CAPITOLO 1 - I LUOGHI

Prima di narrare gli avvenimenti, converrà tratteggiare la geografia e la topografia della città e del territorio di Bergamo intorno all'epoca nella quale i fatti si svolsero. A questo fine, il documento che appare più adatto è una "Agri et Urbi Bergomatis Descriptio che il patrizio veneziano Marco Antonio MICHIEL (1484-1532) compose pochissimi anni dopo gli eventi narrati, cioè nel 1516. Questa descrizione fu scritta dall'autore ne otio marcesceret [BELOTTI, 1989, vol. IV, 271] quand'egli fu a Bergamo con il padre Vittore, che vi entrò alle cariche di provveditore e podestà proprio in quell'anno.

La descrizione del Michiel è la prima disponibile del territorio bergamasco e molti dei motivi in essa contenuti furono poi frequentemente ripresi nelle Relazioni che i rettori veneti a Bergamo sottoponevano al Senato veneto al loro ritorno in patria [cfr. Relazioni dei Rettori..., 1978; SILINI, 1998], tanto da costituire per molte di queste quasi un modello, almeno per la parte descrittiva della corografia bergomense e del carattere degli abitanti. Essa fu pubblicata in appendice all'opera del BELLAFINO [1532]. La lingua in cui fu composta è un latino non ignobile, costellato da reminiscenze classicheggianti, che danno del territorio una visione un poco idealizzata, talvolta arcadica, che spesso appare in marcato contrasto con i funesti avvenimenti chelo travagliarono. Piuttosto che riportare il testo latino, si è preferito darne qui una traduzione italiana moderna che risulterà forse più leggibile ma, sfortunatamente, riuscirà a rendere solo in parte lo stile e l'eleganza dell'originale. Il quale così narra.

"Il territorio bergamasco ha una forma all'incirca quadrangolare e misura da meridione a settentrione cinquanta miglia e da oriente ad occidente la metà. La sua morfologia è varia, piuttosto piana ed aperta nella parte meridionale, più vasta ed elevata dapprima in colli e poi in monti quella settentrionale. I suoi confini sono verso oriente il lago Sebino da cui fuoriesce l'Oglio, che lo separa dal territorio bresciano; ad occidente, il lago Lario e l'Adda, che lo separano dai territori comasco e milanese; a settentrione, le alpi Retiche; a meridione, il canale continuo scavato tra l'Adda e l'Oglio al quale, sebbene divida non solo il territorio bergamasco ma anche quello cremonese, viene tuttavia dato il nome di fosso bergamasco.

Questo territorio, quasi per l'intera lunghezza, viene diviso da due fiumi, il Brembo ed il Serio, il primo posto ad occidente, il secondo ad oriente. Essi, sgorgando da sorgenti tra loro lontane nei recessi delle Alpi, si dirigono verso meridione con decorso approssimativamente parallelo fino a quando sono costretti tra i monti; quando invece raggiungono le campagne aperte, vagano tra di esse più liberamente, si dirigono verso occidente e sboccano infine nell'Adda, anche se la rispettive foci sono separate ed il loro corso è molto ineguale. Infatti, il Brembo con un decorso più breve si immette poco dopo il castello di Trezzo presso il villaggio di Vaprio; mentre il Serio, con un percorso più lungo che raggiunge l'agro cremonese, sbocca oltre Crema a Pitilione.

Per coloro che vivono sulle loro rive ambedue i fiumi sono utilissimi per l'abbondanza dei pesci; ma per tutto il resto essi sono molto diversi. Il Brembo, per le piogge o le nevi che si sciolgono, talvolta si gonfia, deborda e produce non pochi danni; ma, anche quando scorre più lento, spumeggia tra le rupi e le rocce che ne rompono e frenano l'impeto e, con flusso a volte tortuoso a volte più diritto, non consente il passaggio delle barche; non solo, ma non è neppure adatto a muovere le ruote da mulino. Il Serio invece, scorrendo con flusso placido e tranquillo, dopo aver servito a vari usi mentre è chiuso dai monti, solca poi i campi che lo ricevono, formando rigagnoli tranquilli che li rendono più fertili; esso trascina addirittura con sé una sabbia aurifera che viene sfruttata nell'agro cremasco, nulla invidiando al Tago ed al Pattolo di cui i poeti favoleggiano. (N.d.A. Le diverse caratteristiche dei due principali fiumi bergamaschi paiono un argomento topico della cultura locale. Torquato Tasso in un suo sonetto che compare in una lapide nella città alta descrive Bergamo come una "Terra che 'l Serio bagna e 'l Brembo inonda".)

