La seconda metà del secolo XVII

In questa fase storica, i rapporti tra città e territorio paiono abbastanza poco interessanti, nel senso che i problemi che sorgono sono di portata minore. Prima di esaminare dettagliatamente le vicende delle giusdicenze di fuori, pare opportuno dare uno sguardo riassuntivo al ricambio dei giusdicenti durante la seconda metà del secolo XVII, come alla Tabella 5.

Tabella 5. Numero di giusdicenti eletti, scusati, rinunciatari e defunti nel periodo 1650-1699.

I II III IV
Eletti Scusati Rinunciatari Morti
Podestaria di Scalve 54 2 2 -
Podestaria di Lovere 51 2 - -
Podestaria di Urgnano e Cologno 53 - 3 2
Commissariato di val san Martino 54 3 - 1
Vicariato di val Seriana inferiore 50 - - -
Vicariato di Gandino 51 - - 2
Vicariato di val Brembana inferiore 50 - 1 -
Vicariato di val Brembana superiore 50 - - -
Vicariato di Oltre la Gocchia 55 - 4 2
Vicariato di Almenno 52 - 1 2

Ebbene, dal complesso dei dati appare del tutto evidente che la situazione dei diversi uffici si è quasi del tutto normalizzata, dopo l'ondata di scuse e rinunce del cinquantennio precedente. Il più alto numero di rinunce (4) si verifica al vicariato di Serina; il numero più elevato di scuse (3) a Caprino; la distribuzione delle morti nei vari uffici appare del tutto casuale; la situazione di Lovere, che era stata assolutamente aberrante durante la prima metà del secolo si è praticamente regolarizzata. Su queste conclusioni generali, si innestano però alcune vicende che sono esaminate nel seguito.
Per limitare l'attenzione agli eventi di interesse più generale, del 17 dicembre 1657 [Az. 69, 141v] è una parte importante per tutti gli uffici della città e del territorio, mediante la quale si stabilisce un ordine fisso di priorità per tutte le elezioni alle cariche. Per quanto riguarda gli uffici di fuori, l'ordine di elezione è il seguente: podestà di Scalve, commissario di Caprino, podestà di Lovere, podestà di Cologno ed Urgnano, vicari di Gandino, Nembro, Serina, Zogno, Almenno ed Oltre la Gocchia. Di fatto, da questo momento in poi le elezioni annuali alle giusdicenze territoriali seguiranno sempre quest'ordine, che è anche quello utilizzato nella numerazione delle Tavole Cronologiche.
Nell'agosto 1673 la città aveva dato incarico ad una commissione di proporre la riduzione delle spese che sovraccaricavano il suo bilancio ed il 22 febbraio successivo i commissari presentano in Consiglio la loro relazione [Az. 72, 217v]. Tra gli altri suggerimenti, quelli che coinvolgono direttamente il territorio riguardano il taglio dell'integrazione di salario del podestà di Lovere da 1500 a 1200 lire all'anno, da pagarsi in tre rate ed un abbassamento del salario del podestà di Scalve a 1400 lire annue, da pagare in due rate. Subito dopo, tra il 1676 ed il 1678, sorgono liti con Scalve a proposito di quella podestaria, riguardanti la giurisdizione criminale e la tariffa degli atti dell'ufficio. Dai documenti disponibili appare che alcuni maggiorenti del luogo si arrogano il diritto di comporre le liti e non hanno quindi alcun interesse ad accrescere le tariffe del banco giuridico, non solo perché in questo modo perderebbero il loro potere, ma anche perché, mantenendo basse le tariffe, i podestà che accettano la carica saranno "persone deboli e facili a depender da loro voleri" e non invece persone di rango e di polso. Non desta meraviglia il fatto che, perdurando la situazione di tensione descritta, i podestà eletti a Scalve intanto rinuncino. Dopo numerose consultazioni tra le parti ed autorevoli interventi da Venezia, alla fine tutto si risolve mediante un congruo accrescimento del contributo di Bergamo a quel podestà [25 dicembre 1680; Az. 73, 250r].
