CAPITOLO 14 - DICEMBRE

Con l'arrivo della cattiva stagione le operazioni militari ristagnano. Lettere dal campo del 1° dicembre informano che le truppe cesaree in Verona hanno ripetutamente sollecitato l'esercito veneto ad allontanarsi. Da Milano si apprende intanto che il Duchetto sta ritardando il suo arrivo in città. La presenza delle truppe spagnole comincia a farsi sentire sempre più pesantamente. Il 2 dicembre i provveditori sono informati dal Guidotto che 200 lanze spagnole si stanno avviando verso il veronese e il giorno stesso, in una seconda lettera dal campo, si riporta che queste truppe sono in effetti già arrivate a Valeggio e Villafranca. In tutti vi è grande incertezza sul come comportarsi nei loro riguardi: infatti, i veronesi non desiderano il loro arrivo; il governatore veneto vorrebbe aggredirle; il Capello non sa decidere tra l'affrontarle ed il ritirarsi più vicino al ponte costruito sull'Adige, verso Villafranca.

Anche Crema è sotto la minaccia degli spagnoli, mentre da Bergamo Bartolomeo da Mosto informa del grave disorientamento che si registra nel territorio, dove le fanterie spagnole sono accampate e consumano le poche vettovaglie disponibili. Secondo il Guidotto, che scrive da Soncino il 1° dicembre, pare che le truppe del vicerè che sono sul bergamasco vogliano prendere Trezzo, che è sempre in mano dei francesi. Il vicerè si duole con il Guidotto che il ventilato accordo di Roma ritardi ed avvisa che, in mancanza di una firma, sarà costretto a schierarsi contro Venezia, benché il suo re non intenda rompere con la Repubblica. Intanto, egli consiglia, non si dovrebbe irritare l'imperatore mantenendo le truppe veneziane sul veronese.

Da Cremona il Caroldo comunica, sempre alla data del 1° dicembre, che vi sono stati contatti tra il cardinale Sedunense ed il Duchetto, il quale sta partendo per Pizzighettone e Pavia, dove attenderà l'arrivo del cardinale Curzense. I cremonesi gli hanno giurato fedeltà. E proprio a Cremona è intanto deceduto, forse per avvelenamento, un personaggio più volte comparso per l'innanzi, il generale dei bianchi di Landriano, che per molti anni aveva governato la persona del Duchetto. Il castello di Cremona è nelle mani dei francesi, che bombardano la città, ma pare che siano destinati ad arrendersi presto per la scarsità di viveri e di vino.

Il 3 dicembre Paolo Capello comunica a Venezia l'arrivo a Valeggio e Villafranca degli 800 cavalli spagnoli. Egli rimane incerto sul da farsi, anche se, in via precauzionale, ha fatto spostare i carri e l'artiglieria al di là del fiume ed ha ispezionato il ponte, in vista del passaggio dell'intero campo. Ma sollecita ordini precisi, e soprattutto denari. Sul veronese, le truppe spagnole e tedesche, malviste dalla popolazione, vengono rifornite di cibo, ma non ospitate dentro le mura della città. Finalmente il 4 dicembre Venezia ordina al Capello, che sta con il campo a Ronchi, di passare l'Adige ed insediarsi intorno a Cologna. Tuttavia, per mancanza di adeguati alloggiamenti, l'ordine non verrà eseguito. Sempre il 4, il Capello viene informato dal conte Guido Rangoni da Roma - e ne informa a sua volta Venezia - che il 25 novembre è stata firmata la Lega nel corso di una cerimonia in Santa Maria del Popolo (che la lettera minutamente descrive). Il vescovo Stafileo sta lasciando Roma per venire a Venezia a convincere il governo della Repubblica ad entrare nella Lega. Contemporaneamente alla lettera, lo stesso Rangoni arriva a Venezia.

A Bergamo vi è intanto grande timore per la presenza degli spagnoli, accampati ad un miglio dalla città. Pare che il da Mosto abbia trovato 300 uomini a presidio per 10 giorni, benché i bergamaschi ne volessero reclutare solo 150. Ha anche chiesto alle valli 500 uomini fedeli e sta facendo incetta di vettovaglie. La situazione di Bergamo è efficacemente rispecchiata nelle minute della seduta del Consiglio del 1° dicembre [Az 12, 49v] dove si discute sul pericolo imminenti degli spagnoli che vagano con massima iattura e calamità per la pianura, e già si avvicinano alle mura della città, né si conosce se vengano come amici o nemici, anche se dalle loro male opere si reputano piuttosto nemici. Su esortazione del provveditore e degli Anziani si decide, pro honore et beneficio universe civitatis et ne civitas ipsa et cives in hoc destituantur semetipsos, sed progenitorum vestigia, magnanimitatem et fidem erga ill.mum Dominium nostrum imitentur, di adottare opportuni et validi provvedimenti. A tale scopo, pro nunc imprestitum voluntarium fiat per quemlibet in presenti Consilio existentem, restituendum per mag.cam comunitatem quamprimum dabitur occasio, et vires supponerunt unicuique secundum eorum prioritatem ipsius imprestiti. Et quod predicti omnes accersantur de uno in unum ad annotari faciendum imprestitum quod dare voluerit utsupra. Et sic omnibus singulatim vocatis, factum fuit imprestitum et numeratio, ut apparet penes Iohannem de Zambellis rationatorem camere phiscalis, quem ex nunc elligerunt depositarium dicti imprestiti.

Sempre allo scopo di recuperare denaro, gli Anziani propongono che, sborsando Pietro e Marco Antonio Grumello alla città certi fitti anticipati di dieci anni, essi siano liberati dai fitti stessi. Poi, il 2 dicembre, il Provveditore e gli Anziani ordinano [ibidem] di fare un mandato a Giovanni Zambelli, depositario come sopra, per 50 scudi d'oro da dare ai capitani dei provisionati già nominati il 29 novembre.

