Le giusdicenze fino al 1550

Con il ritorno di Venezia, Martinengo invia ambasciatori ad Andrea Gritti per sollecitare l'invio di un giusdicente dalla capitale. Il 26 giugno 1516 vi si insedia per un breve periodo il martinenghese Francesco da Ponte e nel settembre, inviato da Venezia, arriva Benedetto Contarini, sostituito a sua volta nel novembre da Giovan Antonio Giustinian. Con quest'ultimo ricomincia a Martinengo la serie dei podestà veneti e da questo punto in poi le notizie dei rapporti tra Bergamo e Martinengo si fanno sempre più scarse [CAPRONI et al., 1992].
Verso la metà del 1516 la città è ancora impegnata nel riacquistare alcuni vicariati di fuori, come Scalve, che era stato alienato dalla comunità [20 giugno 1515; Az. 14, 66v], Lovere [3 luglio 1516 e 16 gennaio 1517; Az. 14, 69r e 133r], ed in generale molti altri uffici di podestaria e vicariato. Il capoluogo vorrebbe riservare questi uffici all'elezione del Consiglio per conservare l'eguaglianza nella loro distribuzione, anche mediante un congruo periodo di contumacia. Ma in quest'opera di restaurazione Bergamo deve combattere contro i suoi stessi cittadini, che sono intenzionati a sollecitare direttamente l'assegnazione delle cariche e a questo fine brigano a Venezia [5 luglio e 12 agosto 1516; Az. 14, 71v e 84v]. Ripetutamente Bergamo sollecita alla capitale l'osservanza dei privilegi nelle nomine ai vicariati, mentre a Gandino Gabriele Bucelleni riesce a farsi assegnare dal Dominio l'ufficio per dieci anni, val Seriana superiore rischia di essere usurpata dal podestà in carica e Lovere sollecita l'invio di un nobile veneto alla sua podestaria [21 ottobre 1516; Az. 14, 95r]. Poi Lovere, le cui aspirazioni non vengono esaudite, pare riaccostarsi a Bergamo per una composizione.
L'ufficio di Urgnano e Cologno era stato assegnato nel febbraio 1510 con una convenzione a Rainaldo del Zoppo, il quale aveva sborsato denari a questo fine alla comunità di Bergamo. Egli chiede ora di andare all'ufficio con licenza dei rettori, fino a quando il suo credito nei confronti della città non sia stato interamente riscattato, e con esso l'ufficio [7 e 18 novembre 1516; Az. 14, 100r e 101v]. Il quale viene peraltro conferito da Venezia stessa ad Alessandro Colleoni [16 gennaio 1517; Az. 14. 133r], così come il vicariato di val Seriana inferiore, assegnato a Pezolo Simone Zanchi [17 febbraio 1517; Az. 14, 149r]. Di entrambi questi uffici Bergamo chiede insistentemente a Venezia la restituzione. Non vedendo accolte le sue richieste, il 20 marzo 1517 di nuovo Bergamo sollecita attraverso i suoi oratori che il Consiglio sia autorizzato a distribuire ogni anno i vicariati di fuori a cittadini idonei e con una conveniente contumacia, lamentandosi ancora delle infrazioni che Venezia commette ai suoi danni [Az. 14, 163r]. E perora la causa della podestaria loverese ed il riscatto di quella di Urgnano e Cologno.
Alla fine, il 5 maggio 1517, gli oratori di ritorno dalla capitale presentano a Bergamo ducali che ordinano e regolano l'attribuzione degli uffici di dentro e di fuori [Az. 14, 173v]. Queste ducali di Leonardo Loredan ai rettori di Bergamo sono del 21 aprile 1517 [Registro Ducali A, 194v]. Esse comunicano che il Consiglio dei Dieci con la giunta ha deliberato nuove norme per l'elezione del Consiglio della città. Quanto alla distribuzione degli uffici di fuori e di dentro, non essendo "conveniente che a sorte et a fortuna se debbano commetter le cose subjecte al iuditio", a partire dal prossimo dicembre la città dovrà assegnarli a bussole e balle. La ducale revoca i dieci probiviri che in precedenza sovrintendevano ai candidati da imbussolare. E stabiliscono che ciascuno, terminato il suo servizio, abbia una contumacia di cinque anni, così da dare a tutti un'opportunità nell'accesso alle cariche. I rettori, o almeno uno di essi controlleranno le elezioni.
