Un editore di confine e i Troubles de France
di Pier Maria Soglian


Questo saggio è dedicato alla contestualizzazione di una pubblicazione bergamasca, la Raccolta d'alcune scritture pubblicate in Francia de i moti di quel regno, di cui si è studiata l'origine e la destinazione nell'ambito politico locale e più in generale italiano. È pertanto aperto ai contributi che auspichiamo possano provenire da altri punti di vista e competenze.
Coglieremo una prima occasione di approfondimento nella conferenza che si terrà presso l'Università di Bergamo, piazza Rosate aula 4, giovedì 1 dicembre 2005 alle ore 15.00: in collaborazione con il professor Mario Bensi si esaminerà la funzione della pubblicazione bergamasca dei troubles de Lyon nel contesto dei rapporti culturali tra Italia e Francia a fine '500.

La Raccolta d'alcune scritture pubblicate in Francia de i moti di quel regno
Tra Bergamo e Lione
Cose di Francia e pubblicazioni in Italia
Pubblicazioni di (e per) consiglieri spirituali e politici
Una cultura di confine


La Raccolta d'alcune scritture pubblicate in Francia de i moti di quel regno

Tra il 1593 e il 1594, in due edizioni, Comino Ventura, unico tipografo e "libraio" bergamasco nello scorcio del '5001, pubblicò Raccolta d'alcune scritture pubblicate in Francia de i moti di quel regno (le tre prime parti; la quarta è intitolata La conferenza de principi cattolici (…) tanto in favore quanto contro di Navarra).
L'edizione del '94, riordinata, è così costituita:
1a e 2a parte: dalla presa d'armi della Lega (1585) al regicidio di Enrico III (1589)
2a e 3a parte: posizioni pro e contro la successione di Enrico IV e moti di Lione (1593)
4a parte: la conferenza di Suresnes tra i principi e deputati pro e contro Enrico IV (1593)2
Ventura si proponeva di produrre una storia dei moti di Francia, ma, incalzato dall'urgenza dei fatti, nel momento in cui parevano metter capo ad una soluzione con la "messa" di Enrico IV (25 luglio 1593), e premuto dall'avidità di notizie dei suoi lettori e committenti, dovette in prima battuta limitarsi a pubblicare i documenti via via che arrivavano:
Ho raccolte alcune scritture pubblicate in Francia ne i primi anni di questi ultimi moti, dalle quali si scoprono le vere cause delle discordie di quel Regno: & per farne cosa grata a tanti, che avidamente le desideravano, le ho fatte tradurre dalla lingua francese nella nostra, & donate alla stampa. Ma perche elle sono state scritte da persone interessate per giustificare le loro attioni, & pretesti, quali essi si fossero, simili anzi a manifesti, che ad una vera, e continuata historia; & perciò in molti luoghi ripiene di mordacità contra persone eminentissime; mi è convenuto dovendole mandare in luce co 'l consenso de' Superiori, alcune cose tralasciare, altre mutare, senza però guastare quanto si è potuto la bellezza de i Discorsi ne i veri significati loro (sottolineature mie)
L'interesse di questo testo non sta tanto nella decisione di divulgare le scritture in quanto tali, poiché in Italia arrivavano certamente non solo echi, avvisi, informazioni e relazioni su di una guerra ormai assai lunga e tragica, tali da suscitare e mantenere vivo l'interesse anche di una cultura e di un editore di provincia3, ma anche alcune delle innumerevoli pubblicazioni prodotte in Francia dalle diverse parti politiche: le dichiarazioni, le proteste, le suppliche, gli editti, di parte regia, di parte ugonotta, dei parlamenti, dei cattolici "politici", dei cattolici Ligueurs. Ho sintetizzato qui le posizioni principali, ma questi testi erano prodotti anche da singoli soggetti politici di diverso rilievo: predicatori, diplomatici, spie, truffatori, ma anche, ad esempio, il re di Spagna ed i nunzi pontifici, le cui espressioni, ufficiali o ufficiose, furono all'epoca pubblicate in Francia4; in Italia circolarono testi a stampa come Avvisi venuti di Francia (…) al duca di Ferrara, Ravenna, Tebaldini (s.d.), Avviso della rotta data al re di Navarra dal sig. duca d'Humayna…, Roma e poi Bologna, Benacci 1589, e la Vera relatione dell'estrana & improvisa morte di Henrico re di Francia, Lione, J.Pillehotte, poi Torino, Michele Cavaleris, Ravenna, Francesco Tebaldini, Ferrara (s.ed.), 1589. Non si sa sinora se con manifesti Ventura alluda, e quanto, Bergamo fu toccata dalla circolazione di avvisi manoscritti5, che interessarono i centri politici italiani, a partire dai più coinvolti, Venezia e Roma. Sappiamo per certo, per sua dichiarazione, che Ventura vide, ed utilizzò, il testo di uno dei più cruenti predicatori leghisti, Jean Boucher, De iuxta Henrici III abdicatione, uscito, dopo l'eccidio dei Guisa e il regicidio, a Parigi nel 1589 e poi nel 1591 a Lione, da Jean Pillehotte, editore della Lega; delle vicende del 1593 potè avere i documenti dalle edizioni di Fédéric Morel, stampatore di Enrico III, poi del Parlamento di Parigi, che rappresentavano le diverse posizioni sulla successione e la "messa" di Enrico IV.
Quindi, l'indicazione del titolo (scritture pubblicate), dovrebbe significare che Ventura utilizzò solo testi stampati, come altri editori italiani prima di lui.
L'originalità – direi quasi la modernità - del suo lavoro sta piuttosto nel criterio editoriale: nell'aver voluto comporre i documenti in una raccolta, che per di più, nella scelta e collocazione dei testi, rappresentasse oggettivamente le diverse posizioni, anche se esasperate, anche se manifestamente ugonotte, salvo qualche ritocco laddove le espressioni potessero risultare offensive. Così enuncia il suo criterio il Ventura: la raccolta è stata
… tolta da me, parte da altra Historia di questa materia Latina & parte che togliendo si viene da scritture francesi che giornalmente mi vengono: impatienti (più amici miei) dello indugio di un tale atteso piacere, hanno con me operato, che fra tanto che io intiera dessi lor à vedere cotale Historia, almeno gli trattenessi con le pretensioni dell'una & dell'altra parte introdotte & opposte (…) sì perché villania sarebbe stata il negar così honesta dimanda (…) sì perché in detta Historia non si haveranno quelle particolarità così stese, come in questi due trattati s'è fatto6
Ventura quindi non si accontentava di fare della semplice cronaca, ma teneva fermo l'obiettivo di realizzare una vera e propria storia dei moti: la funzione di questa Raccolta è di mostrare le "particolarità" politiche nel loro interagire, funzione necessaria per "l'intelligenza della storia". Naturalmente l'urgenza di pubblicare comportò difficoltà, di scelta, disposizione e traduzione dei documenti, volendo mantenere coerentemente il criterio editoriale adottato; sulle conseguenti incongruenze, devono aver pesato interessi ed orientamenti dei suoi «amici et patroni», che cercherò di individuare.

Posto che il primo motivo della scelta editoriale fu professionale, commerciale, dovendo rispondere alle richieste dei suoi «amici et patroni», restano aperte diverse questioni sul significato di quest'opera: se e quali modelli il Ventura abbia seguito, eventualmente su suggerimento di chi; quali fonti abbia usato; quali documenti abbia scelto e come li abbia disposti; se li abbia correttamente riportati e tradotti; quale conto abbia tenuto del contesto politico e culturale e degli scopi che poteva raggiungere, oltre che dei rischi che poteva correre affrontando temi così delicati per la coscienza religiosa e politica del tempo; finalmente un'ipotesi del perché poi questa raccolta non si sia completata con l'ovvia conclusione della "ribenedizione" di Enrico IV a cui Ventura dedicò alcuni opuscoli, le orazioni pro e contro, ma separati ed in anni successivi (1595-97) e perché non fu seguita dalla progettata Historia.
Cercherò di rispondere a questi interrogativi, anzitutto in base all'analisi dell'opera, come via via il Ventura l'ha costruita e giustificata negli Avvisi ai lettori e nei pochi interventi all'interno del testo, quindi contestualizzando l'opera nella produzione libraria bergamasca dell'epoca e nella definizione degli «amici et patroni» del Ventura. All'interno di quelli che furono gli interessi politici e storiografici italiani nei confronti dei troubles de France cercherò di tratteggiare il ruolo originale di una cultura e di una editoria "di confine", marginale geograficamente ma di crescente importanza politica.