A Venezia, il Sanudo menziona e riassume diverse lettere provenienti da Roma, datate tra il 26 novembre ed il 3 dicembre, riguardanti le vicende della Lega e del Concilio. Il 26 novembre si narra della pubblicazione dei capitoli della Lega e si dice che l'Imperatore ha revocato il Concilio pisano nè vi vuol più esser in quello, et si farà a dì 3 in Lateranense la quarta sessione di Concilio. Si riferisce anche che gli oratori svizzeri hanno parlato col Papa, cercando di convincerlo a non mettersi contro Venezia, che è loro amica e li ha aiutati a cacciare i francesi dall'Italia ma potrebbe anche, sfortunatamente, farli rientrare. Il 30 novembre si informa che il Curzense siederà in Concilio a nome dell'Imperatore ed il 2 dicembre si anticipa che l'indomani costui revocherà i capitoli del Concilio pisano come iniqui ed ingiusti; mentre loderà invece ed osserverà i capitoli del Concilio lateranense che sta per aprirsi. Il Papa si sforza di ottenere una qualche onesta composizione tra l'Imperatore e Venezia e mal volentiera fa contra la Signoria, e desidera cazar spagnoli di reame [SAN, XV, 382].

Il 3 dicembre in Laterano si è di fatto aperta la quarta sessione del Concilio, nella quale il Curzense ha pubblicato il mandato imperiale a revochar le cosse del conciliabolo di Pisa e a probare e confirmare quello è stà fato e si farà in questo romano. Poi il Curzense ha preso congedo dal Papa ed è immediatamente partito per Milano, dove gli verrà inviato il cappello cardinalizio. Vi sono anche altre lettere del Lando, in cui si narrano le pressioni fatte sul Papa dai cardinali veneziani in favore della Signoria. Il Papa tuttavia appare irremovibile.

Il Sanudo riporta anche lettere del Lippomanno da Bergamo del 3 e 4 dicembre. Secondo l'informatore, gli spagnoli sono a Seriate e chiedono vettovaglie. Tutto Bergamo è in arme, li citadini vestiti a la curta con 4 o 6 homeni con arme drio; è sta mandato per 600 homeni di le valle per guarda di la terra, etiam lui vol tor qualche homo drio. Il proveditor ha messo vino in castelo e vituarie [SAN, XV, 384]. Anche Milano è in moto contro gli spagnoli che pretendono 70 mila ducati.

Il reclutamento di truppe nelle valli bergamasche a presidio di Bergamo non è tuttavia cosa facile perché gli abitanti, disorientati, non sanno che partito prendere. Ne fa fede una lettera al da Mosto [Lett. 9.3.6. # 41] di Nicolò Marchesi, data da Nembro il 3 dicembre. Essa dice che le sue pressioni sui valligiani della Seriana inferiore per inviare uomini fidati in città sono state finore inefficaci, stante il timore di possibili ritorsioni degli spagnoli. Lo stesso per la val Gandino che a sua volta attende le risoluzioni di Clusone. Nè il Marchesi era l'unico emissario spedito dalla città nelle valli: qualche giorno più tardi il Consiglio approva infatti la liquidazione di certe spese ad Antonio Balbi che era stato anch'egli a Clusone ed in val Seriana superiore per sollecitare l'invio di uomini a Bergamo, in soccorso delle presenti difficoltà. E' da ricordare anche che, secondo un'informazione del Baldi [BALDI, Somm. Gr., 304r e altrove], nell'impossibilità di avere un rettore veneto e stante la precaria situazione militare, la val Seriana superiore nel dicembre 1512 elesse in giusdicenti alcuni personaggi locali e cioè Alessio Fanzago, Benino Romelli, Passino della Vite e Leone Bonicelli, tutti di Clusone.

Il Libro delle Azioni contiene altre informazioni dettagliate riguardo alle situazione di Bergamo, dove il 3 dicembre si svolgono due sedute del Consiglio. Nella prima [Az 12, 50v] si decide di concedere 25 lire per amore di Dio ai frati di santa Maria delle Grazie, sospetti di peste e sequestrati. (Il Consiglio approva il 10 o 11 dicembre la liquidazione a Galeaz de Vertua di 20 testoni da lui prestati ai deputati alla sanità per spese contro la peste.) Poi si liquidano certe spese a Taddeo Albani che da Venezia si era prodigato per spedire a Bergamo diverse lettere ducali, come riferito per l'innanzi. E infine si dà incarico a Pezolo Simone Zanchi per recarsi al più presto da Vincenzo Guidotti, Segretario del Dominio veneto al seguito del vicerè, affinché costui allontani i fanti spagnoli dal bergamasco, dove dimorano a spese dei territoriali; si decide anche di scrivere a Silvio Taglioni che sta anch'egli presso il vicerè, che ritorni a Bergamo per aiutare il provveditore, lasciando al suo posto lo stesso Pezolo Simone. Così si scrive il 6 dicembre. (Pezolo Simone lascia il giono 3 e ritorna il 6 dicembre; poi riparte di nuovo e ritorna l'11; qualche incertezza su queste date.)

Nella seconda seduta del 3 dicembre [Az 12, 51r], in esecuzione della parte sul reclutamento dei provisionati, il Consiglio decide che coloro che per primi hanno versato i denari del prestito saranno ripagati per primi. Per la restituzione si impegneranno gli affitti della seriola nuova del comune e si intimerà all'affittuario di pagare i primi fitti al Tesoriere del comune o altri a ciò da eleggere. Si propone anche di nominare due oratori al provveditori generali per le occorrenze della città e si eleggono a questo incarico Leonardo Comenduno (costui, indisponibile, sarà poi sostituito da Cristoforo da Romano in una seduta successiva) e Paolo Zanchi. Le commissioni loro affidate prevedono che essi espongano lo stato della città e le urgenze incombenti; essi dovranno richiedere un opportuno presidio; tuttavia, nel caso in cui venissero destinati alla città dei militari, questi dovranno alloggiare nei luoghi pubblici secondo gli ordini della banca, non essendo il Consiglio disposto a sopportare la presenza di truppe nelle case dei privati.

