Il periodo 1550-1599

In questo periodo, le elezioni dei vicari di fuori proseguono con ritmo abbastanza regolare verso la fine di ogni anno, forse con qualche complicazione e briga per favorire alcuni candidati rispetto ad altri per certi uffici. Esisteva negli statuti di Bergamo una disposizione "De non rogando aliquem..." (Collazione I, capitolo XXV) che faceva divieto a chiunque di sollecitare i voti dei consiglieri in occasione delle estrazioni annuali agli uffici periferici. In occasione delle elezioni del 1552 per le cariche del 1553 si sollecita a tutti i consiglieri il giuramento di "purgarsi le coscienze" nelle elezioni che stanno per iniziare [Az. 25, 109r]. Che si trattasse di infrazioni piuttosto comuni e diffuse è provato anche da una risoluzione analoga presa prima di procedere alle nomine di dentro e di fuori per il 1560 [7 dicembre 1557; Az. 27, 281r]. In quest'ultima occasione i rettori chiedono singolarmente ai consiglieri il giuramento di procedere all'elezione di persone idonee e sincere, ascoltando soltanto la loro coscienza e senza alcun riguardo per eventuali raccomandazioni.
Presto cominciano però a manifestarsi problemi per la podestaria loverese, per la quale nessuno vuole essere sorteggiato. Per la verità, alcune difficoltà a trovare candidati per Lovere si erano manifestate da tempo, come si può arguire dai dati alla Tabella 2. Essa mostra che già nel periodo 1530-1549 il numero di podestà scusati o rinunciatari per quella podestaria era stato piuttosto alto, anche se non particolarmente più elevato rispetto ad altri uffici come, per esempio, quelli di Zogno e di Serina. A partire dal 1550, invece, come mostra la Tabella 3, il ricambio di giusdicenti a Lovere cresce fino ad assumere connotazionia. Vi sarà occasione di ritornare nel seguito sulle cause di questo fenomeno.

Tabella 3. Numero di giusdicenti eletti, scusati, rinunciatari e defunti nel periodo 1550-1599.
I II III IV
Eletti Scusati Rinunciatari Morti
Podestaria di Scalve 58 1 5 4
Podestaria di Lovere 110 49 14 2
Podestaria di Urgnano e Cologno 55 - 2 3
Commissariato di val san Martino 53 - 3 -
Vicariato di val Seriana inferiore 64 1 7 6
Vicariato di Gandino 53 - 4 1
Vicariato di val Brembana inferiore 52 2 - -
Vicariato di val Brembana superiore 58 3 5 -
Vicariato di Oltre la Gocchia 58 1 1 1
Vicariato di Almenno 58 1 4 4

All'inizio [8 dicembre 1552; Az. 26, 116v] il Consiglio si limita a prescrivere che chiunque venga nominato a Lovere non possa rifiutare di andarvi, sotto pena di una contumacia quinquennale, come se di fatto avesse ricoperto l'incarico; anzi, condona addirittura la pena al primo candidato che si rifiuta [Az. 25, 119v] e passa ad eleggere un sostituto. Tuttavia, come si è già estesamente riportato [SILINI, 1994], perdurando la serie dei rifiuti, il Consiglio si vede costretto a comminare pene sempre più severe.
