de le Magnificentie vostre, etiam che sapessemo esser così concluso como anchora di novo scriveti, et così sempre habiamo ditto a questi ill.mi Signori. Tamen, è parso essere nostro debito scriver el tuto ale Magnificentie vostre. Noy exequiremo ad unguem questa sapientissima deliberatione, et così ozi faremo intender di novo a questi ill.mi Signori la mente del Conscilio et universalmente de tuta la cità, et vi scriveremo como succederano le cose nostre. Bene valeant Magnificentie vestre, quibus se nos comendamus.

Nè si può dire che si perdano d'animo nella difesa delle ragioni di Bergamo. La loro successiva relazione porta la data del 14 maggio ed è particolarmente informativa, nel senso che illustra con precisione l'intera materia del contendere, la posizione delle parti ed i margini di manovra che ciascuna di esse asserisce di avere. Ecco il testo [Lett. 9.3.3. # 136/21]:

Heri se strenzessemo cum lo ill.mo Generale et post multa sua Signoria se resolse in queste parole, che sua Signoria haveva tre comissione da la Christianissima Maestà, videlicet: de privar Bergamo e Bressa de tute le sue iurisditione; 2°, de privarle de le terre comprate da Monsignor Gran Maestro; 3°, de privarle del dono. Et che sua Signoria condescendeva a lassar le sue iurisdictione ala cità et de lassarge le terre aquistate dal quondam Gran Maestro, ma che del dono non voleva né posseva; et che contento era che andassemo da la Christianissima Maestà; et che permeteva le dite iurisditione per che questo tornava in utilità de la Regia Maestà, subiungendo che me faria restituir le iurisditione occupate.
Noy ge respondessemo che senza el dono non volemo concluder cosa alcuna, et che questa era la opinione de la cità, como sua Signoria haveva visto per lettere de essa cità, in le quale advertite sua Signoria non esserge sotoscriptione alcuna. Qual cosa non considerassemo perché cognoscemo la scriptura de desio (?) et per che el dono è posto in controversia noy non havemo voluto far oblatione alcuna de danari ... semo passato termino alcuno, sed solum havemo sempre ditto che observando li capituli et concession de la Regia Maestà, la cità era per fare ogni suo potere per far cosa che fosse apiacer de la sua Signoria, et per subvenire ala Regia Maestà, ma in queste occurentie de guerre; et che questo faressemo de bon animo, per che havemo coniuncto la nostra fortuna cum la felicità et prosperità de Franza; usando sempre dolce et conveniente parole ala sua Signoria. Sì che semo infina hora senza altra conclusione.
De po' semo stà dali nostri singularissimi protectori a consciliar el caso nostro. Et re diutius disputata, me hano exhortato che animosamente andiamo in Franza ala Christianissima Maestà a far intender el caso nostro et dimandar iustitia, assecurandome che la iustitia non me sarà denegata. Voy intendete el tuto; le vostre Magnificentie deliberano mo ciò che habiamo a fare, et de andar o star o retornar a casa. De novo avisemo le Magnificentie vostre che in questa matina habiamo per bona via inteso che le zente d'arme e fantarie che sono a Bergomo in brevi se levarano, denotando insuper ale Magnificentie vostre che eri iuxta comissionem domandassemo alo ill.mo Generale littere circa le victualie, ch'el se podesse vender carne et vino ali soldati, tamen senza datio.
La sua Signoria me respose che in questo noy dovessemo porger una suplicatione ala sua Signoria, che luy me remetteria ali mag.ci Maestri de le Intrate che me fesseno iustitia. Noy respondessemo che questo non se conveneva e che noy non volemo litigare, et che era cosa ala quale sua Signoria dovesse proceder. Sua Signoria se ... che sporzessemo la suplica. Noy non havemo voluto far altra suplicatione per non entrar in litte e perché li soldati de brevi se partirano; tamen, in tuto faremo ciò che sarà per le Magnificentie vostre deliberato.
Altro per hora non achade, se non che le Magnificentie vostre proveda al fato nostro, altramente non poteremo star a queste molestissime imprese. Agitur de summa rerum, credeti a noy, et è necessario in queste adversità far bono animo, altramente ruinaremo in tuto...
.

Di fronte alla minaccia di drastici interventi in campo istituzionale, nonché finanziario, Bergamo alla fine si risolve ad agire. Il Consiglio del 15 maggio [Az 11, 247v] discute le informazioni fornite dagli oratori e ordina di rispondere loro che con ogni circospezione ed industria procurino di aver l'opinione del Gran Cancelliere e del Generale di Normandia se fossero disponibili a soprassedere all'esecuzione che minacciano di fare contro la città, fino a quando si mandino legati al Re e si ottenga la sua decisione; nel frattempo si procureranno i denari per questa causa. E, a tale scopo, ordina di scrivere a Galeaz de Vertua in buona forma e con parole acconce perché, secondo un'offerta da lui fatta, procuri i denari da dare agli oratori da mandare come sopra: in questo la comunità confida, ma non ne è sicura. Si scrive subito e si trasmette per messo. Si tratta però, in tutta evidenza di mosse tendenti a dilazionare una decisione. Vien fatto di ipotizzare - ma non vi sono prove di questo - che i bergamaschi, certo informati della situazione politica e militare che volgeva a sfavore dei francesi tentassero di guadagnar tempo. Vediamo perché.