Nello scorcio del secolo Ventura pubblicò i seguenti titoli7:

1581 Giovanni Antonio Guarneri, De miraculo apud Helvetios
1587 (Losco Sartorio?), Lettera di L.S. sulla morte della reina di Scotia (con data falsa Parigi 1587)
1591 G.Andrea Viscardi, Delle lettere dell'ecc.mo giureconsulto G.A.Viscardi
1592 G.Andrea Viscardi, Della guerra di Colonia. Con la deposizione del vecchio arcivescovo e la creatione del nuovo
1592 G.Andrea Viscardi, La coronatione d'Enrico duca d'Angiò a re di Polonia con la sua partita in Francia l'anno 1575
1593 Asserte ragioni d'incerto inglese del mal'evento della poderosa armata spagnola ne i mari d'Inghilterra l'anno 1588
1593-4 [a c. di C.Ventura] Raccolta d'alcune scritture pubblicate in Francia de i moti di quel regno + altre tre analoghe: la 4a titola La conferenza de principi cattolici… tanto in favore quanto contro di Navarra
1594 Apparecchi delle… armate d'Hispagna et d'Inghilterra… 1587
1594-6 G.Botero, Le relationi universali in 4 parti
1595 F.Panigarola, Specchio di guerra… al duca di Savoia
1595 La rebenedittione del re di Navarra
1596 Discorso d'un catholico se… N.S. doveva ribenedire… Henrico di Navarra
1596 (Louis de Gonzague Nevers?), Ragioni et esempi… per l'assolutione per Henrico di Borbone…
1596 Lazaro Soranzo, Oratione… ad Henrico IV
1597 Oratione fatta da Mauritio Bressio… per Henrico IIII… tradotta dal latino da Giacomo Brigenti

In questo quadro editoriale appare evidente l'urgenza di argomenti storico-politici internazionali, dominati dal rapporto tra politica e religione; comunque tutti questi testi sono caratterizzati dalla provenienza dall'estero, sia di notizie che di relazioni che di vere e proprie cronache; provenienze da paesi politicamente "caldi": Inghilterra, Germania, Fiandre, Francia e ovviamente Turchia; lo stesso De miraculo apud Helvetios, che non ha carattere politico, proveniva a G.A.Guarneri da una "missione" dell'amico vescovo Francesco Bonomi in quei paesi «infettati d'heresia». L'opera di Botero, che Ventura pubblicò integralmente per primo, ebbe, come vedremo, importanza rilevante anche per la Raccolta, ove Ventura ne inserì la Descritione del Regno di Francia: un'evidente strappo alla regola di produrre solo scritture pubblicate in Francia8.
Anche Le lettere dell'ecc.mo giureconsulto G.Andrea Viscardi, uscite già nel '91, contengono notizie dall'estero ma sono i due lavori storici del '92, su Colonia e su Enrico III, a determinare e probabilmente a promuovere la successiva impresa della Raccolta.
Della vicenda sfortunata del principe-vescovo Gebhard von Truchsess che, per aver voluto introdurre la libertà di culto in Colonia, ne fu cacciato con la scomunica (1583) ed una lunga guerra, il Viscardi racconta dettagliatamente, raccogliendo anche documenti da secretari curiali. Di Enrico III, la cui ascesa al trono di Francia fu preceduta da un viaggio che dalla Polonia attraversò Venezia e l'Alta Italia, viaggio ben noto e celebrato, riferisce fatti e pettegolezzi della corte polacca, ma conclude, inaspettatamente, con poche paginette in cui enuncia i «casi molto strani» dell'omicidio dei Guisa e dell'uccisione del re «per mano di un fraticello».
È in questo contesto, a mio parere, che nasce il progetto della Raccolta, sia per l'esigenza di spiegare le vicende francesi, della ribellione al già tanto esaltato Enrico III e della sua successione, nell'ambito di complessi interessi ed interventi militari internazionali, sia per la scelta delle fonti e dei modelli da seguire.
Viscardi non dice se conosceva ed abbia usato come fonte le opere di Michel Isselt De bello coloniensi e Mercurius Gallo-belgicus, che Ventura invece ci tiene a citare come propria fonte, indicando l'autore con lo pseudonimo di Jansonius Dovomensis frigius. Diverse ragioni portano a ritenere che quest'opera sia stata centrale per il Ventura, nel momento, anche storico, in cui costruiva la Raccolta ed elaborava il criterio editoriale.
Il Mercurius è un'ordinata cronaca, per anni e per luoghi, continuata ed arricchita in più edizioni, di vicende europee a partire dal 1588, di cui presumibilmente il Ventura potè vedere quella del 15929. Per il nostro editore esso è garanzia di attendibilità: ne traduce alcune pagine accingendosi a raccontare, con obiettività, l'omicidio dei Guisa: «acciò altri non creda, che od accresciamo, ò scemiamo, ò con silentio, ò con aggiunte favoriamo ò l'una ò l'altra parte». E il Mercurius, di ispirazione chiaramente cattolica, dimostrava la propria correttezza enunciando una abbondante serie di autori europei10 e citandoli più volte nel testo ed a margine. Tra le fonti spicca, proprio per la Francia, un'opera dichiaratamente ugonotta, il Premier (-second) recueil contenant les choses plus mémorables advenues sous la Ligue11 : un'altra raccolta, dunque, e di cose francesi, che faceva partire il racconto dalla presa d'armi della Lega nel 1585: da quella data decise il Ventura di iniziare la propria storia, ma in più egli adottò il Recueil come struttura e come modello per la Raccolta, per l'intiero periodo che arriva fino alla «notizia della morte» dei Guisa; per di più, del Recueil, il Ventura ripete, traducendolo, lo scopo: «pour l'intelligence de l'histoire».
Si realizzò così la prima e metà della seconda parte della Raccolta: la scelta e collocazione dei testi è una fedele, seppur parziale, riproduzione e traduzione del Recueil, perfino ingenua, ove, rispettando la fonte, traduce fedelmente l'ultimo brano che conclude con i "rumori" dell'omicidio dei Guisa e la promessa di raccontarli nel volume successivo, quando invece nella Raccolta il Ventura aveva già deciso di esporli nello stesso fascicolo della seconda parte.

