Il periodo delle guerre d'Italia (1493-1516)
Con la discesa di Carlo VIII del settembre 1494 si apre il periodo delle guerre d'Italia, una fase storica travagliatissima per la complessità delle vicende belliche, il susseguirsi e l'alternarsi dei regimi ed il conseguente disordine civile ed amministrativo. Per una descrizione concisa di questa fase, con specifico riguardo al territorio di Bergamo, si fa riferimento a SILINI [1992, specialmente al capitolo II].
Con specifico riguardo alle materie istituzionali, l'organizzazione dello stato, anche in periferia, sembra reggere abbastanza ordinatamente, anche perché Venezia con un'accorta politica delle alleanze, riesce a mantenersi estranea alle vicende militari, almeno fino alla Lega di Blois del marzo 1499. In occasione della conquista della Ghiara d'Adda dell'agosto 1499, Bergamo cerca di annettersi i vicariati della Ghiara appena recuperati [Az. 7, 363v], inviando messi a Venezia per difendere tali suoi asseriti diritti. Contemporaneamente ha contatti con il governo militare veneto per ottenere altri uffici di vicariato. Tali azioni continuano anche nel 1500 e, se pur con fasi alterne, Bergamo riesce ad imporre suoi cittadini a Mozzanica, Ripalta, Vailate fino al 1508, pochi mesi prima dell'inizio delle guerre della lega di Cambrai.
Ancora nel 1503 [23 aprile; Az. 8, 133r] la questione delle male pratiche nel sorteggio dei vicari di fuori ritorna all'attenzione del Consiglio bergamasco. Esso chiede al Consiglio dei Dieci che i candidati indebitamente inclusi nell'urna e successivamente estratti siano esclusi, che non possano accedere agli uffici e che, qualora accedano, siano rimossi. Nonostante fosse ancora in atto all'epoca [12 dicembre 1505; Az. 9, 252r] la procedura di controllo da parte di dieci cittadini al sorteggio dei vicari di fuori, la loro presenza non era sufficiente per frenare gli abusi; non soltanto, ma il privilegio del 1454 prevedeva che gli uffici di fuori fossero concessi soltanto a cittadini benemeriti e, nonostante questo, venivano scrutinate ed estratte anche persone considerate non degne. Il Consiglio di Bergamo decide quindi [13 giugno 1505; Az. 9, 93r] di affidare a cinque probiviri una revisione della procedura di elezione, da sottoporre all'approvazione del Consiglio e da inviare
poi per ratifica a Venezia. E' certo a seguito di questi avvenimenti che il 31 aprile 1506 [Az. 9, 218r] il Consiglio bergamasco, nel conferire i mandati ad alcuni oratori che si recano al Venezia, chiede loro di sollecitare lettere dal Dominio che facciano obbligo ai rettori di eliminare i nomi dei candidati non degni, prima che essi vengano immessi nell'urna; il che fa ritenere che le infrazioni coinvolgessero la responsabilità dei rettori. Di fatto, si notano in questi anni molti sintomi che il livello dei giusdicenti di fuori non sia sempre adeguato, forse proprio per le scelte poco oculate e manovrate da fuori.
Si devono citare intorno a quegli anni problemi di carattere giurisdizionale ed istituzionale. Con la valle di Scalve, innanzitutto, che aveva fatto ricorso agli Avogadori a proposito di certe cause criminali che sarebbero state di spettanza di Vilminore e non di Bergamo. Vi era stato un chiarimento con il podestà bergamasco, a seguito del quale gli Avogadori si erano convinti delle ragioni della città. Essi revocano quindi le loro precedenti lettere e consentono a che i processi contestati siano di spettanza del podestà cittadino [Registro Ducali A, 132v]. Poi con il comune di Treviglio: in opposizione ad un privilegio da esso ottenuto, la città vuole che i "consigli dei sapienti", pareri giuridici richiesti nei casi dubbi, siano appannaggio del Collegio dei dottori e che gli appelli contro le sentenze fino a 100 ducati spettino ai rettori di Bergamo [11 ottobre 1504; Az. 8, 276v]; la causa si protrae fino al 29 ottobre 1507 [Az. 10, 55v]. Ed infine con il comune di Romano, che fa
uso di statuti non approvati da Bergamo né da Venezia. Il Consiglio maggiore si occupa di questa materia ed il 14 marzo 1506 [Az. 9, 198v] e chiede in visione gli statuti di Romano per verificarne la compatibilità con quelli della città [Az. 9, 198v]. L'assenso di Bergamo a questi statuti arriverà però soltanto il 25 marzo 1517 [Az. 14, 166v].
