Il territorio bergamasco prima
dell'avvento di Venezia (circa 1332-1427)

Anche se questa ricerca è limitata al periodo della dominazione veneta, la mancata considerazione - almeno per sommi capi - delle vicende precedenti potrebbe dare l'impressione che l'avvento di Venezia rappresentò un momento di cesura e discontinuità nei rapporti tra Bergamo ed il territorio, mentre è vero piuttosto il contrario: cioè che i motivi ed i problemi che caratterizzarono i reciproci rapporti furono frutto di un'evoluzione continua di atteggiamenti psicologici, consuetudini, convenzioni, concessioni, ammissioni di fatto, riconoscimenti di diritto, che ebbero inizio molto prima della formale acquisizione del territorio bergamasco a Venezia; e che questa evoluzione continuò ancora a lungo prima che la Repubblica riuscisse a conferire un assetto politico ed istituzionale relativamente stabile a questa parte della Terra Ferma lombarda.
Per dare quindi alla ricerca una prospettiva, converrà prendere le mosse dal periodo visconteo, che ebbe inizio a Bergamo con la conquista alla città da parte di Azzone Visconti nel 1332 ed ebbe sostanzialmente termine nel 1427-1428 con la dedizione del territorio a Venezia. Si tratta di circa cent'anni caratterizzati da lotte di fazione, delle quali restano numerose descrizioni di faide e scorrerie, con abbondanza di dettagli truculenti, ma con pochi tentativi di interpretazione e sistematizzazione dei singoli episodi [BELOTTI III, 50 e segg.]. All'interno di questo lungo arco di tempo si va gradatamente configurando l'organizzazione amministrativa del territorio bergamasco, che pare evolvere per gradi. Partendo dagli scarsi e piuttosto datati contributi esistenti su questo periodo [CAPASSO, 1906; MAZZI, 1922; BELOTTI, 1938; TAGLIABUE, 1938 e 1943], si cercherà di procedere per ordine di tempo, rilevando che già nel 1338 e 1339 si citano vicari per le valli Brembana e Seriana. Anche Scalve era entrata nell'organizzazione territoriale viscontea e la signoria vi inviava annualmente un vicario con poteri giurisdizionali in civile e criminale, rimanendo alle strutture autoctone i poteri amministrativi [BONALDI, 1982].
Secondo il CAPASSO [1906], ripreso poi da tutti gli storici successivi, intorno al 1359 Bernabò Visconti rinnovò l'ordinamento territoriale, suddividendo il distretto tra valli esenti (tenute a versare alla camera fiscale un contributo fisso, pur rimanendo amministrativamente separate dal capoluogo), comuni aderenti (che concorrevano con la città al pagamento degli oneri) e le quadre della pianura, entro le quali venivano comprese anche le valli Cavallina e Calepio (poste alle dipendenze dirette della città, pur avendo in alcuni casi giusdicenti propri).
L'origine dello speciale trattamento per le valli esenti si fa risalire [BELOTTI, 1989, III, passim] al fatto che durante le guerre di fazione questi territori si erano popolati di esuli e profughi dalla città Bergamo, i quali covavano sentimenti di odio e rivalsa nei confronti della città, sentimenti che i valligiani, per naturale solidarietà, avevano fatto propri. Nell'impossibilità di trovare soluzioni di forza ad una situazione di fatto che creava problemi di ordine pubblico, si pensò di dare ad essa un qualche assetto giuridico, secondando i sentimenti separatisti delle valli e costituendole in territori esenti. Così, in cambio di una dipendenza dal capoluogo che era limitata al pagamento di tributi e dazi, le valli conservarono il carattere di unità amministrative indipendenti rette da un vicario di designazione signorile, pagato dalle medesime valli, le quali eleggevano propri consoli e consigli di anziani. Questa soluzione aveva per la città lo svantaggio di sottrarle il controllo di vaste zone del territorio, ma presentava anche alcuni risvolti positivi: essa riconosceva innanzitutto i diversi interessi delle valli e della città in materie di carattere economico; in secondo luogo, lasciava alle valli la difesa del loro territorio, rendendo più agevole l'organizzazione delle azioni militari in occasione delle lotte di fazione; infine, limitava l'intervento della città sulla vita del territorio creando minori occasioni di lagnanze, litigi e ritorsioni.
