CAPITOLO 3 - GENNAIO

All'inizio del gennaio 1512, nell'Italia settentrionale, la situazione delle forze armate in campo è approssimativamente la seguente. Il grosso dell'esercito veneto si trova sul vicentino, al comando del provveditore Andrea Gritti. L'esercito francese risente di qualche difficoltà, sia per le vicende politiche descritte, che hanno portato alla Lega Santa del precedente ottobre, sia perché pare in corso una ripresa militare da parte di Venezia. E' ben vero che i francesi presidiano le piazzeforti di Legnago, Peschiera, Gorizia, Gradisca e le città di Brescia, Bergamo e Milano, ma sui confini settentrionali della Lombardia premono le truppe svizzere che minacciano una calata, in esecuzione dell'accordo appena concluso tra il cardinale sedunense Matteo Schiner, che di esse è il grande regista, e l'ambasciatore veneto Gerolamo Morosini. L'accordo prevede che la discesa degli svizzeri sia concomitante con un'incursione veneta su Brescia, la quale si trova mal difesa, perché parecchie truppe francesi sono state ritirate verso Milano per fronteggiare il pericolo degli svizzeri ed altre sono state inviate a Verona, che è nelle mani degli imperiali.

Milano è in grande apprensione per l'avvicinarsi degli svizzeri e solo la fermezza del Triulzio trattiene i francesi dall'abbandonare la città. Egli è impegnato a trovare un accomodamento con gli svizzeri, ai quali avrebbe offerto 15 mila scudi e una certa quantità di grano, ma apparentemente senza effetto. Il grosso dell'esercito francese, al comando di Gastone di Foix, si trova intorno a Bologna, la quale è in mano di Ivo d'Allègre, premuto dall'esercito ispano-pontificio di Raimondo di Cardona che lo assedia.

A Venezia, verso l'inizio del mese, le preoccupazioni sono per un possibile tradimento degli svizzeri che, si sospetta, potrebbero accordarsi con i francesi. Tuttavia, sia gli ambasciatori dei vari cantoni presso la Repubblica che il Gritti, per informazioni da fonti indipendenti, rassicurano il Senato che i mercenari sono calati su Varese, e Novara e sono giunti fino a tre miglia da Milano. In un primo tempo pare che essi intendano ritirarsi, ma si tratta soltanto di un temporaneo allontanamento inteso a mettere al sicuro il bottino della prima calata. Altri svizzeri intenderebbero invece scendere per la Valtellina e la Valcamonica, verso i territori bresciano e bergamasco. Il totale di queste truppe è valutato tra dodici e venti mila uomini.

Orbene, nulla di tutto questo agitarsi di eventi e di uomini traspare dagli atti ufficiali del Consiglio di Bergamo. Quivi, come in ogni bene ordinata città, entro la prima quindicina di gennaio si procede all'elezione delle cariche amministrative. Si dà il giuramento agli Anziani del Consiglio; si nominano i consoli, i sopraconsoli ed i savi della mercatura; i giudici, consoli di giustizia ed i commilitoni; i giudici ai Danni Dati; il contradditore; i presidenti, i sindaci ed il notaio della Pietà Colleoni; i notai, i coadiutori ed i servitori dell'Ufficio del Malefizio; si rinnova l'Ufficio delle Vettovaglie e delle Strade; si danno perfino disposizioni per la manutenzione dell'orologio e si elegge un campanaro del comune. Il giorno 8 si proclama pubblicamente che tutti possono condurre derrate verso il territorio parmigiano, dove sta l'esercito francese contro Giulio II, che si va avvicinando a Bologna [BER, 86v]. Tutto, insomma, come se gli avvenimenti descritti non premessero minacciosi alle porte della città e ai confini del territorio.

Ciò che apparentemente preoccupa il Consiglio sono i rapporti con il dominio francese. Il 2 gennaio si notifica una lettera diretta al cancelliere della città, Francesco Bellafino, con la quale Antonio Maria Pallavicino, cavaliere del sacro ordine regio e governatore di Bergamo, deputa in termini perentori come membro dello stesso Consiglio Soccino Secco: ve dicemo et comettiamo che lo inscribate nel ceto de quelli altri consiliarii, a quello locho honorevole che merita uno pare suo; et subito non mancharete né suprasedarete, per quanto charipendete la gratia nostra [Az 11, 201v]. Soccino era il capo della fazione ghibellina di Bergamo e non poteva non essere tra coloro che decidevano delle sorti della città. E di fatto egli già partecipa al Consiglio del 4 [Az 11, 203v], protestando per una violenza armata con furto di bestiame che alcuni suoi contadini di Lurano avevano subito da certi Visconti. Il Consiglio autorizza un'indagine su questo fatto e stabilisce che esso sia denunciato a Milano da un'ambasceria che vi si sta a recando, chiedendo provvedimenti punitivi.