Questioni di varia natura a riguardo della podestaria di Scalve occupano in questa fase storica un posto importante: la posizione periferica di quella valle, lo spirito d'indipendenza degli abitanti, e forse anche una loro tendenza alla rissosità appaiono essere le cause del fenomeno. Le occasioni di litigio con la città non mancavano certamente, forse venivano addirittura cercate. Un primo episodio del 1555 [Az. 26, 130r] si conclude con le dimissioni del podestà e lascia su posizioni divergenti la comunità di Scalve, che si ritiene penalizzata, ed il Consiglio bergamasco, per il quale gli scalvini sarebbero "delinquenti che non possono patir il freno della iustitia". Tra il 1556 ed il 1557 vi sono anche questioni a riguardo della giurisdizione di Clusone. E continuano le rinunce dei podestà eletti a Lovere: per frenare tale aberrante fenomeno, il 23 dicembre 1558 [Az. 27, 190v] Bergamo decide di raddoppiare la contumacia nei confronti dei rinunciatari, portandola a dieci anni. Anche val Seriana inferiore, che già aveva surrettiziamente aumentato la tariffa del suo banco giuridico nel 1544, decide un aumento del salario del giusdicente e Bergamo è costretta ad inviarvi tre cittadini per sistemare una questione, che rischiava di diventare un cattivo esempio per gli altri vicariati [7 dicembre 1559; Az. 27, 281r]. Qualche difficoltà crea anche la val Brembana inferiore, dove il vicario dà in fitto parte del banco giuridico, cosa alla quale la città è contraria [7 dicembre 1560; Az. 28, 73v]. Qualche tempo dopo, la valle, proprio per rendere la sede più appetibile, tenta di aumentare le entrate del suo giusdicente, contro il volere di Bergamo. Dopo consultazioni ed accomodamenti [12 febbraio 1570; Az. 32, 156v] i dissapori rientrano.
Sono molti i motivi del risentimento del territorio nei confronti della città che si registrano in quegli anni. Tra essi si ricordano innanzitutto le spese eccessive dei capitani in occasione delle loro periodiche ispezioni. Poi, la rabbia di Scalve che pretenderebbe un tal grado di indipendenza [Az. 30, 17r] "che né ancho per li contratti fatti in questa città, sententie e fitti si possa mandar in essa valle a far le essecutioni": de deriva una lunga lite che si conclude con un armistizio [6 giugno 1565; Az. 30, 52r]. Vi sono ancora nel 1565 questioni giurisdizionali tra Bergamo e val Seriana superiore, il cui podestà ha fatto incarcerare e processare una persona sulla quale non aveva competenza [7 maggio 1565; Az. 30, 43r], si è occupato di beni comunali, ed ha impedito pignoramenti contro certi debitori cittadini [18 maggio 1565; Az. 30, 47v]: la lite che ne nasce si trascina per alcuni mesi e termina con una ritirata del podestà di Clusone. Ma la cronica rivalità tra valli e capoluogo continua nel 1567 con questioni riguardanti il calmiere delle vettovaglie, dove è il territorio a riportare una vittoria [BALDI, Sommario Grande, 522v], mentre Bergamo si aggiudica un'altra lite in materia di sequestri nelle valli [Registro Ducali B, 46v].
A parte il caso di Lovere, negli uffici periferici continua tuttavia l'avvicendamento usuale dei giusdicenti, ma vi sono evidenti segni di un rilassamento degli ordini emanati in passato dalla città. Per esempio, molti giusdicenti si assentano senza permesso; e poiché la città ne soffre nel decoro, i rettori sono dispiaciuti e gli amministrati insoddisfatti, il Consiglio di nuovo impone sotto pena che i giusdicenti chiedano la dovuta licenza prima di allontanarsi [5 aprile 1557; Az. 31, 4v].
Dopo una serie particolarmente fitta di richieste di scuse e di rinunce tra il 1564 ed il 1570, il Consiglio bergamasco deve prendere atto che la situazione della podestaria loverese è divenuta precaria ed i provvedimenti adottati sono inefficaci a scoraggiare le rinunce. Non solo, ma essendo troppo elevato il numero dei contumaci, la città non può utilizzare molti uomini che potrebbero essere utilmente impiegati altrove. Decide quindi di passare da una politica di repressione ad una di incentivazione [15 gennaio 1570; Az. 32, 149v] e propone che coloro che accetteranno la carica non abbiano contumacia alcuna, anzi, possano essere subito eletti a qualunque altro ufficio di fuori. Ma gli eletti alla podestaria loverese (ed anche - ma in misura minore - al vicariato di val Seriana inferiore, come si può dedurre dai dati della Tabella 3.) continuano a rifiutare.
