a f. 15r
In capitulis et concessionibus per Christianissimam Regiam Maiestatem Franchorum civitati Bergomi primo loco indultis adsunt capitula infrascripta, videlicet,
3. Et quod omnia privilegia, statuta, prerogative, concessiones, pheuda, immunitates et regalia quomodocumque concessa civitati per quoscumque eius dominos confirmentur.
Ad tertium, confirmabuntur omnia contenta in ipso capitulo per privilegium et litteras patentes.
6. Et quod omnia bona rebellium dominorum venetorum posessa per comunitatem Bergomi seu per alios particulares remaneant pleno iure ipsis possessoribus quocumque titulo acquisita, aut aliquibus in contrarium non obstantibus.
Ad sextum concedit Regia Maiestas contenta in capitulo, dumtamen rebellio de qua in capitulo non processerit ex eo quod dicti rebelles fuerint in servitiis regiis, aut devoti Sue Maiestatis. Et quod omnes iurisdictiones, exemptiones, limitationes, privilegia, prerogative et utilitates, tam dicte comunitati quam particularibus personis qualitercumque concessa remaneant et conserventur in omnibus prout hactenus.
Ad septimum conceduntur contenta in eo ut iacent.
Martinus de Ficienis,
Locus sigilli cancellarius comunis

a f. 16r
Diario della prigionia del conte Trussardo Calepio. Si tratta di un testo difficile da trascrivere a causa delle numerose correzioni (presumibilmente autografe), soprattutto nella parte iniziale,
In nomine domini Jesu Christi et Marie matris omniumque Sanctorum.
Aciò ch'el sia noto etiam alli mei posteri, ho deliberato io conte Trusardo brevemente de notar in questo libro la mia captura et peregrinatione qual ho patito per la patria et per conservation di quella.

Primo, notum sit qualiter io fui condutto in Capella in man del castelan qual si chiamava monsignor di Cosenz, qual hera vascon et per lì fu conduto per el capitano de giustitia de Milano con circa fanti 50 et lì fu condutto adì 22 marzo 1512 dove gli erano altri citadini da Bergomo nel ditto loco numero circa 20 et stetti in dita Capella fin a 7 del mese de zungo del suprascripto anno, che furno giorni 78, computato il giorno dela retention et el zorno de la partita mia.

Secundo, fui conduto a Trezo nelle man del baron de Berna adì 7 preditto, e questo per comission del general de Normandia et me compagnava 50 homini d'arme et 300, fanti et steti nel castel da Trezo fin adì 11 zugno anno supradicto; et io doveva esser condutto dal general de Normandia in Milano, qual credo me voleva mandar ali confinii de Franza.

Terzo, intendendo el suprascritto baron ch'el campo del Roy di Franza qual era a Pontevigo di bressana era mezo roto et ch'el bisognava abandonar la Italia, come fezeno, deliberò de farme prison me conte Trusardo et domino Galeazo Columbo. Et così siando venuti 50 arcieri per levar il ditto baron per condurlo nel campo regio, luy non volendose partire da Trezo me fece noy suprascripti presoni in quello medemo giorno condur da li suprascripti arcieri in man de uno suo fratello bastardo el qual governava la compagnia che era / 16v / in Pavia et il zorno sequente che fu adì12 zugno arivò el suprascripto campo del Roy in Pavia, qual pareva volesse far testa contra il campo venitiano et contra sguizeri. Nondimeno el campo regio adì 18 del suprascripto mese et anno si partì da Pavia et andò ali monti et passò li monti et andò in Franza et Bergogna et in altri lochi subditi alo Roy de Franza.

Quarto, vedendo el baron suprascritto e el bastardo suo fratello che gli sariamo stati tolti dalle mani in Pavia, me fece levar cum X arcieri di Pavia adì 15 zugno et adì 16 arivassemo in Ast et poy fussemo condutti a Saluzi, idest, in uno castello chiamato Ravali et lì stessemo sin adì 25 zugno 1512.

Quinto, adì 25 suprascripto fussemo levati da li suprascritti arcieri da Ravali et fussemo condutti a Canal et adì 27 passassemo li monti in uno luocho qual si chiama el Colle del Agnello, dove trovassemo la neve alta più de doy cavezi. Et adì 28 andassemo a Gilesta et adì 29 a Imbru, città del Delphinato, dove stessimo 5 giorni per aspetar le zente d'arme franzese, qual passasse ditto luocho de Imbru, maxime le zente del suprascritto baron, et così ditta zente passò.

Sesto, adì 4 luyo anno suprascritto se metessemo ne la compagnia del suprascritto baron et fussemo condutti a Granobel, et adì 13 rivassemo a Lion; et in questi X giorni sempre allozassemo a spese de li vilani et quasi sempre dormessemo sula palia.

Settimo, adì 15 luyo suprascritto fussemo desegnati ne le man de uno homo d'arme et de trey arceri, quali me levorno da / 17r / Lion et me condusseno in Vasconia et in Baren. Et il primo zorno andassemo ad uno luocho chiamato Ponte et poy andassemo a una cità chiamata Sflores, poy a Aygia cialda et a Rodes cità et a Tolosa cità et passassemo per Lion et Lionessa, Soverina et Lingua Docha et Unstemia et Bagar, dove gera una cità chiamata Tarba et poy arrivassemo in Baren nel locho del suprascritto baron, chiamato Ogetouin et arivassemo adì 27 luyo.

Ottavo, stessemo in ditto locho de Ogetouin fin adì 17 septembrio et poy fussemo levati de lì et condutti in uno altro locho del suprascritto baron chiamato Adriadest, dove stessemo solum 6 giorni et poy fussemo adì 23 suprascritto retornati a Ogetouin et fussemo levati dal ditto locho per li spagnoli quali haveva pigliato tutto il reamo del Re de Navara. Et erano ditti spagnoli in uno locho chiamato san Johan da Porto, vicino al locho dove noy eremo ad una giornata. Et dubitando quelli ne haveva in custodia che gli spagnoli non venisseno lì torno delle man sue me condusseno nel ditto locho de Adriadest.

Nono, noy stessemo in ditto locho de Ogetouin zorni 108 cum custodia grande, et sempre alla guarda nostra gli erano 3 o 4 personi et el patron, qual si chiamava monsignor Beltram, fratello del suprascritto baron, qual era senascalcho del Re de Navara. Et la sua donna me faceva tractar asay bene circa il vivere, ma non havevamo libertà de andar in alchun luocho. Et il detto senascalcho stette quasi sempre in campo contra spagnoli, et quando noy se partissemo luy era a Pampaluna contra spagnoli et me fece relaxar per littere de lo Roy de Franza, quali se drizaveno al preditto senascalcho.

Decimo, siando noy ne le mani de li preditti, fu notificado tal retention / 17v / nostra al ill.mo signor Jo. Jacomo Treultio, qual era marescalcho de Franza, al qual sta la cognition de li presoneri, se sono veri presoneri aut se sono illigitimanente retenuti; et così per lo fore del preditto signor Jo. Jacomo fece far uno mandato per parte del preditto signor Gio. Jacomo, qual se drizava al bastardo del baron suprascritto, che noy presoneri fussemo consignati alla corte del Roy, però che voleva intender se noy eremo veri presoneri o no. Et el bastardo non volse obedire et ne fu fatto uno altro penale, qual similmente non volse obedire. Et vedendo questo lo preditto signor Jo. Jacomo, luy parlò allo Roy, digando che non era obedito et gli recitò il caso nostro. Et lo Roy subito fece fare uno comandamento al preditto bastardo, sotto pena de rebilion ne avesse consignato alla corte, et voleva che non mancho fusse obedito il signor Gio. Jacomo, quanto la sua persona. Et el bastardo subito si partì da Borgogna dove era allozato et andò dal Roy a Bles, qual se volse esscusar, digando luy non saper dove fussemo, el lo Roy rispose che faria ben che saressemo retrovati. Et vedendo lo Roy acorazato manifestò dove noy eremo, et lo Roy comise una littera directiva al senescalcho che me volesse far relaxare, et fu comesso a uno cavalar regio che portasse la littera et me acompagnasse a Bles et poy nella compagnia del signor Gio. Jacomo. Et fu disputato il caso nostro a Bles nel Conseio Regio / 18r / et fu determinato noy non esser presoni del suprascritto baron ma noy esser presoni de giustitia et volseno information delle persone nostre dal general de Normandia et etiam da monsignor Lio, qual era senator a Milan, el qual fece li processi de poy che questa cità fu presa per vinitiani et poi retornata sotto lo Roy de Franza. Et così lo cavalaro vene et andò nel campo del Roy de Navara, qual era a Pampaluna; et era cum luy domino Lavazolo Colombo et pre Fedregino de Malzani da Taiù et me veneno poy a retrovar adì 11 novembrio 1512 et el cavalaro stette 13 giorni avanti potesse haver la resolutione a Pampaluna del suprascritto sesescalcho.