Intorno alla metà di maggio, gli sviluppi della situazione generale visti da Venezia appaiono i seguenti. Il giorno 12 maggio la città saluta il cardinale svizzero che parte per andare incontro ai suoi, ben rifornito di denaro da parte della Repubblica. Gli svizzeri stanno entrando in Lombardia e, per facilitare il loro arrivo, la Repubblica emana ordini per esentare dai dazi chi porterà vettovaglie al loro campo. I francesi, come informa il Capello, si stanno allontanando da Verona; gli inglesi sembrano pronti per invadere il nord della Francia. Anche l'esercito veneto si prepara a muovere, dopo aver tenuto, il giorno 15, riviste militari a Vicenza, dove il grosso è accampato. Terminate le mostre, le truppe verranno pagate e muoveranno verso Lignago. Si prevede che la partenza dell'esercito possa avvenire intorno al 19.

Il progresso delle truppe svizzere viene attentamente seguito. Il 16, riferisce il Sanudo, ...Vene di bergamasca uno, è zorni 5 partì, dice di sora in quella valle è apresentà sguizari et tutto il bergamasco è in arme, e che francesi haveano tolto tutte le vituarie di do valade, dove dubitavano sguizari calasseno, e altre particularità. Et quelli di Val Trompia chiamavano Jacomin di Val Trompia, fo contestabile nostro, era qui poi persa Brexa etc.; et cussì per Colegio in questa sera fo mandato dito Jacomin via con zercha 50 brexani foraussiti, erano qui, quali subito libenti animo partino, et li fo mandato ducati 10 per uno per le spexe, quali non li volseno, e li mandono indrio [SAN, XIV, 218]. Poi, il 18 maggio, un messo svizzero, latore di una lettera per il cardinale, riferisce che diecimila mercenari elvetici sono giunti ad Edolo, seguiti da altre 15 mila e più, diretti contro i francesi. I valtellinesi si offrono di dar loro denaro e viveri per non esser messi a sacco. Alla stessa data, ...Item, veneno alcuni brexani, è zorni 3 partì, tra i qual uno fiol fo di Vetor di Zuane nominato Polo et altri, dicono francesi à gran paura. Lì in Brexa è governador monsignor di Obignì et fanno fortification a la terra; serano 3 porte, di le Pille, di San Nazar et di Torre Longa, e temeno assai. Mandano a Milan alcuni citadini restati, per dubito, ma queli ponno vieneno in qua, come à fato lui et altri.

Et noto. Fo dito Bergamo fu messo a sacho da' francesi, non fu vero; ma ben vi è andà alcune zente di la compagnia di missier Zuan Jacomo Triulzi. Et Mafio Cagnolin contestabile con una frota di bergamaschi è qui ogni dì a le scale per esser spazadi, et anderano via contra svizeri
[SAN, XIV, 224].

Il 18 ed il 20 maggio sono giorni politicamente importanti: da una parte, viene pubblicata e festeggiata a Venezia l'entrata nella Lega Santa del re inglese; dall'altra, si ha conferma dall'Imperatore che anch'egli è pronto a firmare la tregua.

A Bergamo, tuttavia, non si nota alcun sintomo che la situazione militare sia così pericolante per i francesi. Il 16 maggio si registra un intervento del Triulzi a favore della comunità di Morengo. Scrive il capitano milanese ai presidenti della città di Bergamo [Lett. 9.3.3. # 141] che non vogliano costringere quegli uomini a pagare il taglione in comune con la città e di non innovare alcunché perché ...se haverano fallato se farano pagare de per loro, separati dala cità.

Del 18 maggio vi sono ben tre lettere dell'Agosti ai deputati di Bergamo. Dice la prima [Lett. 9.3.3. # 136/22]:

In questa matina summo mane son stà dal ill.mo Canceller per intender da la sua Signoria se vero era che la Regia Maestà havesse deputato sie Senatori in questa causa, li quali havesseno administrar iustitia. Sua Signoria me respose in questa forma: "Quod ipsi bene de hoc scripserant Regie Maiestati, sed quod adhuc responsum non habuerant; sed quod vos queritis hoc, cum iam setes concordes, quia ut audio oblata sunt quindecim milia ducatorum, et reliqua omnia sunt remissa ad arbitrium Regie Maiestatis". Tunc in continenti dedi hoc responsum: "Ego etiam sum orator in hac causa, istud non est verum".
Le vostre Magnificentie intende adoncha il tuto: questa oblatione non è fata a mia saputa, qui nunche fo may de questa opinione, perché sarìa intricar el fato nostro. Io credo veramente che per la Regia Maiestà sia fato e scrito quello che scrisse heri, perché questo vene da uno secretario et da uno gravissimo Senatore, ma se tiene occulto per qualche rispeto. Sì che le Magnificentie vostre guardano bene ciò che hano a fare; tanto quanto farano se exequirà.
Da po' le Montagne sono acordate, val Seriana de soto paga tre milia ottocento ducati; quella de sopra paga ducati quatro milia ottocento; val Brembana quatro milia; de Valdemagna non so el numero. Volio significar questo aciò che se li delinquenti manifesti hano questo accordo, non dovemo noy, che semo senza culpa, tanto trepidare. Bene valeant Magnificentie vestre...
. La grafia di questa lettera, che è quella di tutta o quasi la precedente corrispondenza, dovrebbe essere quella dell'Agosti. Si noterà anche che la ricevuta della somma dei 4800 ducati tassati a val Seriana superiore fu rilasciata il 4 giugno 1512 dal segretario regio [BALDI, MMB 150, 182 e BALDI, Somm. Gr., 304].