Non sappiamo se la missione dei due incaricati ai provveditori ebbe luogo, ma possediamo bensì una lettera [Lett. 9.3.6. # 42] di Paolo Capello alla Comunità di Bergamo data da Ronco il 5 dicembre. Egli afferma, tra l'altro, ...Questo non restarò de dir a quella mag.ca Comunità, che la vogli stare de uno optimo animo et habbi certissima speranza che le cosse de la ill.ma Signoria haverà optimo fine, in confusione de li maligni, et de ciò se ne vederà li effecti presto. Interim, ve conforto ad portarvi de fidelissimi verso dicta ill.ma Signoria, et a voi me recommando. Tutto sommato, soltanto una generica lettera di esortazione.

Alla stessa data del 5 dicembre il Baldi [BALDI, Reg. A, f. 125r] menziona una ducale di Leonardo Loredan a Bartolomeo da Mosto, riguardo all'infinita disputa delle spese per gli stradiotti. Essa dice che il governo veneto ha dato udienza ai nunzi della città e della pianura, da una parte, ed a quelli delle valli e montagne, dall'altra parte, in merito alla differenza tra loro esistente sugli alloggiamenti di quei militari. Si è anche inteso, attraverso lettere del da Mosto del 27 novembre, che egli ha ingiunto alle valli di pagare, perchè il contributo agli stradiotti è assolutamente necessario. Tutto esaminato, in considerazione dei tempi presenti, il Doge ed il Collegio impongono di non dare esecuzione a tale risoluzione e di non costringere le valli ad altra simile contribuzione, ma di soprassedere fino a nuovo ordine.

Frattanto il pericolo spagnolo incombe su Orzinuovi, come informa Nicolò Michiel l'8 dicembre. A Venezia arrivano anche altre informazioni e richieste di aiuto da Bergamo. Annota il Sanudo: Di Bergamo, di sier Bortolo da Mosto proveditor di 6 et 7. Si duol non li e stà mai mandato castelan per meter in la Capella, e solo fa quello ch'el puol. Bergamaschi comenzano a dubitar e protestarli etc. Item, ha mandato certi danari a Crema. Dice starà lì in la terra nè mai si partirà; pur si fosse venuto altri si potria proveder etc, ut in litteris.. E ancora: Di la comunità di Bergamo, di 7. Come sono fidelissimi; ma senza pressidii non si potrano defender, et venendo il Curzense, come si aspeta, volendo quella cità, non sanno a che modo difendersi. Spagnoli è lì vicino e li daniza, et quelli di le valle non hanno voluto intrar in Bergamo; sichè si provedi, aliter non sanno che farsi [SAN, XV, 391]. Dunque, una certa insofferenza nei confronti del Dominio veneto e dei suoi rappresentanti, che non aiutano la città; grandi difficoltà per la gravosa presenza delle truppe spagnole; timori per il possibile arrivo di truppe svizzere.

Anche Daniele Dandolo (5 dicembre) a Salò è in difficoltà perché tutto il campo alemanno, più di 5000 persone, è venuto ad alloggiare in riviera già da 6 giorni e provoca grandi danni. Oltre a Desenzano, diversi altri luoghi sono stati saccheggiati. I militari stanno cercando di insediarsi a Salò e i locali hanno mandato a conferire con monsignor de la Rosa (de Roys), che è il capitano dell'esercito imperiale. Costui ha consentito a non far entrare i suoi in Salò, ma chiede molto denaro: comunque, meglio pagare che alloggiare queste truppe nei luoghi abitati. Vi sono state minacce, bastonate, angherie. I soldati affermano che Salò e tutta la riviera appartengono all'Impero e che essi conquisteranno quel territorio in pochi giorni. Da Orzinuovi scrive anche il Michiel, in data 7, dicendo che il luogo è spaventato, in affanno e sotto minaccia di saccheggio.

Intanto, al campo veneto di Ronchi la situazione si fa molto difficile: per la mancanza di denaro alcune compagnie sono in procinto di disertare. In queste condizioni di grande affanno, Venezia va approfondendo i suoi contatti con i francesi. Dice il Sanudo al 10 dicembre: E' da saper, eri vene per via di Bergamo, drizata in campo, una poliza di man di missier Zuan Jacomo Triulzi, drizata a la Signoria, data a dì ... a ... portata per uno homo dil conte Trusardo da Calepio, è in prexon in Franza. Qual scrive, aver auto i messi di la Signoria e le letere drizate a sier Andrea Griti procurator, el qual è a la corte a Bles, in caxa di Rubertel, in libertà. Scrive aver 700 lanze, e altre particularità ut in ea. La qual poliza et letera fo leta con li Cai di X, et licet fusse drezata a la Signoria, per esser materia ancora non venuta in Pregadi, fo tirà nel Consejo di X. E leta questa letera, quelli di Colegio fonno molto aliegri; è stà spazà per 4 vie in Franza; si aspeta la risposta [SAN, XV, 391].

Il Consiglio bergamasco intanto moltiplica i suoi sforzi per raccogliere denaro. Nella seduta del 9 [Az 12, 54r] si propone una parte, il cui senso è il seguente. Così richiedendo le contingenze del tempo presente, si eleggano cinque cittadini con facoltà di obbligare, pignorare, locare, alienare e vendere qualsiasi bene della comunità per la somma di tremila ducati, da spendere per la difesa e la conservazione della città al Dominio veneto, secondo i modi e le condizioni che il Consiglio maggiore riterrà opportuni. Con la clausola che quanto sarà venduto possa essere recuperato dalla Comunità entro sette anni. Inoltre, se parte del denaro non fosse spesa, il rimanente dovrà essere usato solo per riscattare i beni alienati. Approvata la parte con una buona maggioranza, subito dopo si propone che, qualora non si potesse reperire la somma prevista, le cinque persone da eleggere possano imporre prestiti fino ai tremila ducati e tutti possano essere costretti al prestito, in base al loro estimo. Anche questa parte viene approvata, ma con una maggioranza più risicata. Infine, si decide che i cinque incaricati avranno ampia facoltà di esigere i tremila ducati, con obbligo di rilasciare a ciascuno le debite ricevute, e a non superare per nessuno i 50 ducati di prestito.

