Legature storiche nella biblioteca "A. Mai" - Cassaforte 3 20
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Cassaforte 3 20


Commissione dogale per Lorenzo Bragadin, podestà di Bergamo
latino, originale, ms. membranaceo sec. XVI (1559), Venezia, scrittura umanistica corsiva, cc. 130, dimensioni 242x170x50 mm
segnatura Cassaforte 3 20

Cassaforte 3 20 piatto anteriore Cassaforte 3 20 piatto posteriore

Commissione dogale del 1559, eseguita a Venezia dal "Maestro delle moresche piene" o "Vollmauresken-Meister"

Marocchino rosso con lievi tracce di spellatura, decorato a secco ed in oro. Tre fasci di filetti a secco, delimitano una cornice costituita da un filetto in oro e da una cornice di viticci fioriti. Rosette accantonate esterne ed interne. Sul piatto anteriore, entro un cartiglio circolare a due filetti circolari, campeggia la scritta in caratteri capitali "LAV/RENTIO/BRAGA/DENO" circondata da filetti ondivaghi, moresche piene e da cerchielli. Nel piatto posteriore, il cartiglio centrale reca la data di esecuzione della legatura: "MD/LVIIII". Tracce di quattro bindelle in tessuto nocciola e verde. Dorso a tre nervi rilevati; compartimenti caratterizzati da una coppia di filetti orizzontali e obliqui incrociati, centrati da un filetto orizzontale e da una rosetta nei compartimenti. Al piede, un cordoncino arancione e bianco. Capitelli gialli e verdi. Taglio dorato. Carte di guardia bianche. Rimbocchi rifilati senza particolare cura; quelli in testa ed al piede sono posti sopra i rimbocchi laterali.

Si tratta di un documento ufficiale proveniente dalla cancelleria dogale della Serenissima Repubblica, relativo alla nomina di Lorenzo Bragadin podestà di Bergamo da parte del doge Lorenzo Priuli nel 1559. Il manoscritto che contiene il mandato al governo della città orobica e le relative istruzioni, presenta due fogli decorati a piena pagina (ff. 1v e 2 r). La qualità stilistica delle due miniature riconduce alla cultura artistica veneta attorno alla metà del Cinquecento: le decorazioni rimandano alla corrente manierista della pittura lagunare e denunciano significative analogie con modelli centro-italici. L'esame stilistico della raffigurazioni porta a proporre il nome di Giovanni De Mio, artista eclettico cui anni orsono è stata attribuita una miniatura del museo Civico di Cremona. Nel corso del suo peregrinare per l'Italia, durante gli anni 1558-15601, lo stesso era attivo in Veneto: questo documento datato 1559 ben si inserisce in questo periodo.
La legatura di questa commissione dogale2 fu realizzata dall'ignoto "Maestro delle moresche piene" o "Vollmauresken-Meister" che operò a Venezia tra il 1555 ed il 1560: verosimilmente allievo di Andrea di Lorenzo o "Mendoza Binder"3, ne riprende non solo alcuni ferri, le foglie d'edera intrecciate e gli angolari a rabeschi, ma anche lo stile ornamentale caratterizzato da massicci fregi, pieni4, profondamente impressi. I. Schunke, ha identificato nove legature del Maestro5 (ed una di un suo allievo6), cui sono da aggiungere due volumi7. Questo esemplare è quindi la dodicesima, finora inedita legatura. La presenza della data di esecuzione8 potrebbe tradire un'origine tedesca di questo artigiano. Lorenzo Bragadin9, destinatario del volume, non è contemplato negli altri esemplari di coperte oggi noti. Anche in questo esempio, compaiono bindelle in tessuto di diverso colore10.


1
TESORI MINIATI 1995, n. 109, p. 246; CODICI E INCUNABOLI 1989, n. 155, pp. 350-351.