La seconda lettera [Lett. 9.3.3. # 136/24] così riporta:

Havendo hauta la risposta del ill.mo Canceller, in quella forma de la quale io ve ho dato notitia per una mia mandata per uno messo a posta in questa matina, per certificarvi del tuto son andato da uno Senatore, el quale intendevo esser deputato una cum aliis ala causa nostra, et da la sua Signoria ho inteso che luy è fato nostro iudece. Et questo si è el mag.co miser Antonio Bernerio (?), el quale me ha ditto che sempre sarà prompto ad ogni nostro benefitio, et semper me sarà favorevole in le cose poteva cum suo honore. Io ho ringratiato asay sua Signoria. Sì che state de bona volia et fermi et franchi, che lo omnipotente Dio et la bontà et iustitia del nostro Christianissimo Re ce aiuterà. Intenderò a hora per hora de li compagni et ne darò aviso ale Magnificentie vostre. Et insuper, dubitando an essent deputati ad causam singularium an etiam quo ad universitatem nostram, respose sua Signoria quod ad omnia sunt deputati. Nec plura...

L'ultima lettera, infine, [Lett. 9.3.3. # 136/23]:

Quello che ho scrito per do nostre littere de la delegation fata per la Regia Maestà è verissimo, et me ne son amplamente certificato. Uno Senatore a questa causa me ha dito che vediamo la delegatione et che in quella trovaremo cosa che ne piacerà. Luy per adesso non vole essere nominato. Son stà da uno secretario, domandato miser Princivalle, per haver la copia de la delegatione. Luy me ha dito de non darla e che re ipsa per adesso non se trovava presso de luy, et che non se haveria senza licentia de essi Senatori. Son consciliato per adesso che andiamo in Senatu et rechieder ch'el se vocifera e vien data imputatione ala cità de Bergamo de rebellione; et che essa cità, questo presentendo et cognoscendo la sua inocentia, cum instancia domanda sia admesso le sue defese; et dimanda ne sia data la copia de li iudicii che ... copia monstrano a pretesse de sua inocentia, et cum più large parole et conveniente a questo proposito; et che in questo modo ogni cosa se discopriria et haveremo el modo de defenderse.
Questo significo ale Magnificentie vostre aciò che quelle deliberano ciò che se a fare in questa causa. Staremo attenti et soleciti, como è debeto nostro, per la replica. Et son avisato per quelo Senatore, el quale per adesso non vole essere nominato, che za otto dì el ge fo presentata questa delegatione, et perfin hora el è stà mandata la inquisitione contro la cità de Bressa pro rebellione; la quale, como se intende, animosamente se vol defendere. Nec plura...
. Come si noterà, il gioco delle parti è abilissimo: da una parte, i francesi che cercano di far venire allo scoperto i bergamaschi; e, dall'altra, costoro che fingono di non comprendere e si trincerano dietro sottili distinzioni e cavilli procedurali.

Sempre il 18 maggio, il Consiglio [Az 11, 248r] è confrontato con una richiesta secondo la quale, in esecuzione di lettere del Generale di Normandia a Bartolomeo Ferrario, al Podestà di Bergamo ed al Tesoriere Francesco Suardo, con cui si chiede a Bergamo di mandare ogni giorno al campo regio (che si allestirà presto nell'agro bresciano presso Pontoglio) 8 some di pane per vitto dell'esercito e la maggior quantità di vino possibile. Si fa una convenzione con Giovan Antonio da Valleve detto Furfanto, prestinaio a Bergamo, il quale promette di portare le 8 some di pane al campo. Aurelio Solza, Bertolino Baniati e Benedetto de Passis vengono incaricati di vigilare che il fornaio tenga fede alla convenzione, una precauzione certo non ingiustificata, visto il soprannome del fornaio.

A proposito di questa fornitura di vettovaglie, ci è giunta anche una lettera del Podestà di Bergamo Giovan Maria Guasco ad un non meglio identificato Presidente della regia Maestà del 21 maggio [Lett. 9.3.3. # 143], che dice:

...Per exeqution di mandati del ill.mo Monsignior Gran Maestro General di epsa R. M. havemo in ordine il pane ordinato a questa cità per mandar ad dito exercito. Et per saper in qual loco et in qual zorno se deba condur et per qual via, però pregemo vostra Magnificentia dia al presente nuntio la risposta dil dito, aziò non se cometta fallo né errore, como vostra Magnificentia sapientissime intende. Ala qual mi recomando et offerisco.