Nella seduta del 10 [Az 12, 56r], approfondendo le decisioni del giorno precedente, alcuni Anziani (Leonardo Comenduno, Antonio de Lulmo, Marco Calepio e Iacobo Filippo Alessandri) propongono che i cinque da eleggere, non ostante qualsiasi altra decisione, possano vendere liberamente beni della comunità fino a quattromila ducati. Questa proposta viene però pesantemente bocciata. Si passa all'elezione dei cinque, che sono Luca Brembati, Fermo dela Valle, Guidotto de Prestinariis, Fermo Crotta e Federico Rivola.

La spiegazione della mancata approvazione sta in una meno edulcorata descrizione di questa seduta: Die jovis 9 decembris 1512 capta fuit pars in concilio Bergomi recuperandi et habendi ducatos tres mille expendendos pro habendo pedites ad conservationem civitatis pro Dominio Venetorum, licet superioribus annis et nunc civitas et territorium propter impensas infinitas essent attriti et exhausti atque consumpti; et die sequenti (10 decembris) deputati sunt d.ni Lucas Brembatus et alii numero quinque ad vendenda bona comunitatis, cum pacto redimendi ea; et postea etiam fuit pars dicto die in concilio per d.nos Leonardum Cumendunum, Antonium de Lulmo, doctores, comitem Marcum de Callepio et Jacobum Philippum de Adraria, quod venderentur bona comunitatis libere et sine conditione; sed non fuit obtenta quia et dictu turpe et facto damnosum et turpissimum erat nimis, et tota civitas murmurabat de hoc; posita sunt bona cumunitatis ad incantum publicum, sed nemo os (?) posuit ad emptionem nec conductionem [BER, 109r]. Evidentemente, qualcuno tentava di approfittare della situazione, pur nelle gravi difficoltà che la città stava attraversando.

Non cessano intanto le richieste di aiuto dei bergamaschi ai provveditori ed alla Signoria e ne fa fede una lettera [Lett. 9.3.6. # 43] del Capello agli Anziani di Bergamo da Ronchi il 10 dicembre.

Habiamo veduto per lo exemplo de littere vostre ad nuy mandato, directive a la ill.ma Signoria, quanto ne rechiedeti per segurtà de quella mag.ca Cità, et che per lo instesso effecto eri per mandar de qui doy oratori. Nuy li udiremo voluntieri, et in quello se potrà non mancherò, per beneficio de quella mag.ca Comunità. Ho scripto in efficiente forma a la ill.ma Signoria, et de quanto da ley mi sarà imposto exequirò. Bene valete.

Le condizioni nell'esercito veneto continuano a rimanere molto gravi. Il Sanudo riferisce che il governatore ha chiesto a Venezia di potersi allontanare dal campo per motivi personali. Il primo orientamento del governo è di dilazionare la risposta, subordinandola ad un parere dei Savi. Ma sulla questione le opinioni sono molto divise. Infatti, una proposta di scrivere al Capello negando il permesso richiesto - per non essere questo il tempo di partire, soprattutto perché il Curzense sta arrivando al campo spagnolo sul bresciano - non riesce ad ottenere la maggioranza del Collegio. Di fatto, solo il 12 dicembre si chiederà al governatore, attraverso il Capello, di non allontanarsi dal campo perché, andando, sarìa la ruina di le cose nostre dil campo in questi moti presenti [SAN, XV, 399]. Per parte sua il Capello insiste che, senza la disponibilità di denaro fresco, molte compagnie diserteranno. Di fronte a tale minaccia, Venezia si risolve a spedire al campo 4000 ducati.

Da Pizzighettone il Caroldo informa sulle mosse del cardinale, che va verso Vigevano. Dice anche che il Duchetto ha licenziato il suo capitano, il conte Alessandro Sforza, e Vitellozzo Vitelli, ed ha reclutato invece Prospero Colonna. Il Duchetto è in disaccordo con il vescovo di Lodi ed i milanesi sono scontenti di questo. Il giovane duca si sta dirigendo verso Pavia, dove attenderà il Curzense. Pare che Zuan Cola lo governi, ma egli vuole fare di testa sua e, dice il cardinale, avanti che sia entrato in Stado.

Tra l'11 ed il 16 dicembre la situazione al campo permane immutata, tra minacce di diserzione, scarsa autorità del Capello, rivalità tra le autorità politiche e militari e spese enormi. Il Guidotti scrive da Soncino su certi colloqui intercorsi con il marchese della Padula, a proposito della Lega: pare che gli spagnoli si rifiutino di consegnare Brescia all'Imperatore senza un preciso ordine del re spagnolo. Il Guidotti scrive anche segretamente al Consiglio dei Dieci. Ma le notizie più interessanti vengono dalla Francia. Un tale Troilo, confidente del Consiglio dei Dieci, inviato in Francia, torna a Venezia con un messaggio in cifra di Andrea Gritti, che viene letto in Collegio e lascia tutti di buon umore. Il 16 dicembre a Venezia si fa un gran parlare di questo messaggero del Gritti ed si auspica una nuova alleanza con Francia.

Lettere del Caroldo informano che lo Schiner è giunto a Milano, dopo essersi separato in poco amor dal Duchetto, che agisce secondo la volontà degli spagnoli. Zuan Cola sta a Cremona in attesa del cardinale Curzense. Vi sono anche lettere del Guidotti, che sta con il vicerè a Bergamo, dove è arrivato da Soncino. Il vicerè ha confortato il da Mosto ed i bergamaschi, promettendo che se essi riforniranno le sue truppe, queste si leveranno ed andranno verso Geradadda. Si attende al campo veneto il Curzense e si conferma che il vicerè non ha intenzione di cedere Brescia senza ordini del suo Re.