Gradualmente, la podestaria di Lovere viene riacquisita alla città [15 maggio e 12 agosto 1517; Az. 14, 188v e 241v], anche per una decisione di Venezia del 1 agosto 1517 [Registro Ducali A, 196r]. Una vicenda analoga a quella descritta per Urgnano e Cologno era occorsa anche nella podestaria di Scalve, che era stata concessa in passato mediante una convenzione a Giacomo Mozzi (il quale aveva allora prestato 125 ducati alla città), poi era stata riscattata da Zaccaria de Passo, che aveva rilevato il credito. Ora il Consiglio attribuisce la podestaria al Passo, fino a quando non sarà in condizioni di restituirgli il denaro che gli deve [19 giugno 1517; Az. 14, 217v].
Ritornata Venezia sul territorio, il doge Leonardo Loredan scrive alla valle Seriana superiore il 12 ottobre 1519, ed ancora il 27 marzo 1520, raccomandando come podestà Vincenzo Malipiero. I valligiani, preoccupati che l'accettazione di questo suggerimento possa portare pregiudizio ai loro privilegi, rispondono chiedendo invece la conferma dei privilegi stessi. Il doge, pur precisando di non voler attentare ai diritti della valle, insiste sull'elezione del Malipiero, assicurando che egli farà un buon servizio [BCBG, Salone Loggia K 5 66, p. 48]. Vi è un nuovo sollecito il 5 maggio ma poi un oratore della valle prega il governo di non aprire "questa porta inusitata". Il Dominio revoca allora la richiesta, lasciando alla valle la più ampia libertà di eleggere il suo giusdicente [BCBG, BALDI, MMB 150, 146; Salone Loggia K 5 66, p. 49]. Il 16 giugno 1524 Andrea Gritti risulta podestà [BALDI, Sommario Grande, 348].
All'approssimarsi della data di estrazione dei vicariati di fuori per il 1518, dopo aver tentato in diversi modi di raccogliere denaro per pagare un sussidio che Venezia aveva richiesto, nel Consiglio di Bergamo si propone di imporre un prestito di 500 scudi sul vicariato di val Seriana inferiore, 400 su val Gandino e san Martino e 250 su Almenno e Zogno, attribuendo quegli uffici a chi otterrà il maggior numero di voti o, in caso di rifiuto, al secondo o al terzo estratto. E ciò per una sola volta e con restituzione delle somme alla fine dell'incarico, o da parte della città, oppure da parte del vicario successore. Ma la maggioranza del Consiglio appare riluttante ad intraprendere questa strada e la parte non viene approvata [7 dicembre 1517; Az. 14, 291r]. Si nominano invece alcuni cittadini per suggerire i modi di reperire i 1000 ducati che mancano alla quietanza del sussidio.
Nella loro relazione del 13 dicembre 1517 [Az. 14, 295r] questi deputati non vedono altra via d'uscita che quella, già rigettata, di tassare gli uffici di fuori nell'elezione per il 1518 e propongono per i vari uffici le somme seguenti: val Seriana inferiore, 300 ducati; valli san Martino, Gandino, Almenno ed Imagna, 200 ducati; val Brembana inferiore, 100 ducati; per un totale, appunto, di 1000 ducati e con l'intesa che il vicario successore restituirà al predecessore le somme prestate oppure pagherà il 5% di queste nonché l'impegno del predecessore a liberare l'ufficio quando una delle due condizioni si verifichi. E così di seguito, di anno in anno. I deputati dichiarano di non gradire essi stessi la proposta, ma di non essere riusciti a trovarne un'altra. I rettori e gli anziani non fanno neppure votare la parte per timore di vederla sconfitta e suggeriscono di darla per approvata come relazione dei deputati, i quali protestano invece di voler andare ad un voto. Si passa all'elezione del vicario di val Seriana inferiore, ma l'elezione va deserta.
Tutti comprendevano, evidentemente, il rischio di imbarcarsi in una spirale di debiti e crediti dalla quale sarebbe stato difficile uscire, anche se in tutti avevano presente la grande necessità di denaro che affliggeva le casse della città. Ma forse non erano precisamente queste le maggiori preoccupazioni dei consiglieri. Infatti, due giorni dopo [15 dicembre 1517; Az. 14, 296v] la parte viene riproposta con una piccola ma significativa variante: chi deve lasciare il vicariato al successore, oltre al rimborso della somma prestata o al 5% di interesse, potrà (a maggior garanzia) esigere il rimborso del suo credito su beni o crediti della città. Dovrà inoltre esercitare personalmente il mandato ed essere eletto con almeno la metà dei voti. Si elegge il vicario di Nembro ed il primo estratto accetta. Allo stesso modo sono eletti gli altri e tra il 15 ed il 21 dicembre si riesce - anche se con qualche difficoltà - ad estrarre i vicari per Caprino, Zogno, Gandino ed Almenno [Az. 14, 298r e 15, 3r]. A tutti vengono rilasciate le ricevute dei prestiti e le cauzioni stabilite.