Si è già spesso rilevato che i giusdicenti del territorio cercavano di sottrarsi alla residenza continua nelle rispettive sedi, concedendosi lunghe vacanze e che di tanto in tanto Bergamo doveva intervenire per frenare gli abusi. Naturalmente, gli abitanti protestavano, poiché ritenevano di aver diritto ad essere governati e giudicati dal loro legittimo vicario, piuttosto che da luogotenenti reclutati in luogo, dai quali non ci si poteva sempre attendere una giustizia imparziale. Così il 29 dicembre 1679 [Az. 73, 212v] il Consiglio è di nuovo costretto a prescrivere che nessuno possa essere ammesso ad uno scrutinio "se non haverà presentata fede publica di quella comunità ove sarà stato eletto di esser stato permanente alla carica e di non esser da quella partito durante il tempo della carica medema". L'intenzione è eccellente, ma il provvedimento troppo formale per essere praticabile. Si tratta della prima di una serie di risoluzioni analoghe con le quali si tenta di far certificare da altri comportamenti che la città stessa avrebbe dovuto accertare e, se del caso, perseguire.
Ormai le elezioni hanno assunto ritmi assolutamente regolari ed i vicari vengono eletti nell'ordine stabilito in un medesimo giorno verso la fine di dicembre di ogni anno. Questo dato di fatto induce l'osservatore sospettoso a chiedersi se l'alternanza alle cariche fosse concordata in precedenza e l'elezione fosse un evento del tutto formale. L'ipotesi viene confermata quando, il 23 dicembre 1683, il Consiglio stesso apertamente descrive un'abitudine che appare da tempo chiara a chi esamini le liste dei giusdicenti. Dice il preambolo di una parte: "perché non prevaglia il dubbio che siasi da qualche tempo in qua introdotta con pessimo e scandaloso essempio fra Consiglieri una scambievole contrattatione de voti" per le elezioni alle cariche distribuite dalla città "a causa che si patuisca fra l'interessati proposti et concorrenti alle cariche le balotationi de suoi partiali Consiglieri votanti a sempre favor loro reciproco col affidarsi anco il voto in mano d'altro Consigliere per essentar il proposto et concorrente". Naturalmente questi comportamenti irregolari hanno come risultato l'esclusione di altri candidati forse più meritevoli, quasicché le elezioni fossero questione di favori personali e non di riguardo alla giustizia ed alla qualità degli eletti. Un esame obiettivo della situazione è stato fatto per Lovere [SILINI, 1994], ma il fenomeno può essere documentato generalmente per tutte le sedi di giusdicenza. Dati qui non riportati per brevità mostrano in tutta evidenza che vi sono incarichi ripetuti, spesso nelle medesime sedi, dopo i periodi di contumacia stabiliti. Ciò depone per l'esistenza di meccanismi elettivi non casuali, ma pilotati dall'esterno.
"Perché non prenda vigore un sì dannato disordine - continua il preambolo della parte - gli anziani propongono di proibire qualsiasi scambio di voti, "conventioni, concerti, officiosità tanto in Consiglio quanto fuori", sotto pena ai contravventori di essere esclusi dal Consiglio o da qualsiasi carica della città. E, fin qui, si può ben essere d'accordo con la proposta. Ma la parte prosegue: "et essendo il giuramento rimedio il più efficace per l'essecutione della precedente parte, obligando la conscientia et l'honore, doverassi perciò de cetero con l'occasione di prestarsi il giuramento da signori Consiglieri, giusta li statuti, farsi giurar anco l'essecution pontuale della presente parte...", con altre disposizioni ancora. Ora, non era la prima volta che proposte di questo genere erano state avanzate ed accolte - si ricorderà, per esempio, il giuramento di "purgarsi la coscienza" prima delle votazioni - ma il fatto stesso che i disordini proseguissero rende evidente la loro assoluta inutilità. Non si può pensare che persone così realiste e positive come gli anziani del Consiglio credessero veramente alle virtù taumaturgiche di un giuramento. Bisogna quindi ritenere che la proposta sia null'altro che uno scarico di responsabilità; oppure il tentativo di dimostrare al territorio che il Consiglio si preoccupava davvero del buon governo del distretto e prendeva i rimedi necessari per soddisfare i sudditi che protestavano; o, forse, tutte e due le cose insieme.