Sempre secondo il CAPASSO [1906], nel 1359 le valli di san Martino e Brembana e la zona dell'Isola appaiono sotto la giurisdizione di un unico podestà, mentre nel 1361 ciascuno di questi territori sceglie un podestà non bergamasco. Nel 1362 Almenno e pertinenze, da una parte, e la valle di san Martino, dall'altra, hanno ciascuna un proprio vicario. Durante il periodo 1364-1368 le valli Seriana e Brembana insieme hanno un solo vicario, probabilmente come conseguenza della riunione di tutte le vallate sotto una medesima giurisdizione, eccetto la valle di san Martino che, insieme con la val d'Imagna e Palazzago, sono rette da un altro vicario. Un documento del 15 gennaio 1368, che compare negli statuti di val Brembana, è specificamente indirizzato al vicario delle valli Seriana e Brembana citra Augugiam [BUPV, Aldini, 517, 67v], indicando che a questa data un solo rappresentante della signoria reggeva le due valli. Nel 1369 compaiono vicari diversi per le seguenti giusdicenze: val Seriana superiore, val Seriana inferiore, valle Brembana, valle di san Martino con la valle Imagna, Almenno con Mapello, tutti con il titolo di "sapientes viri"; "nobiles viri" (ma appare dubbio che queste dizioni stiano a rappresentare differenze di rango) sono invece chiamati i vicari della valle Trescore, di Sarnico, di Cologno, di Urgnano, ed i podestà di Romano e di Martinengo. Vi erano anche vicari in val Taleggio, mentre i comuni della parte pianeggiante del territorio, compresa la val Cavallina e la val Calepio, salvo quelli sopra indicati e salvo Morengo, che pure aveva un proprio rettore, dipendevano direttamente dalla città. Analogamente, nel 1372 si citano vicari nelle valli di San Martino ed Imagna, nel 1373 ad Almenno ed in val Brembana, nel 1376 nelle valli Seriana superiore ed inferiore, Brembana, Mapello ed Almenno.
Risalgono a questo periodo i cosiddetti pacta vallium, una collezione di capitoli, accordi, suppliche e lettere tra il 1365 ed il 1379 [MAINONI P., BUZZETTI F., SOGLIAN P.M., 1992]. Essa mette in evidenza contrasti di natura fiscale tra alcune valli e la città e contiene informazioni preziose, anche per le questioni istituzionali. Pare infatti che esistesse all'inizio un privilegio (non noto) riferito all'intero distretto delle valli bergamasche, il quale garantiva una forma di separazione giurisdizionale collettiva e consentiva loro di affrontare congiuntamente il contenzioso con la città. Le seguenti comunità, rette dai vicari indicati, sono citate a tempi diversi in questi documenti. Immediatamente prima del 1365, le valli date come comunità separate sono quelle di san Martino, Brembana, Seriana di sopra e Seriana di sotto. Nel 1365 compaiono le valli Seriana e Brembana, rette da un solo vicario; le valli di san Martino ed Imagna, con un solo vicario. Vicari sono anche presenti a Cologno, Trescore, Sarnico ed Urgnano, mentre le valli di san Martino e Palazzago, la val Seriana inferiore, quella superiore e la valle Brembana sono citate come comunità separate. Nel 1367 le valli singolarmente citate sono la Brembana, le Seriane superiore ed inferiore, quella di Imagna, san Martino e Palazzago. Nel 1376 si nominano vicari nelle seguenti valli: Seriana inferiore, Seriana superiore, Brembana, Lemine e Mapello. Infine, nel 1378 le valli Imagna, san Martino e Palazzago, Brembana, Seriana inferiore e Seriana superiore compaiono come comunità amministrativamente separate. Dal che si deduce l'esistenza di una certa variabilità in funzione del tempo nei raggruppamenti territoriali e nell'assegnazione dei vicari del territorio bergamasco.
Nel 1376 Bernabò Visconti, allo scopo di accrescere le entrate del dominio, revoca le esenzioni alle valli ed ordina ai singoli vicari di attenersi alle disposizioni del podestà e referendario di Bergamo. Quest'ordine non fu forse mai reso operante e diede origine ad insurrezioni e sollevazioni in Val san Martino, Imagna e Palazzago. Secondo il COLLEONI [1, 236] - ma quanto fin qui citato non concorda certo con questa affermazione - solamente a partire dal 1384, con la rinuncia di alcuni privilegi da parte del territorio, si vanno delineando i quattro principali vicariati bergamaschi, che sono quelli della val Seriana superiore ed inferiore, della val Brembana, e della valle di san Martino. All'interno di queste aggregazioni amministrative, i vari comuni continuano a conservare, pur se limitate e soggette a sindacato, le proprie disposizioni e usanze locali, talvolta sancite da precisi statuti. Al contrario, appare, in sostanza, che il numero e la competenza territoriale delle aggregazioni amministrative periferiche sia molto variabile a seconda delle circostanze e delle esigenze, forse con una tendenza all'aumento del numero in funzione del tempo. Talvolta, uno stesso giusdicente pare sovrintendere a diverse circoscrizioni territoriali raggruppate; altre volte una certa area territoriale viene suddivisa più minutamente tra vicari diversi.