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Diploma, documento o lettera ufficiale del Doge o del Governo di Venezia, diretto a un altro Governo o a un privato. Le Commissioni Dogali o Ducali venivano ricoperte riccamente: di solito in marocchino, in seta, in velluto, in argento, ma le più antiche anche in pergamena grezza, come quella del Doge Michele Steno a Daniele Barozzi, podestà di Pirano, nel 1411. Manoscritte su pergamena e precedute in genere da una pagina lussuosamente miniata, costituiscono importanti documenti ai fini della documentazione storica, oltre a essere preziosi oggetti d'arte; conservate inizialmente presso le famiglie veneziane che hanno dato nei secoli alla Repubblica magistrati in carica, sono andate progressivamente disperse sul mercato antiquario europeo e americano. La loro presenza è stata segnalata da T. De Marinis a partire dal 1473 sin verso il 1650; legate in numerose varietà di stili, tutte datate, costituiscono una sicura documentazione per la storia della legatura veneziana, pur essendo ogni esemplare in rapporto più al gusto personale del committente che a una tradizione istituzionalizzata. Orfea Granzotto (GRANZOTTO 1999) presenta e descrive con ampiezza di particolari 24 differenti tipi di Commissioni Dogali, dal 1411 al 1772. Le più celebri tra queste legature sono quelle a cassettoni, costituite da piatti in doppio strato di cartone.
Le Commissioni eseguite nella prima metà del Cinquecento sono caratterizzate dallo stile dell'epoca: una cornice con arabeschi e specchio con fregi moreschi, oppure medaglioni con fregi geometrici. Sono dovute ai maggiori legatori veneziani dell'epoca: Andrea di Lorenzo (62 legature), "Fugger Binder2 (7 legature), "Agnese Binder" (46 legature), "Emblematic Binder" (14 legature). Quelle decorate "all'orientale" sono le più conosciute e amate dai collezionisti, e forse sono state eseguite, almeno in parte, da legatori di origine orientale nella seconda metà del XVI secolo. Sono caratterizzate, al centro, da una mandorla caudata e, ai quattro angoli e lungo le cornici dei riquadri, da disegni di foglie e fiori di foggia araba, dorati e dipinti a lacca a vivaci colori. Cornici, angoli e stemma centrale sono situati in scomparti a fondo incavato. Nei documenti ufficiali, al centro del piatto anteriore, al posto degli arabeschi viene raffigurato, su fondo oro, il leone marciano, mentre su quello posteriore sono generalmente impresse le armi del personaggio cui il documento è destinato.
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3
Legatore attivo a Venezia dal 1520 al 1555 ca., che lavorò per Diego Hurtado de Mendoza, ambasciatore spagnolo a Venezia dal 1539 al 1547, e per altri personaggi importanti come Benedetto Curzio, ambasciatore del duca di Milano Francesco II Sforza presso la Serenissima. Le sue legature, particolarmente robuste ed eseguite con grande meticolosità, sono spesso caratterizzate dalla presenza del titolo dell'opera, del nome del possessore e dell'anno di esecuzione del lavoro. Il "Mendoza binder" è stato pure l'esecutore di una particolare decorazione detta a filetti paralleli, costituita da una serie di filetti dorati equidistanti, alternati a due filetti a secco, disposti verticalmente a riempire tutta la coperta, e da un medaglione al centro. In tutte le legature di questo Maestro colpisce la modernità dello schema decorativo. A. Hobson ne ha scoperto recentemente l'identità - Andrea di Lorenzo - attraverso documenti d'archivio. Lo stesso autore ha presentato nel volume Renaissance book collecting (HOBSON A. 1999) un elenco di 364 esemplari definendone le caratteristiche. La maggior parte delle legature del "Mendoza Binder" si trovano in biblioteche pubbliche. Ricordiamo quelle più importanti per numero di esemplari: Biblioteca dell'Escorial (censiti 147), Nazionale di Monaco di Baviera (34), Nazionale di Francia, Parigi (26), Museo Correr di Venezia (23), Bodleian Library di Oxford (14), British Library di Londra (12), Pierpont Morgan Library di New York (9), Biblioteca Vaticana di Roma (8). La Biblioteca "A. Mai" possiede una coperta (segnatura Cinq. 3 256) eseguita da questo artigiano.