Undecimo, è da saper qualiter siando noy relaxati se partissimo de Ogetin adì 12 novembrio 1512 et venessemo verso Bles et lo cavalaro regio haveva comission de condurmi alla corte et poy nella compagnia del signor Jo. Jacomo. Et così el primo zorno adì 12 novembrio venissimo a uno luocho chiamato Sancto Silvestro, adì 13 venissemo a Monte Marza, adì 14 alla Garona et lì passassemo una fiumara grossa chiamata pur la Garona, et adì 15 passassemo doy altre fiumare grosissime, una chiamata la Garunda, l'altra la Dordonia et retrovassemo uno luogho chiamato Sancto Machari. Adì 15 arivassemo ad uno luocho / 18v / chiamato Similio, adì 17 a Castelnovo, et adì 19 a Sensibardo, adì 20 a Villa Fare, et adì 21 a una cità chiamata Pontic, qual è cità fortissima, adì 22 a uno locho chiamato Loges, dove è uno castello fortissimo, dove era in ditto castello el signor Bartholomeo del Viano in preson, et adì 23 a Bles; et lì stessemo quello giorno et il giorno seguente.

Duodecimo, siando gionti a Bles, vene a retrovarme uno falconer de lo Roy chiamato Francesco Antonio; poy retrovassemo Roberteto, qual me recitò la sententia fatta per la Mayestà del Roy quando noy fussemo liberati de la captura facta per il baron, et che noy dovessemo andar in Borgogna a star ne la compagnia del signor Jo. Jacomo Triultio fin saria altro determinato et vesitassemo el signor Theodoro Triultio.

Terzodecimo, et così adì 24 se partissemo da Bles et venissemo quello giorno ad uno loco chiamato la Fontana, adì 26 a una cità chiamata Borges, et adì 28 a uno loco chiamato il Molin, qual loco è molto importante, et adì 29 a uno loco chiamato ... in Borgogna, dove era parte de la compagnia del signor Jo. Jacomo et lì stessemo fin adì 29 decembrio et sempre me acompagnò il cavalaro regio, qual me consignò ne li mani del capitano Giovan Maria Laner, qual era locotenente del signor Camillo, fiolo del signor Jo. Jacomo et lì me tenne fin al detto giorno, zoè adì 29 decembre, non obstante che noy non fussemo nì prigioni, / 19r / non di meno,non mi lassava partire da luy nè etiam dalla compagnia et non potessemo may partirse da luy, fin tanto non fussemo licentiati dal signor Jo. Jacomo, prout infra.

Quartodecimo, adì 29 decembrio del suprascritto anno si partissemo da ... cum parte de la compagnia del ill.mo signor Jo. Jacomo, cavalcando sempre cum loro et allozando a spese de vilani dove cavalcassemo per il paese de Lion et passassemo per uno loco chiamato Condira el Rodano, et poy arivassemo nel Delphinato, dove trovassemo una cità chiamata Valenza et una altra chiamata Viena, et adì 6 zinaro fussemo in uno loco dimandato Sancto Donato et poy passassemo per il paiese della Provenza, dove trovassemo uno locho chiamato Niores, nel qual loco se fa grandissima quantità de oyo, et poy adì 17 zinaro arivassemo a una cità del Delphinato chiamata Gab, dove retrovassemo el signor Camillo fiolo del signor Jo. Jacomo cum el resto della compagnia, et in ditta cità stessemo comenzando adì 17 zinaro suprascritto 1513 fin adì 12 april 1513; nè gli era che me podesse dar licentia et il signor Jo. Jacomo sempre stete ne gli sguizeri fin tanto noy essemo in ditto loco de Gab.

Quintodecimo, ritornato che fu lo signor Jo. Jacomo da sguizeri, che fu nel principio del mese de aprile, mandassemo a pregar Sua Signoria che me volesse lassar venir a casa. Qual vedendo noy esser alhora subditi de li signori venitiani, et siando fatta confederation tra lo Christianissimo Roy de Franza et signori venitiani, me dette licentia / 19v / de vegnir a casa. Et così adì 12 se partissemo del suprascrito loco de Gab et venissemo a Imbru, et adì 13 venissemo a Brocenzo et adì 14 arivassemo a Orso et lì visitassemo lo signor Gio. Jacomo et cenassemo cum luy. Et poy il giorno sequente pigliassemo licentia et venissemo a Susa, dove retrovassemo monsignor vescovo da Ast et el conte Hieronimo suo fratello, nepotti del soprascritto signor, et adì 16 arivassemo a Turì, dove demorassemo per uno giorno e mezo per veder se potevemo passar per il ducato de Milano senza molestie. Et così adì 17 andassemo a Trì, loco del marchese de Monferà, et adì 18 a Vignone, et adì 19 a Milano et la sera a Naver (?).

Sestodecimo, et adì 20 Deo dante zonzessemo incolumes ad patriam, qual la retrovassemo subdita de li signori venetiani; et gli era per proveditor domino Bartholomeo da Mosto, et così succintamente ho recitato la mia captura e il viazo mio et in omnibus laudetur Deus.

La causa de la mia retentione fu che quando veneno li vilani de bergamascha a tuor Bergomo a nome di signori vinitiani, el zeneral de Normandia teneva ch'el fusse fatto tractato / 20r / in Bergomo et io fusse lo principale del trattato et che io havesse hauto inteligentia cum il magnifico miser Andrea Gritti, proveditor del campo de li signori vinitiani, et che io haveva mandato Ottaviano di conti da Calepio dal preditto magnifico miser Andrea, et che io havendo fatto certe parole al populo de Bergomo et dissi che Francesi erano tiranni, et che io haveva fatto render Martinengo et Ruman a venetiani et che io haveva fatto fanti in Bergomo a nome de li signori vinitiani et me de aliis multis increpabant, que omnia Deo benigno et fautore è vanver... Et sic honor, persona et facultas salve remanser, et in omnibus laudetur Deus.

"Die lunæ 5 aprilis dimissi sunt ex Capella d.ni Leonardus Cumendunus, Johannes Albanus, comes Andreas Callepius, Nicolaus Bongus, Aluisius Passus, Augustinus Albanus, Franciscus de Ciserano, Baptista Zoncha, Venturinus Moronus; ex Citadella Suardus Coleonus" [BER].

Una lettera da Bergamo del Lippomanno in data 12 ottobre riferisce di un messo mandato in Francia per liberare dietro riscatto il conte Trussardo Calepio, ma senza fortuna [SAN].

Dice il Sanudo al 10 dicembre: "E' da saper, eri vene per via di Bergamo, drizata in campo, una poliza di man di missier Zuan Jacomo Triulzi, drizata a la Signoria, data a dì ... a ... portata per uno homo dil conte Trusardo da Calepio, è in prexon in Franza. Qual scrive, aver auto i messi di la Signoria e le letere drizate a sier Andrea Griti procurator, el qual è a la corte a Bles, in caxa di Rubertel, in libertà. Scrive aver 700 lanze, e altre particularità ut in ea. La qual poliza et letera fo leta con li Cai di X, et licet fusse drezata a la Signoria, per esser materia ancora non venuta in Pregadi, fo tirà nel Consejo di X. E leta questa letera, quelli di Colegio fonno molto aliegri; è stà spazà per 4 vie in Franza; si aspeta la risposta".

a f. 21r
Il Provveditore Paolo Capello conferma i privilegi alla famiglia Calepio. Dal campo presso Pavia, 28 giugno 1512.
"Nos Paulus Capellus eques provisor generalis exercitus ill.mi Dominii Venetiarum etc.
Havendone presentà el mag.co conte Andrea de Callepio, fratello del conte Trusardo, el privilegio et concession alias facta per la ill.ma Signoria a la casa sua de val Callepio et pertinentie in remuneration de le fidelissime operation de dicta casa a benefitio de la ill.ma Signoria nostra, ne ha pregato cum instantia li volessimo far la confirmation de dicti privilegio et concessione, attesa la mutation di le cosse per la perdita de Bergamo et hora recuperation, adciò potesse iuxta el solito havere la podestà et dominio de la suprascripta valle et pertinentie et havere le intrate et altre sue utilità, come per dicto privilegio appar. Nui che sapiamo la famiglia prefata esser sempre stà carissima a la ill.ma Signoria, tenore presentium omnibus dicimus haver confirmato in omnibus el prefato suo privilegio et concession, comandando efficacissime a qualunque a chi specta che visis presentibus, sotto pena de rebellion et altre servitù al arbitrio nostro, debbino immediate obedir a quanto li fu concesso per dicta ill.ma Signoria per el soprascritto privilegio et patente, lassandolo percepir li fructi et altre sue utilità al beneplacito de dicta ill.ma Signoria. In quorum fidem, etc.
Ex felicissimis castris nostris apud Papiam, die 28 iunii 1512".
Locus sigilli

Biblioteca Civica Angelo Mai, Archivio Calepio C 18, b a f. 21r
Il Provveditore Paolo Capello conferma i privilegi alla famiglia Calepio. Dal campo presso Pavia, 28 giugno 1512.
"Nos Paulus Capellus eques provisor generalis exercitus ill.mi Dominii Venetiarum etc.
Havendome presentà el mag.co conte de Calepio, fratello del conte Trusardo, el privilegio et concession alias facta per la ill.ma Signoria a la casa sua de val Callepio et pertinentie in renumeration de le fidelissime operation de dicta casa a beneficio de la ill.ma Signoria nostra, ne ha pregato cum instantia li volessimo far la confirmation de dicti privilegii et concession la di le cosse per la de Bergamo et bona recuperation, adciò potesse iuxta el solito havere la podestà et dominio de la suprascripta valle et pertinentie et havere le intrate et altre sue utilità, come per dicto privilegio appar. Nui che sapiamo la famiglia prefata esser sempre stà carissima a la ill.ma Signoria, tenore presentium dicimus haver confirmato in omnibus el prefato suo privilegio et concession, comandando efficacissime a qualunque a chi specta che visis presentibus, sotto pena de rebellion et altre al arbitrio nostro debbino immediate obedire a quanto li fi concesso per dicta ill.ma Signoria per el soprascritto privilegio et patente, instandolo precipue li fructi et altre sue utilità ad beneplacito de dicta ill.ma Signoria. In quorum fidem, etc.
Ex felicissimis castris nostris apud Papiam, die 28 iunii 1512.