Il Capello comunica da Ronchi di aver letto al governatore la missiva che la Signoria gli aveva indirizzato, ed ha cercato di persuaderlo a non lasciare il servizio della Repubblica. Nonostante l'evidente rivalità tra i due, il Baglioni ha consentito a rimanere per altre due settimane, in attesa del Curzense; dopo di che tornerà a chiedere licenza.

Da Salò scrive l'11 Daniele Dandolo che gli spagnoli hanno saccheggiato l'intera riviera benacense e tuttora chiedono vettovaglie. Salò è circondata da ogni parte da spagnoli e tedeschi e sotto continua minaccia di saccheggio. Si fanno tuttavia provvisioni e si tengono gli occhi bene aperti. Il 16 dicembre arrivano a Venezia altre lettere di Andrea Gritti, venute attraverso Ferrara e Padova. Il segreto su di esse è stretto, ma si palesano alcune informazioni contenute, rimandando il resto all'indomani.

Quattro lettere di Vittore Lippomanno del 7, 8, 9 e 12 vengono da Bergamo e sono ricche di notizie. Essa comunicano innanzitutto la morte di Giacomo Secco a Caravaggio; un suo figlio, di fede marchesca, è venuto a Bergamo ed ha informato il provveditore che gli spagnoli sarebbero intenzionati a spostarsi verso Geradadda; egli si offre di agire come informatore. Soccino Secco, uno dei capi della fazione ghibellina fuoruscito da Bergamo, si trova a Soncino e vorrebbe far ritorno in città, se la Signoria lo perdonasse, ciò che il Lippomanno auspica. In città, un prestito ha fruttato 2000 ducati, che sono stati mandati a Crema: se la Signoria ne ha bisogno, se ne troveranno altri. I cittadini hanno inoltre trovato in Consiglio 3000 ducati per pagare i fanti a custodia delle porte e per fare altre provvisioni, essendo risoluti a difendersi, se gli spagnoli li attaccassero. E' arrivato a Bergamo il Guidotti qual mostra esser tutto spagnol. Riferisce ancora l'informatore che i milanesi sono di malanimo e fanno guardie ai passi dell'Adda; il cardinale svizzero ed il Visconti si sono separati dal Duchetto in inimicizia. Gli svizzeri stanno tenendo una dieta e il Triulzi dimora lì appresso. Gli spagnoli sono sul bergamasco; hora fanno bona compagnia, e quelli è alozati al castel Goro, che è dil vescovado, non li fa alcun danno e lassa portar vin in Bergamo... [SAN, XV, 401].

Della venuta a Bergamo del Guidotti e del vicerè spagnolo vi è soltanto qualche traccia nelle minute del Consiglio bergamasco dell'11 dicembre [Az 12, 57v]. In questa occasione, otto Anziani ordinano alla voce che la soma di vino moscatello deliberata nei giorni passati a favore del Guidotti che stava a Soncino - a titolo di gratificazione della sue fatiche per facilitare il ritiro degli spagnoli dal territorio bergamasco - gli sia consegnata a Bergamo, dov'egli sta; insieme con il vino, del costo di 4 ducati, vengono offerte anche due forme di cacio del valore di 10 lire. Altri 48 soldi vengono liquidati per i barili del vino e per altre spese. Il tutto da pagare sui soldi del prestito, vista l'urgenza.

Due giorni dopo, il 13 dicembre [Az 12, 58r], in Consiglio multa rationata fuerunt circa presentia occurrentia. Poi, a richiesta di Silvio Taglioni - che nei giorni passati si era recato dal Guidotto presso il Vicerè spagnolo, al fine che i militari fossero levati dal territorio e per scrivere giornalmente alla comunità de successu tam hispaniorum quam aliarum quarumcumque rerum et innovationum de presenti occurrentium - si incaricano due personaggi a rivedere i conti della missione e altre spese accessorie per corrieri e messaggeri. Analogo risarcimento verrà deliberato pochi giorni dopo a favore di Pezolo Simone Zanchi, che si era pure recato dal Guidotti. Il 15 dicembre il Consiglio delibera la revoca della sospensione dello ius [Az 12, 59r], che viene tuttavia proclamata soltanto il 23. Qualche altra informazione sul passaggio a Bergamo del viceré spagnolo e l’azione del Guidotti a favore della città si può reperire anche nei diari del Beretta [BER, 108v e 109r].

Nota il Sanudo al 16 dicembre come Verona non si senta affatto sicura delle intenzioni del campo veneto che sta sul suo territorio di là dall'Adige. Il vescovo di Trento ed altri consiglieri cesarei stanno provvedendo la città di vettovaglie. Nota anche che i due esecutori Alvise Bembo e Sigismondo Cavalli stanno tuttora al campo, non ostante abbiano licenza di rimpatriare: il primo si trova a presidio del ponte di Albarè per garantire il passaggio delle vettovaglie verso il campo; il secondo sta provvedendo alle vettovaglie. Il Sanudo fa poi seguire un elenco dettagliatissimo, con i rispettivi nomi, delle forze in campo della Signoria nel mese di dicembre. Per la nona paga vi sono 787 e mezza lanze, 884 balestrieri, 8838 fanti. Si elencano anche i fanti per la decima paga, con i denari relativi.

Il 17 dicembre a Venezia si svolgono consultazioni tra i Savi sulla risposta da dare alle offerte di alleanza dei francesi ed il 18, dopo una lettura pubblica in Pregadi delle lettere di Andrea Gritti ed un'altra riunione segreta, si spediscono il Troilo ed un altro messo per vie diverse in Francia, forse latori di lettere per la conclusione dell'accordo. Ma i giochi sono tutt'altro che conclusi. Infatti, l'oratore spagnolo a Venezia continua a premere sulla Signoria perché non abbia fretta di stipulare un'alleanza con Francia, dal momento che ciò rischierebbe di mettere l'Italia di nuovo in mano dei barbari. L'ambasciatore consiglia invece di attendere l'arrivo dello Stafileo, latore di nuove proposte dalle quali forse potrebbe scaturire un migliore accordo, dal momento che il Re spagnolo è ben disposto verso Venezia. Il vicerè lo ha informato come gli spagnoli si sentano minacciati dal Triulzi, il quale si trova al confine del novarese con 500 lanze francesi. Risponde seccamente il Doge che non è compito di Venezia far ritirare il Triulzi.