La rotta di Agnadello del 14 maggio 1509 segna un momento di grave difficoltà per Venezia e dà inizio nel territorio di Bergamo al periodo della dominazione francese. Al suo arrivo Luigi XII concede capitoli a Bergamo [17 maggio 1509; Registro Ducali A, 156r]. Fin dall'inizio la città vorrebbe che l'intero territorio le fosse soggetto e che tutti gli uffici, benefici, onoranze ed utilità della città e del territorio continuassero ad essere equamente distribuiti tra i cittadini, a giudizio e per decisione del Consiglio della città; tuttavia il re, pur non negando l'accesso delle cariche ai cittadini, non intende riservarle soltanto ad essi e si riserva di decidere persona per persona, trattando chiunque come se fosse originario francese. Una risposta che non può certo soddisfare le aspirazioni dei bergamaschi. Infatti, all'inizio di agosto 1509, quando già larga parte del territorio era stata donata al Gran Maestro, la città sottopone al re una nuova supplica [Registro Ducali A, 163v]. In essa
dichiara di aver sempre avuto a sua disposizione gli uffici della città e dell'agro, tranne quelli di Martinengo, Romano e val Seriana superiore, che Venezia le avrebbe indebitamente usurpato. Ora, per non rimanere mostruosamente sfigurata nel corpo, Bergamo supplica che le siano confermate le giurisdizioni di cui disponeva sotto Venezia, come vogliono giustizia, equità e le stesse promesse del re. La supplica viene mandata al podestà di Bergamo, con una dichiarazione che il re non intende ridurre (ma se mai accrescere) le prerogative di cui i cittadini (ma non già la città) godevano in passato e che nel conferimento degli uffici si osservi quanto era d'uso sotto Venezia. Il 3 agosto 1509 da Milano, in una lettera al podestà di Bergamo, Luigi XII conferma queste disposizioni.
In realtà, nonostante le favorevoli dichiarazioni di Luigi XII, i rapporti tra città e territorio bergamasco erano già stati radicalmente modificati da un atto di donazione che il re aveva fatto a Carlo d'Amboise, suo Gran Maestro e Luogotenente Generale [10 giugno 1509; Registro Ducali A, 157v], un documento di fondamentale importanza per i rapporti tra Bergamo e territorio in regime francese. La donazione si riferisce ai seguenti luoghi: Romano, Cologno, Urgnano, Ghisalba, Mornico, Calcinate, Martinengo, terre già appartenute a Bartolomeo Colleoni; le valli Seriana superiore, Gandino e Seriana inferiore, la valle Imagna, Lovere, Vailate, Trezzo e Villa di Serio, tutte terre del bergamasco; Fontanella nel cremonese; Ghedi, Leno e Malpaga, già appartenute al conte di Pitiliano che aveva comandato l'esercito veneto. Essa ha per oggetto: la giurisdizione di tutti i luoghi enumerati e tutti i dazi, convenzioni, diritti, regimi, regalie, diritti di caccia e pesca, preminenze, libertà, onoranze,
esenzioni, privilegi, grazie, terre, confini, taglie, pertinenze, possedimenti, pascoli, diritti d'acqua nonché acquedotti e rogge, fondi e qualsiasi altro bene presente e passato connesso con i detti luoghi. A tutto questo viene assegnato un reddito nominale annuo netto di 4000 ducati d'oro. Tutte le località nominate vengono liberate dalle rispettive giurisdizioni di Brescia, Crema e Bergamo, nonché dalla tutela di qualsiasi rappresentante delle città. Esse vengono esentate ed in tutto separate dalle città stesse. La donazione è fatta pleno iure in feudo all'Amboise ed ai suoi eredi in perpetuo, con l'eccezione dei diritti sul sale e delle tasse dei cavalli, che il sovrano si riserva. L'atto principale è accompagnato da alcuni altri documenti dipendenti [Registro Ducali A, 159r-161r]. Al 17 luglio menzionano il COLLEONI ed il CALVI [II, 446] che il re concede all'Amboise di poter alienare la metà dei beni donati.
Come risultato di questa donazione ed infeudazione, il territorio bergamasco si trova ad essere diviso in due zone: quella non ceduta all'Amboise, che rimane sotto la giurisdizione del capoluogo; e quella infeudata, dalla cui amministrazione Bergamo viene del tutto esclusa. Fanno parte della prima i territori elencati sopra; appartengono alla seconda le valli Brembana inferiore, superiore, ed Oltre la Gocchia, le valli di san Martino, Calepio, Cavallina, Taleggio, Almenno, ed alcune quadre della pianura.
Purtroppo i dati esistenti non consentono di ricostruire accuratamente le vicende di tutte le giurisdizioni: la carenza di documenti è tale da far pensare ad una sistematica azione di distruzione intervenuta dopo il ritorno di Venezia. Soltanto a partire dal 1511 le registrazioni utili nel Libro delle Azioni riprendono con una certa regolarità. Spesso quindi la cronaca degli avvenimenti di questo periodo deve procedere a ritroso, cercando di dedurre da informazioni successive il precedente stato delle cose.