Con una procedura analoga, quasi contemporaneamente (la lettera da Milano è del 3, confermata il 4) il Pallavicino, sapendo che il Re ha deputato alla podestaria di Novara per i prossimi due anni Paolo Zanchi, che è un membro del Consiglio, nomina in sua vece Nicolò Zanchi e comanda di accettarlo senza alcuna eccezione. La lettera è confermata da Agostino Panigarola, senatore regio, commissario di Bergamo e Podestà, e viene letta in Consiglio il 18 [Az 11, 212r]. Paolo Zanchi lasciò Bergamo il 23 per insediarsi all'ufficio di Novara [BER, 86v]. Il giorno 6 Francesco Bellafino, nominato oratore a Milano, riceve dal Consiglio il mandato per gli incarichi a lui delegati presso il governo francese [Az 11, 204v]. La missione si propone diversi scopi: sollecitare un processo criminale contro i daziari per le loro insolenza; agire presso il Generale di Normandia per ottenere il computo dei dazi del gennaio e febbraio 1510 in moneta lunga, secondo le deliberazioni del Senato, per i quali essi daziari pretendono un interesse; chiedere il rilascio di una parte dei denari del dono regio, sequestrata in mano del tesoriere di Bergamo, di cui i bergamaschi pretendono essere creditori; notificare al nuovo Podestà di Bergamo il capitolo ottavo del secondo privilegio concesso a Bergamo dal re, chiedendo che esso venga integralmente osservato, e ciò anche in relazione alla pretesa di un tale Stefano Serrando che ambirebbe a diventare Giudice del Malefizio a Bergamo. Il Bellafino lascia la città il giorno stesso e farà ritorno soltanto il 5 febbraio, nell'imminenza degli eventi fortunosi di quei giorni.

Durante questo lungo soggiorno egli, prima da solo e poi insieme con Oliviero Agosti, indirizzerà sedici lettere agli Anziani del Consiglio, per informarli con grande puntualità sui progressi compiuti, per consigliare le azioni più appropriate, per chiedere delucidazioni o autorizzazioni in ordine alla conduzione dell'ambasceria. Talvolta vi sono nei rendiconti del Libro delle Azioni o nelle stesse lettere degli oratori puntuali riscontri alle richieste da essi avanzate. Ma ciò non accade spesso e bisogna quindi pensare o che molta documentazione sia venuta a mancare, oppure che il Consiglio lasciasse una certa discrezionalità ai suoi rappresentanti a Milano, limitandosi ad intervenire solo quando fosse strettamente necessario o quando fosse direttamente chiamato in causa. Le lettere, quasi tutte a firma del Bellafino, sono ricchissime di dettagli, sia a riguardo delle persone incontrate, che al modo come queste venivano avvicinate, all'atmosfera che circondava la missione, alle risposte ottenute. Evidentemente il Bellafino era attento, preciso, informato, sollecito e dotato di buona capacità di giudizio. Data la mole della documentazione [Lett. 9.3.3. # 124/1-16], sarebbe impossibile riferirne in grande dettaglio e si rinvia alle trascrizioni. Pare invece più opportuno riportare gli sviluppi e le conclusioni a riguardo dei singoli argomenti dati in commissione al Bellafino.

Cominciando dai disordini segnalati nelle proprietà di Soccino Secco, in un primo tempo Bernabò Visconti si mostra molto risentito con Soccino e con la comunità di Bergamo, affermando di aver prelevato il bestiame dietro un preciso ordine di esecuzione ottenuto da monsignor di Foys. Il Bellafino fatica molto a calmare il nobile milanese e chiede anche l'intervento del Pallavicino, il quale esclude però di poter fare gran che, limitandosi a promettere il suo interessamento per una composizione pacifica. La questione si risolve rapidamente: il 12 l'oratore comunica [Lett. 9.3.3 # 124/4] che ...la causa de li homeni de Lurano è expedita in questo modo, che prestita fideiussione restituantur animalia et che partes non vocentur ad Regium Senatum, come più amplamente il mag.co d.no Ludovico Suardo a bocca ale Magnificentie vostre narrerà. Evidentemente, per quanto le commissioni fossero state date al Bellafino, anche altri personaggi bergamaschi presenti a Milano partecipavano di volta in volta agli incontri con i notabili francesi.