Vi sono poi casi particolari all'interno del territorio, che meritano qualche ulteriore commento. Così, le valli di Taleggio ed Averara per un lungo periodo di tempo, unitamente alla Valtorta, furono aggregate nella giurisdizione civile ed in quella ecclesiastica alla Valsassina [ARRIGONI, 1840; BOGNETTI, 1926] e sotto il dominio milanese, nonostante che le loro caratteristiche geografiche ed etniche fossero tipicamente bergamasche. Il relativo isolamento dei luoghi, e lo spirito di indipendenza degli abitanti, giustificarono tuttavia l'autonomia dalla città. Questo avvenne da prima in Averara, che già ebbe statuti propri nel 1313, e successivamente e congiuntamente nella val Taleggio che le si unì. Sotto il reggimento di Bernabò Visconti queste due comunità si diedero uno statuto comune (1358) e continuarono a rimanere in questo loro stato di indipendenza fino all'avvento di Venezia. Gli statuti comunali [BUPV, Aldini, 13] del 1313, al tempo in cui la sola Averara aveva statuti propri, prevedevano un vicario giusdicente con salario a cura del comune, un consiglio comunale, consoli, canevari ed altre cariche elettive. Con la riunione di Averara e Taleggio del 17 dicembre 1368 gli statuti ed ordinamenti divennero più complessi, con un vicario di nomina viscontea, di cui lo statuto fissa minutamente diritti, doveri e procedure.
Un altro caso a parte riguarda la terra di Romano di Lombardia [CASSINELLI B., MALTEMPI A., POZZONI M., 1978], che fu occupata da Azzone Visconti nell'agosto 1335. Egli la munì, la dotò di una guarnigione a carico degli abitanti e le concesse esenzioni e privilegi, che furono poi confermati nel 1339 e nel 1341 da Giovanni e Luchino, e nel 1386 da Gian Galeazzo Visconti. Il paese fu preso in mezzo alle lotte di fazione fino all'inizio del 1400 e si diede propri statuti nel 1410, confermati dal duca Giovan Maria. Occupata per alcuni mesi nel 1411 da Pandolfo Malatesta, fu data in feudo da Filippo Maria Visconti al condottiero Giacomo Covo nel 1413 e nel 1422 l'investitura fu confermata ai di lui figli.
Anche Martinengo si era data statuti propri, a testimonianza di una raggiunta condizione di indipendenza e di maturità civile già intorno al 1344, secondo la testimonianza di storici locali moderni [CAPRONI R., GAMBA PERSIANI L., PAGNONI L., 1992]. Sottoposta fin dal 22 giugno 1340 alla signoria di Milano e successivamente (6 marzo 1341) alla giurisdizione di un vicario locale, la città ebbe a soffrire particolarmente sotto il dominio di Bernabò per le sue tendenze guelfe. Una tregua di fazioni del 26 marzo 1369, alla quale presero parte anche rappresentanti di molte comunità vicine, come Romano, Cologno ed Urgnano, garantì per qualche tempo a questa zone del territorio lombardo un periodo di relativa tranquillità, mentre nelle valli continuavano a divampare le contese.
Infine, per quanto risulti difficile fissare una data precisa, pare molto probabile che durante il dominio di Gian Galeazzo venga istituita in confine del territorio di Bergamo verso Valcamonica e Brescia la podestaria di Lovere. Ad essa furono inizialmente soggette le terre della riperia occidentale e del bacino settentrionale del Sebino, a presidio ghibellino di un territorio molto provato dalla lotte di fazione, ed a guardia dell'entrata meridionale di Valcamonica, attraverso la quale si potevano raggiungere i valichi verso Valtellina ed i Grigioni [SILINI, 1994].