Anche la valle Seriana superiore è in difficoltà circa il salario del suo giusdicente, tanto che da tempo non si trovano rettori veneti disposti ad occupare la sede. Nel 1571, tuttavia, viene eletto in podestà Andrea Balbo e proprio al fine di reperire fondi per accrescere lo stipendio dei giusdicenti, nel 1573 Clusone supplica il Dominio di poter riscuotere le condanne criminali irrogate da quel podestà con una penale di 2 soldi per lira (il 10 per cento) a quelli che non pagassero nei termini, promettendo in quel caso di dare ai giusdicenti un salario fisso. La supplica viene inviata ai rettori per un parere il 31 luglio di quell'anno [BALDI, Sommario Grande, 556v].
Scalve continua intanto a dare molti e gravi problemi alla città, pretendendo addirittura che il podestà non pronunci sentenze criminali senza la presenza ed il consenso di una rappresentanza degli abitanti; il che, secondo Bergamo, è assolutamente contrario alla dignità dell'ufficio, all'autorità del giusdicente ed ai privilegi della città e della stessa valle. Il Consiglio di Bergamo impone che il podestà in carica ed i successori non permettano ad alcuno di intromettersi nella giustizia civile o penale [19 dicembre 1572; Az. 34, 41r]. Naturalmente, quelli di Scalve si oppongono sostenendo la nullità di alcune sentenze proprio perché pronunciate in assenza dei consoli. Si eleggono sette cittadini a difendere la causa "a fine che sia levata ogni via et modo a detti di Scalve di introdurre uno simile disordine et inconveniente" [5 febbraio 1573; Az. 34, 79r]. Ma i rapporti tra Scalve e Bergamo sono divenuti a questo punto molto tesi, ed i valligiani ricorrono ad offese plateali. Il 30 aprile 1575 [Az. 35, 130v] il podestà di valle informa il Consiglio di essere stato gravemente offeso dalla "temerità et insolentia di quelli scelerati" e l'eco della bravata giunge fino a Venezia, dove l'8 maggio 1575 viene approvata una risoluzione in Senato "contra ignominiam illatam Potestati Scalvi" [Registro Ducali B, 49v].
Con le elezioni agli uffici di fuori del 1575 per il 1576, compare nel Libro delle Azioni la prima di una lunga serie di lettere da parte di candidati che rinunciano alla podestaria di Lovere. Esse costituiscono un'interessante raccolta, già pubblicata [SILINI, 1994]. Non si tratta certamente di testi di valore letterario, ma di documenti utili per indagare le cause della crisi della podestaria loverese e le motivazioni fornite per sottrarsi alla designazione. Le lettere, in tutto di una quarantina di lettere, alcune più formali, altre semplici biglietti, compaiono fino al 1650 circa.
Continuando presumibilmente i piccoli brogli nella nomina alle cariche cittadine ed extra-urbane, e non essendo più sufficiente il giuramento di "purgarsi la coscienza" prima delle elezioni, nel dicembre 1575 [Az. 35, 234r] si propone di far celebrare ogni anno, prima delle elezioni, una messa allo Spirito Santo, supplicando la divina Maestà "che ne inspiri a far ellettioni [...] quali siano giuste e sincere e secondo il voler di sua divina bontà et a honore di questo eccelso stato et a benefitio et consolatione di tutta la città". L'interesse dei sudditi non viene menzionato, ma poco importa: la proposta passa a larghissima maggioranza, ma non consta che abbia contribuito a migliorare le cose.
Una questione che si concentra particolarmente intorno a questo periodo e che continuerà poi con intensità sempre minore fino alla seconda metà del secolo XVII riguarda i tempi d'accesso dei vari giusdicenti agli uffici. A partire dal 1557, che è l'anno in cui iniziano le richieste di cambiamento, le informazioni disponibili sono state per brevità sunteggiate nell'Allegato A. Al di là delle giustificazioni fornite - che sono, quasi invariabilmente, i minori asseriti disagi nel pagamento dei salari arretrati ai giusdicenti da parte dei sudditi che si trovano in condizioni di estrema povertà - sfuggono le motivazioni vere per cui molti luoghi del territorio desiderino proprio in questo periodo modificare le date d'ingresso. Vi è il sospetto che si tratti in larga parte di un desiderio di imitazione tra diversi vicariati, anche perché non sono rari i pentimenti e le richieste di un ritorno alle consuetudini antiche. Peraltro, le variazioni delle date di accesso si riflettevano solo marginalmente sui lavori del Consiglio, che procedeva alle nomine dei giusdicenti intorno alla fine di ogni anno.