Il Ventura aveva trovato nel Recueil, e deciso di rispettare, uno schema che contrapponeva le espressioni di parte regia a quelle della Lega ed a quelle dei cattolici "già Leghisti pentiti" contro la Lega stessa: era il criterio con cui la polemica ugonotta intendeva, difendendo la legalità ed i privilegi ottenuti dal re, denunciare le intenzioni monarcomache dei Leghisti come intenzioni politiche, non religiose.
Sono i temi che emergono specialmente dai brani Protesta de' Catolici, i quali non si hanno voluto porre nella Lega, Il vero sopra la Lega, Ravvedimento d'un Gentilhuomo della Lega, continente le cagioni, per le quali egli ha rinontiato alla detta Lega, et se ne è dipartito; sono le posizioni dei cattolici "politici", che comportano anche un'incursione nella politica internazionale (cosciente o no nell'editore?12), con il Ragionamento d'un consigliero del Duca di Savoia à sua Altezza, per dissuaderlo a muover guerra in Francia, nel principio di quei moti: l'ipotesi da contrastare era che il Duca, prendendo le parti della Lega, si offrisse come aspirante alla successione al trono francese; lo si consigliava piuttosto, in una guerra di religione, di dedicarsi alle Fiandre.
Era peraltro impossibile per il Ventura concludere secondo il modello ugonotto, che comportava la giustificazione dell'omicidio dei Guisa, come ribelli, e la condanna del regicidio. Egli aveva ben presente, almeno tramite Botero, la posizione cattolica italiana, predominante, se non ufficiale, che condannava invece Enrico III come fautore dell'eresia ugonotta e giustificava il regicidio come punizione divina contro chi non aveva saputo contrastare e reprimere la diffusione della "peste" calvinista; i troubles, i disordini, non consistevano nella ribellione al re, ma nella spaccatura della chiesa francese provocata da Calvino; così si esprimevano sia Boucher, da Parigi, che Botero dall'Italia, anzi dalla segreteria del cardinale Federigo Borromeo, ma provenendo dall'esperienza diretta dei troubles nel 1585. Si poneva ora come prioritario, nel momento in cui pubblicava, il problema della successione, legittimamente spettante a Enrico di Navarra, ugonotto, che Enrico III aveva designato pur in presenza della netta opposizione papale, dei Leghisti e della Spagna. Anche questo problema si poteva vedere dal punto di vista politico, specie nell'ambiente di Venezia, che si era affrettata a riconoscere la legittimità del futuro Enrico IV. Cercherò più avanti di definire quali potessero essere gli atteggiamenti dell'ambiente bergamasco, cattolico ma suddito veneto; certamente questo clima non dovette aiutare il Ventura nella prosecuzione della sua Raccolta, ma ancor meno nella possibilità di realizzare poi una vera e propria Historia, su queste premesse.
Due grandi temi urgenti, la monarcomachia ed il tirannicidio da un lato, l'investitura religiosa del re (per di più il "cristianissimo" re di Francia) si sovrappongono qui per il Ventura. Se per «cause di quei moti» intendeva le origini, 1585-89, egli chiuse il capitolo "ugonotto", contrapponendogli le posizioni di Boucher e di Botero, a costo di condividere, di quest'ultimo, la condanna di Enrico III, documentata anche dall'accurata descrizione, "geopolitica" – diremmo oggi – non solo religiosa, dello stato della Francia; con questo, quanto meno, egli rappresentava i due (tre se considerati gli ugonotti) partiti in lotta. Ma quante posizioni avrebbe dovuto rappresentare sulla successione di Enrico IV? Nel momento in cui decideva di pubblicare, Enrico IV aveva già accettato la "messa", i cattolici estremisti, con il Legato papale, non lo riconoscevano, la curia romana era contrastata tra tendenze filo- e antispagnole, Filippo II proponeva come re un principe da sposare a sua figlia, il Parlamento di Parigi rifiutava ogni proposta di un re straniero, i monarchici cattolici spingevano per una "ribenedizione" papale, lo stesso duca di Mayenne, capo della Lega, accettava di discutere con loro su una possibile soluzione, visto che non si vedeva abbastanza sostenuto nella sua aspirazione al trono; intanto alcune importanti città francesi, come Lione, tartassate dalle guerre e dalle tasse, aspiravano alla pace anche a costo di aderire al partito di Enrico IV, purchè si convertisse; per non parlare delle influenze straniere, diplomatiche o militari.
Rispetto a questa problematica, il Ventura non solo non aveva un modello storiografico da seguire ma anzi si trovava coinvolto da «scritture che giorno per giorno gli pervenivano» da quel paese lontano, così da rendergli difficoltosa anche la traduzione, per non parlare del problema di coscienza, oltre a quello della responsabilità professionale davanti ad una massa di documenti, che sarebbe stato almeno necessario verificare. Nel necessario assestamento dovette anzitutto rinunciare a coprire il periodo inizio '89- fine '92, che così separa nettamente il periodo delle «cause di quei moti» da quello della successione al trono lasciando un varco altrimenti inspiegabile.
Egli poi non cita in questo caso le fonti, che possiamo solo ipotizzare, chiedendoci in più come le abbia usate e disposte nella raccolta. Sono solo in parte riconoscibili, dato che spesso venivano prudenzialmente edite senza indicazione di editore, luogo e data13: dei tre gruppi di documenti (manovre politiche sulla successione, moti di Lione, Conferenza di Suresnes) il primo rappresenta l'aspetto più delicato e complesso: tra il Gennaio e l'Agosto del '93 si susseguono i tentativi del Mayenne di affidare il problema agli Stati Generali, contrastato da Enrico IV che non gliene riconosce l'autorità, le trattative con la parte leghista e quella realista per una possibile conferenza (quella poi di Suresnes), la ferma opposizione del legato papale ad un accomodamento, l'intromissione della Spagna ed il rifiuto del Parlamento di Parigi ad un candidato straniero. La loro presumibile scelta e collocazione rispondono sufficientemente al criterio "politico" di rappresentare essenzialmente le parti in causa ed il gioco dei loro interventi, non a quello rigorosamente cronologico che avrebbe dovuto intrecciare i fatti con quelli della Conferenza di Suresnes, quasi contemporanei, entro l'8 Agosto; in più tra i due si inserisce la vicenda di Lione, decisamente fuori dell'ordine cronologico, poiché i fatti si svolgono tra Settembre ed Ottobre. Il tutto senza che il Ventura ci avverta e ci spieghi i relativi collegamenti.
Una possibile spiegazione ci viene dall' individuazione di due gruppi di fonti, il Discours et rapport veritable de la conference tenue entre les deputez de la part de monsieur le duc de Mayenne, lieutenant general de l'estat et coronne de France, princes, prelats et estats generaux assemblez a Paris : avec les deputez de messieurs les princes, prelats seigneurs et autres catholiques estants du party du roy de Navarre, edito a Parigi da Fédéric Morel14 ed il Discours véritable et sans passion sur la prinse des armes et changemens advenus en la ville de Lyon, pour la conservation d'icelle sous l'obéissance de la Saincte Union et de la couronne de France, edito a Lione da Pillehotte. Sono dunque anche qui due raccolte che il Ventura potè avere già confezionate e che gli conveniva riportare integralmente, a costo di scombinare l'ordine cronologico. Collocare per ultima la Conferenza di Suresnes, che fra l'altro contiene pagine infinite di orazioni di una parte e dell'altra in una sorta di verbale della conferenza in tre mesi di svolgimento, stona rispetto al gioco più vivace ed efficace condotto in tutta la parte precedente dell'opera, ma risponde al programma «gli trattenessi con le pretensioni dell'una & dell'altra parte introdotte & opposte» «senza però guastare (…)la bellezza de i Discorsi ne i veri significati loro».
Resta aperta la curiosità sulle conclusioni: la "messa" di Enrico IV bastava a giustificarne l'ascesa al trono ed il papa lo avrebbe accettato, con buona pace degli Spagnoli? Un dubbio era giustificato, e forse per questo il Ventura decise di concludere – per ora? –la Raccolta con un nuovo disguido cronologico: collocò in fondo a tutto la convocazione, da parte del Mayenne, di tutti i principi cattolici per l'elezione del re, che è all'origine di tutti gli sviluppi15. Ci si sarebbe aspettati (penso che gli «amici et patroni» si sarebbero aspettati) una continuazione della Raccolta, che avrebbe compreso gli atti relativi alla "ribenedizione" di Enrico IV. Questi in effetti uscirono qualche anno dopo, ma nel 1593 Ventura era già al corrente dei tentativi diplomatici per convincere il Papa, specialmente di quello condotto nel Novembre da Ludovico di Gonzaga Nevers16, e pubblicarne subito gli atti poteva rappresentare una pressione in suo favore presso il Papa. Le fonti diverse o contrarie in questo caso sarebbero dovute essere piuttosto che francesi, romane, e non possiamo immaginare quanto filtrasse dalla curia papale delle interne vertenze e con quale tempestività potesse pervenire al Ventura. Su questo punto, che riguarda piuttosto la circolazione di "avvisi" più o meno segreti od ufficiosi, cercherò di tornare più avanti; altre domande pone il tema di Lione, realtà diversa da quella, sostanzialmente parigina, degli altri documenti.
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Tra Bergamo e Lione