Tra la fine del 1403 e l'inizio del 1404 viene in luce a Brescia Pandolfo Malatesta che, con una politica astuta ed ambigua riesce ad impadronirsi della città, dapprima come difensore di essa in nome della reggenza milanese e successivamente (aprile 1404) come signore con il consenso di Caterina. Nel periodo che segue, parte del territorio di Bergamo rimane sotto il dominio visconteo, parte sotto quello malatestiano, con forti variazioni dei confini tra le due zone, a mano a mano che le vicende politico-militari volgevano a favore dell'una o dell'altra parte, fino alla definitiva uscita del Malatesta dalla scena lombarda nel 1421. Conviene quindi trattare separatamente le condizioni del territorio sotto i due diversi domini.
Degli anni 1405-1410 si conoscono diversi privilegi del Malatesta a vari luoghi del territorio, che sono di interesse ai fini di ricostruire l'ordinamento dello stesso. Il primo in ordine di tempo è quello concesso a Martinengo il 31 agosto 1405, nel quale vengono rinnovati gli statuti, privilegi ed immunità precedenti, favorendo nel contempo smaccatamente la fazione guelfa. L'atto è ampiamente sunteggiato in CAPRONI et al. [1992]. Un altro atto importante è quello del 4 ottobre 1408 per la val Seriana superiore [BCBG, AB 211, 56r; BALDI, Sommario Grande, 105; anche altrove]. Nella parte operativa del documento si concede che la valle sia esente da Bergamo, nulla abbia a spartire con la città, né sia tenuta a contribuire al mantenimento di luoghi fortificati, oppure per il salario di rettori o di altri ufficiali della città o del distretto. Si concede un ufficio vicariale presidiato da un giusdicente con competenze fino a 50 lire in civile e fino a 10 in criminale. Si concede anche che la valle possa compilare statuti propri, da sottoporre per approvazione prima della promulgazione, come del resto avverrà due anni dopo con i nuovi statuti della città [8 luglio 1410; Privilegi di Pandolfo..., 35r]. Infine, di fronte alle richieste che nessun ufficiale di Bergamo possa intervenire e procedere a sequestri entro i confini della valle, il Malatesta riserva il diritto al podestà ed al giudice dei dazi di agire senza licenza del vicario di valle.
Il regime visconteo, che lasciava al territorio scarse autonomie e lo sottoponeva ad un duro regime fiscale, risultò poco gradito al valligiani di Scalve, che andarono sviluppando forti sentimenti di parte guelfa e riuscirono a svincolarsi gradualmente dalla signoria milanese, fino a darsi spontaneamente al Malatesta nel 1408. Pandolfo confermò loro gli antichi privilegi [BONALDI, 1965].
Vi è un altro privilegio alle comunità di Gandino e Leffe, che risale al 22 dicembre 1408 [BCBG, MMB 729, 135], nel quale le due comunità, dichiaratamente di parte ghibellina, chiedono di essere esenti da Bergamo, nei termini soliti per le altre valli. Pare anche (ma il testo fa difetto) che il Malatesta attribuisca ad esse un giusdicente con una giurisdizione imprecisata in civile ed una di lire 10 in criminale. Egli garantisce ai supplicanti di non essere fatti cittadini di Bergamo. Il documento contiene altre concessioni usuali, come quella che garantisce l'approvazione di statuti, il diritto di accesso ai soli podestà e referendari di Bergamo e la reciproca indipendenza delle valli.
Il privilegio malatestiano a Lovere e Costa è dell'anno successivo [26 novembre 1409; Privilegi di Pandolfo..., 21v]. Confrontato con richieste molto estese da parte dei loveresi, che erano di parte ghibellina, Pandolfo concede un ufficiale con autorità di giusdicente sugli abitanti fino ad ogni somma in civile e fino a 10 lire in criminale; negli altri casi - presumibilmente quelli che coinvolgono persone non della giurisdizione - sia in civile che in criminale come già concesso agli altri valleriani bergamaschi, cioè, rispettivamente, L. 50 e L. 10. Anche in questo caso si riconosce il diritto di compilare statuti e di sottoporli all'approvazione. Meno insistite rispetto al privilegio per Clusone appaiono le richiesta di indipendenza da Bergamo, o perché Lovere e Costa, non facendo parte delle valli esenti, non sentivano in questa fase così urgenti le rivalità con la città; o perché si consideravano implicitamente parte a sé stante del territorio, soggette unicamente al signore che concedeva il privilegio.
