CAPITOLO 16 - POSTFAZIONE

La storia non ha epiloghi, essendo essa una successione ininterrotta e pressoché casuale di fatti determinati dall’interazione degli eventi naturali e dei comportamenti umani. Una successione nella quale i dettagli e gli attori cambiano all’infinito, creando l’illusione di un rinnovamento continuo, anche se nella sostanza il gioco non cambia mai. Che è poi la ragione per cui la storia non può essere maestra di vita, essendo la condizione umana è sostanzialmente immutabile.

Sarebbe quindi vano qualsiasi tentativo di trarre conclusioni, deduzioni o insegnamenti da quanto si è andati narrando. Pare tuttavia istruttivo riportare, a titolo di chiusura di questa narrazione, il punto di vista di una piccola comunità locale delle valli bergamasche sugli eventi di quegli anni, per verificare il modo come essi furono vissuti nella periferia del territorio. Il testo che segue è tratto da un libro degli incanti, fitti ed elezioni del Comune di Gromo, che inizia al 1° gennaio 1511 [Arch. Stor. Gromo. n.3, 37v e seg.].

/37v/ In el tempo ochorente, zovè al tempo donde la Siuria da Venezia et ezia la Sacra Mayestà del Re de Franza ad una chum li soy aderenti sì detono prenzipio a far guera in sema - et eziam per lasar per memoria ali nostri seguitatori, zovè quele persone che averano a seguitar et a governar le facende de la comunità nostra de Gromo - per che in li diti tempi ochorse grandi et grandisime spese ali comuni et teratori de bergamascha et bresani et altri payesi, in tanto che non è omo che lo podese evitare le cosse ochorente in esso tempo; anchora in el preditto tempo per parte et comandamento de li Sinori Veneziani ne astrenzite in pena granda che noy mandasemo provisonai et guastatori in grande quantità al logo de Rivolta, a Treviio et in la Vale de santo Martì et eziam in altri logi, tanto che la spesa sì fo intolerabile et grandisima, in tanto che asende la dita spesa asendente ala comunità nostra più de duchati quatro cento et più asè.

Anchora, adì XIIII de mazo 1509 el campo de la Sacra Mayestà del Re de Franza sì rompì el campo de la Sinuria de Venezia, in tanto che aprendeteno li teratori de bergamascha, bresana, veronesi et eziam altri payesi; et avendo aquistadi li preditti payesi, parse ali Governadori et Sinurii soi, zovè franzesi, de meter tayoni grandisimi ali payesi nostri, in tanto che messo uno tayono al teratorio bergamascho de duchati vinti doy millia [duchati a bergamascha], in tanto che al ne tocha ala comunità nostra circha duchati trezento cinquanta, senza altri spesi de tributi et doni fati a plusor personi, zovè Sinori de Milano et altri asè, che asendi ala nostra comunità più de duchati cento.

Or, pasado el tempo de la guera dela Sinuria de Venezia chum el Re de Franza chum li soy aderenti que ad vene, pare che la Sinuria de Venezia si fosse ligà et passò che el preditto Re de Franza que ad vene el Re de Spagna ad una chum el Re de li todeschi, zovè l'Imperador, si foseno ligà in sema ad una chum li soi aderenti et se miseno incontra ala Sinuria de Venezia et al Re de Franza, in tanto che sinorizaveno el teratorio bergamascho et bresano, veronesi, vesintini, in tanto che avendo li preditti payesi in sua balìa et in suo comando, in quelo tempo li nostri Sinori et Gubernatori sì ne miseno grandi tayoni et grandi spesi ne deteno in li ani ochorenti, zovè de l'ano 1511 et 1512 et 1513, zovè, in el mile513 sì fo messo uno tayone de duchati trenta doy millia al teratorio de bergamascha, in tanto che al ne tocha /38r/ ala comunità nostra duchati trezento quaranta quatro et teston trey in tuto, a pagar in termini doy, fenito li doy termini a chalende de zenaro 1514, non obstante per questo bisonia a pagar la ordinaria usitada, zovè de duchati trenta doy ala Camera nostra.

Et per questo sì è mente arespeto ali spesi grandisimi che ochoreno in la valle, zovè de andadi, presenti asè, fati per volerse ingraziare ali Sinori spanolli et todeschi per non venir in qualche desgrazia et fortuna de mazor dano per che diti Sinori erano molto superbi contra de noi; et li preditti cossi scriti qui de sopra si sono ochorsi per sina adì XV de zenaro 1514.

Anchora per darne notizia in que modo et in que via si avemo preparato ali diti spese grandi, sì è stado de nezesitade al comune nostro de vendere ligname asè del dito comune, zovè, ligni de pagera in el logo de la pagera de Campei et eziam lignamo per fa carbone in li logi del dito comune, in tanto che la comunità nostra remase nudi et spolliati de boschi et de dinari. Et anchora, ano mesi grandisimi taii in el comune nostro più et più volti, in tanto che era recresudo ali personi. Et anchora si fo de nezisità ala comunità nostra di vender onver impegniar el monte de Boyrascho per sublevarse da tanti mali spesi ochorenti. Et el qual predito monte sì fo inpignado da ser Francescho banchero filliolo del q. ser Paxino de Gromo, mo abitador in la cità de Pergomo; del qual monte sì fo impignado libre nove cento vinta, a termino a requistarlo ani doy, chum fito de far honia ano libre LXXXVI de imperiali.