Questi approvvigionamenti di vettovaglie per l'esercito francese hanno qualche strascico, che conviene tuttavia esaminare congiuntamente. Alla data del 25 maggio scrive da Milano ai deputati di Bergamo Oliverio Agosti [Lett. 9.3.3. # 136/25]:

...Mando la allegata patente del ill.mo signor Antonio Maria cerca quella richiesta fata al ill.mo Generale che se possa comandar circa le carne et altre victualie ali subditi di heredi del quondam signor Gran Maestro, la quale è in bona forma. Et domandando mi secundo la vostra impositione che questo se cometesse al mag.co nostro Podestà, el signor Antonio Maria disse questo spectare al suo Locotenente, et così se driza ale mane del mag.co miser Zuan Tomaso.
Da poy aviso ale Magnificentie vostre che ozi è venuto uno honesto et acostumato ordene fato per la Sacra Maestà cerca lo alozamento di soldati et lo ill.mo signor Zuan Latonio (?) in mia presentia et in presentia de molti altri l'a fato lezere, et ho pregato sua Signoria me volia dar la copia et una sua litera, aciò sia publicato in Bergomo, dove alozano molti soldati de presente. Sua Signoria ha comesso ne sia dato ogni cosa. Como più presto io lo haverò, el mandarò di là cum diligentia.
Altro per ora non achade. Cerca el fato nostro principale, como heri vi scrisse, altro non se fa. Non manchemo però, el mag.co miser Francesco Albano et mi, ogni dì et hora solicitar lo ill.mo Generale et sempre lo acompagnemo, vada dove se volia. Sua Signoria me fa bona chiera. Bene valeant Magnificentie vestre, quibus plurimum me comendo. P.S. Scrivo le presente in mio nome per la comissione data a mi particularmente.


La patente di cui fa menzione l'Agosti è presumibilmente la seguente, data da Milano il 24 maggio [Lett. 9.3.3. # 144]

Antonius Maria Palavicinus, Regii Ordinis Miles, Gubernator regius Bergomi ac Gobernator et Administrator terrarum et locorum ill.mi quondam d.ni Magni Magistri in agro Bergomensi.
Cum nos variis occupati negociis nequeamus in presentiarum intendere his que conducere possunt civitati Bergomi, tam circa provisionem victualium quam aliarum rerum concernentium beneficium ipsius civitatis, maxime in his tumultiis belli, propterea cum cordi nobis sint commoda ipsius civitatis, demandandas vices nostras duximus dilecto et charissimo nostro d.no Thome de la Turre, cuius probitatem et ingenium aliis in maioribus rebus experti sumus. Et propterea tenore presentium omnibus meliori modo, via, iure et causa quibus possumus, ipsum d.num Thomam deputamus et constutuimus mandatarium nostrum, ac ei vices nostras committimus precipiendi, ordinandi et mandandi quibuscumque comunibus, vallibus et hominibus ipsius quondam ill.mi d.ni Magni Magistri sitis in agro Bergomensi, pro mittendo munitionibus ac victualiis necessariis ad predictam civitatem Bergomi, et precipiendi precise dictis subditis et hominibus ne carnes et alia quecumque victualia extra districtum Bergomensem exportent, sed ea ad dictam civitatem Bergomi conducant, eo modo et forma prout faciebant ante eorum separationem a civitate Bergomi. Mandantes dictis comunibus, vallibus et hominibus ut circa premissa pareant et obediant ipsi d.no Io. Thome ceu persone nostre proprie, non deficientes pro quanto gratiam Regiam et nostram caripendunt. Datum Mediolani, sub fide nostri sigilli [che compare] et subscriptionis [che è data] manu nostra propria, die XXIIII maii, MDXII.


Il decreto è accompagnato anche da una lettera del Generale di Normandia agli Anziani, che dice [Lett. 9.3.3. # 145]:

Veduto quanto n'havete scripto per la provisione d'haver carne per uso de li soldati sono in quella cità, siamo stato cum el signore Antonio Maria Pallavicino ch'è curatore del herede del quondam ill.mo Monsignor Gran Maestro, et sua Signoria n'ha promisso scriverà al suo Locotenente de quella cità comanda in tutte le terre sottoposte al dicto herede che le carne non se conducano fora del territorio Bergamasco e siano vendute alli vostri beccari a honesto precio. Siamo certo che sua Signoria et dicto Locotenente farano questo effecto. Però n'è parso darvene aviso, adcioché sapiate el remedio gli è facto et possate solicitare el dicto Locotenente ad exequire quanto gli scriverà predicto signor Antonio Maria. Bene valete. Segue la firma autografa.

Tutto questo accade a Milano. A Bergamo intanto, il 19 maggio il Consiglio [Az 11, 248v] ascolta una relazione che Francesco Albani, ritornato da Milano, presenta dell'operato suo e del collega Oliverio Agosti. Il giorno seguente poi [Az 11, 249r], radunato nella corte pretoria, il Consiglio ragiona a lungo sulle materie di interesse per la città e se si debba o no patteggiare con il Generale di Normandia. Evidentemente, riesce difficile trovare il consenso ed alla fine i presenti demandano alla voce ai 16 deputati di fare e stipulare tutto quanto riterranno più favorevole, decente, oppurtuno e necessario per la città.

Successivamente, tuttavia, 12 dei 16 Deputati decidono di eleggere i sottoscritti quattro oratori, insieme con Oliverio Agosti che sta andando a Milano, per contrattare un accordo cum libertate de qua plene ibidem informati fuerunt. Gli eletti sono: Francesco Suardi, tesoriere, Michele Maldura, Francesco Albani ed Alessandro de Tertio. I componenti del Consiglio, di fronte ad una decisione difficile e sulla quale le disparità di vedute sono evidenti, cercano di restringere il gruppo autorizzato a decidere, nel tentativo di facilitare la formazione del consenso. Ma anche in questo modo la trattativa è destinata a svilupparsi con una certa lentezza.