I dati noti per la val Seriana superiore, grazie alle notizie del BALDI sono abbastanza completi. In estrema sintesi, egli narra che già dal 19 maggio 1509 Pietro Pallavicino era stato deputato rettore della valle [BALDI, MMB 150, 139 e Reg. A, 38v], e che il giuramento di fedeltà al nuovo dominio avvenne verso l'8 agosto 1509 [BALDI, Reg. A, 40v]. Un proclama di Francesco da Laveno, segretario e commissario del Gran Maestro ed insediato podestà a Lovere [12 settembre 1509; BALDI, Reg. A, 58v] fa poi obbligo a tutti i valleriani di dichiarare i nomi di coloro che continuano ad abitare a Venezia e favoriscono la causa della Repubblica con minacce di pene gravissime. Inframmezzato da tentativi di composizione, l'ordine viene replicato quattro volte fino a quando il 22 aprile 1510 gli assenti vengono "liberati" [BALDI, Reg. A, 57r ed altrove], ma la valle deve versare 650 scudi d'oro per riparazione [BALDI, Reg. A, 61r]. Intanto, il 24 settembre 1509 Carlo
d'Amboise dona a Bernardo di Recauvile la podestaria di Clusone [BALDI, Reg. A, 49r] e pochi mesi più tardi il re vi invia Pietro Antonio da Casate, cittadino milanese [14 dicembre 1509; BALDI, Reg. A, 49v].
Alcuni fatti erano intanto intervenuti tra il dominio francese e la valle, immediatamente prima degli episodi narrati. Infatti, il 16 novembre a Brescia rappresentanti di molti comuni della valle avevano ottenuto dall'Amboise di essere accettati nella sua buona grazia e di non essere venduti ad altri, offrendosi di pagare 1000 ducati d'oro, con alcune condizioni [BALDI, Reg. A, 41v e Sommario Grande, 299v]. Il 13 gennaio 1512 la valle appare ancora in mano francese ed invia nunzi al Panigarola, ringraziandolo per quanto ha operato, insieme con Antonio Maria Pallavicino, per conservare la sua libertà di eleggere il giusdicente, cosa che la valle ha fatto, a termine dei suoi privilegi. La valle prega il Panigarola di ratificare tale elezione, nel caso in cui il regime francese avesse già diversamente provveduto, e lo prega ancora di continuare a difendere i suoi diritti [BALDI, Reg. A, 64r].
La situazione di Lovere è stata minutamente discussa [SILINI, 1992] sulla base di molti documenti ritrovati. Va solo aggiunta un'informazione recente [pergamena già presso la Biblioteca Marinoni di Lovere ed attualmente conservata presso quel Comune]: si tratta di un privilegio del 1509 (ma la data precisa non è nota) concesso da Luigi XII ai loveresi dopo l'infeudazione all'Amboise. Oltre a benefici daziari per i manufatti diretti ai mercati del Tirolo, il testo contiene un capitolo di natura giurisdizionale, nel quale si concede ai loveresi di essere separati da Bergamo e di rivolgersi invece a Brescia per i giudizi d'appello del podestà locale e per i "consilia sapientium". Questo indica che i tentativi di Lovere di staccarsi da Bergamo proseguivano: essi si svilupperanno poi a partire dal 1512 in forma organizzata.
Le vicende di Martinengo in questo periodo sono state trattate dal PINETTI [1916] e più di recente da CAPRONI et al. [1992] e, nel complesso, non si discostano molto da quelle note per il resto del territorio. Martinengo ha dapprima un podestà di designazione francese, Gian Pietro Orabono, e cerca invano di ottenere concreti benefici. Per quanto riguarda Romano, CASSINELLI et al. [1978] menzionano un privilegio del 20 febbraio 1510 ad opera di Carlo d'Amboise.
Alcuni documenti nel Registro della Ducali A sono di grande interesse per ricostruire gli avvenimenti nel periodo iniziale della dominazione francese. Così, il 28 settembre 1509 [Registro Ducali A, 163v] il Consiglio bergamasco prende atto che alcune persone private hanno fatto istanza al Gran Maestro per acquistare le giurisdizioni di Martinengo, Romano, Cologno ed Urgnano, Calcinate, Ghisalba e Mornico. La città decide allora di inviare all'Amboise oratori per chiedere che questi uffici siano ceduti alla città, piuttosto che ad altri. Si nominano ambasciatori per trattare, ma l'accordo richiede denaro ed il 3 ottobre [Registro Ducali A, 104r] il Consiglio elegge sei deputati per trovarlo. Il giorno seguente si discute ancora in Consiglio e si pone parte che 4000 ducati condonati dal re a Bergamo siano dati ad interesse al fine di recuperare il denaro per la transazione e che le terre che saranno comprate ed i beni stessi del comune si possano ipotecare nei confronti di coloro che presteranno
denaro a tal fine. Il 5 ottobre [Registro Ducali A, 164v] si decide di acquisire le giurisdizioni, dazi ed introiti spettanti all'Amboise per i luoghi sopra nominati e si incarica il governatore di Bergamo Pallavicino di contrattare il prezzo ed i tempi dell'accordo, a nome della città. L'atto di cessione da parte di rappresentanti del Gran Maestro si trova al Registro delle Ducali A [164v].