Una supplica da val Gandino per un aumento delle competenze di quel vicario segna una svolta importante anche per le vicende future degli altri uffici del territorio [14 dicembre 1557; Az. 27, 89v]. Infatti, da quella data e fino alla fine del dominio veneto si susseguono numerosissime in tutte le sedi le richieste di aumento delle competenze dei vicari e podestà. Per brevità, le informazioni disponibili su queste materie sono state condensate nell'Allegato B, rimandando ad altra sede la descrizione delle vicende, a volte travagliatissime, che portarono con il passare degli anni al generalizzato aumento delle giudicature.
Le richieste di un incremento delle competenze dei vicari sono essenzialmente motivate da ragioni di carattere economico, cioè dall'imponente levitazione dei prezzi che, a partire da circa l'inizio del secolo XVI e per tutta la prima metà del XVII, si va manifestando in tutta Europa e che va sotto il nome di rivoluzione dei prezzi [BRAUDEL e SPOONER, 1976]. Tale fenomeno inflattivo, documentato anche a livello locale [SILINI, 1983], aveva importanti riflessi sulle funzioni giudiziarie. In primo luogo, esso produceva una diminuzione delle funzioni dei giusdicenti, che nell'ambito delle loro antiche competenze non potevano ormai giudicare che i reati minori, mentre i sudditi dovevano rivolgersi a Bergamo per giudizi che nel passato venivano decisi in loco: da qui ulteriori aggravi per i sudditi e, in un ambito più generale, uno stato di sofferenza della certezza del diritto. Secondariamente, l'inflazione portava ad uno svilimento dei salari dei giusdicenti ed alla conseguente minor attrattiva degli uffici di fuori nei confronti dei potenziali candidati. Dal punto di vista di Bergamo, al contrario, tutto quanto era tolto al territorio andava a vantaggio della città: infatti, il maggior ricorso ai tribunali cittadini si traduceva in maggiori entrate per l'economia del capoluogo e per i giusdicenti di dentro. Da qui - oltre che dal desiderio di mantenere un stretto controllo sul territorio anche per questa via - la strenua opposizione della città alle richieste dei distrettuali, opposizione inevitabilmente destinata a cedere di fronte alla ragionevolezza delle motivazioni addotte dal territorio, come dimostrato dagli aumenti delle giudicature.
A partire dal 1575, tra alcune rinunce ed alcune morti, le nomine ai vicariati di fuori procedono ad un ritmo abbastanza regolare con cadenza annuale, tranne che per Scalve e Lovere, dove restano problemi gravi: a Scalve per i soprusi e le intolleranze che, già iniziati da tempo con atti anche penalmente gravi, si trascinano, tra provvedimenti fiacchi e con fasi alterne, durante l'intero periodo; a Lovere, per l'impossibilità di trovare giusdicenti disposti ad accollarsi un ufficio di scarsa importanza e di nessuna rendita. Nel tentativo di sanare la situazione di Lovere, dove i candidati vengono regolarmente scusati dalla maggioranza del Consiglio, si propone che nessuno possa essere scusato se non con la maggioranza dei due terzi. Ma il Consiglio rifiuta di prendere questa decisione [10 febbraio 1576; Az. 35, 267v]. Un tale atteggiamento permissivo incoraggia naturalmente i rifiuti.