Come sia provenuto il testo lionese è abbastanza facile intuire: Lione era per l'Italia non solo luogo di primaria importanza editoriale, ove avevano lavorato molti tipografi italiani, tra cui lo stesso Ventura17, ma anche stazione di posta e mercato internazionale con cui Bergamo era in attivo contatto. Specie i fiorentini mercanti e banchieri, collegati a quelli ben noti della corte di Caterina de' Medici, esercitavano anche l'attività, delicata e politicamente rischiosa, di postini rispetto ai secretari delle corti italiane. La libertà di commercio, riconosciuta e protetta dal governo locale, aveva permesso la crescita di un'editoria protestante, travolta poi dalle guerre di religione, per cui molti tipografi, con l'adesione della città alla Lega, si erano dovuti rifugiare a Ginevra18, senza però mai perdere del tutto i contatti con Lione. Questa funzione nodale, anche per la cultura e la politica, spiega perché, con o senza autorizzazione regia, o del luogotenente regio, il Mayenne, da Lione siano transitati, riprodotti, molti dei testi che ci interessano, e perché possano essere pervenuti anche a Bergamo.
Il Discours véritable et sans passion sur la prinse des armes è uno degli ultimi, e dei più moderati, testi politici prodotti a Lione; un saggio ottocentesco19 descrive la stampa politica a Lione negli anni 1589-1594, dall'adesione della città alla Lega a quella ad Enrico IV. Delle forze che sostenevano la Lega, Lione, le trésor de l'Europe, rappresentava quella della «democratie turbulente des grandes cités, réclamant leurs vieilles franchises», ed aderì alla ribellione operando «comme un pouvoir indépendent»: il consolato aveva una propria diplomazia e controllava la stampa, specie politica. Quest'ultima, con una produzione in sei anni di 280 livrets (talora reimpressioni di quelli parigini, ma talora anche viceversa) nell'intento di conquistare il consenso del «menu peuple luy mesme» si espresse in forme divulgative anche faziose ed eccessive che solo in parte poterono essere controllate, causa il grande potere della categoria dei tipografi, tra cui prevalsero i leghisti (Pillehotte, Tantillon, Patrasson) ma poterono operare anche i "politici" moderati ed i navarristi. Il saggio schematizza otto categorie di pubblicazioni, dai pamphlets alle poesie satiriche che toccarono la calunnia e l'insulto ai racconti più o meno parziali degli événéments fino ai documenti ufficiali delle autorità politiche.
Così tra i testi prodotti a Lione possiamo riconoscere, nella Raccolta di Ventura, due categorie assai diverse: il pamphlet fazioso ed ingiurioso di Jean Boucher contro Enrico III ed il documento diplomatico, il Discours véritable, orazione in forma epistolare appoggiata da documenti ufficiali, che comunque introduceva nel quadro dei troubles una nuova prinse des armes, un nuovo trouble monarcomaco.
Ammesso che il Ventura sia venuto in possesso solo del Discours véritable, resta da chiedersi perché abbia deciso di pubblicarlo ed in quella collocazione anomala, quasi intuisse l'importanza della scelta politica di una città, che, all'interno del complesso panorama dei ben più titolati partiti in lizza, aspirava alla giustizia ed alla pace.
Sospirata pace, che la corona di Francia avrebbe dovuto garantire ai sudditi togliendo le cause religiose dell'infinito ed ormai insopportabile conflitto in corso, sono temi ben più alti che non la semplice ribellione di una provincia ad un governatore, e sono i temi ormai ben definiti della parte dei cattolici "politici", cui si aggiungeva quello del rifiuto delle ingerenze straniere, causate anch'esse da scopi politici e non religiosi.
Quanto il Ventura sia stato cosciente del significato profondo della ribellione di Lione non possiamo sapere; certo gli doveva apparire affidabile un testo che la giustificava anche se anonimo: aveva tutte le caratteristiche del documento ufficiale, nelle sottoscrizioni delle dichiarazioni e dei patti (così come la gran parte, del resto, dell'intera Raccolta).
È interessante notare che questo testo fu riprodotto pochi mesi dopo, integralmente, dall'editore vicentino Giorgio Greco20, ma tradotto dallo storico Cesare Campana, che nella dedica metteva in guardia dall'accettare acriticamente le ragioni dei Lionesi. Forse perché più prudente, come storico, forse perché più filo-spagnolo, temeva una manovra a favore di Enrico IV.
Il Ventura invece ci dà, ancora una volta, le posizioni di una parte in causa, così come si sono espresse, ma stavolta sono le posizioni di una città e dunque le ha volute raccogliere perché le riteneva altrettanto importanti quanto quelle dei principi e degli Stati coinvolti; e se anche qui determinante è stata l'urgenza di pubblicare, siamo rimandati a chiederci perché urgesse informare i suoi «amici et patroni» proprio di questa vicenda.
Ci può aiutare anche qui la prima ipotesi, dell'origine commerciale della Raccolta: indipendentemente da una conoscenza diretta (non impossibile, data la precedente frequentazione) degli editori lionesi, è la loro fama ed importanza in Italia a giustificarne la credibilità e, se anche il Ventura non conosceva personalmente Jean Pillehotte, ne utilizzò l'edizione del testo monarcomaco di Jean Boucher.
In questa parte finale dei troubles de France, e non solo per Lione, il Pillehotte ebbe un ruolo centrale. Fiero leghista e collaboratore sia del vescovo D'Epinac che del duca di Nemours, sposata la figlia di Michel Jove21, ne ereditò il privilegio di servire i Gesuiti lionesi, pubblicò per la Città di Lione testi ufficiali, storici e politici; ebbe dal Mayenne, come luogotenente regio, il privilegio di pubblicare «tout ce qui peut concerner l'état public et affaires de France et de la Sainte Union» (1590)22 e contemporaneamente, dal Procuratore regio lionese, quello per libri di devozione, edificazione ed istruzione del popolo23. Di qui un'ampia produzione sulle tappe principali dei troubles, gli atti pubblici svelati come Discours veritable de ce qu'est advenu aux ètats géneraux de Blois en 1588 (…) pour estre envoyé par toute la Chrestienté, ma anche denunce di tradimenti e losche manovre contro i Lionesi, l'esaltazione del regicidio come volontà divina, in Discours des preparations faites par frere Jacques Clement (…) pour delivrer la France de Henri de Valois, fino all'assedio di Parigi, alle guerre del Navarra, alla Conferenza sulla successione.
Testimone principale, di una parte ben precisa, delle cose francesi, ma anche editore per conto di una città, in collocazione ideale per la diffusione in Italia: quanto ciò abbia contato per il Ventura non lo sappiamo, piuttosto è evidente l'analogia tra le due imprese editoriali, come d'altronde lo era quella dell'ugonotto Recueil, nello spirito e nelle forme "divulgative".
È stato recentemente studiato il carattere "popolare" di queste produzioni, specifiche di propaganda politica, per coinvolgere i popoli, le città, di un territorio oppresso da decine di anni di stragi, vessazioni e distruzioni, da giustificare con la religione o con la politica: alla produzione quasi industriale di pamphlets si accompagnava un'ampia divulgazione di libri di saggezza, di medicina, familiari, pratici «sémés par les rues», distribuiti gratis, a Lione: ne fu protagonista, tra gli altri, Antonio Possevino.
In questo movimento di ampie proporzioni, sui troubles de Lyon si pubblicarono (lo stesso Pillehotte) diversi Discours; quello tradotto dal Ventura rappresenta, con l'efficace retorica storica della lettera introduttiva, seguita dalle forme ufficiali dei documenti, un modello di propaganda politica espressione non di un partito o di un eroe protagonista, ma di una città, di un popolo suddito, nel momento cruciale della sua ribellione ad un tiranno, la sua giustificazione «per l'intelligenza della storia»24, non solo quindi una discesa in campo per una parte politica, ma le ragioni soggettive di un popolo coinvolto, concerné, engagé, grazie anche ad una cultura ed a una informazione abbondantemente diffuse: in sostanza gli «amici et patroni» come quelli che attorniano l'editore bergamasco.
Un'analisi della traduzione ci aiuterà a capire il significato del testo ed il rilievo storico che Ventura poteva riconoscergli, ma anche un'indagine sul mondo cultural-politico bergamasco, primo destinatario e promotore dell'opera, potrà renderne più chiaro il ruolo all'interno della Raccolta ed in ultima analisi il significato di quest'ultima.