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4
Diversi sono i generi di ferri utilizzati in legatoria nel Rinascimento: a) pieni o a tutto rilievo che riproducono un motivo uniforme e massiccio, i più antichi; b) azzurrati: caratterizzati da un disegno a filetti paralleli, ottenuti mediante scanalature nelle matrici stesse, che riproducono motivi a tratteggio. Il nome deriva dall'uso, in araldica, di rappresentare, nelle riproduzioni in bianco e nero delle armi, il colore azzurro con un tratteggio convenzionale (di solito orizzontale in Italia, obliquo in Francia). I ferri azzurrati furono molto popolari in Francia dal 1540 circa e in Italia dal 1560 circa sino alla fine del secolo; c) vuoti: riproducono solo il contorno del disegno. Sono di origine francese, inventati proprio allo scopo di lasciare al suo interno lo spazio utile per il mosaico. Molto usati al tempo di Jean Grolier o poco dopo (1545-1575 ca.), spesso su legature policrome, pervennero dalla Francia in Italia dove furono utilizzati dopo la metà del Cinquecento.
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SCHUNKE 1964, pp. 181-183: 1) DE MARINIS 1960, II, n. 1817, tav. CCCXLIV, Commissione per Paolo Zorzi, 1529, Venezia, Museo Correr, segnatura 1074; 2) ID., II, n. 1873, tav. CCCLI, Commissione per Francesco Bernardo, 1555, Venezia, Museo Correr, segnatura III.731 (volume pure riprodotto da GRANZOTTO 1999, n. 4, p. 27); 3) DE MARINIS 1960, II, n. 1884, Commissione per Giovanni Barbaro, 1558, Venezia, Biblioteca Querini Stampalia, segnatura IV. 12; 4) Venezia, Museo Correr, Commissione per Sagreto, segnatura A III n. 1025; 5) Venezia, Statuti dela Compagnia dei Battuti, 1555, segnatura Ms. IV 168; 6) Venezia, Museo Correr, Commissione per Morosini, segnatura Ms. III 698; 7) Venezia, Museo Correr, Commissione per Venier, 1558, segnatura Ms. 8087; 8) Venezia, Museo Correr, Commissione per Bernardo, 1560, segnatura Ms. 8136; 9) Venezia, Museo Correr, Commissione per Sagreto, 1560, segnatura Ms. III 768.
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DE MARINIS 1960, n. 1917, tav. CCCLV, Commissione per Giorgio Emo, 1596, Venezia, Museo Correr, segnatura III, 33.
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7
DE MARINIS 1960, II, n. 1885 (volume pure citato in BIBLIOTECA NAZIONALE BRAIDENSE 1929, n. 140 e BIBLIOTECA NAZIONALE BRAIDENSE 2002, n. 54, p. 155, Priolo, Lorenzo, Commissione per Girolamo Querino, Provveditore di Peschiera, ms. membr., sec. XVI (1559), segnatura AD XIII 44); BOLOGNA 1998, p. 105, Commissione del doge Gerolamo Priuli (1559-1567) ad Agostino Sanudo, nominato bailo di Corfù, ms. membranaceo del 1562, Roma, Biblioteca del Senato.
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segnatura Cassaforte 3 20, dettaglio
Segnatura Cassaforte 3 20, dettaglio
Nikolaus ab Ebeleben e Damian Pflug, cugini sassoni di nobile origine, nel 1542 fecero imprimere sul piatto posteriore delle loro legature, il loro nome, quello della città di esecuzione, il giorno, il mese e l'anno.
La data d'esecuzione della legatura compare frequentemente sulle coperte dei secoli XVI e XVII in area nordica, specie sulle legature di pelle di porco; la prima legatura tedesca datata risale al 1439. La data veniva generalmente impressa a secco o in oro in una cartella rettangolare nella parte superiore o inferiore dello specchio. Nelle legature tedesche, raramente la data appare in tutto lo splendore dell'oro; essa infatti è quasi sempre annerita, per l'uso di oro a bassa lega, o perché specialmente in Sassonia i doratori, prima di applicare la foglia d'oro, usavano coprire i motivi da dorare con una pasta nera, la quale, consumatosi l'oro per l'usura del tempo, è successivamente riaffiorata alla vista.