Una situazione analoga si sta intanto verificando anche a Clusone dove [BCBG, Salone, Loggia K 5 66, p.54; STATUTA..., 74r] la carica di podestà di valle viene esercitata in maniera molto intermittente, poiché non si trovano nobili veneti disposti ad accettarla per l'esiguità del salario. Chiede quindi la valle che i proventi delle condanne criminali possano rimanere in loco ed a queste somme e si offre di aggiungere una integrazione tale da garantire al podestà un salario di 30 ducati al mese. Il Senato veneto accetta la proposta, ferme restando le competenze criminali a 50 lire, come nei privilegi originali [BCBG, ibidem, p. 56; STATUTA..., 74r]. "Capitoli per la podestaria di val Seriana superiore" [STATUTA..., 74v] sanzionano l'accordo. Altre vicende riguardanti val Seriana superiore ricorda il BALDI [Sommario Grande, 585], successive a queste disposizioni, dalle quali si può tuttavia dedurre che le risoluzioni prese furono sul breve periodo piuttosto inefficaci.
Il 27 agosto 1576 [Az. 36, 46v] il podestà di Scalve Francesco Salvagni riferisce a Bergamo a proposito di "certis inconvenientibus occursis et que dicuntur occurrere... in iurisditione ipsa ad damnum pauperum", tanto in materie annonarie che in altri campi. Il Consiglio elegge tre saggi per studiare le posizioni giuridiche di Bergamo e della valle, al fine di rimuovere tali inconvenienti. La relazione "prudenter et elloquentissime" pronunciata in Consiglio [27 agosto 1576; Az. 36, 58r] conferma lo stato di difficoltà nel quale si ritrova quella podestaria. Ma poi il silenzio cade sulla loro azione. Soltanto dopo molti anni (5 febbraio 1573) i deputati si fanno vivi con una relazione: riferiscono di aver a tali disordini "assai sufficientemente provisto; et perché da lhora in poi ne sono seguiti altri et tutt'hora ne vanno seguendo alli quali non è men necessario al presente di fargli provisione", il Consiglio rinnova loro il mandato affinché le difficoltà passate e presenti siano rimosse [30 novembre 1576; Az. 36, 69r]. E' interessante citare a questo proposito la relazione del capitano Marc'Antonio Memmo [1576; TAGLIAFERRI et al., p. 109] il quale nel corso di un sopralluogo a Vilminore, aveva potuto verificare, ad opera di alcuni caporioni, "casi criminali occultati, smarrimento di processi ispediti con l'autorità del Eccellentissimo Senato, et li rei ripatriati, dissipati et alienati tutti li beni communali della Serenità vostra, de quali cavava quella valle ducati 600 et più all'anno d'intrada in spese sicome ho veduto per la maggior parte superflue, et mangiarie, diversi altri disordini, tra quali stimo notabili, et di gran oppression di quei poveri suditi, che vedendo l'università di quella Valle, che dopo l'alienation dei beni communali occorrendo far spese per nome del commun per causa di gravezze per servitio della Serenità Vostra o altramente, si gittavano li compartiti in alcune contrade sopra le teste, et altri sopra li fuochi, et che tanto pagava il più povero quanto il più ricco indifferentemente...". Insomma, si era instaurato nella valle un potere che oggi si definirebbe mafioso, al quale il potere civile era stato asservito, a danno delle persone più povere e ad esclusivo vantaggio dei violenti che agivano unicamente per il loro tornaconto. Nuovi passi su queste vicende sono in altre deliberazioni del Consiglio del 1577 [Az. 36, 125v e 126v].
Il 24 maggio 1584 Bergamo prende atto del problema che da tempo interessava tutti gli uffici periferici [Az. 39, 210r]. Dice la parte relativa che i salari dei giusdicenti sono oramai divenuti così scarsi che non si riesce più a trovare persone idonee che "ad honor dell'Onnipotente Dio, del serenissimo Dominio et di questa magnifica sua Città reggano le persone sottoposte". Le cause di questa situazione vengono fatte risalire in parte al fatto che i salari sono decurtati del 35% a favore della camera fiscale ed in parte per essere "cresciute di precio le robbe et vitto humano il quadruplo di quello erano al tempo che si fecero le tariffe d'essi emolumenti". In alcuni luoghi nessuno vuole accettare le nomine, in altri bisogna contentarsi di vicari "meno habili del desiderio et voluntà di questo magnifico Consilio". Gli anziani propongono quindi di nuovo di eleggere la solita commissione per studiare il fenomeno e suggerire possibili rimedi alla pochezza del numero e del valore dei candidati.