Calepio Trussardo. Interrogatorio avvenuto nella Cappella di Bergamo il 29 marzo 1512. Documento conservato in copia nella Biblioteca Civica Angelo Mai, collocazione Archivio Calepio, C. 15, fascicolo g, alla fine, come quinterno separato numerato ff V-XIV.
In un fascicolo delle carte del Mazzi si riferisce che nell’Archivio Calepio, collocazione Lambda.I.1sopra vi era un fascicolo segnato con il n. 24 contenente una “suplica de’ signori conti Bartolomeo, Antonio q. figlioli del conte Carlo Calepio q. Bettino”. Il Mazzi fornisce una trascrizione approssimativa ed incompleta del documento, in una grafia abbastanza difficile. Il documento è stato ricercato e si trova attualmente nell’Archivio Calepio, collocazione C.15, fascicolo g, alla fine del detto fascicolo, come un quinterno separato, numerato ff. V-XIV. Il documento, in corsivo notarile cinquecentesco, rappresenta la minuta dell’interrogatorio che il conte Trussardo Calepio subì in data 29 marzo 1512, quando egli stava prigioniero nella Cappella di Bergamo. Ecco la trascrizione del documento.

/ Vr / Exemplum     Die 20 marcii 1512
Constitutus dominus comes Trusardus, etc.
Interrogatus si scit causam sue detentionis.
Respondit quod not.
Interrogatus qui fuerunt illi qui tractaverunt de dando civitatem Bergomi agentibus nomine Venetorum, et cum quibus hec fuerunt comunicata, quibus locis, quibus presentibus, et qui prestiterunt operam, auxilium et favorem.
Respondit nihil scire de predictis, salvo intelexit a Cagnolo, Troylo et fratribus et nonnullis de Rotha quorum nomina non habet nota, prout notorium est, quod ipsi dederunt hanc urbem Bergomi in potestate Venetorum.
Interrogatus qui fuerunt illi qui ante rebelionem exiverunt urbem et suburbia Bergomi tendentes versus rebelles regios et agentes nomine Venetorum causa dandi civitatem ipsis et causa convocandi rusticos et valerianos pro tali rebelione excitanda, quo loco facta fuit talis convocatio, et quibus presentibus, et qui erant capita.
Respondit nihil aliud scire, salvo de illis de Lupis, prout notorium est, et de magistro Guidone de Medicis chirurgo, qui exivit urbem dicta de causa.
Interrogatus qui temptaverunt ne aque Serii defluerent ad civitatem, ne molendina carerent et solitum urbi prestarent adiumentum.
Respondit quod cum die quarta februarii proxime preteriti relatum esset Cagnolum impedire dictum cursum aquarum, / Vv / ipse constitutus una cum Locumtenente et Pretore ac aliis Deputatis transmiserunt unum servitorem de Agazis, cuius nomen ignorat, ad consules locorum circumvicinorum ad dictam aquam. Et dum intereundum invenisset dictum Cagnolum, fuit ipse servitor verberatus et iussit ipsi servitori ut debeat redire ad urbem et significare qualiter erat ibi nomine Venetorum accepturum urbem Bergomi. Et credit quod hoc fuerit significatum ill.mo d.no Iohanni Iacobo Triulzio et ill.mo d.no Antonio Palavicino, per Pretorem et Locumtenentem Gubernatoris.
Interrogatus qui fuerunt illi qui ante comissam rebelionem clamaverunt Marco Marco, et que campane fuerunt pulsate et per quos.
Respondit quod nihil scit de predictis, immo quod credit nullas campanas fuisse pulsatas.
Interrogatus qui invaserunt urbem Bergomi et illam per vim acceperunt causa committendi rebelionem.
Respondit quod fuerunt illi quos superius nominavit, cum auxilio hominum fere omnium Vallium, que singule habebant suum caput, prout postea ipse constitutus intellexit ac etiam vidit hora tertiarum diei sexti februarii.
Interrogatus et noviter quod nominet capita dictarum Vallium, exprimendo etiam nomina Vallium.
Respondit quod pro valle Seriana superiori aderant tria capita, unus qui vocabatur Petronus de Ardexie, Petrus et Mondinus de Parre fratres, et poterant etiam esse alia capita ipsius Vallis, quod ipse nescit. / VIr / De Valle Gandini quidam qui vocabatur Tognallus de Cazano. De Valle Callepii quidam Gabriel et eius frater, filii Cleantis, quemdam Prestinum de Prestinis ac multos alios vultu cognovit quos nescit nominare per nomina et cognomina. Et de omnibus aliis Vallibus ignorat capita et singulares personas que interfuerint dicte rebelioni.
Interrogatus qui prestiterunt auxilium et favorem ipsis intrantibus, adiuvando etiam cum salissent manibus, quibus in locis et quomodo.
Respondit nihil scire nec intellexisse, nisi proutsupra dixit.
Interrogatus a qua parte huius urbis intraverunt, et an per portas, et quis evulsit seras portarum; an per fractionem murorum, an mediantibus scalis, et qui dederunt scalas.
Respondit quod notorium est ipsos rusticos intrasse per portan Sancte Catarine, Sancti Antonii, Sancti Laurentii, et postea per portas civitatis, videlicet per portam Pictam et per portam Sancti Iacobi. Et quod audivit a Paulo de Aquate habitante prope et intra portam Pictam quod ipsemet evulsit seras porte Picte ; et similiter etiam a fratre de la Zambona proseneta et habitante prope et intus portam Sancti Antonii quod ipse evulsit seras ipsius porte Sancti Antonii. Et hoc audivit a supradictis per duos vel tres dies post ingressum ipsorum rusticorum, multis presentibus de quibus non recordatur. Et quod audivit, sed a quibus non recordatur, quod magister Guido de Medicis chirurgicus evulsit seras porte Sancti Laurentii; de / VIv / scalis autem nihil scire; de fractione autem murorum audivit, sed a quibus non recordatur, quod fuit quidam cementarius qui habitat ad portam Sancte Catarine extra, cuius nomen ignorat qui dicitur fregisse muros prope dictam portam.
Interrogatus qui tempore ingressus seu invasionis clamaverunt Marco, Marco, et ubi, et qui extulerunt et demonstraverunt vexilla seu insignia Venetorum.
Respondit nihil scire quia erat eo tempore in domo et solum audiebat voces Marco, Marco, sed qui essent nescit; subjungens quod eadem die post ipsum ingressum de die vidit illos de Lupis et Cagnolum habentes unum pulchrum vexillum Venetorum, sed a quibus defereretur nescit.
Interrogatus si scit vel vidit aliquos de urbe Bergomi qui sequerentur ipsum vexillum.
Respondit quod non recordatur de aliquibus de civitate neque de districtu qui sequerentur vexillum ipsum.
Interrogatus qui tempore dicte invasionis se presentaverunt ad vias, plateas et alia loca civitatis et suburbiorum clamando Marco, Marco et adiuvando Venetos.
Respondit quod illa die invasionis, circa horam tertiarum, dum esset in domo audivit dici quod rustici depopulabant domos et tunc dum fuisset vocatus a domino Luca de Brembate, domino Leonardo Comenduno et domino Alexandro de Tercio doctoribus, et a quamplurimis aliis civibus ut exiret domum et veniret in plateam ad providendum ne rustici depredarent civitatem, et tunc dictus constitutus, / VIIr / una cum superius nominatis et fere omnibus civibus, se contulerunt in ecclesiam Sancti Micaellis, providendo de victu necessario ne ipsi rustici depredarent domos; et aliud nescit.
Interrogatus qui tunc dederunt consilium et favorem Venetis, proiciendo etiam lapides ex eorum fenestris et alia versus et contra stipendiarios regios ut eos expellerent.
Respondit nihil scire.
Interrogatus qui rebelles regios receperunt in eorum domibus et quomodo.
Respondit quod dictus Troylus fuit hospitatus in domo sua, dictus vero Cagnolus a quo fuerit receptus et hospitatus nescit. Et credit quod fuerit primo hospitatus in domo domini Petri de Suardis, deinde ubi fuerit hospitatus ignorat; bene dicit quod dictus Cagnolus praticavit comedendo et bibendo in domibus Johannis et Mazoli fratrum de Suardis, et in domo domini Petri et Marci Antonii fratrum de Grumello, et in domo domini Georgii de Benaliis et in quampluribus aliis domibus de quibus non recordatur. Sed bene scit quod non fuit nec praticavit in domo ipsius constituti.
Interrogatus qui fuerunt illi qui hostiatim se contulerunt et auxilium dederunt ad derobandum et depopulandum domos civium et aliorum in civitate et extra, quibus in locis, et quid acceptum et derobatum fuit, et maxime ex pallatio Pretoris et aliorum officialium.
Respondit se nescire de aliqua domo civium que fuerit depopulata et derobata, bene vidit a rusticis fere omnibus depopulari palatium et domum domini Pretoris ac locum Consilii / VIIv / civitatis. Et ipse constitutus dixit tunc dictis rusticis quod nollent ista facere, qui responderunt, et maxime Mondinus et Petrus de Parre dixerunt adversus ipsum constitutum, quod bene habebamus pecunias pro dando Vasconibus stipendiatis regiis, et pro dando militibus Venetis non habebamus, comminando versus ipsum constitutum; nec aliud scit, salvo etiam quod notorium est civitaculam a rusticis fuisse depopulatam.
Interrogatus qui canzelaverunt eruerunt et destruxerunt insignia regia, picta et lapidea.
Respondit quod nihil scit nec intellexit.
Interrogatus qui abstulerunt insignia apri regii et vipere et in obrobrium traxerunt per urbem, ubi receptum et per quos et inde superpositum vexillum Venetorum.
Respondit quod nihil aliud scit, salvo quod post ingressum Venetorum fere omni die vidit dictum aprum cum corona ad fenestram existentem in domo Alexandri de Comenduno et vexillum Venetorum super eo impositum fuisse.
Interrogatus qui tunc convocaverunt Consilium civitatis et ordines fecerunt et novem cives deputaverunt, quibus presentibus, quo in loco et ad quem finem, et quid fecerunt et an scriptura facta fuerit et ubi sit.
Respondit quod fuit convocata fere tota civitas per servitores ad simillia deputatos, sed cuius mandato nescit, in ecclesia Sancte Marie. Et ibi Troylus Lupus et Cagnolus deputaverunt novem cives qui haberent circa occurrentia providendo pro civitate. Sed an de hoc facta fuerit scriptura nescit; bene scit quod ibi erant ipse consitutus, dominus Lucas de Brembate, dominus Franciscus de Albano et proutsupra fere omnes cives. / VIIIr /
Interrogatus qui iverunt Brixiam aut Venetias et ad quem finem, et quis misit, cum quibus comunicaverunt eorum aditum ad dictam civitatem, et ad quid faciendum, et cum quibus, et quando reversi sunt et quid dixerunt et detulerunt.
