Dalla pace di Lodi alla fine del secolo XV
Chiuse così le guerre con Milano, la Repubblica veneta si dedica al rafforzamento militare ed al consolidamento amministrativo dei territori acquisiti, un processo che ha luogo nel corso di circa quarant'anni, durante i quali la Lombardia veneta gode di un periodo relativamente prospero e tranquillo. Tutti i settori della vita pubblica risentono beneficamente del rinnovato interesse della capitale. Esso si attua attraverso un sostanziale rispetto delle usanze locali ed un decentramento amministrativo che è saggio, in quanto chiama la periferia alla partecipazione, ma è temperato da un buon grado di coordinamento centrale nelle materie di interesse più generale: non a caso risale a questo periodo il rifacimento di molti statuti di comunità e valli del territorio.
Una ducale di Pasquale Malipiero del 26 marzo 1461 [Registro Ducali A, 52v] è di interesse per l'elezione dei vicari del territorio. Con essa il Senato veneto, a seguito di disordini e lamentele riferiti dalla città, modifica la procedura per il sorteggio dei candidati, stabilendo regole per garantire una maggiore equità nel conferimento delle cariche. E, contrariamente a Bergamo, che ritiene troppo severa le norme sull'obbligo di residenza dei giusdicenti, rifiuta di innovare la prassi in vigore.
Per quanto consta al Registro delle Ducali A [58r], la nuova procedura rimase in uso almeno fino al 4 gennaio 1467, data alla quale cessano le registrazioni delle nomine dei giusdicenti di fuori, e cessano quindi le informazioni regolari sui nomi di questi ufficiali, che erano iniziate nel 1447. Da questo punto in poi le informazioni sono soltanto occasionali. Esse erano apparentemente annotate nel Libro delle Ducali della cancelleria pretoria ora scomparso, e solo di rado appaiono al volume 96 del Libro delle Azioni del Consiglio, il quale menziona di solito l'avvenuta estrazione dei vicari, senza fornire i nomi degli eletti. Si ricordano degli anni 1470 provvedimenti per il pagamento della tassa del 35% alla camera fiscale sui salari e le utilità dei giusdicenti del territorio [23 dicembre 1471; Registro Ducali A, 60r] e disposizioni per regolamentare le visite da parte dei sindaci per verificare e controllare l'operato dei medesimi giusdicenti secondo tempi e procedure certi [30
gennaio 1472; Registro Ducali A, 61r].
In questo periodo di tempo si verifica l'affrancamento della val Seriana superiore da Bergamo nella nomina del podestà di valle. Fino al 1467, come si desume dal Registro delle Ducali, l'elezione del podestà clusonese procede come per tutti gli altri uffici di fuori e la regolarità di questa prassi potrebbe far pensare che Bergamo sia ormai riuscita a prevalere, ma così non è, perché i valligiani continuano ad operare per il recupero dei loro diritti. Dopo alcune schermaglie preliminari, la mossa decisiva è in una ducale del 31 agosto 1468 [STATUTA, 105v], nella quale il governo veneto comunica ai rettori bergamaschi che la valle ha chiesto attraverso il Consiglio dei Dieci (cui è demandata la materia dei privilegi in prima dedizione) di confermare Baldassare de Basellis da San Pellegrino, cittadino di Bergamo, eletto vicario di valle. Con questa elezione i valleriani dimostrano di aver agito all'insaputa di Bergamo, chiedendo l'approvazione del loro operato alla capitale e tagliando fuori la
città. Bergamo tenta una reazione sul piano legale con un ricorso agli Avogadori di comun [BCBG, Salone Loggia K 5 66, 35; BALDI, Sommario Grande, 199], ma i rettori devono ubbidire a Venezia e così il 18 novembre 1468 nominano il Basellis per sei mesi come rettore della valle. L'anomalia del titolo e la brevità del mandato indicano che i rappresentanti del governo veneto a Bergamo dovevano barcamenarsi con difficoltà tra le istanze di Venezia e l'opposizione di Bergamo [BCBG, AB 211, 13r].
Affermato in tal modo il principio dell'elezione autonoma del loro podestà, i valligiani possono affrontare il passo successivo, che è quello di svincolarsi del tutto da Bergamo con l'elezione di un nobile veneto, al posto di un cittadino bergamasco: ciò che due rappresentanti della valle compiono a Venezia il 28 aprile 1470 con l'elezione di Giovanni Canali [BALDI, Sommario Grande, 193]. La città contesta questa decisione ed elegge a sua volta un cittadino alla podestaria, il quale tuttavia non viene accolto a Clusone. In occasione dell'elezione del podestà successivo, Pietro Contarini, vi sono anche dispute e risse in valle, che vengono tacitate con la ratifica di Venezia [4 dicembre 1473; Registro Ducali A, 63v]. Anche in seguito si riportano contestazioni ed opposizioni da parte di Bergamo ma, gradualmente anche se non agevolmente, il principio dell'elezione autonoma del giusdicente di Clusone viene accettato, anche se non sempre è facile trovare l'accordo sulla persona da
eleggere tra gli oltre 40 rappresentanti dei comuni di valle cui tocca la nomina.