In epoca posteriore, dopo la pace di Noyon, si parlerà del riscatto della podestaria di Urgnano e Cologno, che sotto i francesi era stata davvero data a privati [Az. 14, 163r]. Lo stesso accadde per altri uffici che non facevano parte delle terre donate all'Amboise, come Scalve, che fu data in convenzione per 150 ducati l'anno di prestito; e per Oltre la Gocchia e val Brembana superiore, che furono affidate per denaro ad alcuni cittadini che ne manterranno il possesso per diversi anni.
I tentativi di riscatto delle giurisdizioni attribuite all'Amboise occupano gran parte di questo periodo e Bergamo ricorre ad ogni mezzo per riacquisire il territorio, sul governo del quale le forze francesi occupanti pesantemente cercano di interferire. Per citare un esempio [29 gennaio 1511; Az. 11, 41v], il governatore francese di Bergamo chiede che Ludovico Suardi, commissario a Caprino, in ricompensa di danni ivi subiti, possa ottenere la podestaria di Urgnano e Cologno, oppure il vicariato di Zogno. Il Consiglio si oppone, e rifiuta anche al Suardi un rimborso di 40 ducati. Alla fine però [30 gennaio 1511; Az. 11, 42r], per compiacere al governo francese, nomina il Suardi esecutore della comunità.
Uno dei mezzi utilizzati per riacquisire le giurisdizioni consiste nell'ingraziarsi gli occupanti francesi, mediante doni e regalie, che la città abbondantemente delibera Il 25 marzo 1511: esempi sono in [Az. 11, 64r, 69r e 111v]. Un altro mezzo consiste nel difendere i privilegi in sede legale, come in [Az. 11, 63r, 67r, 79v e 80v]. Infine, un terzo modo è quello di recuperare denari per riscattare gli uffici. Il 21 febbraio 1511 [Az. 11, 51v] si apprende che l'ufficio di Oltre la Gocchia era stato aggiudicato a Tommaso Tasca, che aveva prestato alla città 300 ducati per ottenerlo. Il 1 giugno seguente si cercano denari per ripagare il Tasca e si dà mandato agli Anziani di aggiudicare quel vicariato per un solo anno [Az. 11, 104r]. E' il primo esempio di una pratica che sarà poi largamente applicata: quella di aggiudicare gli uffici di fuori a persone disposte a prestare o regalare denaro alla città per far fronte alle spese correnti. Si tratta ovviamente di un
comportamento del tutto abnorme, che prescinde da ogni considerazione sul valore dei giusdicenti ed incoraggia l'uso delle loro prerogative per trarne benefici finanziari.
Proseguendo nell'opera di recupero delle giurisdizioni, si chiede al tesoriere Gerolamo Agosti di anticipare 400 ducati da spendere a questo scopo, e in cambio, si concede al di lui figlio Ludovico, al tempo vicario a Zogno, di continuare in quell'ufficio per un secondo anno [5 giugno 1511; Az. 11, 105v]. E poco dopo si conferisce per un anno l'ufficio di Oltre la Gocchia a Martino de Bolis, a patto che costui restituisca a Tomaso Tasca il denaro che quest'ultimo aveva prestato l'anno precedente per ottenere quel vicariato [13 giugno 1511; Az. 11, 110r].
Nell'agosto del 1511 si conferiscono alcuni vicariati: quello di Serina a Giovan Maria Mozzo, a patto che costui presti alla città 100 ducati in più dei 175 che il suo predecessore ed attuale vicario di quel luogo, Alessandro Carrara, aveva prestato a suo tempo, e con l'intesa che il nuovo eletto possa restare in carica fino a quando i denari non gli saranno interamente restituiti [1 agosto; Az. 11, 129v]; quello di Caprino a Ciprio Suardi, per i meriti del di lui fratello Francesco nei confronti della città, che già l'anno precedente aveva eletto in commissario di quel luogo Alvise Bagnati [14 agosto; Az. 11, 132v]; ed infine quello di Vilminore ad Alessandro Balanza, che presta 200 ducati alla città, 125 dei quali egli dovrà restituire a Iacopo Mozzi, attualmente alla carica, che costui aveva a suo tempo prestato alla città.
Da tutto questo si deve concludere che Bergamo già nel 1510 aveva inaugurato la pratica di chiedere denari in prestito ai giusdicenti eletti ai diversi uffici; che questa pratica si era andata affermando nel 1511 e le somme prese a prestito erano andate aumentando; e che i giusdicenti che Bergamo nominava erano quelli dei luoghi non infeudati al Gran Maestro, rimasti a disposizione della città. Mentre negli altri il governo francese aveva mandato (come, per esempio a Clusone ed a Lovere) persone di propria fiducia e non cittadini bergamaschi.