Respondit quod dominus Franciscus de Albano et dominus Galeaz Columbus iverunt Brixiam et, ut sibi constituto dixit dictus dominus Franciscus de Albano, quod idem ivit Brixiam quia fuit vocatus a domino Andrea Gritti; qua vero de causa iverit dominus Galeaz dicit nescire. Bene scit quod predicti duo non iverunt missi per civitatem nec per novem Deputatos; subiungens quod etiam in societate predictorum accessit Brixiam Franciscus Belafinus ad dominum Andream Gritti, sed an fuit missus a civitate vel ne ignorat. Bene audivit dici ab ipsis novem quod ad dominum Andream Gritti miserunt Pezolum Simonem de Zanchis, sed qua de causa ignorat; qui Pezolus Simon bis fuit transmissus, sed qua de causa nescit; et ultima vice remansit captus et, ut dicitur, detinetur in castro Cremone. Et tandem predicti superius nominati retulerunt dictis novem et pluribus aliis civitatis in quorum societate dictus constitutus erat, quod nomine dicti Andree Gritti deberent ipsi cives sumptibus suis facere tercentum pedites pro defensione civitatis; quod vero aliud dixerunt nescit.
Interrogatus an ipse constitutus ante vel post dictam revolutionem miserit aliquem ad dominum Andream Gritti, et quos misit et ad quid faciendum.
Respomdit quod neminem misit, immo ellectus orator ad dictum dominum Andream a dictis novem Deputatis, recusavit accedere. / VIIIv /
Interrogatus in specie si miserit ad dictum dominum Andream Gritti Octavianum de comitibus de Callepio, et ad quid faciendum.
Respomdit quod non.
Interrogatus si scit quod dictus Octavianus iverit Brixiam ad dictum Grittum et per quos fuerit missus et qua de causa.
Respondit se tantum scire quod dictus Octavianus post invasionem factam de Brixia et Bergamo ivit ad dictum dominum Andream Gritti, sed a quibus fuit missus nec qua de causa ignorat.
Interrogatus qualiter scit quod dictus Octavianus iverit, et an dictus Octavianus cum eo communicaverit dictum accessum, et que verba inter eos fuerunt habita de ipso accessu.
Respondit quod ante accessum ad ipsam urbem Brixie et ad dictum dominum Andream Gritti per dictum Octavianum, et per mensem ante, ipsum Octavianum non vidit nec allocutus est; bene verum est quod per sex dies post captum Bergomum venit dictus Octavianus ad dictum constitutum et sibi nuntiavit qualiter ipse Octavianus iverat Brixiam ad visitandum dominum Andream Gritti, sed propter impedimenta ipsius domini Andree Gritti non potuit multa verba habere cum eo, ut ipse Octavianus eidem constituto dixit.
Interrogatus quod dicat et exprimat que sunt illa verba que dictus Octavianus habuit cum predicto domino Andrea Gritti.
Respondit quod dictus Octavianus ipsi constituto tunc dixit hec vel similia verba, in effectu quod nuntiaverat domino Andree Gritti qualiter civitas et districtus Bergomi erant bene dispositi in beneficium status Venetorum; et insuper dictus Octavianus salutavit ipsum constitutum nomine Alexandri Capelli secretarii prefati Andree; nec aliud dixit sibi constituto quod recordetur.
Interrogatus si dictus Octavianus sibi constituto tunc dixit de cuius mandato et ad quem finem accesserat ad dominum Andream Gritti. / IXr /
Respondit quod aliud sibi non dixit, nisi quod ideo iverat Brixiam tantum ad videndum et visitandum ipsum dominum Andream Gritti cum quo habebat amicitiam magnam; nec aliter fuit missus ab aliquo quod sibi constituto dixerit dictus Octavianus. Sed sponte ivit ad effectus de quibus supra, prout ipse dixit.
Interrogatus si dictus constitutus miserit aliquas litteras Brixiam vel Venetias agentibus pro Venetis, ante vel post revolutionem Bergomi.
Respondit quod ante revolutionem nullas litteras misit ad dictam civitatem nec ad aliquos agentes nomine dictorum Venetorum. Bene verum est quod post revolutionem Bergomi per quatuor aut quinque dies ipse constitutus scripist duas litteras ad urbem Venetiarum, videlicet, domino Antonio Iustiniano et domino Georgio Pisano effectu quod cito intendebat ipsos visitare et quia intellexerat se a Venetiis factum fuisse rebellem, volebat illis ostendere suam innocentiam nec aliud quod contineret statum regium ipse littere continebant.
Interrogatus qui receperunt Provisores Venetos, sociarunt et cum eis intervenerunt in Consiliis et alibi et ubi factum, et quid eis donaverunt, et qui deputabant alogiamenta.
Respondit quod dominus David de Brembate recepit Andream Gritti iuvenem et Provisorem venetum; dominus Franciscus de Albano recepit Federicum Contarenum, similiter Provisorem ut supra. Et quasi tota civitas eos associabat, et precipue dominus Lucas de Brembate, dominus Franciscus Albanus, et ipse constitutus. In Consiliis autem solum consueverunt intervenire dicti novem Deputati et aliquando, vocati ab ipsis Provisoribus et dictis Deputatis, ipse constitutus et dominus Lucas et dominus Franciscus bis aut ter intervenerut in ipsis Consiliis. Sed quod aliquid ipsis provisoribus fuerit donatum per Communitatem non intellexit, nec etiam ab aliquibus civibus quorum nomina ignorat, nisi munera comestibilia. Allogiamenta autem deputabantur per dictos novem, qui etiam deputaverunt alios in burgis, videlicet, in burgo Sancti Antonii Bernardinum Mulerium et duos alios quorum nomina ignorat; / IXv / in burgo Sancti Leonardi quemdam Lavazolum Columbum et Iohannem de Ayardis, prout credit; de aliis autem burgis ipse constitutus ignorat.
Interrogatus si scit quod dicti dominus Franciscus de Albano et dominus David de Brembate hospitati fuerint dictos Provisores sponte, vel quod ita fuisset deliberatum per dictos novem vel alios aliter in Consilio.
Respondit quod Federicus Contarenus fuisset fere a tota civitate associatus et dum esset in plateis petiit agravamentum suum. Et ei fuit per plures cives et etiam per ipsum constitutum oblatum alogiamentum. Et tandem acceptavit alogiamentum domini Francisci de Albano sibi per eum oblatum. Et quod postea qualiter et quomodo hospitatus fuerit in domo domini David de Brembate dominus Andreas Gritti, similiter Provisor utsupra, ignorat.
Interrogatus qui publicaverunt privilegia Venetorum et ubi et quid tunc dictum et factum fuit contra Regiam Majestatem et in favorem Venetorum, per quos, et quibus presentibus.
Respondit quod ipsa privilegia publicavit Darius de Mapello coadiutor comunis Bergomi missus, ut credit, a Provisore vel ab uno eius secretario, qui erat presens in ecclesia Sancte Marie die octava vel nona februarii.
Interrogatus si ipse constitutus post lecturam ipsorum privilegiorum de quibus supra fecerit aliquem sermonem vel orationem civibus tunc et aliis ibi convocatis et existentibus, et quid continebat talis oratio.
Respondit quod dum Provisor Contarenus in sero precedenti habuisset litteras seu privilegia de quibus supra missa a Venetis, et tunc constitutus ipse esset presens una cum multis aliis de quibus non recordatur in domo domini Francisci de Albano, tunc Provisor dixit velle equitare, sed non dixit quo, et quod eadem die erat reversurus. Et rogavit ipsum constitutum et sibi imposuit ut vellet aliqua verba dicere populo, exortando eos quod haberent bonam fidem pro Venetis, et quod etiam hortaretur quod vellent facere pedites pro custodia civitatis, et quod deberet uti aliquibus bonis verbis / Xr / in favorem Venetorum. Et ita, publicatis dictis privilegiis per predictum Darium in dicta ecclesia, presentibus fere omnibus civibus et popularibus, et maxime domino Luca de Brembate et domino Francisco de Albano, qui erant prope ipsum constitutum et qui sibi insuflabant quod deberet dicere. Et ita ipse constitutus dixit hec verba sequentia, videlicet, “ Noy siamo obligati alla ill.ma Signoria, la quale ne ha mandato li privilegii fin qui senz’altra spesa et senza mandarli altri ambasatori; per tanto vi exorto ad esser fideli alla ill.ma Signoria et essere tuti d’uno volere e tutti uniti, perché siamo nati et allevati sotto quello illustrissimo Stato et ancora tute le vostre facultade sono fate sotto quello illustrissimo Stato, et ancora tute le nostre facultade sono fate sotto quello Stato, et che ancora el bisogna fare qualche fanti per la conservatione di questa cità, donde che el saria necessario ad trovar dinari et forsi bisognarà vendere o impegnare deli beni dela comunità, et non trovando da vendere né da impegnar diti beni, forsi sarà necessario ad meter qualche talia per far diti fanti: onde vi exorto che non voliati esser renitenti s’el se meterà qualche talia, et sopra tuto vi exorto ad esser uniti”, subiungendo quod forte dixit aliqua alia verba de quibus non recordatur.
Interrogatus si habendo dictam orationem de qua supra, dixerit hec vel similia verba, videlicet: “Voy sapeti como siamo stati tractati et de soldati et de iustitia per el passato” vel alia verba in favorem Venetorum et contra Statum Regium.
Respondit se non dixisse verba de quibus supra nec aliqua alia verba contra Regiam Majestatem, nisi verba proutsupra dixit.
Interrogatus quia supra dixit quod dicti domini Lucas et Franciscus de Albano faciendo dictam oracionem insuflabant sibi aliqua verba, quod dicat et exprimat verba sibi insuflata per eos utsupra.
Respondit quod non recordatur que verba sibi per eos fuerint dicta, cum tunc esset multum attonitus propter multitudinem populi. / Xv /
Interrogatus quia superius dixit quod dictus Provisor Contarenus dixit et iussit sibi facere dictam oracionem, si haberet instrumentum vel scripturam de ipso, et si ipsa oracio sibi fuit data in scriptis.
Respondit quod non, subiungens quod ipse in casu simili in favorem Regie Majestatis fecit similies oraciones, et maxime quando illustrissimus dominus Antonius Maria Palavicinus convocavit totam civitatem ad hoc ut prestaret iuramentum fidelitatis civitatis, ipse constitutus habuit orationem ad populum hortando ipsos quod haberent bonam fidem in favorem erga Regem. Et alia vice quando proximis diebus tractatus Brixie venit in lucem, die 29 januarii, convocato Consilio proposuit quod deberent fieri sexcentum pedites et quod omnes deberent esse fideles Regie Majestati.