La pianura coltivata è divisa dal corso di questi fiumi in tre regioni. Quella più orientale verso il territorio bresciano si estende tra il Serio e l'Oglio, detta trans-seriana, è stata sempre più celebrata delle altre due, sia per il numero dei siti fortificati e dei paesi - tra i quali i più celebri sono Martinengo, Romano e Calcinate - sia per la fertilità del suolo bagnato dal Serio. Anche il torrente Cherio molto contribuisce alla sua rinomanza: quest'ultimo, provenendo dal lago di Spinone e scorrendo per la val Calepio che taglia quasi per l'intera lunghezza, a volte trabocca nei campi e con la forza e l'abbondanza dell'acqua produce non piccole devastazioni, mentre altre volte è così scarso d'acqua che in ogni punto si attraversa a piede asciutto. (N.d.A. E' interessante ricordare, a titolo di curiosità, che il notaio loverese Giovan Maria Baldelli, attivo in quegli anni a Lovere ed a Bergamo, perse la vita il 16 marzo 1535 travolto proprio dalle acque del Cherio in piena.) La parte posta ad occaso e che si affaccia sui territori comasco e milanese ha forma triangolare, essendo posta tra i fiumi Adda e Brembo ed i monti, ed è nota con il nome di Isola. Zona celebrata di viti feraci e vino generoso, ha luoghi come Ponte, Medolago, Brembate, Bonate, Mapello ed altri non meno illustri. L'ultima parte che si estende tra il Brembo ed il Serio e che si spinge fino al territorio cremonese possiede anch'essa molti paesi tra cui i più insigni sono Cologno, Colognola, Zanica, Spirano, Osio, Verdello e, prima tra tutti, la stessa città di Bergamo. Questi sono i caratteri distintivi della pianura.

Le zone montane sono invece divise in valli che si dirigono da meridione verso settentrione e sboccano quasi tutte verso le valli Sassina e Tellina che le tagliano trasversalmente. Le prime tra queste, ad oriente, sono la valle Cavallina e l'annessa val Calepio, ambedue allietate dalla vicinanza del lago Sebino. La Cavallina, che tende a settentrione, è bagnata dal lago, sulla cui sponda è posta la città di Lovere, celebre per la confezione dei panni. La val Calepio tende invece a meridione; essendo posta verso lo sbocco del lago, gode anche dell'amenità del fiume Oglio, sulla cui riva destra sta Calepio, da cui trae il nome.

Vicina a queste è la val Seriana, così detta dal Serio che la solca: per la sua vastità si divide in superiore, media ed inferiore. Nella superiore stanno Clusone, Gromo, Gandellino, Sovere, Castello, Premolo, Gorno, Oneta e Cerete; nella media Gandino - da cui in una sua parte si chiama appunto val Gandino - oltre a Vertova, Gazzaniga, Cazzano, Leffe e Casnigo; alla valle inferiore appartengono Alzano, Nembro, Albino, Comenduno, Desenzano, Nese e Ranica.

Tutte queste valli sono poste ad oriente rispetto a Bergamo, ma altrettante ve ne sono ad occidente. Tra queste, quella più vicina alla città è la Brembana, così detta dal fiume Brembo che vi scroscia, ed anche questa è divisa in inferiore, superiore e trans-iuganea. I paesi più noti della valle inferiore sono Zogno, Scudena, Poscante, San Pellegrino, San Giovanni, San Gallo, San Pietro e Spino; quelli della valle superiore sono Serina, Bracca, Dossena, Costa, Oltre il Colle, Rigosa, Sambuseta e Cornello; quelli della trans-iuganea (così detta perché è posta oltre il giogo dei monti) sono Piazza, Lonna, Valnegra, Foppolo, Valleve e Valfondra.

Vicina alla Brembana è la valle Imagna, che comprende i paesi di Almenno e Palazzago. L'ultima di tutte, che guarda ad occidente verso il lago Lario, si chiama, dal celebre convento, valle di san Martino, con i paesi di Caprino, Marenzo, Beretia, Calolzio, Vercurago, Cisano, Collana e Sopracornula. Queste sono le caratteristiche del territorio e la sua posizione; descriveremo ora la città.