Il Ventura riproduce fedelmente i quattro testi dell'originale, con questi titoli: Discorso sopra la presa d'arme…, Dichiaratione del Conseglio della città di Leone, mandata à monsig il duca di Nemours, Forma del giuramento fatto nell'Assemblea generale delli Consuli, Cittadini & habitanti della città di Lione, Articoli della suspension d'arme per la città di Leone, e Territorio di Lionese, Foresto, e Bellois. Il Discorso, che dà il titolo alla raccolta, è concepito come lettera ad un amico, con la quale si vogliono chiarire le ragioni della ribellione contro interpretazioni false e malevole, ne enuncia fin dal titolo lo scopo: per la conservatione di coloro, che militano sotto l'ubidienza della S. Lega & della corona di Francia; dunque enumera le colpe del duca di Nemours (cugino dell'omonimo duca di Savoia, Carlo Emanuele, e fratello del Mayenne, che gli aveva affidato il governo del Lionese): mirando ad insignorirsi della città, ne aveva stravolto governo e tradizioni, inasprito le tasse, perseguitato i cittadini ed introdotti nuovi abitanti – quasi un novello Valentino, e non mancano le accuse di machiavellismo – nonché assediato le difese con cittadelle ed armati. La Dichiaratione è l'invito ufficiale al Nemours, che i ribelli avevano imprigionato, a rinunciare alla carica di Governatore, mentre la Forma del giuramento contiene il rinnovo dell'adesione alla Lega, contro «l'heresia & la tirannia, & il tutto sotto l'obedienza di monsignor il duca du Mayne (scil. Mayenne)», e si conclude con gli Articoli della tregua specifica per Lione, garantita da rappresentanti del Mayenne e del duca di Savoia, e che richiamava quella «generale fatta trà mons il duca d'Umena (Mayenne) & il rè di Navarra (Enrico IV)(che) sarà osservata dall'una et l'altra parte», tregua che il Nemours, forse sperando in un aiuto della Spagna, o del Papa, o della Savoia, con cui capeggiare un'altra Lega25, non aveva voluto sottoscrivere. Non si tratta dunque di un tradimento della Lega e di un passaggio al campo di Enrico IV, cosa che sarebbe successa pochi mesi dopo, ma per ora, anzi, è proprio dalla riconfermata fedeltà alla Lega ed al Mayenne che Lione si aspetta anzitutto la pace, in attesa dell'elezione di un re «veramente cattolico», e comunque la deposizione di un governatore tirannico che era stato nominato dal Mayenne stesso e che dal Mayenne avrebbe potuto essere difeso, liberato e riconfermato, se non fosse stato suo concorrente al trono.
Il testo, di stile divulgativo e modellato sul genere dell'epistolografia e dell'oratoria politico-morale, dovette per il nostro traduttore essere di facile comprensione, in base ad una conoscenza essenziale della lingua francese: ne vengono rispettate le strutture anche della sintassi complessa, grazie forse alla comune radice (e modello letterario) della lingua latina, allora in uso nei testi letterari, in specie della trattatistica politica e storiografica. Assai meno nel lessico e nelle espressioni idiomatiche e tecniche, che gli sfuggono spesso al punto da rendere il testo incomprensibile: se questo è giustificabile davanti ai toponimi, come Quirieux, paese abbastanza ignoto da essere tradotto con "curioso" o nei casi di espressioni idiomatiche come le soing de la marmite, che vien tradotto "il sonno della marmotta", è spiegabile nel caso delle barricades, di cui non c'era forse esperienza più vicina, ma vengono tradotte con qualche approssimazione come "moti" (però più sensatamente il Campana traduce con "staccionate"), il senso invece del plan de vingt citadelles, tradotto come "pianto", e quello di tresve, la tregua, regolarmente svisato dal traduttore, si perdono completamente; nei termini relativi poi al discorso morale, come il frequente richiamo alla crainte de Dieu, c'è un'omissione o uno svisamento, quasi che il traduttore non volesse impegnarsi ad esprimere giudizi troppo impegnativi sul piano religioso. In conclusione, propenderei a pensare che il traduttore, forse pressato dalla dichiarata urgenza, si sia accontentato di una versione approssimativa, preoccupato però di rendere la sostanza politica del testo: la malvagità del tiranno e la ragione (non tanto "le ragioni") del popolo ribelle.
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Cose di Francia e pubblicazioni in Italia

I "rapporti di Francia" che pervenivano alle corti italiane con cadenze anche giornaliere, riferendo di particolari anche minimi, costituirono un grande patrimonio di informazioni, ovviamente orientate in senso politico: talora potevano essere costituite in veri e propri dossier, che i principi o i loro ambasciatori producevano per influenzare gli ambienti politici di riferimento. Scritture delicate e pericolose se uscivano dalla loro istituzionale segretezza, furono spesso pubblicate anonime, e talora falsate ad arte, in copie manoscritte in forma di "avvisi"; volute o no dalle segreterie di corte, potevano essere destinate a orientare la diplomazia, provocando talora scompiglio ed incidenti, la cui responsabilità comunque ricadeva sui copisti26. Un'ulteriore elaborazione, talora condita di falsi e di suggestioni, era costituita da lettere e pareri di politici, diplomatici o studiosi; se destinate alla pubblicazione, in genere rientravano negli attuali dibattiti sulla "ragion di stato" e più in generale della filosofia politica, di scuola platonica od aristotelica. Furono poi materiale assai prezioso per gli storiografi, che però in genere evitarono a lungo di trattare questo periodo delle vicende francesi27, a differenza dei cronisti nordici come il Mercurius Gallo-belgicus: salvo rari casi, che vedremo, scelsero e rielaborarono le fonti solo dopo che gli eventi ebbero dato ragione all'una od all'altra parte.
In ogni caso, le pubblicazioni di "cose di Francia" appaiono condizionate dagli interessi e dalle politiche delle corti, in quanto le commissionavano per i propri scopi o perchè venivano dedicate a principi o soggetti politici rilevanti, interessati comunque a schierarsi, avvalendosi della celebrazione politica, culturale o militare fornita dalle pubblicazioni.
Le vicende di Enrico III ed Enrico IV, suscitarono grande interesse in Italia, a partire, come abbiamo visto, dalla celebrazione del viaggio del primo in Italia (1574): soli due anni dopo la strage di san Bartolomeo, un nuovo re non poteva che far sperare nella fine delle incertezze, delle contraddizioni, delle guerre; i fatti successivi riaprirono i dubbi sia sulla politica del re, omosessuale ed incapace di eredi, ma anche sul ruolo della Lega, per quanto si dichiarasse cattolica, specie nel momento della sua "presa d'armi" nel 1585.
Fin qui gli avvisi, i documenti, i Discours giostravano intorno al tema della monarcomachia: propugnata prima dagli Ugonotti, per la libertà di religione, poi dai Leghisti, con il sostegno della Sorbona e dei Gesuiti, contro Enrico III, poteva costituire argomento di pura accademia, ma difficilmente poteva giustificare i fatti dell'88-89, l'omicidio dei Guisa ed il regicidio, che per di più ponevano urgentemente il problema della successione, foriero di nuove complicazioni di politica internazionale.

Testimoniano dell'interesse delle corti italiane per questa fase tre scritti di Torquato Tasso, dedicati alle cose francesi: un paragone tra l'Italia e la Francia, del 1571, una "lettera politica", del 1578, e un Discorso intorno alla sedizione…, del 1585; quest'ultimo, presente in varie copie manoscritte in diverse biblioteche italiane, ma rimasto inedito fino al 181728, si segnala non solo per l'acutezza dell'analisi, quanto meno insolita per un poeta alieno dalla politica, ma per l'aggiornamento e la tempestività dell'informazione: i più recenti sviluppi politici e diplomatici delle cose francesi vengono collocati in un complesso Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia l'anno 1585, nel quale si parla delle cagioni onde ha aùto origine e del fine che è per avere: un giudizio politico e storico aggiornato e documentato, e se vi è già presente un netto giudizio negativo su Enrico III, la conclusione non è favorevole alla ribellione, ma prefigura una soluzione pacifica, altrimenti la Lega rivelerebbe fini, non religiosi, ma politici, inaccettabili29. È l'impostazione di un diplomatico, quale il Tasso, come tutti gli intellettuali di corte, doveva saper essere, e, se il primo di questi scritti si dichiara «scritto tumultuariamente ne' disagi della corte di Francia», dove il Tasso aveva acquisito una giovanile conoscenza ed esperienza diretta, questo Discorso nasce invece a Ferrara, dove la sua segregazione in s.Anna durava ormai da sei anni: la crisi psichica e la malattia non impedivano al poeta di incontrare personaggi politici e trarne preziose informazioni30.
Poco più tardi Ferrara era stata raggiunta dai fuochi del regicidio, con l'edizione italiana della Vera relatione dell'estrana & improvvisa morte di Henrico III, sulla base del testo prodotto a Lione da Jean Pillehotte31.
Tra Giugno e Novembre del 1590, Benedetto Mammarello, libraio della corte di Ferrara pubblicava la traduzione degli Essais di Montaigne e di De la naissance, durée et chute des Estats, di René de Lucinge; Girolamo Naselli, primo traduttore di Montaigne in lingua italiana, aveva riportato questi testi da una missione a Parigi nella primavera del 1589, un anno dopo la pubblicazione di quello di Lucinge; non frequentò personalmente quest'ultimo, che, a sua volta ambasciatore in Francia per il duca di Savoia, era in contatto con l'ambasciatore di Ferrara. Due anni dopo il Mammarello produceva la prima edizione delle Relationi universali di Botero e la Moscovia di Possevino32. Nelle Relationi, scritte su commissione di Federigo Borromeo per descrivere lo stato della diffusione del Cristianesimo nel mondo, il Botero applica alle cose politiche la teoria della Ragion di Stato e la relazione sullo stato francese è solidamente fondata sulla conoscenza diretta.
In quello che, per le edizioni ferraresi, fu un significativo momento di scambio culturale con la Francia, i temi politici attuali venivano portati a livello di discussione accademica, destinata a sviluppi editoriali importanti -come vedremo più avanti- nel caso di Tesoro politico, ma mettevano forti radici nell'esperienza diretta, di diplomatici, dei troubles de France: Botero e Lucinge33 erano stati inviati a Parigi dal duca di Savoia nel 1585, nel momento della ribellione della Lega, alla quale Lucinge dedicò le Lettres sur les débuts de la Ligue.
Sempre nell'89, a Ravenna, Vittorio Baldini pubblicava la Ragion di Stato. Se Lucinge aveva tratto dai problemi dello stato francese la materia per De la naissance, Botero dichiarava nella sua opera più famosa: «Non si meravigli alcuno, che in questa opera io abbia così spesso allegato esempi presi dal regno di Francia, perchè non fu mai regno, che in un tempo fusse meglio governato, nè che poi precipitasse con più rovina». Le radici politico-diplomatiche, nell'esperienza comune di una missione per la corte di Savoia, emergono dalle scelte contenutistiche e formali dei due autori: Lucinge, sebbene destini De la naissance al dibattito accademico sulla possibilità di sconfiggere l'impero ottomano, intende suggerire al Duca di indirizzare i suoi sforzi a quell'obiettivo piuttosto che mirare al trono francese; Botero svolge con attento realismo la descrizione dello stato francese: tutt'altro che una esercitazione accademica, si fonda sulla propria diretta esperienza ed adotta i modelli della diplomazia, segnatamente quella veneziana34, la più illustre e raffinata35. Non a caso l'edizione ferrarese della prima parte delle Relationi è dedicata a quel Carlo di Lorena che sopra abbiamo visto, ora destinato a prendere la porpora al posto dello zio ucciso da Enrico III; la dedica è un omaggio al suo casato, i Guisa, in prima linea nella lotta contro gli eretici36.