Nell'agosto, apparentemente senza alcuna condizione, si elegge un podestà per Scalve [Az. 15, 78r] e nel dicembre si tenta di eleggere il vicario di Gandino, gravandolo di un dono di 20 ducati alla città, oltre alla condizioni già imposte l'anno precedente, ma non si riesce a trovare un candidato che alla seconda votazione [14 dicembre 1518; Az. 15, 120v]. Analogamente succede per il vicario di Almenno [21 dicembre 1518; Az. 15, 123r] con la medesima tassa; per quello di Zogno con una tassa di 15 ducati [22 dicembre 1518; Az. 15, 124v]; per quello di Serina con 15 ducati di tassa [23 dicembre 1518; Az. 15, 126r] e per quello di Oltre la Gocchia, i quali uffici stavano per essere recuperati alla città. Anche per il vicariato di val Seriana inferiore (che era stato attribuito per decisione di Venezia) e per il commissariato di Caprino vi sono aggiustamenti in denaro.
Con una risoluzione che interessa tutti gli uffici, per disposizione del Dominio, il 19 aprile 1519 [Az. 15, 173r] viene reinstaurata la tassa del 35% sugli stipendi dei giusdicenti. Questo induce Bergamo a chiedere un'esenzione, a causa delle "malis conditionibus et inopia in quibus ipsa officia constituta sunt de presenti". L'introduzione della nuova tassa induce alle dimissioni il vicario di Serina perché il rimanere alla carica gli costerebbe troppo [17 giugno 1519; Az. 15, 189v]. Richieste di agevolazioni (consistenti in un prolungamento di durata delle cariche) per l'esiguità dei compensi e la perdita di guadagni dovuta ad un episodio di peste si riscontrano anche negli anni successivi ad Oltre la Gocchia [6 giugno 1522; Az. 16, 167v] e a Caprino [7 novembre 1522; Az. 16, 220r]. Quivi, il commissario in carica viene confermato per un anno, su richiesta di Venezia, il 2 dicembre 1523, ma la città gli richiede una donazione di 20 ducati. Questi episodi stanno probabilmente a confermare che in quel periodo di tempo i redditi delle giusdicenze di fuori non erano davvero elevati.
Le elezioni per gli uffici di fuori per il 1520 (che hanno luogo tra il novembre 1519 ed il gennaio 1520 [Az. 15, 215v-260r]) avvengono con l'ormai solito scambio di denari per capitale ed interesse tra i nuovi eletti ed i loro predecessori. Lo stesso avviene nelle elezioni per il 1521, che hanno luogo nel novembre-dicembre 1520 [Az. 16, 31r-35v], continuando così un'usanza che pare a questo punto ormai del tutto accettata. Essa si giustifica con il fatto che Bergamo, per carenza di denaro liquido, non era in grado di pagare i debiti contratti con i vicari eletti negli anni precedenti, i quali venivano passati da un vicario all'altro allo scambio delle consegne. Ma evidentemente il Consiglio continua a non gradire questa pratica ed il 6 febbraio 1521 nomina una piccola commissione per suggerire un modo di saldare questi debiti, che i creditori reclamano [Az. 16. 56r]. La soluzione tuttavia non viene trovata perché la medesima pratica continua in occasione delle elezioni per il 1522 (che avvengono tra la fine di novembre 1521 ed il gennaio 1522 [Az. 16, 98r-127r]) e per quelle del 1523 (che hanno luogo tra il 21 novembre 1522 ed il 6 febbraio 1523 [Az. 16, 225r-268v]).
La situazione pare addirittura peggiorare il 20 e 23 ottobre 1523 quando, in occasione dell'elezione dei giusdicenti di Lovere e Gandino per il 1524, per far fronte alle urgenti necessità di denaro, si chiedono grossi prestiti a coloro che verranno eletti [Az. 4*, 47v e 98, 96v] da restituire a partire dal 1526 sulle entrate dei banchi grandi di palazzo. Si chiede anche un dono di 30 ducati a chi sarà eletto a Nembro per il 1524 [29 novembre 1523; Az. 17, 37v] ed un altro di 25 ducati al nuovo vicario da eleggere a Gandino [2 dicembre 1523; Az. 17, 39r]. Poi si chiede un altro dono di 15 ducati al nuovo vicario di Almenno per il 1524 [7 dicembre 1523; Az. 17, 41r]. Questa tornata di elezioni si prolunga fino al 19 aprile del 1524 [Az. 17, 73v].