La città è posta sopra un monte che è circondato da ogni lato dalla pianura. Esso è separato da così breve distanza delle montagne che formano le valli e sovrasta di fronte e sui lati un vasta pianura coltivata, che pare quasi seduto come arbitro tra le due zone del territorio. Nella sua parte centrale il monte è più alto e largo, mentre scende sui lati, da una parte verso oriente e settentrione e dall'altra verso occidente e mezzogiorno. Sulla parte più elevata dell'altura fino a qualche tempo fa stava una fortezza, ora distrutta per ordine del Consiglio ad evitare che, cadendo in mano ai nemici, la città fosse poi costretta ad obbedire ai loro voleri; in tal modo, questa parte del monte risulta deturpata, come il capo di un re cui sia stata tolta la corona. La fortezza era quella che con nome barbaro (essendo stata costruita sulle vestigia di un antico sacello) veniva chiamata Capella. Tutta la parte del monte posta oltre la sommità si spinge verso meridione ed occidente e si presenta per un certo tratto solida e moderatamente declive; poi si divide come in due estremità che si protendono in direzioni diverse dell'orizzonte e dolcemente scendono verso la pianura. Esse racchiudono al loro interno come in un seno quell'amenissima convalle che viene chiamata Astina, da un celebre monastero che i monaci Vallombrosani provenienti dalla città di Asta hanno fin dall'inizio abitato. Ambedue questi colli sono coltivati, quello più mite a vigne, quello meno ferace a castani e così il primo produce vino generosissimo, l'altro è denso d'ombra. Essi non hanno neppure un aspetto uniforme, ma a volte si dividono in insenature, a volte si prolungano come in lunghe braccia. Così, alternandosi recessi ombrosi ed ameni e soleggiati pianori, offrono graditi spazi a chi voglia prendere il sole o passeggiare, quasi plaghe ideali offerte dalla natura al diletto ed al godimento dei cittadini.

Ville sparse e luminose aggiungono ancora alla bellezza del luogo, piccole e semplici per l'angustia del terreno, ma rese così desiderabili per la grazia e la vicinanza dei luoghi, che uno non si considera del tutto felice se non vi possiede una casetta. Aggiunge a questa amenità una sorgente perenne che sgorga dal monte a settentrione e poi mediante un corso artificiale defluisce come delizioso fiume all'ombra dei castani fino a quando non entra in città, dove si sparge per le diverse contrade, viene convogliato ai castelli e, fluendo in condotte di bronzo, serve in abbondanza agli usi cittadini.

La restante parte del monte che dalla sommità guarda verso settentrione ed oriente è occupata quasi interamente dalla città e dai borghi. Dal culmine, scendendo per quasi trecento passi si incontra il borgo detto Canale, cinto da un suo muro ed accessibile mediante tre porte: quella di sinistra porta ad un castagneto, quella di mezzo, detta Colombina, si apre verso la celebre chiesa di san Gottardo e la sommità del monte, quella di destra dà accesso alla valle Astina. Segue la cittadella, sede del capitano e del presidio, cui dal medesimo borgo si entra attraverso due porte, mentre altre due porte uniscono la cittadella alla città. Questa comprende la cittadella, che occupa tutto il culmine del monte, fino a che esso discende leggermente ad incontrare gli altri borghi. Un muro merlato cinge la città da ogni parte, tranne che verso la cittadella che, ad essa unita, le fa da muro. Un altro muro, costruito intorno alla parte più bassa e scoscesa del monte, non nasconde le parti più elevate delle case private. Queste dominano così in lungo ed in largo e spaziano su tutta la pianura, scorgendone dall'alto tutti i dettagli ed ammirando, soprattutto nei giorni sereni, le cime dell'Appennino e le nebbie padane, che esalano dai molti fiumi.

Il terreno su cui sorge la città, essendo montuoso, è in gran parte ineguale. Non vi sono vicoli o strade che non siano in salita o in discesa e quindi, essendo lastricate con selci, disagevoli per le persone e le cavalcature ed affatto impervie ai carri. Di tutte le vie, quasi regina è quella che parte dalla cittadella e si dirige verso il borgo di Sant'Antonio: essa è tracciata sul crinale del monte e taglia in mezzo la città; verso di essa si arrampicano tortuosamente tutte le altre strade e viuzze. Dopo circa un centinaio di passi sulla sua destra si apre la piazza e verso sinistra si leva il porticato pubblico, alla cui parete interna è appoggiata l'aula degli scrivani e dei contabili; sopra questa è posta la sala delle adunanze, dalla quale si accede al regio, cioè al luogo donde si proclamano al popolo i nomi dei magistrati e dei condannati.