Altri personaggi, con compiti -direi- professionali specifici scrissero sui troubles, cui assistettero per incarico di principi italiani, usando forme di lettera, "avviso" o "relatione", destinate a documentare sia i fatti stessi sia la funzione da loro svolta. Sono i casi di Francesco Panigarola, predicatore a sostegno della Lega, di Filippo Pigafetta, geografo militare, e del cardinal Caetani, Legato in Francia di Sisto V; le descrizioni di Parigi assediata da Enrico IV, degli ultimi due, furono tempestivamente pubblicate in Italia, nel 1590-9137; le prediche di Panigarola, contro Enrico IV e chi voleva la pace, uscirono un anno più tardi, ma in diverse città38. Il biennio 1588-89, culminante nel momento anche simbolicamente più alto delle guerre di religione, l'assedio di Parigi, è quello più fortemente rappresentato in Italia, presso editori di Torino, Milano, Bologna, ma soprattutto Roma, ove operavano tutte le diplomazie coinvolte ed interessate alla politica di Sisto V nei confronti della Francia. E non si trattava (solo) di atti ufficiali, notizie di battaglie o di fatti più o meno miracolosi, destinati in gran parte a soddisfare la curiosità del volgo, bensì di vere e proprie operazioni politico-diplomatiche. Ne testimoniò il futuro doge Leonardo Donà, inviato in missione speciale a Sisto V, a difendere le posizioni di Venezia, che aveva riconosciuto lo scomunicato Enrico IV e mantenuto l'ambasciatore Hurault de Maisse. Il Donà rilevava, nel suo Memoriale per la mia relazione… l'intensa attività in Roma di produzione di "Avvisi" a scopo politico, in particolare da parte di una "conventicula" leghista che andava «inventando e fabricando avisi nella casa del cardinale de Sans, ogni volta che capitavano corrieri in Roma, secondo quello che pensava di poter dare a credere et che li tornava a conto»39.