Sembra ormai chiaro a questo punto che Bergamo è presa in una spirale di indebitamenti dalla quale non riesce più ad emergere. Nel tentativo di recuperare denaro per le sue casse esauste, la città ricorre ad un artificio fino ad allora inaudito: quello di eleggere addirittura due vicari per due anni successivi, a partire dal 1 gennaio 1525, con prestiti molto onerosi. Da questo punto in poi, anche per le frequenti rinunce degli eletti, riesce sempre più difficile seguire il ritmo delle elezioni che si susseguono.
Essendosi già provveduto alla nomina dei giusdicenti fino all'anno 1526 incluso, il 1525 è in realtà un anno in cui le notizie sulle giurisdizioni del territorio sono molto scarse. Vi è soltanto una sostituzione a Lovere nel 1525 per l'assenza del vicario eletto, mentre il meccanismo si inceppa nel commissariato di Caprino per la morte di Stefano de Vianova, che doveva accedere nel 1526. Riesce piuttosto laborioso per il Consiglio stabilire le condizioni per la sua sostituzione, ma si decide alla fine che il commissario che lo rileverà debba prestare 200 ducati alla città, da essere restituiti sui primi mesi delle entrate dei banchi del 1527 [10 gennaio 1526; Az. 17, 189v]. E per risarcire in parte la perdita di denaro del commissario defunto, si stabilisce un compenso ai suoi eredi di 18 ducati, da pagarsi dal commissario eletto per il 1527 [14 gennaio 1526; Az. 17, 191r]. Le elezioni dei vicari di fuori di cui si ha notizia avvenute nel 1526-1527 per il 1527-1528 e quelle avvenute per gli anni successivi sono anche parecchio travagliate.
Una terminazione dei rettori in data non scritta, presumibilmente della fine del 1528 [Registro Ducali A, 213v], decreta che i vicari e podestà debbano entrare alle cariche appena terminato il tempo del loro predecessore e che il tempo di permanenza sia computato in un anno dall'entrata. Questo perché i giusdicenti ritardavano l'accesso e talvolta prolungavano il mandato a loro arbitrio.
A partire dal 1530 all'incirca, pare che elezioni dei cittadini bergamaschi agli uffici di fuori assumano un ritmo più regolare e non siano, soprattutto, condizionate dalle pressanti richieste di prestiti e donazioni che avevano afflitto le nomine per il decennio (o, forse, addirittura per il ventennio) precedente. A poco a poco, le operazioni di sorteggio agli uffici periferici sembrano concentrarsi verso la fine di ogni anno ed assumere una frequenza più cadenzata. Non è possibile in questa sede ricostruire, ufficio per ufficio, come e quando il pagamento dei debiti contratti dalla città con le persone elette nel passato sia avvenuto, ma dalle informazioni disponibili si può concludere che Bergamo riuscì a riscattarsi dai debiti contratti sulla massima parte degli uffici di fuori entro il 1535. Da questo momento, la città eviterà di chiedere prestiti ai candidati e solo in pochissime circostanze si faranno eccezioni per far fronte a crisi di liquidità, come nel 1537 [Az. 19, 394v e 400v].
Tra il 1530, anno nel quale le elezioni agli uffici di fuori si normalizzano, ed il 1549, le elezioni, le scuse, le rinunce e le morti nei vari giusdicenti si susseguono come nella Tabella 2., desunta dalle Tavole Cronologiche. Nella tabella (ed in quelle analoghe che seguiranno) si noterà che non sempre - come sarebbe logico attendersi, essendo le elezioni a cadenza annuale - sottraendo il numero dei giusdicenti scusati, rinunciatari e morti (colonne II + III + IV) dal numero totale degli eletti (colonna I) si ottiene il numero esatto di anni nel periodo indicato. Ciò si deve al fatto che occasionalmente il mandato di un giusdicente veniva protratto, oppure vi erano aggiustamenti temporali in occasione di variazioni delle date d'accesso alle cariche.

Tabella 2. Numero di giusdicenti eletti, scusati, rinunciatari e defunti nel periodo 1530-1549.