La piazza ha forma quadrata ed è piuttosto ampia, non tanto in rapporto al numero degli abitanti, quanto alla posizione della città; alla sua destra vi è il palazzo del podestà, alla sinistra le botteghe degli ortaggi; di fronte, fino a poco tempo fa si levava il tribunale, che per la mole, la dovizia degli ornamenti e la solidità della struttura, non era inferiore a nessun altro edificio delle Gallie. Nella guerra appena finita, allorquando gli spagnoli assalirono la città, o per causa di un incendio appiccato per allontanare il popolo dal nemico (come molti hanno sospettato) oppure per caso e senza ragione (ciò che rimane in dubbio) l'edificio fu quasi interamente incendiato, il tetto rovinò e tale fu la distruzione che non rimase alcuna speranza che si potesse riparare, soprattutto perché in quel tempo la città soffriva perennemente di continue pesanti spese. (N.d.A. Secondo il BELOTTI [1989, vol. IV, 66] dalla deliberazione del Consiglio maggiore dell'11 luglio 1520 che ordina la ricostruzione del palazzo, si può ricavare che si trattò piuttosto di un incendio doloso, contro i cui autori la città si riservava ogni diritto di rivalsa.)

La via che ho definito regale, oltre la piazza, appare sovrastata da ogni parte e per tutta la sua lunghezza da taverne. Un poco all'interno di essa, a metà circa della città - la quale appare più lunga che larga - e nella sua parte più estesa verso settentrione, sopra un'alta rupe si leva la rocca, attraverso cui accedono gli abitanti dei monti ed i soccorsi che giungono da quella direzione e dalla quale si esce verso le montagne. Da questo punto, la strada principale si biforca. Verso destra, essa si apre dapprima in uno slargo detto il mercato delle scarpe, poi si restringe, scende fino alla porta di San Giacomo e, abbandonata la città, oltrepassa la chiesa di San Domenico, e, divenuta più ripida e scoscesa, va verso il borgo di San Leonardo. Verso sinistra, invece, passando per la porta detta Dipinta, ancora si divide in due stradette, di cui la sinistra va verso la chiesa di Sant'Agostino e l'altra verso il vicolo Pignolo. Dopo un certo tratto, le due stradettesi riuniscono ancora in una sola, ricongiungendosi verso i borghi di Santa Caterina e Sant'Antonio. Questo per quanto riguarda la città.

Oltre al borgo Canale, del quale si è già detto, altri quattro borghi sono annessi alla città, come le dita di una mano aperta. Dal nome delle rispettive chiese, il borgo che si apre a settentrione è detto di San Lorenzo; quello che sta ad oriente, di Santa Caterina; quello ad occidente di Sant'Antonio; quello a meridione di San Leonardo.

Il borgo di San Lorenzo comincia prima che finisca la città sulla parte dorsale del monte e, attraverso la porta di San Lorenzo, scende in declivio fino ai campi. Tutti i borghi continuano la città verso la pianura, partendo da essa attraverso le rispettive porte e strade, e si estendono più in lunghezza che in larghezza. Il borgo detto di San Lorenzo comincia con una sola via che poi si divarica in quattro direzioni diverse e raggiunge dimensioni tali da sembrare un'altra città. Nel punto dove la strada inizia a dividersi è situata la piazza del borgo e le diramazioni finiscono ognuna in una porta: quella che guarda a settentrione, con un nome d'origine incerta, si chiama Broseta; le altre porte si designano dai paesi verso cui sono rivolte: vicino alla porta Broseta vi è quella di Osio, poi quella di Colognola, ed infine quella di Cologno. Il borgo di San Lorenzo, ben separato dagli altri, è cinto da una sua propria muraglia. Gli altri borghi, sebbene piuttosto distanti tra loro e come rivolti a diverse plaghe celesti, sono uniti da un solo muro, così da comprendere tra loro ampie aree non edificate, occupate in parte da campi, in parte da arbusti e vigne, ed in parte ancora da prati, come tra i borghi di Sant'Antonio e San Leonardo: ivi ogni anno, il 7 di settembre, si suole tenere una fiera. Un rivo amenissimo, derivato dal fiume Serio e fatto entrare in città per azionare le ruote dei folli e dei mulini, solca questo prato. I borghi sono abitati da mercanti ed artigiani che si dedicano al commercio ed ai trasporti; per contro, la città è abitata dai cittadini più nobili, per quanto anche in città, e specialmente intorno alla piazza, siano frequenti gli artigiani e nei borghi non manchino i nobili. Questo voglio dire dei borghi.