Per le ragioni citate sopra, e per altre che saranno dette in seguito, riesce generalmente difficile a partire dal 1467 e fino ai primi due decenni del secolo XVI ricostruire una cronologia precisa dei giusdicenti nei vari uffici, tranne che per alcuni casi nei quali la particolarità delle procedure di nomina (Clusone), oppure l'esistenza di registrazioni seriate (val Brembana superiore), oppure ancora la disponibilità di ricerche specifiche (Scalve, Lovere), hanno permesso di raccogliere i nomi dei giusdicenti. Pertanto, a parte menzioni occasionali, riesce per il momento impossibile colmare i vistosi vuoti nella successione dei nomi.
Naturalmente, Bergamo continua nel suo impegno per assicurarsi il controllo del distretto mediante la nomina di suoi cittadini agli uffici di fuori, ed in ripetute ambascerie a Venezia ripropone questo suo diritto. Tra le numerose rivendicazioni, i capitoli di commissione affidati ad un gruppo di oratori della città in partenza per Venezia il 23 agosto 1484 [Az. 3, 250v] sono molto istruttivi circa le persistenti richieste del capoluogo a proposito degli uffici di giusdicenza. Tra esse vi sono: a. la richiesta che le podestarie di Martinengo e Romano, che avevano avuto giusdicenti non bergamaschi, vengano invece assegnate a cittadini; b. la necessità che anche val Seriana superiore sia ritornata alla guida di un bergamasco; c. il ritorno alla giurisdizione di Bergamo delle comunità di Urgnano e Cologno, che si erano offerte a Milano in occasione degli eventi bellici dell'estate 1483; d. la nomina di un cancelliere per il vicariato di Nembro; e.
l'abolizione generalizzata della tassa del 35% sulle entrate dei giusdicenti, al fine di incrementarne i compensi e poter così reclutare persone più degne.
Un'altra questione vessatissima per il Consiglio bergamasco è quella della inclusione nell'urna di sorteggio dei nomi dei possibili giusdicenti. Una ducale del 27 giugno 1485 su questa materia infiamma particolarmente gli animi dei bergamaschi, tanto da dar luogo a diverse ambascerie verso Venezia. Sarebbe troppo lungo addentrarsi nei dettagli di lunghe dispute procedurali e di sostanza che si trascinano con alterne fasi fino alla fine del secolo. In breve, esse riguardano il fatto che molte persone riuscivano a farsi inserire nelle bussole per l'estrazione dei vicari, con metodi surrettizi, contro le procedure, magari per intervento diretto da Venezia; laddove il Consiglio bergamasco, che era gelosissimo delle proprie prerogative di inviare persone di sua fiducia agli uffici periferici, era determinato a difendere "ad unguem" i suoi privilegi ed a detenere il controllo totale delle decisioni.
Tra il 1487 ed il 1490 si notano numerosi tentativi di redistribuzione delle competenze territoriali degli uffici (in val Brembana ed a Lovere, per esempio) che coinvolgono dispute tra la città, i rettori e diversi luoghi del territorio. Essi creano l'impressione di un vasto movimento di rivendicazione, se non di vera insubordinazione, del territorio nei confronti della città, che si spinge fino alla richiesta da parte dei valleriani di inserire capitoli a proprio favore negli statuti cittadini [luglio 1492; Az. 6, 75v e 76v]. Per combattere queste pretese la città deve impegnarsi di continuo a Venezia.
Un altro argomento ripetutamente agitato in questo scorcio di secolo riguarda il pagamento della tassa del 35% sui salari dei giusdicenti e, più specificamente, il tipo di moneta in cui questa tassa doveva essere pagata e le ripetute richieste di esonero al fine di rimpinguare le entrate dei giusdicenti. Da segnalare inoltre una serie di disposizioni sul reclutamento dei cancellieri agli uffici di fuori, che alcune valli rivendicavano per sé, ma che il dominio veneto preferiva lasciare ai giusdicenti stessi. Infine, si va sviluppando un nutrito contenzioso sulla giurisdizione criminale dei titolari degli uffici di fuori. Le dispute a questo proposito si concentrano sul diritto del Giudice dei Malefizi, che era una magistratura distrettuale, di recarsi in periferia per accertare i delitti più gravi: oltre a motivi di squisito carattere giuridico queste dispute avevano consistenti risvolti di carattere pecuniario perché, da una parte, le visite o "cavalcate" del giudice, dei notai e servitori del Malefizio
gravavano in maniera spropositata sulle finanze delle comunità periferiche; e, dall'altra parte, l'esercizio della giurisdizione criminale da parte del Malefizio sottraeva una fonte di reddito ai giusdicenti periferici. Nell'ambito delle dispute sul criminale va anche segnalata tra il 1485 ed il 1486 uno scoperto tentativo del Consiglio bergamasco di avocare a sé, sottraendolo al podestà veneto di Bergamo, la dipendenza dell'ufficio del Malefizio. La precisa documentazione di queste vicende, anche per la loro complessità e lunghezza, viene in questa sede volutamente omessa.