I II III IV
Eletti Scusati Rinunciatari Morti
Podestaria di Scalve 21 1 - -
Podestaria di Lovere 28 - 8 -
Podestaria di Urgnano e Cologno 23 - - 1
Commissariato di val san Martino 21 - 1 -
Vicariato di val Seriana inferiore 20 - - -
Vicariato di Gandino 24 - 4 1
Vicariato di val Brembana inferiore 31 - 9 1
Vicariato di val Brembana superiore 28 - 9 -
Vicariato di Oltre la Gocchia 21 - 1 -
Vicariato di Almenno 23 - 1 -

Nel caso particolare, i problemi maggiori si hanno per le valli Brembane inferiore e superiore e per Lovere, dove vi sono molti rinunciatari.
Il fatto che le elezioni assumano un ritmo abbastanza regolare non significa il ritorno alla normalità per gli uffici di fuori: infatti, di tanto in tanto, venivano sporte lamentele al Dominio, sia da parte del territorio che della città, per l'inosservanza dei privilegi. Si trattava, di volta in volta, dell'infrazione alle regole per il sindacato dei giusdicenti di fuori [BALDI, Reg. A, 227r]; oppure degli eccessivi compensi per le cavalcate dei giudici criminali [BCBG, AB 148, 14v; BALDI, Sommario Grande, 485v]; oppure di malversazioni da parte dei vicari del territorio [25 gennaio 1541; Az 20, 281r]; oppure di lamentele circa i notai podestarili, come a Caprino [14 dicembre 1540; Az. 20, 249v] o ad Oltre la Gocchia [14 dicembre 1543; Az. 21, 178r].
Né significa che sia stata raggiunta la normalità dei periodi di carica: così, il 6 dicembre 1534, riconoscendo apertamente che il modo di accedere agli uffici di fuori era estremamente confuso, si decide che i mandati abbiano termine alla fine di ogni anno, cosicché gli eletti possano accedere all'inizio dell'anno successivo, e questo di anno in anno, tranne che per i podestà di Urgnano e Cologno e Scalve ed i vicari di Serina ed Oltre la Gocchia, che faranno il loro ingresso ai tempi soliti [Az. 19, 208r]. Da questo punto in poi, le elezioni avvengono abbastanza regolarmente nel mese di dicembre per molti - se non tutti - gli uffici, fatte salve naturalmente le cause di necessità dovute alla rinuncia o alla morte di alcuni eletti.
Quest'ordine non era tuttavia destinato a durare a lungo. Appressandosi il tempo per le elezioni, il 30 novembre 1538 [Az. 20, 76v; ricordato anche da CALVI, III, 353] viene approvata una proposta diversa riguardante l'intero territorio. Dice il prologo della parte, che l'entrata agli uffici nel mese di gennaio riesce disagevole per tutti "per la mala staggion piena de giazzi, nevi, piogge et venti et de brevi giorni", laddove sarebbe opportuno per tutti se si avvicendassero le cariche a qualche altro tempo "più accettabile et di più piacevole et alliegra staggione, como sarìa al maggio". Si decide pertanto che i vicari che saranno eletti per il 1539 vadano ai loro uffici in gennaio e vi restino fino al maggio 1540. Si decide anche che questa risoluzione non possa mai essere modificata in futuro se non con l'unanimità dei voti, e che non sia valida se non troverà la conferma dal Dominio entro il 1539, in mancanza della quale si ritornerà all'uso solito. Si deve notare a questo proposito che dieci anni dopo [15 dicembre 1549; Az. 23, 230v] le valli chiedono che l'ingresso agli uffici dei vicari di fuori sia posto al 15 ottobre di ogni anno. Il Consiglio discute la proposta, ma poi non l'approva. Altre informazioni dettagliate sopra i tempi di accesso ai diversi uffici sono all'Allegato A.
Una questione sorge a riguardo della valle di Scalve. Essa ha inizio il 13 dicembre 1534 con lamentele da Vilminore sui comportamenti di quei podestà [Az. 21, 257v]. Bergamo arriva fino ad iniziare una inchiesta, al termine della quale si conclude però [Az. 24, 65r] che il podestà è innocente.
Un'altra questione inusitata sorge il 21 luglio 1542 quando, a richiesta di Giovano Gerolamo Albani che possedeva con molti privilegi la rocca di Urgnano, il Consiglio gli concede anche la giurisdizione del territorio di Urgnano e Cologno "attesi li benemeriti et altre degne qualità sue" [Az. 21, 70v]. Viene inviato a Venezia un oratore che, al suo ritorno (forse su richiesta della Signoria) apertamente parla in Consiglio contro la decisione di concedere Urgnano e Cologno all'Albani [24 dicembre 1542; Az. 21, 98r]. La questione viene dibattuta per essere manifestamente contro gli statuti e privilegi cittadini e la concessione revocata.