Un’analisi anche superficiale del testo, redatto da un oscuro scrivano in un linguaggio approssimativo ed incerto, consente di formulare alcune considerazioni. Innanzitutto, il documento, si riferisce proprio agli anni fin qui esaminati, cioè prima del 1509, durante il riarmo di Venezia in preparazione della guerra contro i francesi, e fino all’inizio del 1514, quando il regime ispano-imperiale si è abbastanza fermamente insediato sul territorio bergamasco. Il testo ricorda i passaggi salienti degli avvenimenti trascorsi allo scopo di … lasar per memoria ali nostri seguitatori, zovè quele persone che averano a seguitar et a governar le facende de la comunità. Interessanti le locuzioni usate per descrivere questi avvenimenti: i veneziani ed i francesi che con i loro alleati sì detono prenzipio a far guera in sema; … pare che la Sinuria de Venezia si fosse ligà et passò che el preditto Re de Franza que ad vene el Re de Spagna ad una chum el Re de li todeschi, zovè l'Imperador. Si noterà che i fatti sono narrati con grande distacco ed il tono usato è quasi da favola, come se il narratore stesso non ne fosse stato partecipe e non li avesse vissuti.

I personaggi della narrazione - la Signoria di Venezia, i re francese e spagnolo, l’Imperatore - sono sempre citati con espressioni di grande rispetto, in un’aura quasi di sacralità. Ma il narratore non nasconde peraltro che non è omo che lo podese evitare le cosse ochorente in esso tempo, in altre parole, che gli avvenimenti furono subiti. E così accadde che …. Veneziani ne astrenzite in pena granda che noy mandasemo provisonai et guastatori; che gli occupanti…. sinorizaveno el teratorio, tenendo uomini e paesi …. in sua balìa et in suo comando; che spagnoli e tedeschi …. erano molto superbi contra de noi; e che era stato necessario tacitarli con …. presenti asè, fati per volerse ingraziare ali Sinori …. per non venir in qualche desgrazia et fortuna de mazor dano.

Orbene, dal punto di vista di questi umili valligiani, in che cosa si tradussero gli avvenimenti descritti? Al di là dei passaggi di dominio, tutti i signori che ai vari tempi governarono il territorio non fecero altro che chiedere denaro. Soldi, provisionati e guastatori in previsione della guerra; il taglione francese; le servitù imposte; le taglie ripetute in regime spagnolo; le regalie fatte per evitare guai peggiori. Pare dal racconto che i sacrifici e le spese siano state le uniche conseguenze che gli abitanti di Gromo riportarono dagli eventi, …. in tanto che la comunità nostra remase nudi et spolliati.

Gli amministratori del comune così calcolano le angherie subite: oltre 400 ducati prima ancora che la guerra iniziasse, per le spese del riarmo; circa 344 ducati come quota parte dei 32 mila imposti al territorio, oltre alla tassa ordinaria di 32 ducati l’anno in favore della Camera fiscale, a partire dalla disfatta di Agnadello e fino all’inizio del 1514; altre taglie imposte al comune e accollate alle persone. E come il comune di Gromo fece fronte alle enormi spese? Abbattendo e vendendo il legname da costruzione e la legna da carbone e da fuoco dei terreni comunali; caricando alle persone le taglie imposte al comune; prendendo a prestito 920 lire da un compaesano ricco abitante in città cui vendette il pascolo montano di Boirasco, con una clausola di riscatto entro due anni, e al tasso d’interesse di 86 lire l’anno, cioè oltre il 9% per anno. Con il risultato finale che alla data della registrazione il comune si ritrovava senza più né boschi né denaro.

Quasi ossessivamente il documento ritorna su questa lamentevole situazione, denotando che i parametri di riferimento essenziali della cultura locale erano il denaro e la roba, come è tipico di tutte le civiltà contadine, in cui l’acquisizione dell’uno e dell’altra avvengono sempre a costo di fatiche e di sofferenze immense. Di fronte a questa realtà, i maneggi politici e l’identità dei governanti appaiono, come si vede, di quasi nessuna importanza. Infatti, i giochi non potevano essere influenzati ed i padroni andavano e venivano indipendentemente dalla volontà dei sudditi, mentre le loro durissime condizioni di vita e di lavoro permanevano immutate.

Non diversa era stata la reazione del Beretta, meravigliato per la rapidità del disfacimento delle alleanze e della successione dei governanti: libet hic mecum admirari Principum voluntates mutabiles et Dominorum status maxime et vere instabiles … adeo melius est confidere in Domino quam in mundi principibus qui suorum commodorum solum habentes curam, alienas parvipendunt utilitates, sed omnis potestas a Deo est; vulgo dicitur li signori si abbracciano, li sudditi se ammazzano [BER, 115r].

Che parrebbe, come si dice oggi, una conclusione un poco facile e qualunquistica, cioè dettata da indifferenza politica e da insensibilità sociale. Ma era allora - e purtroppo rimane ancor oggi - una conclusione dolorosamente vera.