Di fatto, come informa l'oratore veneziano Foscari da Roma, lo Stafileo, in viaggio verso Venezia, porterebbe una intimazione alla Repubblica di aderire alla Lega entro un mese. Il papa, tuttavia, avrebbe già modificato il suo atteggiamento, sarebbe ora scontento dell'alleanza appena stipulata e rimprovererebbe al Curzense di aver mancato ad alcune promesse. Anche gli altri partecipanti alla Lega mostrano una certa confusione.

Al campo veneto sono in corso ispezioni finanziarie per indagare sulle voci di sperperi. Il 20 il Capello informa che gli spagnoli, compresi quelli che stavano a Bergamo, si sono accampati in Geradadda, mentre a Verona rimangono pochissime truppe alemanne perché il vescono di Trento ha lasciato Verona per la sua città con i forzieri carichi.

Da Bergamo scrive il 17 il Lippomanno: Come, a dì 14, scrisse quelli citadini voleano far fanti per mantenir la terra, etiam la comunità voleano far 1000 fanti per difendersi in caso spagnoli o milanesi volesseno Bergamo, etiam lui di danari del vescovado volea farne 30, ma vede non si farà nula perché li citadini è sferditi, e voriano tutti fosse sì che non si farà. Lui non si pol né vol partir, perché partendosi metaria la terra in confusion, che quando el vedeno star lì non temeno. Scrive, spagnoli tandem è levati di quel territorio e andati in Geradada. Item, hanno nove da Milan: come è zonti do oratori uno cesareo e l'altro di Spagna lì a Milan, e dicono zonto sia il Curzense, il Ducheto intrarà in Milan. Et parlano honoratamente di la Signoria nostra, e cussì sguizari, quali per niun modo voleno guerra con la Signoria. Si dice missier Zuan Jacomo Triulzi è a li confini con 600 lanze, et suo fiol missier Camilo arà 10 milia fanti. Item, scrive è scampati 12 nostri stratioti di quelli di domino Constantino Paleologo in Trezo da franzesi, et hanno corso sul bergamasco, e fanno danno di animali e altro, per più di ducati 1000, et questo è stato per non averli pagati; et dubita il resto farano il simile, si fino 4 zorni non ariano li loro danari, et lui li ha tenuti con bone parole, etc [SAN, XV, 414].

Poco o nulla traspare di questi avvenimenti nelle minute del Consiglio bergamasco, dove il 17 dicembre [Az 12, 59v] pare che si decidano soltanto alcune operazioni finanziarie di scarso valore. Si menziona tuttavia uno stanziamento di 25 lire ai Deputati alla sanità, da spendere per i contagiati di peste e per altre cose necessarie a fronteggiare il contagio, che non è evidentemente ancora sopito. Anche i conduttori dei mulini di porta s. Antonio, Caspis ed altri chiedono risarcimenti per la peste che è serpeggia in borgo s. Antonio. Si incaricano due fiduciari di esaminare la petizione e rivedere i conti dei mulini.

Fortunatamente, i diari del Beretta sono un poco più informativi, anche se il quadro della città che essi descrivono è desolante. Alla data del 16 dicembre, riferisce il cronista, proclamatum fuit ut in termino dierum octo solveretur talea seu imprestitum eo modo et quantitate quo fuit de anno 1499, sed etiam omnes lamentabantur quia superioribus duobus annis totus ager Bergomensis grandine devastatus, bellis continuis impendiis attritus, nunc Hispaniorum quinque mille ultra equos et innumeras meretrices gravissimis expensis, et dilicatis cibariis superbissime exhaustus, nullo mercaturæ exercitio exixtente bladi, videlicet frumenti pretio librarum 13 qualibet soma, vini ducatorum 6 quolibet plaustro, penuria omnium rerum maxima urgente et nulla a bello securitate, desperatio et tristitia quædam omnes invaserat; provisor, videlicet, d.nus Bartolomeus Mustus, homo sui capitis durus et militari licentiæ indulgens erat; cives non audebant libere providere nec bene concordes erant pro beneficio comuni, et boni viri non prævalebant nec mittebant Venetias qui Dominio Veneto declararent res Bergomeas [BER, 109v].

E successivamente, Die 18 decembris 1512 lectæ sunt litteræ ducales, quibus cum toto Collegio Veneto dicebatur provisori nostro quod auditis nunciis magnificæ Comunitatis et planitiei, ex una; et montium seu vallium certa hospitia stradiotorum volebant ... ne non cogerentur Valeriani ad contributionem dictorum stradiotarum nec consimilium expensarum, donec fieret per Dominium nova provisio et deliberatio. Quamobrem prefatus Provisor etiam ut dicebat in executione litterarum d.ni Pauli Capelli provisoris exercitus mandaverat sub poena indignationis Dominii et arbitrio et distributione d.ni Costantini Paleologi capitis stradiotarum decentia hospitia stradiotis, intactis vallibus. (Questa lettera è presumibilmente quella del 5 dicembre riferita dal Baldi). Quare tota civitas Bergomi exarsit in magnam indignationem et convocato consilio, pluribus super his disputatis et maxime de mittendo Venetias oratorem nomine publico, tandem d.nus provisor dixit se velle mittere stradiotas Luere tanquam locum minus læsum in bello et aliis impensis tempore præterito. Verum nonnulli ex ipsis stradiotis iverunt ad stipendium castellani Tricii Gallici, qui postea discurrebant cum Gallis per territorium Bergomense; verum superveniente peditato Hispano castrum Tricii obsessum fuit, et factis cuniculis et viis subterraneis ac tormentis bellicis adhibitis, castellanus venit ad colloquium cum marchione della Palude capitaneo Hispano circa deditionis pacta; et tandem die 5 januarii 1513 castrum tradidit, salvis castellano et omnibus peditibus Francis et Italis, qui sub eius stipendio castrum tenebant, et tenebantur pro rege Francorum [BER, 110r].