I due privilegi malatestiani ai Foresti di Castro [21 dicembre 1409; Privilegi di Pandolfo..., 18v e 29v] ricadono nell'ambito di concessioni a persone o famiglie; il provvedimento del 18 gennaio 1410 a favore dei Foresti di Solto e Riva [Privilegi di Pandolfo..., 11v] ha il carattere di un atto amministrativo che sollecita giustizia da parte del vicario di val Seriana superiore; analogamente, quelli ai Foresti ed al comune di Castro [28 marzo 1410; Privilegi di Pandolfo..., 60r], ai Foresti ed al comune di Predore [17 aprile 1410; Privilegi di Pandolfo..., 32v], al comune ed uomini di Tavernola, Cambianica e Vigolo [18 novembre 1410; Privilegi di Pandolfo..., 60r] si devono riguardare come atti di esenzione nei confronti di comunità duramente provate dagli eventi bellici.
Più importante invece appare il privilegio ai comuni ed uomini di Solto e Riva del 3 gennaio 1410 [Privilegi di Pandolfo..., 6r] nel quale queste comunità vengono dichiarate immuni, esenti e separate da Bergamo per ogni onere reale, personale e misto e per dazi e vengono aggregate alla giurisdizione di Gandino. Si deve infine aggiungere che il 18 novembre 1410 [Privilegi di Pandolfo..., 58v] il Malatesta esenta da Bergamo anche il comune di Parzanica, concedendogli prerogative analoghe a quelle di Solto e Riva in fatto di limitazioni sostitutive di dazi, ma senza menzionare in questo caso una dipendenza dalla vicaria di Gandino.
Il CALVI ricorda [I, 54], ed il BALDI riprende [Sommario Grande, 106], che il 10 gennaio 1410 in presenza di Pandolfo fu siglata una pace tra le valli della fazione guelfa ed i fuorusciti della parte ghibellina. Dopo questo atto di pacificazione, il 18 gennaio 1410 [Privilegi di Pandolfo..., 47v] in una lettera al vicario di val san Martino - che è evidentemente in sue mani - il Malatesta interviene a favore degli abitanti di Palazzago, imponendo che la valle non li molesti per tasse eccedenti quelle ordinaria e del sale e riconfermando invece (a quanto si può intendere) l'appartenenza di Palazzago alla giurisdizione della valle. Il COLLEONI [I, lib. 6, cap. 19] e con lui il CALVI [I, 228] ricordano al 18 febbraio 1410 un privilegio di Pandolfo alla città di Bergamo, con il quale si approvano capitoli redatti per il suo buon governo e si concedono sgravi ed esenzioni, tesi evidentemente ad incoraggiare l'inurbamento e la crescita economica del capoluogo.
Il provvedimento nei confronti di Urgnano del 7 marzo 1410 [Privilegi di Pandolfo..., 15r] ha un duplice carattere: da una parte, esenta gli abitanti per 5 anni da ogni onere e fazione, dazio ed imbottatura; dall'altra, ingiunge a coloro che hanno abbandonato le loro proprietà ed abitazioni di farvi ritorno entro la fine del successivo agosto, sotto pena della confisca dei beni. Analogo è anche un documento per Romano dell'11 aprile 1410 [Privilegi di Pandolfo..., 18r] nel quale, dopo aver menzionato immunità precedentemente concesse, invita gli abitanti a ritornare, entro lo stesso tempo e sotto la medesima pena. Il 25 luglio 1410 [Privilegi di Pandolfo..., 35r] il Malatesta stabilisce che gli abitanti di Treviolo, che sono alle porte di Bergamo, siano a tutti gli effetti equiparati ai cittadini, come del resto prevedono gli statuti di Bergamo appena approvati [8 luglio 1410; Privilegi di Pandolfo..., 35r].
Secondo una testimonianza del BALDI [Sommario Grande, 107], il 10 maggio 1413 val Seriana superiore è ancora nelle mani di Pandolfo. Avendo la valle supplicato la restituzione della giurisdizione e la libertà di eleggere il giusdicente, il Malatesta vi nomina invece Simone Spinelli, con le prerogative del mero e misto imperio. E, nell'attesa che egli prenda possesso della carica, deputa due delegati, che vengono accettati dal Consiglio della valle il 12 maggio. Secondo il notaio clusonese, in quegli anni i giusdicenti di Val Seriana superiore erano di fatto dotati di prerogative più ampie di quelle che godettero successivamente, potendo anche comminare pene capitali [18 aprile 1414; Sommario Grande, 108].
Il medesimo notaio riferisce che nel 1415, a seguito di una ribellione a Pandolfo, Lovere e le sue pertinenze vennero vendute a val Seriana Superiore. Inutile riferire qui i termini completi dell'accordo: da esso appare tuttavia che a questa data Sovere, Solto e Riva sono tornate sotto l'ufficio podestarile di Lovere e sono conservate ad esso, nonostante la richiesta di Clusone che queste terre vengano aggregate al proprio vicariato [Sommario Grande, 109].