Anche il primo approccio con il generale di Normandia per la restituzione di parte del dono regio depositata presso il camerlengo di Bergamo, pare piuttosto difficile. Il generale abbozza qualche scusa e poi propone di delegare la questione ai Maestri delle Entrate, mossa cui il Bellafino si oppone perché già erano state nominate persone competenti per eseguire i calcoli preliminari alla restituzione. Il generale chiede allora una supplica scritta per risolvere la questione in tal senso, che il Bellafino immediatamente produce. Il giorno seguente [Lett. 9.3.3 # 124/3]. ..avanti zorno ritornai ad quella [cioè al generale] per che voleva partirse, come è partita at andata a Lodi. Et subito uscito di camera, me fezi avanti sua Signoria et reverenter li rechiessi la expeditione. Quella me risposse dovesse trovar il suo cancellier; trovatolo, me disse che la expeditione era ch'el mag.co Camerlengo dovesse poner fine a questa cosa, et che la litera era facta et solum manchava ad signarla, et che mandasse uno a Lodi che me la daria. Et cusì ho mandato Ioanne de Serina nostro ad torla, et credo piazerà ale Magnificentia vostre, per che, sopra la fede mia, se non me trovava qui, questa causa era comessa ad prefati Magistri. In una lettera successiva [Lett. 9.3.3 # 124/10] il Bellafino insiste con gli Anziani perché sollecitino la causa con il camerlengo che doveva risolverla.

La paventata nomina a giudice del Malefizio di Stefano Serrando, contro i privilegi di Bergamo, è materia che si risolve da sola, quando il Bellafino chiarisce con un autorevole membro del Senato [Lett. 9.3.3 # 124/4] che questa nomina era stata ventilata in lettere dirette a Pietro Antonio Guasco, un personaggio che era stato eletto in passato Podestà a Bergamo, ma che non vi era mai arrivato perché era, nel frattempo, morto. A quel punto, lo stesso Serando aveva spontaneamente rinunciato ai suoi progetti.

L'ultimo incarico assegnato al Bellafino consisteva nel sollecitare il processo contro i daziari, che era stato istruito in passato a Bergamo dal podestà Agostino Panigarola e dal senatore Leone Belon, i quali avrebbero dovuto presentare la loro relazione conclusiva. Essi decidono però [Lett. 9.3.3 # 124/5] di reveder li testimoni per haverli meglio ad memoria, ed il Bellafino non può fare altro che continuare a sollecitarli. Ma la cosa si complica [Lett. 9.3.3 # 124/8]: il cancelliere del Belon non vuole consegnare gli atti del processo al Panigarola, se prima non viene pagato per la copia delle carte, per la quale chiede 5 ducati (si tratta di ben 293 carte, computate ad 1 ambrosino per carta). La comunità di Bergamo manda il denaro al Bellafino il 22, ma nel frattempo egli riesce a convincere il cancelliere a rilasciare il fascicolo al Panigarola e scrive il 25 [Lett. 9.3.3 # 124/11]: Li scuti cinque, poi che già il processo era consignato, non gli habiamo dati. Se poteremo sparagnarli, che crediamo sarà difficile, il faremo quando non gli daremo et de li altri bisognando, et sì come vederemo esser oportuno et necessario. Ma, nonostante le continue promesse di una rapida risoluzione, ancora il 4 febbraio, cioè il giorno precedente al loro ritorno, gli oratori scrivono [Lett. 9.3.3 # 124/16]: Per le precedente nostre habiamo dinotato ale Magnificentie vostre lo ill.mo Presidente haverne promesso de expedirne hozi. Noy staremo attenti et solliciti a questa expeditione, ma per che vediamo le cosse de la guera strenzer più ala giornata, dubitamo che forsi più importante occupatione fazano negliger le cose nostre. Dove che il star nostro qui saria frustatorio et cum spese de le Magnificentie vostre, n'è parso debito nostro darne adviso ad quelle, aciò che, non essendo expediti hozi come n'è promesso et più volte per avanti il medemo promesso et non adesso, dobiamo, cusì parendoli, venir ad quelle.... La causa non sarà quindi risolta.