L'anno 1512 è probabilmente quello più difficile per il territorio di Bergamo, perché vede un precario ritorno di Venezia, la riconquista da parte dei francesi e poi l'inizio della presenza spagnola ed imperiale. Nella situazione di confusione estrema che viene a crearsi in corrispondenza con il cambiamento del dominio, si inserisce a partire dal giugno 1512 un tentativo di Lovere di darsi un podestà di suo gradimento, direttamente nominato dal governo militare, contro il volere di Venezia. Questo episodio è stato descritto e documentato da SILINI [1992]. L'8 luglio il Consiglio invia a Caprino un nuovo commissario [Az. 12, 8r]. Con procedura del tutto inusitata, invece, il Consiglio bergamasco invia a Gandino Gerardo Lupi, in ricompensa del suo impegno nella guerra. Il 13 agosto 1512 Bartolomeo da Mosto approva questa concessione ed il 23 ottobre i provveditori la convalidano in perpetuo anche alla sua discendenza [CALVI, II, 570].
Lo stato di disordine del territorio si prolunga per mesi ed ancora il 12 settembre 1512 [Registro Ducali A, 179r] Bergamo lamenta - ed il doge condanna - altri attentati ai privilegi cittadini con un tentativo di spoliazione della giurisdizione civile e criminale di val Seriana superiore e di altri uffici e magistrature, nonché con il rifiuto delle valli a contribuire alle spese di guerra. Bergamo tenta in ogni modo di riallacciare i rapporti con Venezia, soprattutto per chiederle l'osservanza dei privilegi antichi in tema di giurisdizioni nel territorio e giustizia criminale [28 agosto 1512; Az. 12, 23v].
All'avvicinarsi dell'esercito spagnolo, il 1 dicembre 1512 [Az. 12, 49v], il Consiglio di Bergamo per la prima volta manifesta preoccupazione per un pericolo da parte di truppe il cui atteggiamento appare per lo meno infido e con cui si impone la necessità di venire a patti. Bergamo si sente anche a disagio nei confronti di Venezia: vorrebbe inviare oratori per difendere energicamente i suoi pretesi diritti che sono continuamente infranti, ma ne è impedita da un ordine del Dominio che esclude l'invio di ambasciatori. Nelle more, si scrivono lettere per supplicare la conferma dei privilegi: dal testo si deduce che vi erano problemi per la conservazione degli uffici di Lovere, Gandino e Clusone [5 febbraio 1513; Az. 12, 85r]. Vi sono anche difficoltà riguardanti il vicariato di Oltre la Gocchia [28 aprile 1513; Az. 12, 111r]. E, in generale, la città decide di inviare un oratore a Venezia a riguardo di tutti gli uffici che verranno a mano a mano recuperati al Dominio [31
maggio 1513; Az. 12, 121v].
A Bergamo, Bartolomeo da Mosto si rinchiude nella fortezza della Cappella e la città rimane in balìa delle forze spagnole. Il 24 giugno 1513, dopo aver occupato i dintorni, il commissario spagnolo de Spug chiede la resa e prende possesso della città, a nome del re di Spagna e dell'imperatore [Az. 12, 121v; BALDI, Sommario Grande, 310v e 311]. Tre giorni dopo, i cittadini prestano il giuramento di fedeltà richiesto. Con l'avvento delle truppe spagnole, ha inizio per Bergamo ed il territorio un periodo di traversie: le taglie, le spese per l'alloggio dei militari, le violenze della truppa d'occupazione, il riaccendersi delle rivalità tra le fazioni cittadine, creano condizioni economiche, sanitarie e di convivenza molto precarie. I cittadini invano mandano ambascerie al viceré perché, restituendo i privilegi, temperi un poco le pesanti condizioni in cui sono costretti a vivere. Lo stillicidio degli esborsi richiesti obbliga la città a ricorrere a prestiti con i privati.
Si vanno anche manifestando movimenti separatisti da parte del territorio ed il 22 luglio il Consiglio scrive al Governatore di Brescia contro gli abitanti di Gandino che vorrebbero un vicario bresciano e contro persone malevole che spargono voci contro l'onore della città [22 luglio 1513; Az. 12, 147v]. Il 3 settembre 1513 nella val Seriana superiore siede un vicario milanese, sostituito il 18 ottobre da un bresciano [BCBG, BALDI, MMB 150, 140]. E ancora il 5 settembre [Az. 12, 160r] si cerca di contrattare la conservazione alla città dell'ufficio di val Seriana inferiore, dove più tardi si inviano messi per trattare una composizione con gli abitanti [17 novembre 1513; Az. 12, 178r]. Gli spagnoli vorrebbero anche ottenere la disponibilità del commissariato della valle di san Martino ed il Consiglio deve pregare le autorità spagnole di non costringere la città a disfarsi di quello ed altri uffici, contro i privilegi. Molti uffici di podestaria e vicariato sono quindi
in pericolo. Per recuperare denaro, il Consiglio decide che nell'elezione da farsi dei vicariati vacanti del territorio, i cittadini eletti debbano restare sedici mesi e che per accedere ai vari uffici gli eletti debbano pagare alla comunità una somma, tassata in misura diversa per i diversi uffici [5 settembre 1513; Az. 12, 161r; CALVI, III, 27].