Nel tentativo di allontanare dal territorio gli stradiotti, la città scrive il 17 dicembre al Capello [Lett. 9.3.6. # 44]:

A questa proxima està fu mandato per la Signoria vostra il sp.le d.no Constantino Paleologo capo de stratioti cum la sua compagnia ala deffension di questo territorio, per le incursion et danni si facevano per francesi existenti nel castello da Trezo. Et per che de presenti el star in ditto territorio de essi stradioti non opera più alchuna cosa per la impresa de Trezo, pregamo la Signoria vostra voglia scriver et cometerli che si debiano levar, et tanto più che questo povero territorio, et maxime il piano, è tanto exhausto et anihilato per il demorar de questi spagnoli, che possibile non è il possi, per la extrema inopia et calamità sua, più tollerar peso alchuno....

La risposta del provveditore, anche se inconcludente, non tarda a venire [Lett. 9.3.6. # 46]. Essa è data da Ronchi il 20 dicembre:

Ho veduto la rechiesta factami per vostre lettere hozi ricepute circa el levar de lì quelli strathioti. Certamente in tutte quelle cosse io potesse sum desyderoso gratificar quella mag.ca cità. Ma questa non è già cossa da rechieder per mo, per ogni convenienti respecti che dirli pro nunc non se pò. Vi exhorto adunque in questo, per beneficio de la ill.ma Signoria, ad lassarli de lì. Et exequeti senza dilatione quanto per altre ho scripto a quel mag.co Proveditor. Valete.

E' bensì vero, come fa notare il Beretta, che i bergamaschi non mandavano ambasciatori a Venezia per impetrare il sollievo della città, ma è certo che le richieste di aiuto avanzate dalla città ai provveditori ed al Dominio in questo periodo sono tante che gli stessi referenti bergamaschi a Venezia, l'Assonica e l'Albani - nonchè lo stesso governo veneto - ne sono un poco disorientati. Una loro lettera agli Anziani di Bergamo da Venezia il 18 dicembre [Lett. 9.3.6. # 45] è interessante a tale riguardo:

Heri per Facholetto s'ebe una vostra de VI° instantis, cum un'altra aligatta andava a la ill.ma Signoria nostra, qual questa matina l'abiamo apresentata et in quello instante fo letta. Et per il serenissimo Principe ne fo ditto: "Questa lettera è stata asay in camino, ne havemo hauto questi giorni un'altra de questo medesimo tenor"; et altro non ne disse. Qual zudegemo sia l'altra littera che vostre Magnificentie schrive averne adrizatta de quel medemo tenor, qual a noi non è capitata, ma stimemo sia stà desligatta dala nostra et per altri sia stà apresentata. Voi dovetti saper per mano de chi l'avetti mandatta, che come è ditto noi non l'abiamo hautta. Ale qual se offerimo et racomandamo.

L'impressione di una grande difficoltà di rapporti tra Bergamo e Venezia in questa fase è anche confermata dalla minuta di un'altra lettera [Lett. 9.3.6. # 47] scritta dagli Anziani al Doge il 20 dicembre. In essa i bergamaschi velatamente si lamentano per l'ordine dato alla città di non inviare a Venezia oratori, il che non consente loro di rappresentare appropriatamente al governo veneto le molte cause et importantissime habiamo et de giorno in giorno ne sopragiongeno. La missiva si conclude poi con la richiesta di apportare una correzione al testo di una precedente ducale. Colpisce di questa lettera il tono un poco risentito e la puntigliosità nel voler chiarire questioni tutto sommato marginali. Vi è anche da aggiungere che la minuta è nella sua parte finale molto corretta e confusa, forse perché la lettera fu replicata il 30 dicembre 1512 quia predicta fuit intercepta.

L'ultima parte dell'anno vede due avvenimenti campeggiare: a Venezia, le trattative per un'eventuale alleanza con Francia; ed a Milano, la presa di possesso della città da parte del Duchetto.

Già si sono riferiti i prodromi dell' accordo, secondo le informazioni del Sanudo. Il 22 dicembre costui di nuovo annota che la Signoria sta trattando un'alleanza con Francia e che un nunzio di Giovan Giacomo Triulzi è giunto segretamente a Venezia. L'informazione è confermata il 23 con la notizia che l'accordo è vicino ed i capitoli dell'alleanza sono già stati scritti, ma per qualche ragione essi sono stati rimandati in Pregadi. Tuttavia, Fu posto certa parte in materia gallica, con gran credenza. Finalmente, il 24 dicembre arriva in città Giovanni Stafileo, vescovo di Sebenico ed inviato papale, che subito manda a dire al Doge di essere latore di buone notizie; con lui giungono anche due oratori svizzeri. Tutti costoro, appena concluse le festività natalizie, vengono ricevuti il 27 dicembre in Collegio, dove lo Stafileo pronuncia un'arringa, con la quale cerca di dissuadere i veneziani dallo stringere l'accordo ormai imminente con i francesi. Anche gli ambasciatori svizzeri, più brevemente, si associano. Il Doge ringrazia il Papa per la sua intenzione di favorire un buon accordo ed assicura che anche Venezia non desidera altro che la pace. Egli insiste però per il recupero dei suoi territori.

Il 28 dicembre viene nuovamente data udienza allo Stafileo ed agli svizzeri. Fo dito el voleva lassar a la Signoria Vicenza e il Friul, e dar il passo di poter andar in Lombardia a le nostre terre, zoè Lignago e Peschiera, e conzar con l'Imperador questo, con darli più summa di danari con tempo [SAN, XV, 426]. Ma la proposta non pare molto gradita. Viene in appoggio anche l'oratore spagnolo, pregando di dare ascolto allo Stafileo e di accordarsi con il Papa, l'Imperatore ed il Re spagnolo, così da evitare una nuova calata di barbari in Italia. Ma il doge insiste nel dichiarare che Venezia vuole sì la pace, ma anche le sue terre. E l'anno si chiude nell'incertezza delle alleanze.