In ambedue le zone della città, gli edifici, soprattutto quelli pubblici, sono costruiti in pietra viva squadrata, perché mancano i laterizi: la pietra è a volte semplice e grigia, altre volte più pregiata e macchiata, e questa proviene dal luogo di Albino in valle Seriana. Il suolo è da ogni parte duro a scavare, all'interno della città addirittura pietroso, cosicché le spese di trasporto della pietra compensano le spese dei lavori di scavo. Le congregazioni religiose dette parrocchie, in numero di venti; i conventi, che sono molti e grandiosi, dal momento che non vi è alcun ordine importante che non vi abbia una sede; tutti gli edifici sacri e profani e la loro magnificenza; non spetta a quest'opera illustrare, anche se una descrizione dell'unico ospedale, nonché della amministrazione dei suoi cospicui introiti e pie largizioni, sarebbe a proposito. Basterà quindi riferire di alcuni edifici più insigni, dicendo che verso meridione rispetto al palazzo del tribunale (che, come detto, è stato incendiato) è posta una piccola piazza. Sul lato destro di essa sta la residenza vescovile, di fronte la chiesa di Santa Maria ed a sinistra la chiesa di San Vincenzo. Quest'ultima, celebre per la sua antica fondazione, il rango sacerdotale e la vastità, lodata per la profusione dei marmi, la dignità dell'architettura e la mole, non fu tuttavia mai finita, sebbene sia stata iniziata da circa duecent'anni e poi diruta per la vetustà e gli incendi: ciò si deve alla negligenza ed all'avidità di coloro che dovevano curarla ed essa è quindi poco frequentata e trascurata.

Per contro, la chiesa di Santa Maria, che non le sta a pari né per antichità di fondazione (è stata infatti cominciata da circa duecent'anni) né per la dignità sacerdotale, proprio per la probità di chi la gestisce e l'assiduità della frequentazione popolare, è talmente onorata che non vi è in città altra chiesa più celebre. Rispetto alla piazzetta descritta, la lunghezza della chiesa si svolge da oriente ad occidente, ha una forma esterna quadrangolare, mentre quella interna è a croce cristiana. Intorno all'altare maggiore, posto ad oriente, vi è una tribuna ad archi con ai lati altre due tribune minori. Di fronte ad esse corre trasversalmente un ambulacro che ha alle estremità le due porte di accesso alla chiesa. La parte restante del tempio, che si estende ad occidente, consta di due celle laterali e di un ambulacro centrale. Delle due celle, quella posta a meridione ha una parete di fondo in forma di emiciclo, mentre la parte frontale che guarda verso l'ambulacro è completamente aperta. L'altra cella situata a settentrione è stata trasformata in un sacello non facilmente accessibile. Esso contiene l'altare ed il monumento religioso di Bartolomeo Colleoni, che egli stesso ancora vivente ha istituito con suo testamento olografo, perché quotidianamente un sacerdote vi celebrasse i riti per placare le divinità. All'interno è stata eretta la sua tomba in marmo lunense ed una scultura, opera insigne del pavese Giovan Antonio Amadeo. Ad essa è stata aggiunta di recente una statua equestre di legno dorato, che sarà in futuro di marmo o di bronzo, se la struttura che la sorregge non sarà giudicata impari al peso.

Vicina a questa per dignità vi è una chiesa in borgo Canale dedicata a Sant'Alessandro, anch'essa episcopale, cosicché è difficile trovare un'altra città resa illustre da due sedi vescovili. Tra gli edifici profani, se non per bellezza almeno per imponenza, vi è il palazzo di Pandolfo Malatesta in cittadella, da lui stesso costruito quando occupò Bergamo dopo la morte di Galeazzo, principe dell'Insubria; il palazzo è ora abitato dal capitano della città. Tutto questo per quanto attiene agli edifici; dirò ora alcune poche cose sui costumi e l'indole della gente.