Die suprascripto post prandium.
Constitutus suprascriptus comes coram prefatis dominis Delegatis, sponte sua dixit se oblitum fuisse in examine de eo hodie in mane facto quod post orationem habitam ad populum, de qua supra, dixit Francisco Belafino hec vel similia verba, videlicet: “Credo che farò un’altra oratione al populo in favore dela Regia Maestà“ quia firmiter credebat se rediturum sub Regia Majestate; et etiam dixit multis civibus, maxime domino sipioni de Suardis quod brevi tempore cives bergomenses erant facturi deditionem civitatis Regie Majestati.
Interrogatus si dictus constitutus postquam esset detentus in hac arce habuerit aliquod verbum de dictis verbis de quibus supra vel similibus per se vel suppositam personam, nutu vel aliter quovis modo.
Respondit quod non.
Interrogatus si solvit vel solvi fecit aliquam pecuniam stipendiatis Venetorum aut aliis eorum nomine agentibus.
Respondit quod ipse non solvit aliquas pecunias stipendiatis Venetis, sed quod bene verum est quod post redditum a Brixia a domino Andrea Gritti domini Francisci de Albano et domini Galeaz Columbi / XIr / et dicti Francisci Belafini, et ut putat Pezoli Simonis de Zanchis, conclusum fuit per Andream Gritti iuniorem tunc Provisorem Bergomi et per novem tunc Deputatos, presentibus etiam et audientibus ipso constituto, domino Luca de Brembate, domino Francisco de Albano et nonnullis etiam civibus, quorum ad presens non recordatur, quod, iuxta intentionem dicti Andree Gritti Generalis Provisoris, fierent tercentum pedites expensis civitatis. Et ad faciendum ipsos pedites fuerunt deputati predicti novem qui se excusaverunt non posse propter negocia quibus erant impediti quotidie circa hoc. Et tunc dictus Provisor Bergomi iussit ipsi constituto et domino Luce de Brembate et in presentia dictorum novem Deputatorum, quod deberent facere dictos pedites. Et sic ipse constitutus una cum prefato domino Luca de Brembate solvi fecit nonnullos pedites et nonnullos ex novem, absente predicto domino Luca sed presente domino Fedrico de Rivola qui erat ex ipsis novem Deputatis. Et soluti fuerunt circa centum vel centum viginti ad plus, qui habuerunt ab ipso constituto seu a Texaurario predicto testonos quatuor pro uno quoque ipsorum.
Interrogatus si a valle Callepii, iurisdictionis ipsius comitis, conduxit vel conduci fecit homines ad beneficium Venetorum, et quos; vel si scit aliquos alios conduxisse.
Respondit quod nihil scit, nisi proutsupra dixit.
Interrogatus qui erant illi qui dicebant quod bonum erat expugnare Capellam Bergomi, proponendo modum et se ad id offerentes, ubi, et quibus presentibus.
Respondit quod multi venerunt ad dictum Provisorem cum ipso presente, et offerebant expugnare Capellam, sed aliquorum nomina nescit / XIv / exprimere, salvo quod fuit unus de valle Brembana, cuius nomen ignorat, qui offerens capere arcem, ipse constitutus deridens ipsum dixit quod deberet capere Capellam. Et tunc cum relatum esset Capitaneum Capelle devastare domos circumvicinas Capelle, dictum fuit, sed per quem non recordatur, Provisori predicto bonum esse quod mitterentur aliqui pedites qui predictis obviarent, sed de ipsa expugnatione Capelle nec per quos proposita fuerit nescire, nisi utsupra dixit.
Interrogatus qui fuerunt mediatores ut fortilicium arcis traderetur agentibus nomine Venetorum; et qui tunc fideiusserunt pro capiendo et quod persone et res essent salve, et qui eos sociavit et quo. Et qui tunc fuerunt positi ad custodiam ibi, et qui habuerunt municiones ibi existentes.
Respondit quod nihil scit, nisi quod audivit quod dominus Lucas de Brembate fuit fideiussor utsupra; et quod magister Guido de Medicis fuit mediator; moniciones vero, sibi fuit relatum sed a quo nescit, pervenerunt ad manus Pezoli Simonis de Zanchis, et etiam nonnullorum filiorum domini Ieronimi de Borellis.
Interrogatus qui se absentaverunt ab urbe Bergomi, et qua de causa, et quo iverint.
Respondit intellexisse a pluribus dici quod Troylus, Girardus et Iohannes Maria fratres de Lupis, et alius etiam Iohannes Maria pariter de Lupis se absentaverunt, et similiter dictus magister Guido, Ieronimus Vitalba et quidam Bertonus de Rotha et quidam Felixius de Rotha, et forte alii de quibus ad presens non recordatur; / XIIr / qua autem de causa nescit, salvo quod habuerunt intelligentiam cum rusticis vallium qui invaserunt urbem ; quo autem iverint, intellexit quod iverunt Mantuam.
Interrogatus qui sociaverunt Provisores Venetos extra urbem tempore recessus, et quod dictum inter eos.
Respondit quod intellexit a domino Leonardo Comenduno quod ipse sociavit Provisorem Venetum tempore ultimi sui recessus usque ad portam Sancti Antonii hora quarta noctis vel circa. Et ipse Provisor tunc dixit dicto domino Leonardo: “State cum Dio”. Et similiter intellexit a domino Francisco de Albano quod ea nocte fuerat associatus dictum Provisorem, sed quousque eum associatus fuerit non intellexit, nec scit aliud de predictis de quibus fuit interrogatus, nisi proutsupra.