Prima di seguirne gli sviluppi, converrà ritornare alle situazione generale, che per ogni dove incalza e sta diventando pressante. Il 22 maggio giunge a Venezia un'informativa del Capello da Vicenza: riferisce di sapere da un messo degli svizzeri, che le loro avanguardie sono giunte a Trento e vi si sono alloggiate. Il resto della truppa è poco lontano. Sarebbero in tutto più di 24 mila uomini che si vogliono congiungere con l'esercito veneto. Essi chiedono denari, viveri ed artiglierie.

Alvise Barbaro e Bartolomeo da Mosto sono a Vicenza per le provvigioni dell'esercito veneto. Carlo Miani, che ha con sè 500 uomini della riviera di Salò e Valcamonica, riferisce che sono armati di schioppetti e che anche i Federici di Valcamonica sono nemici dei veneti. Il Miani si offre di andare da quelle parti a sussitar quella zente, quali desiderano San Marco. Lo ritroveremo a Bergamo il mese seguente.

Riporta ancora il Capello che è arrivato al campo a Vicenza il cardinale svizzero, il quale sollecita denari per i 24 mila uomini che sono a Trento ed intendono ottenere quanto è stato loro promesso. Essi si stabiliranno a Rovereto, poi passeranno l'Adige alla Chiusa e si fermeranno a Gussolengo di là dall'Adige, dove saranno pagati.

Venezia invia 11 mila ducati per gli svizzeri, che sono la parte spettante alla Repubblica; i denari del Papa arriveranno fra tre giorni; gli 8000 ducati degli spagnoli saranno portati in campo. Le vettovaglie sono pronte, e così il vino: 12 mila botti o carri padovani. E a questo punto, la Signoria invia l'ordine al Capello: che col nome dil Spirito Santo debbi ussir di campo et il signor governador, e adunarsi a le rive de l'Adexe, dove è preparato il ponte. I denari sono in arrivo. Si consulti con il cardinale svizzero sul da farsi. Il Sanudo riporta una discussione tra i Savi sui denari da mandare agli svizzeri. Costoro inviano a Venezia un messo (23 maggio) che riferisce della situazione e, sottilmente chiedendo denaro, fa capire che anche i francesi sarebbero disposti eventualmente a pagarli. Per stornare questo velato ricatto, il nunzio viene carezato e gli si regalano 5 raynes. Da Vicenza anche il Capello sollecita il denaro e fa urgenza, perché gli svizzeri si stanno avvicinando. Per parte loro, i francesi costruiscono un ponte sull'Adda a Cassano per transitare contro gli svizzeri e fortificano Brescia.

Intanto, alcune persone che hanno lasciato Milano il 16 e 17 riferiscono che si stanno inviando armi in Francia (12 mila corsaletti e 500 armature da uomo d'arme). In Lombardia i francesi temono evidentemente la venuta degli svizzeri, perché quelli che hanno sposato donne milanesi le mandano verso Asti. Essi intendono mettere 300 lanze a Brescia e 200 a Bergamo e non stare alla campagna. Marco da Martinengo ed altri che hanno ispezionato i passi dai quali gli svizzeri possono venire sul bresciano e sul milanese sono dell'opinione che i passi non siano tenibili e che l'unico modo per fermare i mercenari sarebbe il denaro. Brescia e le vallate sono per San Marco. I francesi sono in gran timore e hanno disarmato tutti i cittadini di Brescia e Bergamo.

Aggiunge anche il Sanudo una informazione poco chiara: E' da saper, per Colegio, atento la petition di bergamaschi, fo electi do, stati rectori a Bergamo, quali vedesseno le loro suplicatione, zoè sier Piero Marzello qu. sier Filippo e sier Domenego Contarini qu. sier Mafio, stati alias rectori a Bergamo, i quali se reducevano al loco di rasonati et udivano li bergamaschi [SAN, XIV, 238]. Non è noto infatti di quali bergamaschi si tratti, perché non consta di contatti tra la città e la Repubblica. Si trattava forse di truppe irregolari bergamasche.

Ancora il Capello da Vicenza il 23: ...Come ozi haveano consultato con il signor governador e questi altri condutieri e signori, di exequir il desiderio di la Signoria; fra tanto li sguizari desenderano di là del Adexe a Gusolengo, e lì farano la sua massa. Scrive, bisogna li danari siano preparati, et il cardinal li ha dito non sia fallo, altramente ditti sguizari ritornerano a retro. Scrive aver mandato a butar el ponte ad Albarè e dimane penzerà le zente avanti, aziò niuno rimangi dopo lui etc...

Et per altre relatione si ha, francesi non aspetterano la venuta de' sguizari; fornirano le roche de Brexa, Bergamo, Cremona e Milan per 3 anni e anderano via
[SAN, XIV, 240]. Si conferma da Milano che si sta in gran timore per gli svizzeri e chi può fugge. E Vincenzo Guidotto informa da Napoli di aver avuto colloqui con il vicerè, il quale sta mettendo le genti all'ordine e intende partire il 17 con 500 lanze e 8000 fanti.