Tra le altre questioni che gli oratori bergamaschi sono delegati a risolvere in occasione del loro soggiorno milanese, ve n'è un'altra che riguarda il Podestà eletto Giovan Maria Guasco. Il 9 gennaio [Az 11, 207r] il Consiglio ordina di scrivere al Bellafino perché avvicini il Podestà eletto di Bergamo e gli renda noto che, per osservanza degli statuti, non confermi alcuni degli ufficiali del Podestà in carica ad alcun ufficio, perché tali cariche devono essere lasciate libere. Si scrive il giorno stesso. E l'oratore risponde alla sollecitazione il 12 [Lett. 9.3.3 # 124/4] dicendo tra l'altro: Era solito ali mag.ci Pretori ala cità nostra designati scriver litere congratulatorie et poi mandarli la copia inclusa dil statuto circa vacationem officialium. Ad questo nostro mag.co Potestà non l'habiamo facto, per che ritrovandose qui ad Milano, a bocca tuti noy oratori facessemo questo officio. Hora, come scriveno la Magnificentie vostre et anchora io avendolo intesso che questi contestabile et cavalieri cercano esser confirmati, laudo che le Magnificentie vostre me mandano la copia de dicto statuto, per che io scriverò una bona litera ad sua Magnificentia cum dicta copia. Il se atrova ad Alexandria: ogni giorno haverò messo da mandarle, et questo sia per risposta dele litere de vostre Magnificentie de 9 instante.... E, in un biglietto a parte: Ho riceputa la copia dil statuto circa vacationibus officialium. Scriverò al Potestà novo in bona forma.

Di fatto il Guasco arriva a Milano il 15 e l'oratore ne dà notizia agli Anziani del Consiglio [Lett. 9.3.3 # 124/6]. Il nuovo eletto assicura di voler essere ossequiente alle prerogative di Bergamo e di voler usare il testo dello statuto per rintuzzare i tentativi di riconferma dei molti che si erano fatti avanti. Egli stesso scrive poi agli Anziani il 15 [Lett. 9.3.3 # 126]: …per advisar le Magnificentie vostre como di presente sono a Milano con la expeditione mia de l'offitio di quella cità in optima forma. Et per poter far cellere intrata al dicto offitio secundo il desiderio comune nostro, prego le preditte vostre Magnificentie vogliano mandar qua statim uno suo, con il modo suo consueto, per far condur le robe mie de Alexandria et de mei offitiali, quali sono tuti foresteri et nova gente, secundo il desiderio vostro, como mi ha significato il suo mag.co Ambassator qua. Et spero in Dio che di me et essi mei offitiali [egli intendeva portare con sé due vicari ed un giudice] restarano bene satisfacti, et precipue circa la observantia de soi ordine et statuti.... Ottenuta il 18 gennaio la risposta dei bergamaschi, i quali sollecitano il suo arrivo ma non sono disposti a pagargli le spese di trasporto, il Guasco parte da Milano il 20 per prendere le cose sue in Alessandria ed essere presto alla sua sede designata. Egli sarà di ritorno a Milano il 29 e gli oratori, scrivendo a Bergamo circa il suo viaggio e la sua entrata dicono [Lett. 9.3.3 # 124/13]: Sabbeto damatina venerà al viagio suo et se condurà in qualche loco de quelli mag.ci nostri zintilhomeni dove farà dimora, et domenica alhora che parerà commoda ad sua Signoria farà la intrata. Pertanto, ne habiamo dato noticia ale Magnificentie vostre per dinotarli che ben saria che qualche uno se ritrovase ad Navere per incontrar sua Signoria. Dela dominica non ge dicemo altro, per che siamo certi che farano quello sono solite ad far in farse honor ad incontrar li cl.mi Rectori soi, et maxime in simel tempi; et circa ziò altro non occorre ge dicamo....