Rispetto a questi fatti, su cui si impegnavano ormai fino allo stremo le forze della Lega, urgeva ormai, per le corti italiane il problema della successione, che, specialmente a causa della preoccupante invadenza spagnola, portava i troubles all'attenzione politica internazionale, coinvolgendo gli interessi di tutti gli stati. Il problema religioso passava così in secondo piano, nella Lega stessa, che, nei confronti della monarchia e del possibile candidato, si divideva ora tra estremisti-popolari e aristocratici del Mayenne; a quest'ultimo veniva a mancare il sostegno della Spagna, che a sua volta, per la sua pesante intromissione si era alienato il Parlamento di Parigi.
Le pressioni delle corti italiane ebbero in questo momento furono assai attive: dal diretto intervento di Carlo Emanuele di Savoia, che coltivò anche il progetto di salire al trono di Francia, all'intensa attività diplomatica di Venezia e del Granduca di Toscana, che miravano a salvaguardare gli equilibri politici scongiurando un'eccessiva crescita della potenza spagnola: a differenza dell'attivismo del duca di Savoia, che minacciava gli equilibri con le sue mire sul marchesato di Saluzzo, sul Monferrato mantovano e sul Delfinato, Venezia e Firenze concentrarono i loro sforzi su una mediazione che coinvolgesse il Papa40.
Se l'ostacolo alla stabilizzazione della Francia, con l'assunzione al trono di un re legittimo, e non straniero, era la sua fede ugonotta ed il Navarra vi aveva rinunciato, dopo ripetute promesse, il 25 luglio del 1593, si trattava di togliere agli Spagnoli l'ultimo motivo di intromettersi nelle cose francesi: la renitenza del Papa attuale, Clemente VIII, a riconoscere l'avvenuta abiura e ad annullare la scomunica fulminata a suo tempo da Sisto V; di qui lo sforzo diplomatico specialmente veneziano e fiorentino nei confronti della curia romana.
Il dibattito "se si doveva ribenedire" Enrico IV, quindi riconoscendolo come re nel momento stesso in cui se ne accettava l'abiura, toccò alti livelli filosofici e giuridici, come quelli della Conferenza di Suresnes, coinvolgendo i privilegi della "cristianissima" sovranità francese, la legge di successione salica, il rapporto tra monarchia e papato, lo stesso riconoscimento dei Canoni conciliari tridentini, che la Francia non aveva ancora accettato in omaggio ai privilegi della Chiesa gallicana. Della posizione spagnola e leghista in Francia si fece attivo sostenitore il Legato papale Filippo della Sega, cardinale di Piacenza, la cui condanna di Enrico di Navarra fu pubblicata in Francia ed in Italia, sia durante la conferenza di Suresnes che dopo la "messa"41; il Navarra, e con lui il partito cattolico realista, si affidò all'azione diplomatica, con più ambascerie al Papa, che lo convincessero ad accettare le sue ragioni. Su questo sforzo si concentrò l'appoggio italiano, pilotato dall'unico diplomatico di Enrico IV riconosciuto in Italia, l'ambasciatore a Venezia André Hurault de Maisse42 e Venezia affidò la missione di mediazione presso il Papa a Paolo Paruta, già diplomatico a Parigi nel 1562 ed ora, dal 1580, storiografo ufficiale della Repubblica43.
Dell'avvenuta riconciliazione, o "ribenedizione", avvenuta nel 1595 furono pubblicate non solo le celebrazioni, ma anche le manovre diplomatiche, pro o contro, con evidente intenzione persuasiva, che la prepararono. La missione, decisiva tra quelle tentate da Enrico IV, affidata ad un principe francese, ma di famiglia e influenza italiane, Ludovico di Gonzaga Nevers, coinvolse anzitutto la corte mantovana; non solo per le lettere che personalmente il Nevers scriveva al nipote duca di Mantova, ma specialmente per il lavoro diplomatico condotto giornalmente dagli agenti mantovani a Parigi ed a Roma44. Anche in questo caso la politica si svolgeva in un contesto di scambi culturali: a Parigi operava dal 1575 Ferrante Guisoni, ambasciatore e poeta, seguace di Ronsard45, in contatto con intellettuali come Filippo Cavriana, medico del Nevers e poi della corte, informatore politico di Firenze, a sua volta in contatto con i più importanti stampatori (L'Angelier, Mettayer) che traducevano il Tasso46.
Le lettere di Guisoni avevano accompagnato un primo tentativo del Nevers, nel 1589, di indurre Sisto V ad un gesto di pacificazione, contro la ribellione leghista; il Nevers voleva dimostrare che non bastava dichiararsi cattolici per avere da Dio la vittoria, come testimoniato dalla sconfitta dell'Invincible Armada47 e che i veri cattolici francesi speravano nell'abiura del Navarra48. Ma le sue lettere, affidate all'agente Gianmaria Manelli, venivano intercettate dalla Lega e comunque Sisto V gli faceva rispondere confermando la scomunica del Navarra ed esortandolo a stare con la Lega. Stizzito, il Nevers scriveva al nipote che lui non intendeva sottomettersi a questo "frate montato"49; ovviamente quest'ultima lettera non era destinata alla pubblicazione, mentre un complesso corpo di argomenti politici, attribuiti al Nevers, ricostruiti storicamente e dotati di documentazione autentica (per esempio l'atto di cristiana morte di Enrico III) oppure verificata in caso di falso, apparvero in un opuscolo anonimo e senza note, dedicato a Sisto V e datato Agosto 1590, con il titolo: Traicté des causes et des raisons de la prise des armes faicte en Janvier 1589 et des moyens pour appaiser nos presentes affliction. Esso è attribuito al Nevers50 e comunque ne rappresenta la missione e le idee: in nome del «bon droict des Catholiques Royaux qui s'y sont opposez (alla ribellione leghista)», mirando a informare correttamente il Papa «déguisé par les faux rapports», poichè i messaggi inviatigli erano stati surpris et detroussez. Tra le operazioni di intelligence, passate poi alle stampe, sarebbe da attribuire proprio all'"agente" Gianmaria Manelli51 l'elaborazione di quella Relatione delle divisioni di Francia (o dell'intera raccolta?) destinata a far parte della raccolta Tesoro politico che accompagnò il Nevers nella sua missione, e che vedremo più avanti.
In un analogo meccanismo diplomatico, il Nevers aveva condotto nel Novembre 1593, la sua decisiva missione presso Clemente VIII. Spinto dalla fazione spagnola, questi non intendeva riceverlo come inviato di Enrico IV, non ancora riconosciuto come re legittimo, e solo come privato principe cattolico il Nevers potè avere udienza. Sapendo che sia il Papa che i Cardinali a loro volta erano "déguisés" dallo spionaggio spagnolo, egli si era fornito di adeguata documentazione da presentare e commentare: una carta di Francia, di cui spiegare le caratteristiche ed i problemi, ma soprattutto il seguito territoriale di Enrico IV; le mene spagnole erano poi rappresentate da una corrispondenza tra il Mayenne e Filippo II e tra questi e l'ambasciatore duca di Feria, autore della Curiosa & grave Aringa, fatta nel Conseglio dei tre Stati di Francia (il 2.4.1593) (…) per la elettione d'un re christianissimo; documenti poi soprattutto sui brogli filospagnoli del cardinale della Sega, che avevano contribuito a "déguiser" il Papa, che se ne mostrò turbato. Sugli argomenti da proporre e sulle reazioni del Papa e dei cardinali delle diverse fazioni, il Nevers ebbe un prezioso aiuto dalla corrispondenza con l'ambasciatore mantovano a Roma, Tullio Carretti, che continuò la pratica anche dopo la partenza del Nevers. La missione formalmente fallì, seppure diplomaticamente efficace, come dimostra la risposta definitiva di Clemente VIII: «non havendo noi a governare per ragion di stato, ma solo conforme a quanto ci detta la coscienza nostra»; servì certamente come mediazione, come volevano gli ambienti romani favorevoli, da Filippo Neri ai cardinali Toledo, Baronio, d'Ossat52, cui il Papa poi sostanzialmente accondiscese: essi avevano inviato il gesuita Antonio Possevino incontro al Nevers per consigliarlo, facendolo però incappare nella ritorsione della fazione cardinalizia spagnola che lo fece cacciare da Roma53.
Gli atti della missione furono pubblicati due mesi dopo, rispettandone la struttura diplomatica. Introduceva una "Epistre au lecteur" che esaltando la grandezza e la cristianità di Enrico IV, anche argomentando il sostegno che contro gli avversari gli avevano dato il clero e «la cour de Parlement (qui) s'y sont opposez par bons, iustes et legitimes moyens»; se il Papa ne era stato "déguisé", si sperava che in questa occasione potesse «se tirer de cette servitude» alla «superbe espagnolle». Seguiva una lunga perorazione, che sviluppava la storia, a partire dall'incontro a Poschiavo col Possevino, e gli argomenti della missione, dall'elenco dei sostenitori del re, quasi tutti i governatori delle provincie, e degli avversari, i soli «princes de la maison de Lorraine & de Savoie» e pochi minori, fino all'appello a Clemente VIII, che prendesse una «telle resolution qu'il est requis & necessaire pour le bien de la France & de la Chrestienté & particulierement du sainct Siège de Rome»; firmato Ludovico Gonzaga e datato 14 Gennaio 1594. Il testo è accompagnato da una documentazione sia delle precedenti ambascerie rifiutate, sia delle responsabilità di molti cardinali «la plupart desquels se pouvent appeler plustots advocats et procureurs du Roy d'Espagne», ma specialmente del dalla Sega, di cui si denunciava il sentimento antifrancese: in recenti lettere avrebbe sollecitato l'intervento spagnolo «criant incessamment fuoco fuoco (corsivo nel testo), comme s'il voulait embraser la France»54.
"Scritture di Francia" come queste non si sarebbero potute divulgare senza la precisa volontà di una corte o almeno dovevano provenire da maneggi politici e da solide fonti in ambito diplomatico. L'intera vicenda di Enrico IV nel '93, a partire dalla "messa", era stata seguita e sostenuta dai diplomatici di Venezia e Firenze, Paruta e Mellini, anche se con poca collaborazione e scarsa fiducia nel risultato; più efficace fu l'azione del cardinale di Toledo, gesuita come il Possevino55, che ne trasse materia di pubblicazione, tanto da portarci a considerare l'importanza sia politica che editoriale di soggetti non direttamente dipendenti dalle corti oppure attivi in modo relativamente autonomo rispetto agli incarichi ricevuti.
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Pubblicazioni di (e per) consiglieri spirituali e politici