Quando (ottobre 1404) il ducato di Milano perviene nella mani di Giovan Maria Visconti si aprono le lotte per la spartizione del ducato. Con molta gradualità il Malatesta riesce ad estendere il suo dominio sui territori bresciani, poi su quello bergamasco. Infine, con un'opera di penetrazione militare, di alleanze personali nei confronti delle fazioni guelfe, senza del tutto inimicarsi quelle ghibelline, riesce a farsi nominare governatore di Bergamo (1408). Il trapasso fra il dominio malatestiano e quello visconteo avviene intorno all'inizio del 1408. Infatti, il 24 aprile di quell'anno il duca milanese riceve in obbedienza molte comunità della media val Seriana, della riva occidentale del Sebino e delle valli Trescore e Cavallina [BCBG, Perg. Com. n.3595; anche in MMB, 729, 132].
Preso in mezzo alle lotte di fazione, il duca Giovan Maria viene soppresso dai suoi stessi sudditi milanesi nel 1412. A lui succede il fratello Filippo Maria che possiede un grande senso della sua missione di unificatore e pacificatore del ducato che era sfuggito di mano al fratello. Bergamo ed il territorio sono divise tra la fedeltà al Malatesta e quella al Visconti. Nel 1413 Filippo Maria concede un privilegio a Romano [22 gennaio 1413; CALVI, III, 429], mentre la val Seriana superiore rimane malatestiana ed in val Camonica infieriscono le lotte tra ducheschi e malatestiani. Numerose testimonianze tra il 1413 ed il 1416 depongono a favore di una situazione saldamente in possesso del Malatesta nella pianura bresciana e lungo la riviera orientale del Sebino, con uno stato di instabilità in val Camonica. Lovere rimane ghibellina e duchesca e riceve da Filippo Maria Visconti un importante privilegio datato da Milano il 12 aprile 1413 [cfr. nota 3 in SILINI, 1988] concesso al comune ed uomini di Lovere e di Clusone abitanti a Lovere della sola parte ghibellina. Di fatto, molte delle concessioni ivi contenute sono dichiaratamente a favore di questa fazione, ma esse non sono molto importanti in questa sede. Sul piano istituzionale il privilegio prevede la conferma della podestaria, con estensione della giurisdizione sulla sponda bergamasca del Sebino da Predore verso nord, Sovere e, sulla sponda bresciana, Pisogne, ripristinando la competenza geografica della podestaria, mortificata dal guelfo Malatesta. La giurisdizione concessa è illimitata in civile e fino a 25 lire in criminale, né Bergamo potrà intromettersi al di sotto di queste somme. Anche il Visconti conferma a Lovere la facoltà di redigere statuti, da confermarsi ed osservarsi sia dal comune che dal signore.
Nello scontro che segue tra Pandolfo ed il duca di Milano, al quale Venezia assiste con crescente preoccupazione, il Visconti finisce per prevalere e l' 8 agosto 1419 Bergamo giura fedeltà al Visconti. Sono di questi stessi giorni i giuramenti di altre zone del territorio bergamasco, come le valli di san Martino ed Imagna (canton della Pieve, comune di Bedelita, contrade di Cipino, della Roncola e di Strozza) [31 luglio; ASMI, Reg. Duc. 21, 144 e 146]; le squadre di Locatello, Rota, e Valsecca in val d'Imagna [5 agosto; ASMI, Reg. Duc. 21, 149]; Bergamo, anche a nome del distretto ed episcopato della città [8 agosto; ASMI, Reg. Duc. 21, 151]; val Gandino e certi luoghi di val Seriana inferiore, Solto e Riva [23 agosto; ASMI, Reg. Duc. 21, 153]; le valli Seriana, Brembana e Calepio [28 agosto; ASMI, Reg. Duc. 21, 156 e 159]; la val di Scalve e Pisogne [1 settembre; ASMI, Reg. Duc. 21, 164]. Questi atti segnano la fine del dominio malatestiano sul territorio bergamasco. Gradualmente, anche quello bresciano rientra sotto le insegne milanesi. Pandolfo si ritira dalla Lombardia, lasciandola in mano di Filippo Maria, che ne rimane il padrone assoluto.