Vi è, insomma, grande fermento su tutti i fronti e nei giorni successivi le informazioni che giungono a Venezia si fanno frenetiche. Il 25 maggio scrivono gli uomini di val Trompia alla Signoria:. Come, havendoli francesi dato taia ducati 7000, al presente li hanno scrito quelli regii governadori, come li remeteva la taia et li fevano exempti per certo lungo tempo, et li domandava in aiuto dil Re 1000 schiopeteri tra loro; i quali hanno risposto, che ringratiano di esserli levà la taia e di la exemptione e l'acetano; ma di homeni, che intendano vien sguizari, che saria mal li homeni si trazesse di la valle, perché poi ditti sguizari veriano a suo piazer. Et concludendo, è boni marcheschi e preparadi a far il tutto pur si vengi avanti etc [SAN, XIV, 249].

Da Vicenza, il provveditore Capello scrive nella notte del 24. ...Come ozi è stato longamente con il reverendissimo cardinal Sedunense e, fato varii coloquii, hanno terminato mercore, a dì 26, a hore 8, levarsi de lì, et zà li homeni d'arme e cavali lizieri e fantarie sono aviate, et dimane si partirà il resto. Mercore è bon zorno, e però ussirano in campo. Scrive, adesso l'antivede la nostra vitoria manifesta; ma è necessario proveder al denaro per li sguizari et le zente nostre, perché le parole non statisfa, etc... [SAN, XIV, 250].

E poi ancora il giorno successivo ...Come è stato col reverendissimo cardinal, qual li ha dito esser ritornato el suo messo, qual a posta era andato a Verona con letere di sua signoria zercha haver il passo e transito de nui e vituarie. Riporta il signor Zuane di Gonzaga con quelli altri consieri cesarei haverli dato bona licentia, et cussì ha referito uno nontio dil predito cardinal, el qual etiam lui questa matina è zonto con letere di credenza e la risposta dil cardinal, atestando loro voler servar la tregua et voler dar quel pocho di vituarie li sarà possibile, e assai si se troverano, offerendo a la reverendissima sua signoria lo intrar et insir de la cità a suo beneplacito, pur che non meni dentro gran numero de sguizari, facendoli etiam intender come questa notte si dovevano partir tutti li francesi erano de lì, e consegnavano la citadella e ogni altra forteza a loro. Scrive dito provedador: quando eri si havesse inteso questo, l'haveria mandato qualche numero di cavali lizieri a taiarli a pezi: pacientia!. Dito cardinal li ha replicato voglii de praesenti far li pagamenti a questi sguizari, zonti che erano in campo, perché, non lo fazendo, ritornerano adietro. Scrive etiam, bisogna danari per le fantarie nostre, aliter non voleno passar l'Adexe. Tutti sono levati, e da matina per tempo si leverano etiam lui, il cardinal, il provedador, el governador, etc. Item, il messo dil predito signor Zuane à referito, sguizari erano do mia lontan di Verona e sparsi in Val Peloxela et lochi circumvicini [SAN, XIV, 250 e 251].

Venezia invia allora al Capello altri 8000 ducati, che sono la quota del Papa per gli svizzeri, mentre anche l'oratore spagnolo prepara la sua quota di 8000. Ed inoltre la Signoria si attiva immediatamente per raccogliere altro denaro.

Ormai l'avanzata delle truppe venete e svizzere è in atto. Il 26 maggio comunica il Capello da Vicenza che ieri sera gli svizzeri sono giunti ad Albarè di là dell'Adige per la via di Verona e sono circa 12 mila e che domattina il governatore e lui stesso lasceranno Vicenza. Il 26 il Capello è a Cologna dove si è congiunto con il cardinale ed il governatore. Gli svizzeri sono giunti a Verona ed il cardinale li vuole raggiungere. I francesi si radunano a Pontoglio e da Salò, in data 25, scrive Marco Antonio Loredan: Come Valerio Paiton, el conte Cesare Avogaro et domino Lodovico di Cocai dotor de Salò, con zercha brexani 300 erano intrati in Salò et levato San Marco et electo lui per proveditor; et quel comissario di Franza, che era, non haveano voluto li fosse fato mal alcuno, e l'avia mandato via. Item, che francesi li haveano dà taia ducati 15 milia, et loro non hanno voluto aspetar a darsi ala Signoria [SAN, XIV, 253].

Il 28 maggio un tal prete Corado, messo degli svizzeri annuncia che 15 mila di essi sono entrati ieri in Verona gridando "Imperio" e sono stati bene accolti. Dice che 150 lanze francesi e 800 fanti guasconi, che erano partiti da Verona per Milano, erano stati assaliti da villani ed altri mascheschi sul bresciano, tagliati a pezzi e svaligiati. Di questa notizia, ritenuta di buon auspicio, tutta Venezia è piena. Scrive il Capello da Cologna in data 27 che domattina andranno ad alloggiare ad Albarè. Ivi attenderà l'ordine di congiungersi con gli svizzeri.

Il 29 il cardinale Sedunense, arrivato a Verona, parla agli svizzeri, che sono 24 mila e sono contenti che stiano arrivando i messi con i denari; dopo di che, si faranno buone cose, perché sono gente perfetta e volonterosa. I capitani che hanno preso Salò (Valerio Paitone e Cesare Avogaro), scrive Marco Antonio Loredan, sono andati ad Anfo e l'hanno conquistata. Tutte le valli sono per Venezia. I francesi si radunano a Pontevico e sono venuti a Castenedolo vicino a Salò, minacciando di entrarvi. Ma si fa buona guardia.