Quanto all'ingresso a Milano di Massimiliano Sforza, il Caroldo ne aveva da tempo informato la Signoria, anticipando che l'avvenimento avrebbe avuto luogo il 23; informazione avvalorata anche dal Guidotti da Lodi il 21dicembre; anche il Lando, che con il consenso della Signoria si era separato a Mantova dal Curzense, informa che costui era in viaggio per Milano ad insediare lo Sforza. Il 27 dicembre arriva a Venezia una lettera del Caroldo da Milano, con cui avverte che il Duchetto sta a Chiaravalle e prepara la sua entrata. La quale tuttavia si preannuncia come poco onorifica, perché i milanesi sono divisi e vi sono motivi di dissenso tra le varie potenze coinvolte. Pare ora che il Ducheto entrerà il 27. Ma il suo ingresso a Milano è destinato ad essere molto contrastato. Ecco come il Beretta lo descrive:

Die mercuri 29 decembris 1512. Hercules Maximianus Sfortia adolescens dux Mediolani ingressus est Mediolanum et die jovis subsecuto [30 decembris] Matteus Sedunensis episcopus legatus a latere celebravit missam in templo majori sanctæ Mariæ Mediolani, cum die mercurii prædicto essent præfatus dux in monasterio Eustorgii extra portam Ticinensem cum Mattheo Crucense (Nota a lato: "vescovo Gurgense, ossia di Gurch".) legato Imperatoris, Mattheo Sedunensi episcopo, Raimundo vicerege hispano, oratoribus Helvetiorum fuit quædam altercatio inter eos quis ducem inducere deberet manto ducali. Raimundus asserebat hoc decus ad se pertinere quia in Paschate proxime elapso apud Ravennam Gallicum exercitum profugasset. Mattheus Crucensis dicebat ducem Imperatoris feudatarium accipere debere de mansa sua indumentum. Helvetii affirmabant hoc sui muneris et dignitatis esse, quum ipsi proximis diebus ab omni Lombardia Francos ejecissent, et statum Mediolani custodissent et conservassent ab inimicis. Dux, ne alicui videretur inclinare, sponte et manibus propriis ducale vestimentum induit. Hoc vestimentum erat ex damasco candidissimo; quo pulchre inductus, dux super equo albo Mediolanum intravit circa horam 22, comitatus hoc ordine, videlicet: præcedebant ducem oratores Helvetiæ numero 24; subsequebantur Ducem Sedunensis et Crucensis, Vicerex, deinde duo oratores Pontificis romani, episcopus Montofoltiensis, Carolus Balionus, postea Petrus Dorcha hispanus orator, Andreas de Burgo orator Cesareus, Johannes Gonzaga, oratores duo Florentini, duo Mantuani, deinde Octavianus Maria Sfortia episcopus laudensis, ac Prosper Columna et alii nobiles ac summates viri; spatam præferebat frater ducis nomine Cæsar notus. Cum applicuissent portæ Ticinensi, ibi Helvetii tradiderunt claves Mediolani Duci, religiosi omnes Mediolani qui obviam venerant, accepto duce sub baldachino qui ferebatur per quatuor juvenes Mediolanenses, deduxerunt ducem tandem in curtem veterem. Pauci feudatarii ducatus Mediolani affuerunt dictæ celebritati (?) [BER, 110v].

Quanto a Bergamo, secondo il Libro delle Azioni del Consiglio [Az 12, dal f. 60v], lo scorcio dell'anno trascorre soprattutto nell'elezione della cariche cittadine e negli adempimenti amministrativi per il 1513. Così si eleggono gli incaricati a porre all'incanto gli uffici di palazzo (18 dicembre); due difensori del comune (19 dicembre); due sindaci del comune ed un giudice alle vettovaglie ( 21 dicembre); i dottori ed i notai a prestare l'autorità, gli avvocati e procuraori dei poveri, ed i deputati all'approvazione degli statuti (22 dicembre); il Ministro, i Presidenti, i Sindaci, il Notaio ed il Tesoriere dell'Ospedale grande e della fabbrica di san Vincenzo ( 27 dicembre); si modificano la composizione degli uffici dei commilitoni e dei giudici delle vettovaglie e delle strade e se ne eleggono i rispettivi componenti; si rinnovano le bine per l'anno successivo e si elegge infine un giudice ai danni dati (28-31 dicembre).

Si conclude così con il mese di dicembre l'anno che abbiamo esaminato nel dettaglio. All'inizio del mese, Bergamo ed il territorio sono in grande ansia per l'arrivo e l'insediamento delle truppe del vicerè spagnolo. Non pare tuttavia che le apprensioni suscitate dalla presenza di queste truppe siano giustificate dal loro comportamento, che si mantiene nei limiti accettabili, tanto che non si notano lamentele eccessive. Maggiori problemi ha la città nei confronti di Venezia, perché non riesce a farsi ascoltare dal governo veneto in via diretta, ma solo per tramite dei provveditori in campo: questo è causa di difficoltà e frustrazioni. Ai confini del milanese la presenza degli stradiotti provoca qualche danno, ma i provveditori non sono disposti ad accogliere le rimostranze dei bergamaschi allontanando quelle truppe. La parte finale del mese è caratterizzata da due avvenimenti importanti: le trattative finali a Venezia sull'alleanza tra la Repubblica ed i francesi, alla quale il messo papale, l'ambasciatore spagnolo e gli oratori svizzeri cercano invano di opporsi. E, a Milano, la presa di possesso del ducato da parte del giovane duca Massimiliano Sforza. Alla fine dell'anno, ordinatamente, Bergamo rinnova le cariche amministrative della città.