Pochi giorni dopo il giuramento di fedeltà, val Seriana superiore ottiene dal Visconti un ampio privilegio [17 settembre 1419; BCBG, AB 389, 152; copiato nel 1740 dal notaio di Clusone G. Antonio de Calvis ed autenticato dal capitano e vice-podestà di Bergamo Leonardo Dolfin; anche in BALDI, Sommario Grande, 113]. Nelle parti del documento che qui interessano, i supplicanti ottengono l'esenzione da Bergamo di val Seriana e di Sovere nel pagamento delle spese per i luoghi fortificati e per i salari di rettori ed ufficiali di città. Il concedente accorda al vicario di val Seriana un'autorità in civile fino a L. 50 ed in criminale fino a L. 25 e conferma gli statuti in vigore al tempo del padre. Bernardino BALDI pone anche al 24 luglio 1422 la conferma degli statuti ad opera di Filippo Maria Visconti [Sommario Grande, 113], che tuttavia non vengono ricordati tra altri statuti di valle [CORTESI, 1983].
Le fortunate imprese di Filippo Maria suscitano naturalmente contrasti e gelosie tra i principi italiani. Venezia, retta dal doge Tomaso Mocenigo, che preferiva anteporre gli interessi commerciali a quelli territoriali, è in un primo tempo restia a farsi coinvolgere in avventure belliche. Poi, quando nel 1423, accede al dogato Francesco Foscari, fautore di una strategia di movimento, la Repubblica si dimostra più abile a cogliere ed a favorire talune situazioni di difficoltà nel campo avverso. Vi sono infatti nella Lombardia di riacquisizione viscontea discordie e resistenze contro il nuovo signore, favorite da un suo atteggiamento contrario alle guarentigie municipali e da azioni persecutorie contro la parte guelfa ed apertamente favorevoli ai ghibellini. Vi è anche una continua erosione dei poteri centrali, favorita dai maneggi, dagli intrighi e dalle lotte dei confinanti. Nel 1425 poi il Visconti muta il suo atteggiamento nei confronti del Carmagnola, lo umilia e così indirettamente lo induce a rivolgersi verso Venezia, che è ben lieta di assumerlo al proprio servizio (2 marzo 1425).
Già verso la fine del 1425 il Carmagnola tenta di infiltrarsi nel territorio nemico, intrattenendo contatti con emissari bresciani che si offrono a Venezia e stringe accordi per le azioni militari che si vanno preparando. La guerra viene dichiarata il 3 marzo 1426. Fino alla primavera del 1426 la situazione rimane sostanzialmente invariata sul piano militare. Ma nel maggio di quell'anno gli accordi per una lega tra Venezia, Firenze ed Amedeo di Savoia in funzione anti-viscontea sfociano in una formale alleanza e cominciano a dare frutti concreti. Brescia presta giuramento nelle mani del Carmagnola il 6 ottobre 1426. La resa definitiva avviene solo il successivo 20 novembre. Il 23 novembre Venezia comunica ai suoi alleati che essendo val Camonica un distretto bresciano, essa si deve legittimamente considerare di pertinenza veneta. Ma dopo alcune irresolutezze circa l'occupazione della valle, il Senato veneto decide il 26 novembre di rinunciare alla valle che rimane al Visconti, mentre Iseo e la riviera orientale del Sebino passano al dominio veneto, dopo la loro occupazione da parte di truppe della Serenissima. Il Visconti mantiene tuttavia sul lago un capitano ed un vicario ed il confine tra le due potenze contendenti passa sul Sebino, rimanendo la riva occidentale e Lovere in possesso del Visconti, almeno fino all'inizio del 1427. Secondo il BONALDI [1965], ripreso da ANDRIGHETTONI [1973-1974], anche la valle di Scalve fu conquistata al dominio veneto tra il 1426 ed il 1427 dal Carmagnola, a nome della Repubblica. Invece, secondo il GRASSI [1899] non vi sarebbe stata vera conquista armata ma, essendosi data a Venezia la valle Seriana superiore, Scalve ne seguì l'esempio, quando ancora la città di Bergamo rimaneva sotto il dominio visconteo.
Difficile stabilire con precisione la realtà delle cose. Sta di fatto che mentre il Carmagnola cerca di erodere quanto più può il dominio visconteo sul territorio lombardo, il Visconti tenta di prolungare le trattative iniziate e di guadagnare tempo, nella speranza di un intervento dell'imperatore Sigismondo in suo favore. Egli è preoccupato di perdere Bergamo, il cui territorio appare ormai molto compromesso.