Si può formulare un'ipotesi sulla data di esecuzione di una legatura soltanto dopo aver preliminarmente accertato che la coperta in esame sia originale e non provenga dal riutilizzo di una legatura che sostituisca, appunto, quella originale. Si deve tenere poi conto, quando possibile: - della tecnica di esecuzione della legatura: tipo di cucitura, tipo di capitelli, presenza o meno di nervi o di unghiatura; - dei supporti di copertura: assi di legno o di cartone; - dei tipi di guardie e di controguardie: pergamena, carta, carta decorata, cuoio, tessuto; - del tipo dei ferri (a incavo o in rilievo) e dei loro motivi, spesso peculiari di un dato periodo; - del tipo di ferramenti, purché originali: infatti possono essere stati rifatti o inseriti in qualunque periodo della storia di una legatura; -della decorazione: a secco o in oro; - dei moduli stilistici della decorazione, tenendo conto di quanto lenta può essere stata la sua evoluzione. Inoltre, non va dimenticato che molti volumi sono stati legati anni, talvolta decenni o addirittura secoli dopo la loro pubblicazione. Per esempio, su un totale di 2500 copie del Liber chronicarum, la Cronaca di Norimberga edita da Koberger nel 1493, ne rimanevano slegate, sedici anni dopo, ancora 524, mentre delle 31 legature commissionate per la Zupthen Librije (Olanda) fra il 1562 e il 1574, soltanto 6 furono legate nei tre anni successivi alla loro pubblicazione: per i restanti 25 volumi ci fu un intervallo da 9 a 45 anni.
Per la datazione di una legatura originale, l'anno di stampa del libro è il "terminus a quo"; molto più difficile invece è definire il "terminus ante quem", la data entro la quale è sicuramente stata eseguita la legatura. Una datazione "ad annum" è possibile solo in presenza di precisi riferimenti, per esempio annotazioni manoscritte, oppure la data di esecuzione apposta sulla coperta stessa.
Per le legature della fine del Quattrocento e della prima metà del Cinquecento occorre tener conto anche della filigrana dei contropiatti e delle carte di guardia. Un elemento che consente di restringere le ipotesi di datazione può essere la breve durata del regno o del pontificato del monarca o del pontefice possessori del libro. Va tuttavia ricordato, a conferma della complessità della materia, che si possono trovare armi di sovrani o di famosi personaggi anche su libri editi dopo la loro morte: le armi di Luigi XV, per citare un esempio sicuramente tra i più conosciuti, furono impresse almeno fino al 1720, cinque anni dopo la sua morte, in segno di omaggio al sovrano.
Legature alle armi possono fornire indicazioni per la datazione, allorché in esse compaiano elementi araldici indicanti matrimoni, vedovanze, assunzione di nuovi titoli nobiliari oppure insegne di dignità o cariche di cui abbiamo notizie certe da altre fonti. La presenza di un "ex libris" di una persona di cui si conosca la biografia può essere un elemento di riferimento, almeno per quanto riguarda la data di esecuzione "ante quem" della legatura. A questo proposito, non va dimenticato che il patrimonio di alcuni bibliofili presenta armi ed ex libris che si differenziano secondo i vari periodi della loro vita. Per esempio, J.-A. de Thou presenta armi diverse nel tempo in relazione al suo stato civile, di celibe prima, di ammogliato poi; le armi di Caterina e di Maria de' Medici, con la cordelliera delle vedove apposta su una legatura, ne indicano l'esecuzione, rispettivamente, dopo il 1559 e dopo il 1610, date dei decessi di Enrico II e di Enrico IV.
La datazione cronologica può risultare ardua da definire, soprattutto per legature del XV e XVI secolo, anche se determinati ferri e motivi stilistici possono ricondurre a ben precisi periodi. Per le legature realizzate nei secoli successivi, la datazione diventa via via più agevole per la presenza di maggiori e più specifici elementi di identificazione.
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segnatura Cassaforte 3 20, dettaglio
Segnatura Cassaforte 3 20, dettaglio
Un altro legatore veneziano, Andrea di Lorenzo, attivo tra il 1520 ed il 1550 ca., eseguì almeno una legatura per questo Lorenzo Bragadin in qualità di capitano di Zara nel 1547 (HOBSON A. 1999, Appendix 5: bindings by the Mendoza binder (Andrea di Lorenzo), c) Del doge Francesco Donato, n. 32, p. 245, SOTHEBY'S LONDON 1980 A, 85).
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10
Cfr. la segnatura A 30.
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