Un'altra questione di qualche importanza riguardava le materie annonarie. Per quanto non appaia nelle risoluzioni del Consiglio, gli Anziani avevano istruito il Bellafino e l'Agosti, che accusano ricevuta di un incarico circa le biave il giorno 16; essi si impegnano ad eseguirlo al più presto [Lett. 9.3.3 # 124/7]. Vi erano evidentemente problemi di approvvigionamento delle derrate alimentari, perché già il 12 gennaio Bernardo Marliano, podestà di Romano - che era sede di un importante mercato di granaglie - aveva avvertito il Consiglio di Bergamo di un abnorme rialzo dei prezzi, dovuto a speculazioni per immagazzinamento; per scoraggiare tali pratiche, egli aveva fatto affiggere un proclama. Bergamo aveva giustamente fatto osservare che, se si fossero presi provvedimenti restrittivi, ne sarebbe potuto risultare un danno per il mercato di Romano [Lett. 9.3.3 # 125/1].

Gli oratori a Milano subito si attivano in ordine a questo problema e comunicano il 19 [Lett. 9.3.3 # 124/8]: ...habiamo parlato al ill.mo signor Io. Iacomo, al ill.mo Cancellier, cl.mo Potestà, et altri Senatori, et mediante soi favori hozi era statuito de darne audientia publica distinata ad litiganti, ita che questo giorno n'è andato vacuo. Ma per che tre zorni de festa continua segueno, et considerando noy di quanta importantia è la cosa, la qual non po patir dilation di tempo, habiamo compagnato prefato ill.mo Cancellier a casa, et avanti sua Signoria comparsi, gli habiamo cum ogni efficatia facto intender la inopia, immo calamità nostra, la qual non po patir dimora. Hor tandem, sua Signoria cum d.no Iulio Cataneo secretario lì presente, ordinò che domane per questa causa se dovesse redur quello numero de Conselgeri ad ciò bastava, per pilgar qualche forma al bisogno nostro. Damatina daremo opera, cum Conselgeri et altri che farà bisogno, de haver tal favori ch'el iustissimo desiderio de vostre Magnificentie habia qualche effecto; non manchando noy de ogni diligentia et sollicitudine nostra.

Contemporaneamente, gli Anziani avevano sollecitato il Marliano ad eseguire un censimento delle quantità di granaglie trattate a Romano. Egli risponde il 21 [Lett. 9.3.3 # 125/2]: ...ho fatto, non perhò minutamente, la descriptione de quelle. Ritrovo essergli some 4000 e più de blade grose et minute, et la mazor parte de quelle esser de forestieri. Et che in ogni zorno de marcato ne intrano saltem some 200 fin 300 et più, et questo secundo el spazamento se fa. Li mercadanti se sforzano condurne più che ponno, et aliquando se spazano et ne resta bona summa de quelle.

Poi, sempre il Bellafino il 21 [Lett. 9.3.3 # 124/9]: ...Circa le biave, ne vien dato bona speranza, ma più presto possibil non è espedirse che venere proximo: queste tre feste ne hano impedito. Habiamo però facto ogni instantia di haver li Conselgeri per una di queste feste e ne era data bona intentione, come per le precedente ne advisassemo le Magnificentie vostre. Pur hozi comparsi dal ill.mo Canceller, ne ha facto intender che venire facemo li primi expediti, et cusì noy saremo pronti ad procurar dicta expeditione... Ritrovandosse ad casa del ill.mo Canceller per far sigillar dicte litere, lì erano congregati molti Conselgeri et, inter coetera, tractòno dele biave per noy rechieste. Et venuto fora di quello conselgio, il cl.mo Panigarolla, il qual molto se ha faticato in questa cosa, ne feze intender che era stà ordinato de scriver in bona forma per favor nostro al ill.mo General Normanno, et che dovessemo sollicitar le litere; per il che de lì non se partissemo et parlassemo cum prefato ill.mo Canceller. Il qual ne monstrò una litera molto ampla in lingua francesse, et sua Signoria ne disse che era de grandissima efficatia et rechiedeva per noy al ill.mo General che ne concedesse de poter cavar del ducato bona summa de biave, senza datii, narrandoli la inopia nostra. Fra tre zorni crediamo haver la risposta, et speramo sarà iuxta il desiderio nostro, per che prefato ill.mo Canceller ne fa offerte assai et dice sempre esser pronto ad farne piazer ala mag.ca cità nostra. Informano anche di tumulti insorti a Crema, proprio per carenza di granaglie.

Ancora il 25 [Lett. 9.3.3 # 124/11]: De qui è uno de li primi zentilhomini de questa cità, che ne ha offerto somme mille de biava ad lire 12 il formento, ad lire 8 il meglio et seger, conducto fino de qui de Ada, senza alcuna licentia né tracta, aciò se alcuno mercadante il volesse che ge saria dato. Insuper, per che in questa cità è andato in fama che noy habiamo rechiesto biave da diverse bande, compareno a noy mercadanti che se offerisseno darne gran quantità, sì che non dubitiamo niente ch'el ne possi manchar, immo speramo de ubertà....