La città è abitata da molto popolo, di carattere probo e frugale, di costumi miti, più ospitale con i forestieri di quanto solitamente non sia chi è costretto a pensare al futuro dalla sterilità e dall'angustia del suolo, e verso tutti molto più amico di quanto ci si attenda in una città di montagna. La separazione degli ordini è data non dalle leggi, ma dalla natura; l'amministrazione della città è compito degli aristocratici, i quali l'hanno recentemente riformata in modo abbastanza equo, secondo i precetti del Consiglio dei Dieci di Venezia.

Quasi tutti i nobili si procurano il vitto e la ricchezza sui propri fondi e non pochi, in rapporto alle dimensioni della città, sostengono in modo sontuoso la dignità equestre. Non mancano coloro che si dedicano allo studio delle lettere, non senza profitto e lode: molti esercitano il diritto civile, tanto che a volte si contano in città fino a cinquanta giureconsulti. Gli altri di buon lignaggio sono industriosi, mantengono sé stessi e le proprie famiglie con la mercatura e l'amministrazione delle rendite e così si procurano ricchezze non mediocri; altri sono notai. Il popolino esercita negozi ed officine.

Parecchi tra gli abitanti dell'agro che praticano l'agricoltura (eccetto gli abitanti dei villaggi) per il censo della famiglia e la ricchezza del patrimonio non sono da meno dei cittadini di Bergamo; gli altri sono distribuiti in nuclei sparsi e sono aratori o braccianti agricoli. Gli abitanti delle valli vivono invece quasi tutti in nuclei abitati e sono così numerosi (l'aria di montagna favorisce la fecondità) che se non provvedessero a sé stessi con l'innata solerzia e la mirabile laboriosità, soffrirebbero per la carestia e la fame, tanto il suolo è angusto e sterile e inadatto a produrre alimenti. Così, quelli che rimangono a casa sono pastori o lavoratori di panni. Gli altri migrano dal paese verso regioni aliene e diventano mercanti oppure operai: essi sono così numerosi e così diffusi per il mondo che è diventato proverbiale il detto che in nessun paese mancano tra gli uccelli i passeri e tra gli uomini i bergamaschi.

E' interessante sapere come essi siano ripartiti tra le varie regioni o province. Infatti, quelli della valle di san Martino si procurano da vivere nella regione di Milano e nell'Insubria. I loro vicini, quelli di valle Imagna, fabbricano bacili ed altri simili recipienti in Liguria, nella Gallia Narbonense, nella vicina Spagna, in Lazio, Campania e Sicilia utilizzando il legname che cresce nei boschi di quei luoghi. Tutti quelli della val Brembana (tranne quelli di Oltre la Gocchia, che fabbricano tessuti di seta a Milano) frequentano le regioni del Veneto e la stessa città di Venezia. Gli abitanti delle valli Seriana e Cavallina esportano i loro panni verso la vicina Germania. Soltanto quelli di val Calepio, o perché hanno avuto in sorte un suolo meno avaro, o perché sono indolenti di natura, non lasciano quasi mai la patria.

Tutti i valleriani hanno un modo di vivere intermedio tra quello della città e delle campagne; hanno una lingua barbara, e tanto più quanto più ci si avvicina alle montagne, che i buffoni spesso imitano per suscitare l'ilarità; si dedicano poco agli studi; ed il riposo alle fatiche ed agli affari, per ambedue i sessi, consiste nel ballo, al quale i giovani volentieri si dedicano. I loro corpi, per grazia del cielo, sono sani, vegeti e resistenti alle fatiche, ma spesso deformati da enormi tumefazioni del collo, una deformità che qualcuno attribuisce all'aria ed altri all'acqua. Si può dire in generale dei Bergamaschi che sono una schiatta di uomini duri ed industriosi, che eccellono in ciò cui dedicano il loro ingegno. Essi hanno una particolare propensione a procacciarsi beni materiali, e non sono meno degni di lode di alcun altro popolo che non sia della Gallia cisalpina".

Descritti concisamente la corografia, le principali attività economiche, il popolamento, il carattere e la vita degli abitanti di Bergamo e del suo territorio, così come essi apparivano agli occhi di un forestiero contemporaneo, se ne può ora tratteggiare per grandi linee la situazione politico-militare ed amministrativa negli anni immediatamente precedenti al 1512. Ciò sarà fatto nel capitolo seguente, al fine di aprire gradualmente la scena sugli avvenimenti dell'anno che si è scelto come tema della ricerca.