Già il 20 ottobre 1513 il Consiglio di Bergamo aveva deciso di inviare ambasciatori a Brescia presso il viceré, e nel novembre essi erano stati rimandati, con la motivazione che non era quello il tempo adatto per impetrare favori. Il testo di altri capitoli inviati alle autorità spagnole intorno al dicembre 1513, e le relative risposte, sono di molto interesse [Registro Ducali A, 180v]. Infatti, a Bergamo che chiede la conferma di tutti i precedenti privilegi si risponde che si farà di tutto per aiutarli. Bergamo domanda che tutto il territorio le sia soggetto in civile e criminale e che gli uffici, benefici e giurisdizioni siano affidati a cittadini sotto la responsabilità del Consiglio e gli spagnoli dichiarano che si conserveranno le usanze in essere nei dieci anni precedenti. La città chiede ancora che nessuna parte del territorio (montagne o piano) possa essere infeudata o separata a qualsiasi altro titolo, che le podestarie e giurisdizioni di val Seriana superiore, Martinengo e Romano con le
loro pertinenze vengano restituite, e che nessuno possa ottenere privilegi per le podestarie in parola che siano contrari alle concessioni fatte alla città: il governo spagnolo si impegna soltanto a sollecitare queste richieste presso l'imperatore. Altre richieste importanti riguardano le risoluzioni del Consiglio maggiore, che non debbano essere ratificate da altri per essere valide; la competenza del podestà bergamasco negli appelli delle sentenze; il ritorno alla giurisdizione di Bergamo dei territori già appartenuti a Bartolomeo Colleoni: a tutte queste la risposta è positiva, con riserva di approvazione del governatore. Dall'intero contesto appare che Bergamo ambisce ad ogni costo ad assicurarsi il controllo del territorio.
Nel dicembre 1513 e nel gennaio successivo si susseguono nel Consiglio elezioni di ambasciatori presso il viceré per impetrare l'approvazione di questi capitoli [Az. 12, 183r e 183v, 187v, 189r], mentre il Consiglio elegge in podestà di Romano per un anno Nicolò de Sanguinaciis da Padova [Az. 12, 183r], quindi non un cittadino. Nel dicembre 1513 appaiono particolarmente gravi i problemi a Gandino, dove Ippolito de Faticatis, un medico che regge l'ufficio, viene privato di ogni beneficio della città [Az. 12, 181v], rivendicando a Bergamo la conservazione di quel vicariato contro persone e comunità che cercano di appropriarsene [Az. 12, 182r]. Ma ancora il 10 gennaio 1514 l'approvazione dei privilegi richiesti non è avvenuta [Az. 12, 194r]. Il 15 gennaio 1514 i privilegi vengono sottoposti all'approvazione dell'imperatore [CALVI, I, 134], con la concessione che la città si possa intanto reggere come per il passato ed il divieto ai governatori di Brescia
e Bergamo di fare innovazioni di sorta. Il 30 gennaio il governatore Ripadaneira, sconfessando tutte le decisioni del Consiglio alle quali non ha partecipato, richiede copia dei capitoli inviati per approvazione al viceré. Alla stessa data l'Icardo scrive ai deputati bergamaschi di non lasciarsi impressionare dalle minacce del Ripadaneira [Az. 12, 195r]. Quindi, scarichi di responsabilità e doppi giochi evidenti.
Il 3 febbraio 1514 l'ambasciatore presso il viceré ritorna dalla sua missione portando lettere (25 gennaio 1514) nelle quali il Cardona si giustifica di non avere voluto approvare i privilegi richiesti, in attesa di una prossima visita in Italia dell'imperatore. Nel frattempo i bergamaschi potranno continuare a fare uso dei loro statuti, consuetudini ed uffici, con la diffida ai governatori di Brescia e Bergamo ad innovare alcunché. Vi sono anche altre lettere riguardanti l'ufficio di Gandino, ed una missiva dell'Icardo (1 febbraio 1514) nella quale costui manifesta la sua disponibilità a favore della città [Registro Ducali A, 216v].
Sono pericolanti gli uffici di Almenno, dove siede uno spagnolo [11 febbraio 1514; Az. 12, 227v] e di Clusone, che vuole svincolarsi dalla giurisdizione del capoluogo [29 marzo 1514; Az. 12, 238r]. Da parte sua, la valle di Scalve si lamenta perché la sua podestaria, che è nelle mani di un bergamasco, Giacomo Mozzi, non viene di fatto esercitata. Il Consiglio di Bergamo ha già designato a Vilminore un altro podestà, Bernardino Barilli, ma il Mozzi non intende lasciare libero l'ufficio fino a quando non avrà recuperato il credito di 150 lire, che aveva fatto a Bergamo per avere quella podestaria. Bergamo non è in condizione di pagare e chiede quindi al Barilli di rilevare il debito, con il diritto di rimanere all'incarico per due anni [Az. 12, 247v]. Nella valle di san Martino ed a Gandino Bergamo nomina intanto suoi cittadini, inviando però i loro nomi per ratifica al governatore spagnolo [17 agosto 1514; Az. 13, 7r]. Ma vi sono difficoltà per recuperare l'ufficio di
Caprino da Alvise Bagnati, che ancora deve finire il suo incarico [19 settembre 1514; Az. 13, 16v].