Poi il 27 gennaio [Lett. 9.3.3 # 124/12]: Questa sera lo ill.mo Canceller ne ha dicto esser venuta la risposta dal ill.mo General de Normandia circa le biave, et in bona forma, et che damatina sarà cum questi Signori dele biave et farà bona provisione, sì che le Magnificentie vostre remanerano ben satisfacte. Et noy, hauta questa risolutione, la faremo nota ad quelle....

Sul piano generale intanto le cose stavano rapidamente mutando. Il 10 gennaio, a Venezia nella più grande segretezza, si esaminano in Pregadi, in presenza del Consiglio dei Dieci, certe lettere che il conte Alvise Avogadro aveva inviato, offrendosi con alcuni congiurati di parte guelfa e marchesca di consegnare alla Signoria una porta della città di Brescia, il che avrebbe significato la presa della città e delle piazzeforti, che erano poco presidiate. Successivamente il Senato chiede l'opinione dei Savi zercha scriver al provedador Griti vadi a tuor Brexa con quelle zente li par, et la più parte di savii dil Colegio messe la parte, dandoli comission ch'el vadi, e averà li signali e entri in Brexa. Il Doge manifesta qualche perplessità e la discussione si protrae a lungo siché steteno in Pregadi fin hore 4 di note, et fo sagramentà nel Consejo di tal deliberatione e tolti in nota e comandà stretissima credenza, e leta nel Consejo di X la dita credenza. Pur non si potè far che il zorno drio non se intendesse ch'el campo andava a tuor a Brexa [SAN, XIII, 399].

Notizie di movimenti nel bresciano dovevano essere giunti anche a Bergamo. Infatti, il 22 il Consiglio [Az 11, 214v] prende provvedimenti per pagare le spese a certe persone che erano state inviate al fine di conoscere la verità su certe incursioni dell'esercito veneto nell'agro bresciano, di cui si era avuta notizia. Intanto gli svizzeri ritornavano e giungevano offerte d'aiuto a Venezia dalle valli, in particolare dalla val Sabbia, che si dichiarava pronta a mandare a richiesta diecimila fanti, di cui tre mila sclopeteri.

Il 10 gennaio Venezia ordina al Gritti di avanzare, ma egli deve rimandare l'azione essendo febbricitante per una ferita accidentale ad una gamba [SAN, XIII, 401]. Finalmente egli si muove con l'esercito: il 19 è ad Albareto, poi viene avvistato a Goito, mentre a Venezia cresce l'attesa per la cattura di Brescia che viene data per facile ed imminente. Il 24 molta gente si raduna a san Marco aspettando la notizia della presa della città, ma arrivano lettere del Gritti del 22 da Trevenzuolo sul veronese: ...Chome nulla havea fato a Brexa, et era stato con zercha 3000 cavalli electi in tutto tra homeni d'arme e cavalli lizier e fanti in gropa cavalchando la note a dì 21, per essser quella matina su le porte di Brexa justa l'hordine, et restato con lo exercito a Trevenzuol, mandoe fino a le porte sier Domenego Busichio capo di stratioti con cavalli 300 di stratioti, et visto la porta serata, né fatoli alcuni signali, come era l'hordine, et andati atorno le fosse fino a l'altra porta, et venendo zorno, stete lì fin hore 16, le porte di la terra sempre serate, e dil castello trevano artellarie, et sentino rumori in la terra, siché tien la cosa sia stà scoperta, unde terminò con quelli capi Zuan Paulo Manfron et li altri di ritornar su el veronese. Scrive non aver fato alcun danno su lo brexan, et per tuto i vedono volentiera, cridando "Marcho, Marco" et quelli di Montechiari li mandono 10 stera di biava da cavalo, senza voler pagamento... Item, Sallò era sulevato, et ivi andato è Francesco Calison contestabile con alcuni fanti e cavalli, et aperto le prexon, brusato i libri de le condanason, cridando: "Marco, Marco" fato fugi etc... et dita letera del Griti fo leta in Colegio con li capi di X, e tutti erano di mala voia, e fo comandà ozi far Pregadi, et li cai di X steteno longi in Colegio. Era successo che la moglie di un certo Julio di Brunat, bresciano e partecipe della congiura dell'Avogadro, andava in castello e quel castellan francese la lavorava. In questo modo la congiura era stata scoperta. L'Avogadro stesso era fuggito in Val Trompia, dove aveva radunato quattromila fanti delle valli e tutte le valade è sublevade, e cussì li teritorii dil brexan tutti chiamano "Marco" [SAN, XIII, 410]. Tra il 23 ed il 26 successivi queste notizie sono confermate da diverse fonti.