La dimostrazione che i rimedi posti in atto negli anni 1570 per sanare la situazione a Lovere fossero puramente sintomatici e inadatti a risolvere i mali alla radice si rende a poco a poco evidente. Una deliberazione del 18 dicembre 1575 [Az. 35, 221r] è infatti sufficiente a squilibrare di nuovo la situazione: il Consiglio propone, in buona sostanza, che tutti coloro che sono già stati a Caprino e Gandino possano essere eletti senza alcuna contumacia a Lovere, al fine che "quis sentit comodum sentiat etiam incomodum". Questo provvedimento, inteso ad aumentare i possibili candidati per Lovere, aveva lo svantaggio di vanificare i risultati di un'applicazione selettiva della contumacia per favorire quello rispetto ad altri uffici. Non bastano infatti ben cinque votazioni tra il dicembre 1575 ed al gennaio 1576 per trovare un candidato. Dopo un'altra proposta, rigettata, che le scuse per Lovere possano essere accettate soltanto con una maggioranza qualificata di due terzi, alla settima votazione si riesce a identificare un podestà. Successivamente, le difficoltà si vanno ulteriormente aggravando fino al 1578, ma sono seguite negli anni 1579-1582 da una inusitata serie di accettazioni, che offre ai bergamaschi l'illusione che la podestaria di Lovere abbia ormai superato il momento peggiore [SILINI, 1994].
In occasione delle elezioni dell'anno 1588, il Consiglio cittadino deve constatare che i cittadini eletti agli uffici di fuori tardano a dare comunicazione delle loro decisioni in merito all'accettazione delle cariche. Per dare ordine a questa materia, si decide che se gli eletti non rinunceranno presso la cancelleria, entro 15 giorni e per iscritto, saranno tenuti ad assumere la carica; e se rinunceranno oltre questo tempo saranno dichiarati contumaci per cinque anni, come se avessero accettato l'elezione. Dalla normativa generale viene escluso Lovere, le cui rinunce saranno portate e decise in Consiglio [11 dicembre 1588; Az. 41, 274v]. La podestaria loverese attraversa ancora momenti difficili tra il 1584 ed il 1585: per dare un'idea di quanto grottesco sia ormai divenuto il balletto delle lettere di scusa e di rinuncia, basterà segnalare che tra la fine di questi due anni (e dopo un anno di vacanza della carica) si devono tenere ben dieci elezioni prima di trovare una persona, probabilmente non molto qualificata, disposta ad accettare l'ufficio. E la situazione fino al 1590 migliora solo marginalmente. Sorprende un poco che nel 1590, dopo numerosi chiarimenti già richiesti sull'argomento della contumacia, questo problema venga ancora sollevato. Il Consiglio ribadisce che nessuno potrà essere eletto ad un certo ufficio di fuori, se non saranno prima compiuti cinque anni dalla sua scadenza dal medesimo ufficio [7 dicembre 1590; Az. 43, 3r]. Pochi giorni dopo lo scopo di questa richiesta diviene palese: cominciano ormai a scarseggiare uomini per assumere le cariche di dentro, a causa dell'eccessivo numero di rinunce a quelle di fuori, e dei conseguenti provvedimenti punitivi. Per facilitare la situazione, il Consiglio decide che la contumacia quinquennale per l'elezione ad altro ufficio, nei confronti di chi sia già stato difensore della città, o viceversa, venga ora ridotta a quattro anni [13 dicembre 1590; Az. 43, 9r].
Vi sono intanto manifestazioni di scarso impegno da parte dei giusdicenti del territorio. Il 2 ottobre 1591 il doge Pasquale Cicogna, a richiesta degli interessati, ordina al vicario di Nembro - che si rifiutava - di recarsi nei giorni prescritti a rendere giustizia agli abitanti di Albino ed Alzano che, con grave lesione dei loro diritti, vengono "tirati fuori" dalle loro giurisdizioni e citati a Nembro [BALDI, Reg. Scielto II, 265r]. In un'altra occasione, si tratta del vicario di Serina, Gerolamo Albani, il quale soggiorna a lungo a Venezia, dando occasione di lamentela ai suoi sottoposti. Attraverso il nunzio, Bergamo prima gli ricorda i suoi doveri [2 giugno 1592; Az. 43, 163v] e poi, di fronte a reiterate proteste della valle, gli ingiunge di tornare [4 luglio 1592; Az. 43, 269r].