Una serie di lettere tra il giugno ed il settembre 1514 [BCBG, Arch. ven., Lett. 1] esaminate da SILINI [1994] appare estremamente illuminante per ricostruire i rapporti tra il dominio spagnolo e la città di Bergamo in ordine ai vicariati, particolarmente quello di Lovere, dove siede come podestà un bresciano, che il Consiglio bergamasco cerca di scalzare attraverso i suoi ambasciatori [Az. 13, 10v]. A questo podestà faranno poi seguito nel 1515 un trevisano ed un bellunese, cioè uomini provenienti da zone di influenza dell'imperatore, nominati per suo conto dal governo spagnolo.
Nel 1512, stanti i vorticosi avvenimenti militari e l'impossibilità di avere un podestà veneto, vengono eletti nella valle Seriana superiore giusdicenti locali [dicembre 1512; BALDI, Sommario Grande, 304r]. Iniziatosi poi il dominio spagnolo, il possesso di quella podestaria viene conferito al milanese Bernardino Vecchi, eletto dalla valle e confermato dal governo spagnolo [3 settembre 1513; BALDI, MMB 150, 140 e Reg. A, 67v]; ma il successivo 18 ottobre, a seguito di una rinuncia dell'eletto, Antonio Maria Pallavicini nomina il bresciano Cristoforo Casaletto (che era già al vicariato di Nembro) con il consenso dell'autorità spagnola. Il BALDI [Sommario Grande, 311] si sofferma sulle complesse vicende ed i rapidi cambiamenti di dominio negli anni 1513-1514. Gli abitanti della valle contestano la giurisdizione bergamasca [29 marzo 1514; Az. 12. 238r] e, nel tentativo di recuperare a sé l'ufficio di Clusone, Bergamo stila certi capitoli con i quali tenta la composizione
della questione [30 agosto 1514; Az. 13, 11v]. Con essi, Bergamo offre l'accrescimento della giurisdizione civile fino ad un massimo di 400 lire, restando la giurisdizione criminale invariata ed impegnandosi la città a non permettere al giudice dei Malefizi cavalcate indebite o estorsioni. Per parte loro, i valligiani eleggeranno (come minimo) 12 uomini di diverse famiglie e ne estrarranno uno ogni anno come loro podestà a certe condizioni. Non è noto se il prolungarsi delle consultazioni stia a significare una tattica dilatoria da parte di Clusone in attesa di sviluppi favorevoli. Narra il BALDI [Sommario Grande 311v] che Massimiliano, volendo ricompensare la fedeltà dei suoi mastri di posta Battista e Davide Tassi, conferisce loro la podestaria con ogni diritto e giurisdizione, con lettere scritte all'Icardo. Il 12 marzo 1515 la valle riceve come rettore Davide Tassi, senza pregiudizio dei suoi diritti. Il Tassi vi dimora soltanto pochi mesi e poi si allontana quando val Seriana
ritorna sotto il dominio veneto con l'elezione di Antonio Gradenigo [BALDI, Sommario grande, 317].
Appare evidente da tutto questo che il distretto bergamasco versa in uno stato di profondo disordine. La città è costretta a fronteggiare richieste provenienti da ogni parte ed a trattare con molti luoghi, sia delle valli che della pianura. Il Consiglio è un corpo troppo numeroso e lento nelle decisioni e non si sente in grado di condurre le azioni necessarie. Decide quindi di nominare cinque deputati per ricercare con le diverse comunità gli aggiustamenti più convenienti, riferendo nel Consiglio per indirizzarlo nelle decisioni più opportune [28 gennaio 1515; Az. 13, 80v].
Accanto alle liti per la ripartizione delle spese militari, le questioni giurisdizionali occupano un posto di rilievo nel contenzioso tra città e territorio. Ad Urgnano e Cologno, per esempio, ritorna come podestà Rainaldo del Zoppo, verso il quale la città aveva contratto un debito [3 giugno 1515; Az. 13, 141r]. A Gandino, i diritti della città sono stati gravemente lesi, essendosi quegli abitanti opposti al giudice dei Malefizi che voleva esercitare il suo ufficio in un caso di omicidio: si discute la causa in un giudizio che si risolve in modo favorevole per la città [Registro Ducali A, 188v]. Bergamo esprime la sua riconoscenza e manifesta nel contempo la sua preoccupazione per certe trame che quelli delle valli e della pianura starebbero ordendo contro di lei: decide anzi di spedire un nunzio per informarsi su queste manovre [28 maggio 1515; Az. 13 137r].