Di tanto in tanto, qualche rinuncia o la morte di un giusdicente vengono ad interrompere la successione regolare delle elezioni: in quest'ultimo caso un parente del morto viene di solito chiamato a succedergli. Il ritmo delle nomine agli uffici di Lovere e Scalve viene scandito dai mandati di pagamento per il sussidio dei rispettivi salari, spesso dietro certificazione delle relative cancellerie comunali che gli interessati hanno di fatto risieduto per i tempi stabiliti.
In preparazione della tornata di elezioni del dicembre 1686 ritorna all'attenzione del Consiglio di Bergamo il problema mai definitivamente assestato del periodo di contumacia [Az. 75, 7v]. Dal testo della risoluzione proposta si può desumere che, non ostante l'obbligo di questa vacanza dagli incarichi, non fossero infrequenti le persone confermate ad un medesimo ufficio, oppure elette per un periodo più lungo di quello prescritto per ogni carica, il che, com'è ovvio, pregiudicava i diritti di altri cittadini che ambivano alle cariche. Pertanto, "a divertimento di tali disordini" si introduce l'obbligo di suppliche formali per tali conferme e si istituiscono regole di maggioranza più stringenti nella votazione di queste suppliche, al fine di renderne più difficile l'accoglimento.
Esisteva da secoli in bergamasca l'istituzione di un corpo di sindaci dei giusdicenti di fuori, ma da qualche tempo, forse addirittura da centinaia d'anni, nessuno veniva più eletto a questa carica. L'operato dei vicari e podestà era seguito di tempo in tempo, ma molto irregolarmente, nel corso delle visite dei rettori o dei sindaci inquisitori di Terra Ferma. Già dal 1686, ma su basi incerte, il Consiglio approvava alcune relazioni sui giusdicenti che ritornavano dalle cariche. Ma ora [23 aprile 1687; Az. 75, 35v] gli anziani, ritenendo utile ripristinare e rinnovare un meccanismo stabile di revisione, propongono di eleggere tre cittadini "quali debbano sindacare tutti li giusdicenti fuori della città, quali non siano dell'agnatione de medemi, tanto durante la loro carica quanto finita, con obligo di dover con loro scrittura giurata rifferire a questo Consiglio le loro attioni per le proprie deliberationi; et tale elettione sia sempre continuata di anno in anno...". Secondo la proposta, i candidati alle giusdicenze non potranno essere votati se prima non saranno state lette e votate le relazioni dei loro precedenti incarichi. Approvata a larga maggioranza la parte, si eleggono i primi tre sindaci, che sono persone di rango: un conte e due dottori. Ma, come si vedrà nel seguito, anche questa iniziativa tesa a migliorare l'efficienza della pubblica amministrazione finirà per corrompersi e per richiedere nuove correzioni.
Le prime relazioni dei sindaci sono lette e votate singolarmente in una seduta del dicembre 1686 [Az. 74, 179v]. Le relazioni disponibili da questa data in poi e fino al 1699 mostrano che non tutti i giusdicenti si sottopongono a sindacato e che, di quelli che lo fanno, nessuno viene respinto, anzi spesso le persone considerate nella medesima seduta hanno lo stesso numero di voti favorevoli e contrari, come se l'approvazione fosse un fatto formale e i consiglieri si pronunciassero sempre e nello stesso modo a favore di tutti i candidati.