Deinde statim lecta sibi ad verbum dicta depositione, interrogatus si omnia predicta sint vera, et si in illis perseverat utsupra, Respondit constitutus quod sic.

Qui magnifici domini Delegati remiserunt dictum constitutum sub solita custodia animo repetendi etc. si opus fuerit etc. et prout sibi videbitur, etc.

Ego Petrus Antonius dela Salle penes magnificum dominum Iohannem Franciscum Caynum tunc regium secretarium suprascripta exempla cum originalibus fideliter auscultavi, et quia ea concordare inveni cum existentibus penes me, ideo propria manu hic me subscripsi.


TRADUZIONE ITALIANA
29 marzo 1512

Presentatosi il signor conte Trussardo, etc.
Interrogato se conosca la causa della sua detenzione.
Risponde che no.
Interrogato su chi furono coloro che trattarono la consegna della città di Bergamo agli agenti dei Veneti, e con chi queste cose furono trattate, e dove, e alla presenza di chi, e chi prestò la propria opera e diede aiuto e favore.
Risponde di non sapere nulla di tutto ciò, salvo che aveva inteso da Cagnolo e Troilo e fratelli, e da alcuni dei Rota, dei cui nomi non ha memoria, che essi stessi avevano consegnato la città di Bergamo al controllo dei Veneti, come è ben noto.
Interrogato chi furono coloro che, prima della ribellione, lasciarono la città ed i sobborghi di Bergamo per andare incontro ai ribelli del Re e tramarono a favore dei Veneti per consegnare loro la città e per convocare i contadini ed i valleriani al fine di fomentare tale ribellione; ed in quale località si svolse quella convocazione, e chi era presente, e chi erano i capi.
Risponde di non conoscere altro, eccetto i membri della famiglia Lupi, come è ben noto, ed il chirurgo Guidone de Medici, che aveva lasciato la città a questo fine.
Interrogato su chi tentò di deviare la acque del Serio dalla città affinchè i mulini si fermassero e non potessero fornire alla città il solito aiuto.
Risponde che quando lo scorso quattro febbraio divenne noto che Cagnolo ostruiva il deflusso delle acque, egli stesso insieme con il Luogotenente ed il Podestà e gli altri Deputati inviarono un servitore degli Agazi, di cui non conosce il nome, ai consoli dei luoghi circonvicini allo stesso fiume. E mentre costui andava, si imbattè nello stesso Cagnolo, il quale frustò il servitore fu frustato e gli comandò di far ritorno in città e di rendere noto che egli si trovava colà a nome dei Veneti per prendere in consegna la città di Bergamo. E l’interrogato pensa che ciò fu reso noto ai signori Giovan Giacomo Triulzi ed Antonio Pallavicino da parte del Podestà e del Luogotenente del Governatore.
Interrogato su chi furono coloro che prima che la ribellione fosse iniziata gridarono Marco Marco, e quali campane furono suonate, e da chi.
Risponde di non conoscere nulla al riguardo, ma di ritenere che non fu suonata alcuna campana.
Interrogato su chi invase la città di Bergamo e la prese con la forza, al fine di organizzare una ribellione.
Risponde che furono le persone che aveva nominato sopra, con l’aiuto degli uomini di quasi tutte le valli, ognuna della quali aveva un suo capo, come egli stesso in seguito intese e vide all’ora di terza del giorno sei febbraio.
Interrogato di elencare di nuovo i nomi dei capi delle valli, una per una.
Risponde che per la valle Seriana superiore vi erano tre capi, uno chiamato Petrono da Ardesio, nonché i fratelli Pietro e Mondino da Parre, e forse altri ancora, i cui nomi egli ignora. Per Valgandino vi era un tale chiamato Tognallo da Cazano. Per la valle Calepio un tale Gabriele e suo fratello, figli di Cleante, un certo Prestino Prestini; egli aveva riconosciuto anche molti altri, che non è tuttavia in grado di identificare per nome e cognome. Di tutte le altre valli, egli ingora chi fossero i capi e le altre persone che presero parte alla detta ribellione.
Interrogato su chi furono coloro che prestarono aiuto e favore agli assalitori, aiutandoli anche …., e dove, ed in che modo.
Risponde che nulla sa o ha inteso, se non quanto ha già detto.
Interrogato da qual parte della città siano entrati, e se siano passati per le porte e chi ruppe le serrature delle porte; oppure se ciò avvenne per l’effrazione delle mura, oppure mediante scale, e chi avesse fornito le scale.
Risponde come sia ben noto che i contadini entrarono per le porte di Santa Caterina, di Sant’Antonio, di San Lorenzo, e successivamente attraverso le porte della città, cioè la Porta Dipinta e la Porta San Giacomo. Egli aveva udito da Paolo da Aquate, che abita presso e dentro la porta Dipinta, che egli stesso aveva forzato le serrature della Porta Dipinta; ed aveva altresì inteso dal fratello della Zambona, prosseneta ed abitante presso e all’interno della porta di Sant’Antonio, che egli stesso aveva forzato la detta Porta. Tutto questo egli aveva udito dalle medesime persone sopra nominate due o tre giorni dopo l’ingresso dei contadini, alla presenza di molte persone, che non ricorda. Egli aveva anche udito, ma non ricorda da chi, che il chirurgo mastro Guidone de Medici aveva forzato la chiusura della porta di San Lorenzo; nulla sa riguardo alle scale; ha tuttavia inteso in merito alla effrazione dei muri, anche se non ricorda da chi, che sia stata opera di un muratore abitante fuori Porta Santa Caterina, e di cui non conosce il nome, di cui si dice che abbia abbattuto il muro presso la medesima Porta.
Interrogato su chi furono quelli che al tempo dell’entrata, cioè dell’invasione, gridarono Marco Marco, e dove, e chi alzò e sventolò i vessilli o le insegne dei Veneti.
Risponde che nulla sa in proposito, perché in quel momento egli stava in casa ed aveva soltanto udito vociare Marco Marco, ma non sa da chi. Aggiunge anche che il giorno stesso dopo l’entrata, di giorno, aveva veduto quelli della famiglia Lupi e lo stesso Cagnolo, i quali avevano un bel vessillo veneto, anche se non sa chi lo portava.
Interrogato se sappia o abbia visto qualcuno della città di Bergamo seguire il vessillo.
Risponde che non ricorda alcuno della città o del distretto che l’avesse seguito.
Interrogato su chi furono coloro che al momento della detta invasione scesero nelle vie e nelle piazze ed in altri luoghi della città o dei sobborghi gridando Marco Marco e dando aiuto ai Veneti.
Risponde che il giorno stesso dell’invasione, intorno all’ora di terza, mentre stava in casa, aveva sentito dire che i contadini stavano razziando le abitazioni. Fu chiamato dai signori Luca Brembati, Leonardo Comenduno ed Alessandro Terzi, dottori, e da molti altri cittadini perché uscisse da casa e venisse verso la piazza, al fine di prendere provvedimenti affinchè i contadini non spogliassero la città. Allora egli unitamente agli altri sopra nominati ed a quasi tutti i cittadini confluirono verso la chiesa di San Michele, per adottare disposizioni e trovare il cibo necessario a distogliere i contadini dallo spogliare le case. Ma non sa altro.
Interrogato chi in quell’occasione prestò aiuto e favore ai veneti, lanciando anche pietre contro gli stipendiari del Re per cacciarli.
Risponde che nulla sa di questo.
Interrogato su chi ospitò nella propria casa i ribelli del Re, e come.
Risponde che il detto Troilo fu ospite in casa sua, ma non conosce da chi Cagnolo sia stato ricevuto ed ospitato. Crede tuttavia che egli sia stato ospite del signor Pietro Suardi, ma successivamente non sa di chi. Afferma che Cagnolo frequentò, ed ebbe da mangiare e da bere nelle case dei fratelli Giovanni e Mazolo Suardi ed in casa dei fratelli Pietro e Marcantonio Grumelli e nella casa di Giorgio Benaglio, nonché in casa di molti altri che non ricorda. Sa tuttavia che costui non fu né praticò mai in casa sua.
Interrogato su chi furono coloro che andarono di casa in casa e diedero aiuto per svaligiare e depredare le abitazioni dei cittadini e di altri, fuori e dentro la città, e dove esattamente, e che cosa fu preso e razziato, e soprattutto dal palazzo del Podestà e degli altri ufficiali.
Risponde che non sa di alcuna casa di cittadini che sia stata svaligiata e derubata, ma ha certamente visto come quasi tutti i contadini abbiano depredato il palazzo e la casa del Podestà e la sede del Consiglio della città. Egli stesso in quell’occasione ammonì i contadini perché desistessero da tali atti, ma essi gli risposero - e soprattutto Mondino e Pietro da Parre - che si erano certamente trovati i denari per pagare i Guasconi delle truppe reali, ma non per le truppe venete. Egli stesso fu minacciato. E’ noto, del resto, che la Cittadella fu razziata dai contadini.
Interrogato su chi cancellò, ruppe e distrusse le insegne reali, sia dipinte che in pietra.
Risponde di non sapere né avere inteso null’altro.
Interrogato su chi asportò le insegne reali del cinghiale e del serpente e le trascinò per la città profanandole, e dove esse furono portate, e da chi, e come fu sostituito ad esse il vessillo Veneto.
Risponde che null’altro conosce, salvo che dopo l’ingresso dei Veneti quasi quotidianamente vide il detto cinghiale con la corona alla finestra della casa di Alessandro Comenduno, e che il vessillo dei Veneti fu ad esso sovrapposto Interrogato su chi in quelle circostanze convocò il Consiglio della città ed emanò ordini e deputo i nove cittadini, e chi era presente, e dove, ed a qual fine, e che cosa fu fatto, e se di questo sia stata fatta una qualche deliberazione scritta e dove essa sia conservata.
Risponde che quasi tutta la cittadinanza fu radunata ad opera dei cursori addetti alla convocazione (ma egli ignora chi abbia emanato l’ordine) nella chiesa di Santa Maria. Ivi Troilo Lupo e Cagnolo nominarono nove cittadini con l’incarico di prendere provvedimenti a favore della città. Non sa tuttavia se di questo sia stata redatta una scrittura; sa bene di essere stato egli stesso presente, con i signori Luca Brembati e Francesco Albani e quasi tutti i cittadini.
Interrogato su chi si recò a Brescia ed a Venezia, ed a qual fine, e chi li mandò, e con chi concordarono il viaggio alla città stessa, ed a fare che, e con chi; e quando ritornarono, e che cosa dissero e riportarono.