A Bergamo, la notizia della fallita spedizione di Brescia si diffonde il 23: ..eo die nuntiatum fuit dominum Andream Grittum provisorem Dominii Venetorum cum ingenti numero Stratiatorum accessisse ad moenia Brixiæ, sperans per proditionem ingredi per unam portarum, ex quo magnus fuit terror; sed postero die, detecta proditione et nonnullis Brixiensibus captis, maxime Petro Advocato, Toma Ducco, Bonaventura Fenerolo, re infecta, discessit provisor [BER, 86v]. Analoga informazione viene anche dagli ambasciatori a Milano, i quali, in una lettera del 25, scrivono [Lett. 9.3.3 # 124/11]: Crediamo sia nota ale Magnificentie vostre la novità seguita in Bressa: de qui se ha come il campo de Venitiani qual era venuto per tal effecto, se ha levato dala impressa et è partito, ita che non se dubita più niente di Bressa né altro.... Il sabato 24 gennaio proclamatum fuit Bergomi ut nemo ferret arma, non hospitando aliquem sine licentia rectoris" [BER, 86v].

Dal territorio bresciano Alvise Avogadro continua però a sollecitare il Gritti perché riprenda l'azione e manda anche suo figlio Cesare a Venezia per patrocinare in Collegio un nuovo impegno del Gritti. Il governo veneto invia il 26 gennaio ordini al provveditore che, vedendo le cosse di Brexa esser a termine che si possi far qual cossa e aver la terra, con segurtà di l'exercito, lassando quelle zente par, debi andar a la volta di Brexa; con altre clausule, ut in litteris. Paolo Capello obietta che simili ordini sono ineseguibili e che si dovrebbero dare istruzioni più precise, ma il testo viene approvato [SAN, XIII, 417]. Il 27 gennaio il Gritti informa ...Come è lì a Albarè e va facendo provisione. Ha ricevuto il mandato di andar in brexana e se remete a lui; è gran peso, pur vederà exeguir; et altre particularità sì come in dite lettere se contien.... Egli spiega infatti di trovarsi in una situazione difficile e, ringraziando per la fiducia che la Signoria gli accorda, espone le circostanze che lo trattengono dall'agire immediatamente: ha bisogno di bocche da fuoco, e soprattutto di cannoni; e teme che i tedeschi che sono in Verona possano uscirgli incontro [SAN, XIII, 421]. Nonostante ciò, il 30 gennaio avvia l'esercito e lo segue, anche sotto la pressione dell'Avogadro che lo invita ad osare e lo rassicura sul proprio appoggio e sulla facilità di impadronirsi di Brescia, che sarà presa in un solo giorno. Intanto a Venezia si vanno diffondendo infondate voci che Brexa, Bergamo et Crema haveano amazato li francesi et levato San Marcho. Si crea un gran fermento, ma al Collegio non giunge alcuna conferma [SAN, XIII, 421].

In stretta concomitanza con i movimenti descritti, anche a Bergamo si nota un certo risveglio delle attività militari. Il 23, in una lettera ai rappresentanti della comunità [Lett. 9.3.3 # 127], con il solito tono vagamente minaccioso, Giovan Giacomo Triulzio annuncia l'arrivo di un forte contingente di alemanni: Mandiamo li milli alemani per beneficio del Ch.mo Re nostro. Però volemo et vi comettemo che li faciati dar logiamento et victualie, pagando loro honestamente. Et in questo non manchati, per quanto haveti acaro la gratia regia. E subito il 25 il Consiglio, udito un tale Claudio alemanno che rappresenta il contingente in arrivo, incarica tre dei suoi componenti a procurare l'alloggio alle truppe, servando ogni possibile eguaglianza [Az 11, 215r].