Una lettera del viceré Cardona al governatore bergamasco Guzman [Registro Ducali A, 189v] contiene elementi riguardanti l'elezione dei giusdicenti del territorio. A seguito delle lamentele della città, il viceré afferma - ma riesce davvero difficile credergli - che non era mai stata sua intenzione di ledere i diritti bergamaschi e che, quando fosse stato a conoscenza di una tale eventualità, non avrebbe certo consentito che giusdicenti eletti dal suo governo avessero accesso agli uffici del territorio. Ordina quindi al Guzman di consentire a Bergamo l'elezione di suoi cittadini ai vicariati di fuori, purché si tratti di persone idonee, lasciando nel contempo decadere quelli di nomina spagnola. Quanto ai giusdicenti insediati per conto dell'imperatore, essi non potranno ovviamente essere rimossi. Appare chiarissimo da tutto questo che il governo spagnolo, giocando su sottili distinzioni tra vicari di nomina propria oppure imperiale, opera in un gioco ambiguo a favore dell'indipendenza del territorio
dalla città. Non si può escludere - anzi sembra probabile - che un tale comportamento sia fortemente condizionato da oblazioni in denaro da parte delle località interessate (Lovere, Clusone e Gandino, in particolare), le quali vedono a questo punto vicina la realizzazione di un disegno a lungo accarezzato di indipendenza da Bergamo.
Sul piano generale, si profila intanto un rovesciamento delle alleanze. Morto il 1 gennaio 1515 Luigi XII, il successore, Francesco I, rinnova i patti di Blois con Venezia (5 aprile 1515) e si prepara ad una nuova spedizione. Arriva in Italia il 10 agosto 1515 e si accampa alle porte di Milano senza attaccare, sperando che i veneti, aggirando a loro volta gli spagnoli, si ricongiungano con lui. Il 14 settembre 1514 a Melegnano le truppe milanesi vengono decimate da un'azione congiunta franco-veneta e si ritirano. Bergamo viene lasciata il 1 settembre 1515 ed il Consiglio maggiore approva provvedimenti per l'autogestione della comunità. Il Consiglio bergamasco si affretta ad assicurarsi il possesso del territorio. Il 7 settembre invia a Caprino Gerolamo Colleoni ed intima a Gandino il versamento dei dazi [Az. 13, 175v]. Il 9 settembre elegge Francesco Albani all'ufficio di val Seriana inferiore [Az. 13, 176v]. Alla metà di settembre 1515 anche Martinengo ritorna sotto Venezia, che vi
invia come podestà Baldassare Minio [CAPRONI et al., 1992].
La battaglia di Melegnano rappresenta l'ultimo episodio militare significativo, che chiude la fase della lega di Cambrai. Milano capitola definitivamente il 4 ottobre 1515 e i francesi ne prendono possesso, catturando Massimiliano Sforza. Appreso della vittoria di Melegnano, i bergamaschi inviano ambasciatori ai Provveditori Contarini ed Emo, offrendosi al dominio Veneto. Il 16 di settembre, inviato da Venezia, arriva a Bergamo Giorgio Vallaresso, che ne assume il possesso. Egli nomina anche vicari nel territorio, contro la volontà di Bergamo, che se ne lamenta presso i provveditori generali. In una lettera al Vallaresso del 22 settembre 1515 essi impongono al podestà l'osservanza dei diritti del capoluogo e la revoca dei vicari nominati [Registro Ducali A, 190v]. Il 7 ottobre Bergamo invia lettere di congratulazione al dominio veneto per la vittoriosa soluzione della guerra e per chiedere la conferma di tutti i precedenti privilegi [Az. 13, 185r].
Nell'ottobre la difesa dei diritti della città prosegue con determinazione. Una lettera dei provveditori generali al Vallaresso chiede l'osservanza delle tradizionali regole per la distribuzione e la nomina dei giusdicenti dei vicariati [Az. 13, 185v]. Il 12 ottobre 1515 si inviano oratori ai provveditori generali per difendere la giurisdizione della podestaria di Lovere [SILINI, 1994]. Si intima anche al giusdicente della val Brembana inferiore, che era stato nominato dal provveditore bergamasco di lasciare l'ufficio e di presentarsi in Consiglio per difendersi dall'opposizione che la stessa valle gli aveva fatto. Si scrivono lettere al Dominio contro coloro che avevano richiesto lettere ducali per farsi nominare a Gandino, Nembro e Caprino [23 novembre 1515; Az. 13, 197v].
A rimettere in moto una situazione di blocco che si crea sul piano militare tra la fine del 1515 e l'inizio del 1516 nelle province lombarde di Terraferma, compare inopinatamente sul teatro delle operazioni l'imperatore Massimiliano, ma la sua discesa si conclude nell'aprile 1516 improvvisamente e senza conseguenze rilevanti sul piano istituzionale.