Risponde che i signori Francesco Albani e Galeazzo Colombo andarono a Brescia, e, come gli raccontò lo stesso Francesco Albani, costui partì su chiamata del signor Andrea Gritti. Ma l’interrogato dice di non sapere perché anche Galeazzo sia andato con lui. Sa bene che i due signori predetti non andarono mandati dalla città né dai nove deputati; aggiunge che insieme con loro si recò a Brescia anche Francesco Bellafino per vedere il signor Andrea Gritti, ma ignora se costui sia o no stato mandato dalla città. Ricorda di aver sentito dire dagli stessi Nove che essi avevano inviato ad Andrea Gritti Pezolo Simone Zanchi, anche se non sa perché, e che Pezolo Simone fu mandato due volte ma non conosce la ragione; e che l’ultima volta egli fu catturato e, come si dice, si trova ancora prigioniero nella fortezza di Cremona. E alla fine le persone sopra nominate raccontarono ai Nove, ed a molti altri della città con cui l’interrogato si trovava, a nome del detto Andrea Gritti che i cittadini dovessero a proprie spese reclutare trecento fanti a difesa della città; l’interrogato ignora se essi abbiano riferito altro.
Interrogato se egli stesso, prima o dopo la rivoluzione, abbia inviato qualcuno al signor Andrea Gritti, e chi, ed a quale scopo.
Risponde che egli non ha mandato nessuno, anzi, pur essendo stato eletto ambasciatore allo stesso Gritti dai suddetti nove Deputati, egli si era rifiutato di partire.
Interrogato in particolare, se abbia mandato al detto signor Andrea Gritti Ottaviano dei conti di Calepio, ed a quale scopo.
Risponde che no.
Interrogato se sappia che il detto Ottaviano sia andato a Brescia dal Gritti, e da chi sia stato mandato, e per quale ragione.
Risponde che egli sa soltanto che il detto Ottaviano, successivamente all’invasione di Brescia e di Bergamo, si è recato dal Gritti, ma da chi sia stato mandato e per quale causa egli non conosce.
Interrogato su come sappia che il detto Ottaviano è andato, e se Ottaviano lo abbia informato della sua andata, e quali parole siano intercorse tra loro a proposito di quella visita.
Risponde che per circa un mese prima della sua partenza per la città di Brescia verso lo stesso Gritti egli non aveva veduto Ottaviano né gli aveva parlato. E’ ben vero, tuttavia, che circa sei giorni dopo la presa di Bergamo Ottaviano gli aveva fatto visita e gli aveva comunicato di essere stato a Brescia per vedere il Gritti, ma che a causa di certi impegni di quest’ultimo, non aveva potuto parlargli a lungo. Questo gli aveva riferito Ottaviano.
Interrogato dica e riporti esattamente quali siano state le parole scambiate tra Ottaviano ed il signor Gritti.
Risponde che Ottaviano gli aveva riferito queste o simili parole, cioè che in effetti Ottaviano aveva annunziato al Gritti che la città ed il distretto di Bergamo erano ben disposti a favore dello stato Veneto; inoltre, Ottaviano aveva portato a lui, cioè Trussardo, i saluti di Alessandro Capello, segretario del detto Andrea. Null’altro gli aveva riferito di cui egli si ricordi.
Interrogato se Ottaviano in quell’occasione gli disse a nome di chi e per qual fine egli si era recato dal Gritti.
Risponde che null’altro gli aveva detto Ottaviano, se non che era stato a Brescia soltanto per vedere e far visita al signor Andrea Gritti, cui era legato da grande amicizia; peraltro, egli non era stato mandato da alcuno che lo stesso Ottaviano abbia riferito all’interrogato. Ma era andato di sua spontanea volontà e per le ragioni già dette.
Interrogato se egli avesse mandato una qualche lettera a Brescia o a Venezia ad agenti del dominio Veneto, prima o dopo la rivoluzione di Bergamo.
Risponde che prima della rivoluzione non aveva mandato alcuna lettera a quella città né ad altri agenti a nome degli stessi Veneti. E’ tuttavia vero che quattro o cinque giorni dopo la rivoluzione di Bergamo egli aveva inviato due lettere a Venezia, cioè al signor Antonio Giustinian ed al signor Giorgio Pisani perché egli aveva in animo di far loro presto una visita e perché aveva appreso di essere stato proclamato ribelle contro Venezia e voleva dimostrare ad essi la sua innocenza. Ma quelle lettere non contenevano nulla che potesse riguardare lo stato Regio.
Interrogato su chi avesse ricevuto i Provveditori Veneti e fosse associato ad essi e fosse intervenuto con loro nei Consigli ed altrove; e dove ciò fosse successo e che cosa avessero loro donato; e chi avesse deciso in merito agli alloggiamenti.
Risponde che il signor David Brembati aveva ricevuto Andrea Gritti il giovane ed il Provveditore veneto; il signor Francesco Albani aveva ricevuto Federico Contarini, anch’egli Provveditore; e quasi l’intera città li aveva frequentati, e in particolare i signori Luca Brembati e Francesco Albani ed egli stesso. Nei Consigli, tuttavia, intervenivano soltanto i detti Nove Deputati e talvolta, su chiamata degli stessi Provveditori e Deputati, egli stesso ed i signori Luca e Francesco, per due o tre volte erano intervenuti ai Consigli. Egli non ha inteso che ai Provveditori stessi sia stato donato alcunché dalla comunità, né da alcun cittadino di cui sappia, tranne omaggi di cibarie. Quanto agli alloggiamenti, essi venivano assegnati dai detti Nove, i quali avevano anche incaricato altre persone nei borghi: nel Borgo di sant’Antonio Bernardino Moleri e due altri, di cui non sa i nomi; nel borgo di San Leonardo furono, egli ritiene, un tale Lavazolo Colombo e Giovanni Agliardi; nulla conosce circa i restanti borghi.
Interrogato se sappia che i detti signori Francesco Albani e David Brembati abbiano ospitato i detti Provveditori spontaneamente o perché così era stato deliberato dai detti Nove o da altri in Consiglio.
Risponde che Federico Contarini aveva frequantato quasi tutta la città e mentre stava nelle piazze aveva richiesto il suo alloggiamento. E che da molto cittadini e da lui stesso gli era stato offerto l’alloggiamento. E che alla fine egli aveva ricevuto ospitalità dal signor Francesco Albani che gliela aveva offerta. Ma come e qualmente in seguito il signor Andrea Gritti, anch’egli Provveditore, sia stato ospite in casa del signor David Brembati egli non sa.
Interrogato su chi pubblicò i privilegi Veneti, e dove, e che cosa al tempo fu detto e fatto contro la Regia Maestà ed in favore dei Veneti, e come, e in presenza di chi.
Risponde che i privilegi furono pubblicati da Dario Mapello coadiutore del comune di Bergamo, mandato - così egli ritiene - dal Provveditore o da un suo segretario, che era presente nella chiesa di Santa Maria l’otto o il nove febbraio.
Interrogato se egli stesso dopo la lettura dei medesimi privilegi di cui sopra abbia pronunciato una qualche orazione o sermone ai cittadini e ad altri allora convocati e radunati, e che cosa tale orazione contenesse.
Risponde che il Provveditore Contarini, la sera precedente aveva ricevuto lettere con il privilegio in parola, inviati da Venezia. Egli stesso Trussardo era presente, insieme con molti altri che non ricorda, in casa di Francesco Albani. In quell’occasione il Provveditore disse che voleva allontanarsi a cavallo, senza dire dove, ma che sarebbe stato di ritorno il giorno stesso. E gli chiese allora e gli ordinò di dire qualche parola al popolo, esortandoli ad avere fiducia nei Veneti ed a reclutare dei fanti a guardia della città. E doveva altresì spendere qualche buona parola in favore dei Veneti. E così, dopo che il detto Dario ebbe pubblicato i privilegi nella chiesa, alla presenza di quasi tutti i cittadini e del popolo, ma soprattutto dei signori Luca Brembati e Francesco Albani che gli stavano vicino e gli suggerivano ciò che doveva dire, egli pronunciò quanto segue: “Noy siamo obligati alla ill.ma Signoria, la quale ne ha mandati li privilegii fin qui senza altra spesa et senza mandarli altri ambasatoti; per tanto vi exorto ad essere fideli alla illustrissima Signoria et essere tuti d’uno volere e tutti uniti, perché siamo nati et ellevati sotto quello illustrissimo Stato et ancora tute le nostre facultade sono fate sotto quello Stato, et che ancora el bisogna fare qualche fanti per la conservatione di questa cità, donde che el saria necessario ad trovar dinari et forsi bisognarà vendere o impegnare deli beni dela comunità, et non trovando da vendere né da impegnar diti beni, forsi sarà necessario ad meter qualche talia per far diti fanti; onde vi exorto che non voliati esser renitenti s’el se meterà qualche talia, et sopra tuto vi exorto ad esser uniti”. Aggiungendo che forse disse qualche altra parola che ora non ricorda.
Interrogato se nel corso di tale orazione egli abbia pronunciato queste o simili parole: “Voy sapeti como siamo stati tractati et de soldati et de iustitia per el passato” o altre parole in favore dei Veneti e contro lo Stato del Re.
Risponde che egli non pronunciò tali parole o altre contro la Regia Maestà, ma solo quelle riportate sopra.
Interrogato dal momento che aveva detto più sopra che i detti signori Luca e Francesco Albani gli suggerirono nel corso dell’orazione alcune parole, di dire e riportare le parole che essi gli suggerirono.
Risponde di non ricordare quali furono le parole da loro pronunciate, poiché in quel frangente era molto intimidito per il numero dei presenti.
Interrogato poiché aveva detto per l’innanzi che il Provveditore Contarini gli disse ed ordinò di pronunciare quell’orazione, se egli conservi egli qualche atto o scrittura di ciò; e se l’orazione gli sia stata fornita per iscritto.
Risponde di no, ed aggiunge che in un caso simile aveva pronunciato sermoni analoghi in favore della Regia Maestà, in particolare quando il signor Antonio Maria Pallavicini aveva convocato l’intera città per prestare il giuramento di fedeltà. In tale occasione egli aveva arringato il popolo, esortandolo ad avere fiducia nel Re. Ed anche in un’altra circostanza, quando nei giorni passati il 29 gennaio, davanti al Consiglio, egli aveva proposto che si dovessero reclutare trecento fanti e che tutti dovessero essere fedeli alla Regia Maestà.

