Notizie storiche
Nel quadro del rinnovato interesse verso le organizzazione di massa nel periodo fascista -un campo di indagine che appare di fondamentale importanza per approfondire lo studio della società italiana tra le due guerre- l'opera di Pietro Capoferri, figura di primo piano del sindacalismo di regime, acquista un particolare rilevo che va ben oltre la specifica realtà di Bergamo, da cui prese le mosse l'ascesa del presidente della Confederazione fascista dei lavoratori dell'industria e membro del Gran Consiglio. Dopo l'ottima prova offerta a Bergamo sia nella gestione del partito che del sindacato (è segretario federale tra il 1926 e il 1929 e responsabile dell'Unione provinciale dei sindacati fascisti sino al 1928), Capoferri ottiene nel 190 la segreteria sindacale di Milano che regge fino al 1939, consolidando una carriera che non conosce particolari ostacoli e che lo porta ai vertici del partito fascista, di cui sarà vicesegretario tra il luglio e il novembre 1940, con l'incarico di reggente della segreteria
nazionale in assenza di Ettore Muti.
Naturalmente la carica di consigliere nazionale lo porta ad assumerne numerose altre in vari settori, anche fuori delle gerarchie del PNF (è, ad esempio, membro del Consiglio di amministrazione dell'IMI), e a svolgere incarichi delicati e di fiducia: è Capoferri che media la concessione dell'arruolamento "volontario" a Leandro Arpinati, con la conseguente sospensione dei provvedimenti di polizia e la risoluzione del caso.
Ai dieci anni compresi tra il 1930 e il 1940 si riferiscono i documenti che Pietro Capoferri, ormai ultranovantenne (è nato a Colognola al Piano, ora sobborgo di Bergamo, nel 1892) ha versato nel 1987 alla Biblioteca civica "Angelo Mai" di Bergamo e che vengono qui esaminati. È una documentazione di non vasta mole, ma di grande interesse, di cui in ogni caso occorre tenere ben resente proprio la peculiarità connessa al suo versamento: queste carte sono state scelte, organizzate, sovente postillate dal donatore, che ha inteso in tal modo consegnare, insieme ai documenti, una precisa immagine di sè.
Pietro Capoferri si mostra -e ciò non sorprende- un convinto assertore della bontà della politica economica e sindacale del fascismo e continua a vedere nella Carta del lavoro l'avvio di un processo rivoluzionario tutt'altro che esaurito e che il vegliardo ex gerarca continua a difendere e a propugnare, anche in pubblicazioni recenti (
Ordine sociale o caos, Bergamo, Alpe, 1983;
Squarci di storia sugli eventi che hanno trasformato la vita negli ultimi due secoli, Bergamo, Stamperia editrice commerciale, 1984). Capoferri mira al riconoscimento della propria onestà e coerenza, ergendosi a difensore del ruolo del sindacalismo fascista nella difesa degli interessi dei lavoratori, enfatizzando episodi di dissidenza con il mondo imprenditoriale e con altri esponenti del regime, quando non è possibile mantenere posizioni di equidistanza tra le parti in conflitto o quando è in gioco il destino stesso del sindacalismo fascista. La linea dell'autobiografia ideale risulta evidente dalla stessa
disposizione delle carte e dalla significativa presenza di molti attestati di gratitudine che gli vengono indirizzati da rappresentanti di categoria o da fiduciari di azienda.
La sicurezza nella "giustizia sociale" del sistema corporativo, ostentata anche nei momenti più difficili, nasconde le scelte antioperaie e antipopolari operate dal regime: sotto questo profilo risultano particolarmente interessanti i discorsi agli operai e agli impiegati delle aziende milanesi. Diverso l'atteggiamento che si coglie nei "Rapporti al Duce riguardanti le varie categorie di lavoratori": qui le preoccupazione per le riduzioni salariali, i tassi di disoccupazione, gli ostacoli frapposti all'applicazione della normativa contrattuale e le numerose inadempienze, emergono pur all'interno della assoluta fedeltà a Mussolini e della difesa a oltranza della "equità sociale" del fascismo.
Queste carte non possono dunque costituire, se non l'unica, neppure la fonte privilegiata per valutare l'opera di Pietro Capoferri: ciò non sminuisce affatto l'importanza e per certi versi l'eccezionalità della documentazione compresa nel fondo, attraverso il quale il protagonista ci suggerisce quale parte della sua attività vorrebbe fosse riconosciuta e valorizzata in futuro. L'interesse del fondo Capoferri, tuttavia, supera la dimensione biografica e autobiografica, per offrire agli studiosi una documentazione importante sulla vita del sindacalismo fascista e indirettamente, ma con squarci eloquenti, sulle condizioni di alcune categorie di lavoratori nella realtà industriale milanese.
Notizie sull'archivio
Il fondo è trasmesso al direttore della Biblioteca civica "A. Mai" di Bergamo con una lettera non datata in cui Pietro Capoferri ricorda la posizione prestigiosa in cui venne a trovarsi dopo il periodo trascorso a Bergamo e sottolinea la sua familiarità con il duce e la tempestività degli interventi del fascismo nei settori della finanza e dell'economia, citando il caso della Banca Commerciale Italiana e l'I.R.I.Alla lettera di trasmissione seguono gli indici dei sei faldoni che costituiscono il fondo.
La descrizione del fondo rispetto l'ordinamento voluto e curato dal donatore; anche i titoli assegnati da Pietro Capoferri ai faldoni e ai fascicoli sono integralmente trascritti.