Ancora nel Consiglio, il 29, pur con parecchi contrari, si vota che per dichiarare il buon animo della città verso la Cristianissima Maestà, lette le lettere del Governatore che a ciò esortano, a beneficio del Re e tutela e custodia della città e del territorio si ospitino 300 stipendiati di fanteria per un mese, a spese della comunità, da alloggiare come ordinato dal Governatore. Si eleggono quattro cittadini (Trussardo Calepio, Soccino Secco, Luca Brembati e Francesco Albani) con l'incarico di alloggiare i militari e di provvedere a spese della comunità a pagare il loro stipendio. Il resoconto della seduta [Az 11, 215v] è molto scarno, ma il Beretta mette in relazione l'episodio con gli avvenimenti in corso nel bresciano, perché aggiunge alla notizia: ...quoniam Brixienses maxime Vallis Troppie et Vallis Sabii incolæ duce comite Aluisio Advocato, perstabant in rebellione adversus Brixiam [BER, 87r]. Immediata la risposta del giorno successivo (il 30) del Pallavicino da Milano, diretta ai quattro deputati [Lett. 9.3.3. # 130]: ...me congratulo cum le Magnificentie vostre de tale bona ellectione et ne ringratio quella cità et epse, certificandole che, per reputarme de quella città, non serò mai per ricordarle et proponerli se non cose che me parerano ch'habiano cedere a beneficio et honore suo....

Al 30 gennaio, ...trecenti pedites Alemanni venerunt Bergomum et hospitati cunt in domibus civium viciniæ Sancti Stephani extra portam Sancti Jacobi, et in burgo Sancti Leonardi, ubi a patronis domorum habebant cibum et potum, cum promissione satisfaciendi; sed tamen paucissimi aliquid dederunt, maxima pars nil dedit. [BER, 87v]. Interessante in questo contesto anche un'informazione delle Azioni [Az 11, 216v], secondo cui alla stessa data si concede un pagamento a Giovannino Gose per 15 staia di astregi da lui dati per i fanti della città. E, proprio nell'imminenza dell'importante rivolgimento contro i francesi, lo stesso Consiglio incarica Malatesta Suardi e Stefano Vianova di far costruire le insegne del Duca di Nemours, regio generale di Citramonte e Luogotenente [Az ibidem]. Il che dimostra come i Bergamaschi fossero assolutamente ignari di quanto stava per succedere.

Vi è, a dire il vero, qualche incertezza di data sull'episodio dei trecento fanti: infatti, secondo il Beretta: ...Die dominico [cioè il 25] dominus Antonius Maria Palavicinus gubernator venit Bergomum cum trecentis peditibus vel circa, quos fecit hospitari in domibus civium a porta Picta infra, et proclamari fecit, quod omnes possint vendere panem, vinum, et carnem sine datio. Dicebatur velle excipere obsides de Bergomo, sed non fuit verum [BER, 87r]. Vi è quindi qualche dubbio su questa visita del 25 del Pallavicino, a meno che si sia trattato di due contingenti di trecento fanti succedutisi a breve distanza di tempo.

Era arrivato intanto (26 gennaio) dal podestà di Gandino, Iacopo Bratello, ai conservatori della sanità di Bergamo il primo allarme dell'anno (molti altri se ne registreranno successivamente) per due sospetti casi di peste [Lett. 9.3.3 # 129]: ...Quantunche le cose che non passano prospere non se aldeno voluntera, niente di meno, aziò se sapia le occurrentie, a Cazanicho sabato proximo se ritrovò amalato uno chiamato Defendo fo di Martin de Imberti, et la consorte soa, pur non sapendo de que cosa, ma sempro cum suspetto. Mandati li Deputati de Gandino, et oltra uno homo per terra dela valle a voler intender, cum diligentia però, de qual materia proceder, se dubita non sia de peste; et fina hora non s'è podesto haver dondo proceda: chi dise de Villa de Scanzo, e chi de altrove. Per una trattazione estesa degli eventi collegati con il contagio di peste del 1512 vedi Silini, 2000.

Nel complesso, il mese di gennaio si chiude nell'attesa di futuri fortunosi avvenimenti. Forse per questo, il cronista annota, com'era in uso a quel tempo: ...die Dominico suprascripto in sero ad occasum visi sunt tres soles, et nocte diei martis visa sunt signa circa lunam in formam crucis igneæ [BER, 87r]. Egli non assegna un particolare significato a tali visioni, ma non è difficile intuire che si trattasse per lui di oscuri presagi.