Il giorno stesso, nel pomeriggio.
Presentatosi il soprascritto conte ai predetti signori Delegati, spontaneamente disse che durante l’interrogarorio tenutosi al mattino si era scordato di aggiungere che, dopo il discorso al popolo come riferito sopra, egli aveva detto a Francesco Bellafino queste, o simili, parole: “Credo che farò un’altra oracione al popolo in favore de la Regia Majestà”. E questo perché che egli riteneva che sarebbe ritornato sotto la Regia Maestà. Ed aveva anche detto a molti cittadini, e soprattutto al signor Scipione Suardi, che entro breve tempo i cittadini bergamaschi avrebbero consegnato la città alla Maestà Regia.
Interrogato se egli, dopo la sua detenzione in questa fortezza, avesse avuto un qualche scambio di parole come sopra, o simili, direttamente o per interposta persona, o mediante cenni, o altrimenti.
Risponde che no.
Interrogato se abbia versato o fatto versare una qualche somma di denaro agli stipendiati veneti o ad altri a nome loro.
Risponde che egli non aveva pagato somma alcuna agli stipendiati veneti. E’ ben vero tuttavia che dopo il ritorno da Brescia dei signori Francesco Albani e Galeaz Colombi che avevano fatto visita ad Andrea Gritti, nonché di Francesco Bellafino e, crede, di Pezolo di Simone Zanchi, fu concluso da Andrea Gritti il giovane allora Provveditore di Bergamo e dai nove Deputati, anche in presenza sua e dei signori Luca Brembati e Francesco Albani e molti altri cittadini che ora non ricorda, che, secondo l’intenzione del Provveditore Generale Andrea Gritti, si dovessero reclutare trecento fanti a spese della città. E per il reclutamento di questi fanti furono incaricati gli stessi nove, i quali si scusarono di non essere in grado di farlo per i loro impegni quotidiani che non glielo permettevano. Allora il Provveditore di Bergamo ordinò a lui stesso ed al signor Luca Brembati, anche in presenza dei nove Deputati, di reclutare i detti fanti. E così egli stesso ed il signor Luca Brembati ordinò ai tesorieri incaricati dai nove Deputati di pagare alcuni fanti ed alcuni dei nove, in assenza del signor Luca, ma in presenza del signor Federico Rivola, che era uno degli stessi nove Deputati. E in questo modo furono pagati cento o centoventi persone che ebbero da lui stesso o dal tesoriere sopradetto, quattro testoni ciascuna.
Interrogato se dalla val Calepio, giurisdizione dello stesso Trussardo, egli avesse condotto o fatto condurre uomini in favore dei Veneti, e chi; oppure se sappia che qualcun altro li abbia condotti.
Risponde che nulla sa, se non quanto ha detto sopra.
Interrogato su chi diceva che sarebbe stato bene espugnare la Cappella, proponendo come, ed offrendosi a ciò, e dove, e in presenza di chi.
Risponde che molti si erano presentati al Provveditore, in sua presenza, offrendosi di espugnare la Cappella, ma di molti non conosce il nome. Vi fu tuttavia uno di val Brembana, a lui sconosciuto, che si offrì di prendere la fortezza; egli lo aveva deriso ma l’altro aveva risposto che la Cappella si doveva espugnare. Quando poi si seppe che il capitano della Cappella devastava le case lì intorno qualcuno disse al Provveditore che sarebbe stato bene mandare alcuni fanti a prendersi cura di ciò. Tuttavia circa l’espugnazione della fortezza e chi l’avesse proposta egli non conosce se non quanto ha già detto.
Interrogato su chi furono i mediatori per la consegna della fortezza agli agenti dei Veneti e da chi l’operazione fu garantita, sia per la cessione che per la conservazione delle persone e delle cose; e chi se ne occupò e dove; e chi fu posto alla custodia e chi prese le provviste che vi si trovavano.
Risponde di non sapere nulla, ma di aver sentito che il signor Luca Brembati fu il fideiussore dell’operazione; e che mastro Guido de Medici era stato il mediatore. Quanto alle provviste, qualcuno gli disse, ma non ricorda chi, che esse arrivarono a Pezolo di Simone Zanchi e ad alcuni figlioli del signor Gerolamo Borelli.
Interrogato su chi si allontanò dalla città di Bergamo e perché e verso dove.
Risponde di avere inteso da molte persone che i fratelli Troilo, Girardo e Giovan Maria Lupi, ed anche un altro Giovan Maria Lupi si allontanarono; ed anche lo stesso Guido, e Gerolamo Vitalba ed un certo Bertono Rota ed un tale Felisio Rota, e forse altri di cui ora non ricorda; ma non conosce la ragione della loro partenza, anche se essi erano in accordo con i contadini delle valli che avevano invaso la città; su dove siano andati, ha sentito che erano andati a Mantova.
Interrogato circa coloro che accompagnarono i Provveditori veneti fuori dalla città quando essi partirono e ciò che dissero.
Risponde di aver appreso dal signor Leonardo Comenduno che egli stesso aveva accompagnato il Provveditore veneto quando egli da ultimo era partito fino alla porta si Sant’Antonio, circa l’ora quarta di notte. E che il Provveditore disse allo stesso Leonardo: “State cum Dio”. Ha anche appreso dal signor Francesco Albani che in quella notte egli aveva accompagnato il detto Provveditore, ma fino a dove non sa. Non sa altro delle cose su cui è stato interrogato, se non quanto ha riportato sopra.

Immediatamente viene letta parola per parola la sua deposizione. Interrogato se quanto sopra sia vero e se lo conferma, Risponde di sì.

I magnifici signori Delegati rimandarono l’interrogato sotto la solita custodia, con l’intenzione di ripetere, etc., se sia il caso, etc., e come essi decideranno, etc.

Io Pietro Antonio dela Salle addetto al magnifico signor Giovan Francesco Caini, Segretario Regio, ho fedelmente confrontato le copie suddette con gli originali ed avendole trovate concordanti con quelle da me conservate, le ho qui sottoscritte di mia mano.