Questa appare, per grandi linee, la situazione nella quale si deve destreggiare il cardinale di Santa Croce, che in nome del papa mira ad un accordo che il 20 dicembre 1426) viene trovato e siglato a Ferrara: esso prevede che Brescia e tutto il suo territorio (tranne val Camonica), Bergamo e Cremona passino a Venezia.
Nel marzo 1427 l'armata veneta ricomincia le operazioni militari tentando di rioccupare la val Calepio: ma il Visconti la ricaccia oltre l'Oglio. Per un momento la sorte sembra favorire Filippo Maria Visconti che, mentre continua a minacciare Brescia, non cessa di incitare Sigismondo a scendere in Italia per portargli aiuto.
Nel giugno 1427 il Carmagnola è accampato nel cremonese dove va costituendo un grosso esercito con il Gonzaga e riceve intanto delegati di terre bresciane e bergamasche che gli si presentano in atto di sottomissione. All'inizio di ottobre, dopo aver manifestato ai provveditori veneti la loro propensione per la repubblica, molti ambasciatori della val Brembana, val Seriana superiore ed inferiore, Scanzo, Rosciate e val Calepio, arrivano a Venezia per sottomettersi, chiedendo di essere liberi e separati da Bergamo: il Senato veneto li accetta e promette loro l'indipendenza richiesta [BCBG, AB 211, 99r]. I Consigli dello stato ricevono i nunzi di quelle valli il 2 ottobre 1427 e il giorno successivo essi prestano il giuramento di fedeltà. Manca ormai soltanto la sconfitta militare del Visconti: il 2 novembre 1427 gli eserciti veneto e milanese si scontrano a Maclodio e la battaglia si risolve in una definitiva disfatta per il Visconti.
Il 30 novembre 1427 il Senato veneto [ASVE, Senato Secreta 10, 105v, trascritto da PUTELLI] dà facoltà al provveditore generale Iacopo Barbarigo di accogliere la fedeltà di diverse terre del Sebino e del territorio bergamasco, ciò che egli fa il 6 dicembre, garantendo promesse e privilegi a Lovere, Sovere, Bossico, Colere ed alcune parti della val Taleggio. Ancora il 1 dicembre 1427 tuttavia [ASVE, Senato Secreta 10, 107r, trascritto da PUTELLI, p. 292], il Senato, alla notizia che Lovere, Pisogne ed altri paesi del Sebino sono passati a Venezia, ordina che le barche armate già approntate siano varate, così da ridurre all'obbedienza tutta la riviera del lago. A poco a poco le truppe della Serenissima provvedono all'occupazione di val Seriana, Gandino, Trescore, valle di san Martino, val Brembana, val Taleggio, arrivando fin sotto Bergamo, dove permangono nuclei di resistenza viscontei e ghibellini.
Nel febbraio 1428, su ordini del Visconti, i condottieri della Pergola e Piccinino riprendono l'azione e cercano un ritorno attraverso le vallate, cominciando da quelle di san Martino e Calepio e commettendovi gravissime ritorsioni. Anche la val Taleggio viene ripresa, ma non le valli Seriana superiore e Brembana, che rimangono fedeli alla Serenissima. Iseo giura fedeltà il 6 marzo 1428, Palazzolo e Rovato il 7 dello stesso mese.
Gradualmente ci si avvia verso una pace, propiziata da Martino V e mediata dal cardinale di Santa Croce. Il congresso di Ferrara, che era stato convocato il 27 ottobre 1427, fatica a raggiungere una conclusione perché ancora si disputa intorno a val Camonica ed Iseo, cui il Visconti tiene particolarmente per assicurarsi la via di una eventuale discesa di Sigismondo nel quale, nonostante tutto, continua a sperare. I capitoli della pace vengono conclusi il 17-18 aprile 1428 [ASVE, Commemoriali XII, 7v], ma soltanto il 5 maggio vengono precisati i confini. Alla fine, Venezia ottiene Brescia con il territorio, Bergamo e territorio con Romano e Martinengo, val Camonica da Iseo fino ai suoi termini, Casalmaggiore ed altre fortezze sul cremonese. Milano conserva la Ghiara d'Adda, Caravaggio, Treviglio, Lecco, val san Martino e Cremona. Ultima tra tutti, la città di Bergamo invia a Venezia messi per la sua sottomissione il 23 aprile e l'8 maggio i provveditori prendono possesso della città. Il 4 luglio 1428 Bergamo manda una ricca ambasceria per presentare l'omaggio formale di fedeltà a Venezia.