Anche la valle Seriana superiore continua ad avere difficoltà nel reperimento di nobili veneti da candidare alla podestaria, per le solite ragioni di carattere pecuniario. Riferisce il CALVI [III, 102, derivando dal COLLEONI, p. I, l. 9, cap. 23 e dal Registro A delle ducali della Cancelleria Pretoria, f. 92] che dal 1576 non si trovano nobili veneti disposti a recarsi a Clusone. Il 20 gennaio 1593 la valle approva nuovi ordini sull'elezione dei suoi rettori, cancellieri e cavalieri [BCBG, Specola ms. 25r e BALDI, MMB 150, 189].
Nell'intento di moralizzare la procedura di elezione alle cariche di fuori, in presenza di una situazione che è chiaramente sfuggita ad ogni controllo, il 23 dicembre 1592 [Az. 44, 29r] il Consiglio di Bergamo considera due risoluzioni. La prima, per evitare che i consiglieri votino sotto giuramento in presenza di raccomandazioni da parte di persone che vogliono adire agli uffici della città, propone di sospendere ogni precedente risoluzione sul capitolo degli statuti "De non rogando aliquem..." affinché ognuno possa liberamente votare senza "scrupulo di giuramento". Per interpretare correttamente questa proposta, si deve considerare che il peccato di spergiuro era ritenuto gravissimo, e mettere qualcuno in condizione di commetterlo equivaleva a condividerne la responsabilità. La seconda risoluzione prevede invece che la prima rimanga in sospeso fino a quando le risoluzioni precedenti in questa materia possano essere esaminate. A larga maggioranza vince la prima proposta. E' evidente che in questo modo il Consiglio ratifica la mala pratica di perpetuare al suo interno le segnalazioni e raccomandazioni di tutti coloro che ambivano agli uffici. Scorrendo le Tavole Cronologiche, si noterà infatti che da questo punto in poi i nomi dei podestà e dei vicari si ripetono nelle elezioni con una sempre maggiore frequenza e regolarità.
Tra rinunce ed esoneri più sopra ripetutamente ricordati, le gravi difficoltà della podestaria di Lovere si stanno ormai ripercuotendo fuori dell'ambito locale: infatti, molti cittadini rimangono esclusi dagli uffici di Bergamo per aver rifiutato la podestaria loverese. Si propone quindi [18 dicembre 1598; Az. 47, 30r] che coloro che sono stati colpiti da esclusione per i tre anni passati vengano dispensati da ogni sanzione, in modo che possano concorrere agli altri uffici nell'avvenire. Con ogni probabilità, alcuni che si erano sottratti al servizio a Lovere avevano ora interesse di concorrere ad altre cariche. Mentre la parte viene votata, si scopre che vi sono nell'urna più voti di quelli che vi dovrebbero essere e si decide di procedere ad una nuova votazione. Essa ha luogo il 20 dicembre [Az. 47, 33r], ma prima del voto vi sono lunghe e contrastate discussioni. Il voto finale è contrario alla proposta e la parte non passa: il Consiglio si dimostra, almeno per una volta, inflessibile. Si ricomincia però con le rinunce. Il 25 gennaio 1599, sempre in occasione dello scrutinio per Lovere, sorgono questioni procedurali circa l'ammissibilità di certi candidati che non posseggono le qualità (dottori di collegio o giurisperiti) che Lovere richiedeva per il suo giusdicente. Dopo lunga discussione il Consiglio rivendica per sé ogni decisione e impone di non cancellare dalla lista da scrutinare alcun candidato. Viene eletto un dottore in legge [Az. 47, 73r]. Ma sono necessarie in questa tornata ben otto votazioni (uno dei candidati muore) per trovare un cireneo disposto ad andare alla podestaria.