Ormai i nefasti effetti della peste sono stati cancellati ed il ricordo del contagio consegnato agli archivi. Con l'accrescimento della popolazione, aumenta anche il numero dei potenziali candidati agli uffici di fuori, tanto che alcuni vengono rifiutati. Il frequente passaggio delle medesime persone da un ufficio all'altro, con la relativa continuazione dei proventi, fanno sì che molti candidati restino senza impiego, pur non essendo men degni "della publica paterna prediletione". Le autorità ritengono quindi maturi i tempi per correggere queste distorsioni e per favorire l'alternanza degli uomini migliori al governo del territorio. Si propone quindi unanimemente al Consiglio [30 dicembre 1687; Az. 75, 80v] che gli uffici dei giusdicenti di fuori e di alcune cariche di dentro (nodari e coadiutori al Malefizio, nodari alle Vettovaglie ed alle Strade) abbiano una contumacia reciproca di tre anni, oltre alla contumacia propria di ciascun ufficio. La proposta passa con maggioranza schiacciante. Poi, per togliere ogni dubbio residuo, una dichiarazione precisa che la risoluzione si applicherà solo alle persone elette in avvenire alle cariche in parola [21 aprile 1688; Az. 75, 91v].
L'assenza di menzioni specifiche nei documenti ufficiali non deve naturalmente indurre a ritenere che l'amministrazione della giustizia nei luoghi periferici del distretto procedesse sempre in maniera precisa e puntuale. A seconda delle capacità dei singoli giusdicenti e del grado di sopportazione delle comunità sottoposte, a tratti vengono apertamente in luce manchevolezze e disfunzioni. Probabilmente, per ogni disordine denunciato, altri venivano sottaciuti, cosicché la portata complessiva di tali fenomeni pare difficile da precisare, ma essa era tuttavia tale da indurre spesso i rettori a menzionare le irregolarità nelle loro relazioni a Venezia. Una delle comunità più puntuali nella denuncia dei mal funzionamenti della giustizia era la valle di Scalve, che da questo punto di vista peccava magari di un eccesso di zelo. Proprio ad istanza di quella valle, una parte del 21 dicembre 1688 [Az. 75, 127v] richiama l'obbligo che il pagamento delle rate di sussidio ai podestà di Lovere e Vilminore sia subordinato ad una dichiarazione di residenza, rilasciata dal cancelliere delle comunità. A partire all'incirca da questo tempo, i cancellieri del Consiglio menzionano spesso che i mandati di pagamento dei sussidi in parola sono stati preceduti dalle certificazioni prescritte.
Nuovi obblighi vengono anche imposti ai giusdicenti di fuori [22 dicembre 1692; Az. 76, 49r]: per sopperire alla necessità dell'Ospedale Grande cittadino, quando essi ritireranno le lettere d'incarico dovranno dimostrare di aver pagato al tesoriere dell'ospedale uno scudo, a titolo di oblazione, e le lettere patenti dovranno poi essere controfirmate dai "Publici Rappresentanti" prima che essi partano per gli uffici; a loro volta, le lettere d'incarico saranno registrate su un libro a parte, da conservarsi presso la cancelleria cittadina. Peccato che in una deliberazione così dettagliata, il Consiglio avesse scordato di prevedere le pene per i trasgressori: questa è precisamente la ragione per cui l'anno successivo [29 dicembre 1693; Az. 76, 93r] si deve constatare che l'obbligo della registrazione delle lettere patenti nell'apposito registro viene evaso. Il Consiglio è allora costretto a modificare la risoluzione con una pena drastica: chi ometterà la registrazione sarà privato della giusdicenza conferitagli. Che sembra una pena sproporzionata ad un'infrazione tutto sommato modesta.
Nel complesso, tra gli anni 1694 e 1699 gli unici documenti che compaiono nel Libro delle Azioni sono quelli di abilitazione dei giusdicenti che ritornano dalle cariche nonché le elezioni alle giusdicenze, come si possono desumere dalle Tavole Cronologiche. Segni inequivocabili che sempre di più l'amministrazione del territorio si va riducendo a questioni di carattere formale, mentre la sostanza degli incarichi si va gradualmente svuotando.