Informa il 28 maggio il Capello da Cologna che il governatore chiede denari, senza i quali le truppe non passeranno l'Adige. I francesi sono venuti a Castenedolo e si avviano a Peschiera, dove intendono fortificarsi e combattere contro le truppe venete e svizzere. La stessa informazione viene anche confermata da Mantova.

Nota. Ditti francesi, si dice, è lanze 1000, tra le qual 200 di fiorentini, et fanti 7000 et altri zercha 3000 mandati per fiorentini; et par missier Zuan Jacomo Triulzi francesi non si fidano di lui [SAN, XIV, 255].

Si mandano in campo 4000 ducati per gli svizzeri, in quota al Papa, mentre si apprende da Milano che i francesi hanno fatto decapitare (l'esecuzione aveva avuto luogo il 25 maggio) due figli di Alvise Avogaro, Pietro e Francesco, in punizione dell'aiuto dato ai veneti.

Nonostante questo, l'atmosfera a Venezia è festosa: il Sanudo si sofferma a descrivere una solenne processione (30 maggio) per celebrare l'entrata del Re d'Inghilterra nella Lega. E intanto lettere da Cologna del Capello in data 28 confermano che i francesi stanno fortificando Peschiera e si radunano a Pontoglio. Il 31 maggio, infine, arrivano a Venezia gli ambasciatori imperiali e dicono che Massimiliano intende firmare la tregua ma vuole 10 mila ducati in più e tre prigionieri. In caso affermativo gli oratori hanno libertà di concludere. Anche l'ambasciatore veneto da Roma conferma che il Papa è risoluto contro i francesi ed il suo esercito è in ordine.

Il Capello è con il campo in Albarè in data 29 e riferisce che due Savi veneti erano andati verso Verona: la città gridava Marco Marco, ma gli imperiali non li hanno fatti entrare. Gli oratori del Papa e di Spagna sono invece entrati ed hanno concordato con il cardinale che era in città la materia degli svizzeri, consegnandogli 8000 ducati. Altra lettera del Capello del 30, ore 24: dopo un consulto di tutti i capi veneti, si sono avviate le artiglierie di là dall'Adige verso il campo svizzero a Villafranca. La prossima notte poi, tutti passeranno e si riuniranno con gli svizzeri, in attesa del cardinale; poi si farà un nuovo consiglio. I francesi sono a Castiglione dello Stiviere e Pontoglio.

Tutto questo per dimostrare che sul piano militare le cose sono in gran fermento e l'avanzata è alla fine faticosamente avviata. Che cosa si agita invece a Bergamo? Poco o nulla, sembrerebbe.

Nella seduta del 21 maggio [Az 11, 249v] il Consiglio, preoccupato del fatto che i frati dell'ordine dei Predicatori abbiano abolito la carica di Inquisitore dell'eretica pravità che risiedeva a Bergamo, scrive al Vicario dell'ordine a favore del ripristino di quella carica. Ed il 22 maggio discute sul ripristino dello ius in genere che era stato sospeso, decidendo che esso venga ristabilito a partire dal 25. Si tratta di segni indubbi che l'evoluzione della situazione politica e militare riceveva in città scarsa attenzione. Insipienza o dissimulazione?

Si ricorderà che intorno al 20 maggio si erano faticosamente trovati alcuni oratori da inviare a Milano per continuare la trattativa con il governo francese. Ebbene, soltanto nella seduta del Consiglio del 23 [Az 11, 250v] si comincia a pensare alle istruzioni da dare a quegli oratori, e ciò si fa conferendo un'apposita delega ai dieci deputati. Il mandato viene esplicitato nella seduta del 24 maggio [Az 11, 251v], ordinando a Francesco Suardo, Michele Maldura ed Alessandro da Terzo, oratori eletti, (insieme con l'Agosti e l'Albano che già sono a Milano) di presentarsi al Generale di Normandia, con l'autorità di fare e dire tutto quanto riterranno necessario per il bene della città. Mandato ampio, come si vede, ma così esteso da risultare inefficace.

Gli oratori lasciano Bergamo il 25 maggio. Il 3 giugno mattina ritornano il Suardo, il Maldura ed il Terzi. Solo alla data del 24 maggio, si sarebbe sparsa a Bergamo la notizia della discesa degli svizzeri, anche se essi erano da tempo arrivati molto vicini. Dice il diarista, infatti: ...super regio proclamatum fuit quod debeant et possint conduci in exercitu Francorum ad Pontolium omnia victualia libere et sine datio aliquo, præter frumentum, sicalem et milium, quia Helvetii, ut dicebatur, nomine Venetorum per montes pervenerant in agrum Veronensem et Gallici milites, qui erant in Verona, fuerant iussi nomine Maximiani exire inde et interim fiebant excubiæ Bergomi per Vascones [BER, 101r]. Proprio in vista di questi nuovi sfavorevoli sviluppi, la sospensione dello ius viene prolungata fino alla metà di giugno.

L'ultima seduta del Consiglio per il mese di maggio è del giorno 28 [Az 11, 252r] ed in essa si discute soltanto di materie di ordinaria amministrazione. Del medesimo giorno è la minuta di una lettera dei Deputati bergamaschi ai loro ambasciatori a Milano [Lett. 9.3.3. # 136/26]. I deputati (Fermo Valle, Bartolomeo Calepio, Girardo Sale, Gerolamo Poncino, Albertino Vegis, Bertolino Baniato, Bernardo Passo, Francesco Suardo tesoriere e Francesco Albani) scrivono dalla sacrestia della chiesa di san Vincenzo e dicono:

Credevemo che avanti il partir vostro vi fusse stà dato la copia autenticata di la parte presa in mazor Consilio di la libertà et bailia datavi circa le occurrentie presente. Et intendando da li cancelleri nostri non esservi stà data, ne è parso al proposito farvi le presente et mandarvi la copia de ditta libertà autentica, ciò possiati operar quanto sia al bisogno. Ben vi pregamo vi sforzati di risolvervi et ultimar questa cosa per sublevation di questa cità da le occurrente spese, quanto più presto posseti.
Se quelli de Ultra la Gogia tentasse cosa alchuna circa l'offitio suo, in preiuditio et contra la cità nostra, voi che seti in sul fatto fareti quelle provisione vi parerano esserne necessarie per benefitio di essa cità, exhortandovi in tutto (ben che sapiamo esser superfluo) ad usar il solito saper et prudentia vostra, neli quali questa cità nostra a posto ogni bona fede et speranza sua. Et di ogni successo vi pregamo esser soliciti ad darne aviso de giorno in giorno. Bene valete
.

In altre parole, ci si preoccupa, con i nemici alle porte, di mandare la copia autenticata di un atto completamente inutile. A questo punto, i dubbi dello storico si sciolgono: doveva certamente trattarsi di insipienza! Con molto garbo, lo fanno capire gli oratori nella loro risposta del 30 maggio [Lett. 9.3.3. # 136/26]:

Vi havemo scrito una altra nostra aciò che ne mandasti una resolutione expedita, secundo el tenor de esse littere, et le havemo drizate a voy, et nulla risposta al proposito scrito havemo receuta, ma solum havemo recepute littere vostre di voi Domini Decem, cum la copia de la parte alias capta in maiori Conscilio, de la quale noy non havevamo de bisogno. Per tanto vi pregamo voliati essere cum li collegi vostri et ale littere nostre scrite a XXVIII del instante darne resoluta risposta, altramente, se per tuto domane non la haveremo, veneremo a casa rebus imperfectis, perché deliberamo non far conclusion alcuno se per tuti voy, on vero la magior parte, non havemo libertà distincta et sotoscrita de vostre mane. Insuper, quanto scriveti per un vostro boletino, che maestro Gulielmo sartore habia dito non esser vero de la supplica de quelli de Ultra Agugia, noy sapemo la verità et la supplica è in le mane del mag.co miser Augustino Panigarola, et di questo ne havemo parlato cum li mag.ci Senatori.

La lettera del 28 maggio, di cui si fa cenno, non ci è pervenuta, ma essa conteneva presumibilmente la richiesta di assenso del Consiglio a delle precise proposte degli oratori per la composizione della vertenza con il dominio francese. Il 31 maggio, raptissime, gli oratori insistono ancora con i deputati di Bergamo [Lett. 9.3.3. # 136/27]:

Per una prima nostra vi scrivessemo, et depoy per un'altra vi habiamo replicato, che vostre Magnificentie resolutamente ne mandasseno la sua ferma opinione cercha quello se debe concludere per la terra. Et niente di certo ne è stà risposto; per il che vi avisemo se per tutto domane infallanter non habiamo altro da voy, vegniremo a caxa. Et la auctorità generale havemo da le Magnificentie vostre non siamo per usarla in pocho né assay, se prima non vedemo quello et quanto pare a voy. Nec plura; ad vostre Magnificentie si raccomandemo.

Ma il Consiglio non aveva ancora compreso che altri erano i problemi che si andavano preparando per la città. Ne fanno fede due copie di lettere informative inviate in quei giorni a degli sconosciuti da parte degli Anziani di Bergamo, ambedue datate 31 maggio, che efficacemente descrivono la situazione. I testi sono tra loro molto simili, ma alcuni dettagli sufficientemente differenziati da far ritenere che si tratti di copie di documenti non indirizzati alla medesima persona. Esse [Lett. 9.3.3. # 147 e Lett. 9.3.1. # 629] dicono:

Illustrissime Domine Observandissime,
per debito nostro havemo ad dar aviso a vostra ill.ma Signoria como havemo inteso dal Locotenente de val Seriana de sotto, qualiter se trova al presente esser venuta certa congregatione de alguni homeni de mala sorte numero 1500 vel circa ala terra de Lovere, in ela quale sono intradi et quella occupano a nome de Venetiani. Et hanno mandato a Clixione de Valseriana de sopra, rechiedando se debano rendere, aliter serano sichezati. Per tanto vostra ill.ma Signoria provederà a questo caso, qual reputemo però esser fumo de palia.


Davvero, dichiarare fumo di paglia tutto quanto si è descritto fin qui pare un errore imperdonabile. Se la fazione ghibellina, che padroneggiava il Consiglio, fosse stata veramente filo-francese, avrebbe dovuto favorire la trattativa, invece che ostacolarla; se avesse voluto contrastare i veneti, avrebbe dovuto agire risolutamente in quel senso. Ma l'incapacità di un corretto apprezzamento della situazione si può ragionevolmente attribuire soltanto ad ottusità.