Abbiamo visto già che il Nevers denunciava lo scorretto comportamento dei Legati, sia il Caetani che il della Sega, nei confronti dei loro Papi, Sisto V e Clemente VIII; anche la politica di Filippo II pare non fosse così gravemente determinata nei confronti della Francia, almeno quanto pretendevano i suoi ambasciatori e consiglieri. È certo invece che Possevino fu pienamente convinto, e personalmente responsabile, dell'aiuto offerto al Nevers, se, poco tempo dopo, alla sua morte, avvenuta dopo la "ribenedizione", gli dedicava l'opuscolo Vita et morte di Lodovico di Gonzaga duca di Nevers e di Retel, che venne aggiunto a Il soldato christiano del 1592; il tutto formalmente costituiva un omaggio ai signori di Mantova, sua città natale ma veniva proposto come modello a «Sigismondo Bàtori già principe di Transilvania all'hora giovinetto» (allora vale a dire quando il Possevino era stato a Poznan inviato da Gregorio XIII)56, ma è notevole che venga inserito in un trattato di avvertimenti militari, quei che toccare potessero à Sacerdoti i quali conversano negli Esserciti (…) pe 'l maneggio delle paci & della Religione, ove, accanto a Instruttione per modo di oratione à Soldati per prepararsi a morire si trova un Discorso sull'empietà dei consigli di Nicolò Machiavello e ad un generale Trattato sopra il modo di fare un compito libro militare. Nella vita del Nevers, oltre a sottolinearne la pietà e il favore verso gli ordini religiosi e la difesa del Cattolicesimo come consigliere di Enrico III, emerge la valutazione che il Possevino dà dell'impresa diplomatica, del Nevers ma anche sua: negli incontri avuti a Poschiavo e poi a Edolo il Nevers, esperto di cose militari, si sarebbe sottomesso a Possevino «in quel che tocca la conscienza»; e coscienziosamente si era preparato: «stette un anno, ricercando per altre vie i medesimi consigli & preparandone scritture, per comunicarle con chi era principalmente instrumento in quei tempi della Santa Sede Apostolica», venendo poi a Roma ad operare per la pace, con grande umiltà57.
Dunque confessore e formatore, il gesuita Possevino, allora e per molti anni impegnato nell'impresa della Biblioteca selecta, opera intesa a sostituire i libri cattivi con libri buoni, costruzione enciclopedica che dalla teologia scende alla storia, alla morale ed alla geografia, a cui egli stesso contribuiva con un'agile articolazione di opere monografiche rimaneggiabili per l'occasione: nel caso della storia bisognava considerare non solo i fatti e le guerre ma «etiandio coloro che hanno trattato delle cose politiche, degli inventori di esse, delle vite de Filosofi e altri, delle Cronologie…» quindi essere in grado di contestare Machiavelli, Bodin, La Noue58, ma anche di rilevare l'utilità di un Mercurius Gallo-belgicus59, comunque di trarre profitto dall'esperienza diretta, come, nel caso del Nevers, da una esperienza diplomatica condotta autonomamente ed a proprie spese. In effetti la Compagnia di Gesù, negli ordini del Generale Acquaviva, proibiva formalmente a quel tempo, di partecipare alla politica60 ed è pensabile che Possevino, come il suo confratello Achille Gagliardi, che ora vedremo, giustificassero le proprie intromissioni diplomatiche come consiglieri spirituali.
Tra i vari modi di intervenire nelle cose francesi, quello dei Gesuiti fu certo tra i più complessi, in dipendenza anche da diverse posizioni personali: accanto ai diversi atteggiamenti dei padri Auger e Matthieu nei confronti della monarchia, la presenza di veri e propri agenti gesuiti a Roma, a favore della Lega o in contatto con il cardinal Toledo; più in generale, coinvolte nella politica, le Assistenze di Spagna e Francia chiedevano autonomia da Roma, proprio nel decisivo biennio 1593-4.
Il prestigio dei loro collegi li caricò di autorevolezza anche politica, ma anche dei conseguenti rischi, come quando, esasperando il tema della monarcomachia, furono accusati di voler uccidere Enrico IV, e, cacciati dal Paese, dovette intervenire il Possevino per ottenerne la riammissione.
Lo stesso Possevino aveva operato per rafforzare il collegio di Lione; questo partecipò con altrettanto zelo alle controversie con i calvinisti, facendo «voler partout des petits livrets, comme on disait alors» e solo nel 1592 «ils firent imprimer à leur frais à Lyon 140 ouvrages de propagande réligieuse»61. Furono coinvolti, con il Nemours, nella ribellione del 1593; un diretto collaboratore di Possevino, padre Maturo (Madur) pilotò il collegio in quella difficile circostanza ed un altro predicatore lionese, padre Coton, fu poi scelto da Enrico IV come confessore62.

Come un confessore gesuita potesse addirittura creare un caso diplomatico ce lo dimostra il caso di Achille Gagliardi63, attivo dal 1568, a Torino e poi a Ferrara ed a Milano, come consulente sia per la scuola che per questioni giurisdizionali. A Milano dal 1580 collaborò alla missione di Carlo Borromeo in Mesolcina e pubblicò un catechismo con il tipografo vescovile Michele Tini (1584); fu confessore di Isabella Berinzaga e di un gruppo di zelatori cui aderiva il governatore spagnolo Velazquez. Quest'ultimo, contrario alla guerra, sarebbe stato il referente di una iniziativa di mediazione veneta nei confronti dei Francesi e degli Spagnoli, che prese l'avvio da un incontro, tra il Gagliardi ed il "secretario" veneziano G.Battista Padavino, proprio nel momento in cui il Nevers conduceva la sua missione a Roma. Quando la manovra pervenne alle sedi diplomatiche ufficiali dovette essere sconfessata, e lo stesso Gagliardi allontanato da Milano.
Per un verso, la vicenda di Gagliardi, come quella di Possevino, conferma l'iniziativa politica autonoma di alcuni soggetti, membri in questo caso della Compagnia di Gesù, che ufficialmente rifiutava l'impegno politico; nel fermento critico della Congregazione Generale gesuitica dell'Autunno 1593 Gagliardi e Possevino non risultarono eletti; Gagliardi peraltro riteneva «i confini tra politica e religione così labili e incerti (che non) si potesse alla lunga imporre ai Gesuiti (…) di limitarlo al campo puramente spirituale» e insistè nella sua iniziativa, proponendo una missione dei Gesuiti in Francia al seguito delle truppe di Velazquez; contro la sua cacciata si schierò il presidente del Senato di Milano, paventando una protesta e sollevazione popolare64.
Per un altro verso, la vicenda illumina la particolare funzione avuta da Milano, non città di corte ma luogo attivo di soggetti politici, direttamente o meno interessati alle vicende internazionali, che si muovono con relativa autonomia, dai Borromeo al Senato ai governatori spagnoli, che richiamavano l'attenzione delle diplomazie ufficiali o segrete: sempre nella vicenda Gagliardi si noti l'intervento del conte Francesco Martinengo (militare al servizio prima dei Savoia e poi di Venezia, figura autorevole in Bergamo): al "secretario" Padavino espresse un giudizio negativo sul Velazquez, al quale avrebbe preferito il Fuentes65, che fu poi infatti governatore di Milano.
Anche l'editoria di Milano manifestò il suo interesse per i troubles de France, traducendo alcuni Avvisi, ma un caso particolare fu quello della (quarta?) edizione di Tesoro politico, a cura di Bordone e Locarni nel 1600: una raccolta di relazioni diplomatiche su diversi Stati europei, intesa alla perfetta intelligenza della Ragion di Stato et all'intera cognitione de gli Interessi & dipendenze de' più grandi Prencipi & Signori del mondo. Un testo "tecnico", per "secretari", ma destinato ad essere messo all'Indice nel 1602 perchè contrario al «beneficio universale, qual non vi si scorge, anzi, in molte scritture inserte in esso libro, si vede manifestamente il contrario et il pregiudicio de' Principi christiani» nonchè «del Pontefice, narrando i suoi interessi, et l'animo suo verso gli altri Principi»66. Una bocciatura quindi anche di tutto quanto era stato prodotto nel corso dei troubles, pro e contro Enrico III ed Enrico IV, perchè tali pubblicazioni "gli allori svelano" dei Papi e dei Principi? Anche le opere di Botero, laddove criticavano troppo apertamente il regno di Francia (come nella frase che ho sopra riportato, nell'introduzione alla Ragion di Stato) subirono la censura: gli atti e le idee dei pontefici e dei monarchi non potevano essere pubblicamente criticate, in nome di una "ragione politica", specie dopo la "ribenedizione" di Enrico IV e la conseguente pace tra Francia e Spagna. Tesoro politico, però, depurato e rimaneggiato, continuò ad essere arricchito e riprodotto in Italia ed in Europa nel '600.
Di questa raccolta è stata individuata la lontana origine, proprio nel pieno dei troubles, nel 1589, a Parigi, da tipografi parigini che si nascondevano dietro un falso editore: "Alberto Coloresco" per un'inesistente "Accademia italiana di Colonia": tra le relazioni diplomatiche, una, sulle divisioni di Francia, svela lo scopo politico: contrapponendo ai "popolari" della Lega i "realisti" del Navarra ed aggiungendovi i possibili sovrani italiani, che, oltre a Venezia, avrebbero potuto sostenerlo, l'autore, anonimo, ma forse -come abbiamo visto- Gianmaria Manelli, si riprometteva di confortare il duca di Nevers nel suo distacco dalla Lega67.
Un'altra pubblicazione politica, persuasiva, fondata su forme di relazione diplomatica e mascherata da trattato tecnico-professionale? Anche nel contesto milanese sarebbe da studiare se lo scopo editoriale fosse puramente commerciale e/o rappresentasse gli interessi di una o più delle tendenze politiche in campo. A noi preme però rilevare che dev'essere esistito anche un passaggio "bergamasco" in questa vicenda: l'edizione milanese dichiara che la Prima parte è «raccolta da Comino Ventura dall'Accademia italiana di Colonia». Un'altro falso, oppure tra le "scritture che vengono di Francia" e che si riproponeva di raccogliere c'era anche questa?68 Altre due edizioni, tra quella di Parigi e quella milanese, apparvero nel 1593 e 1598, senza editore e luogo oppure con indicazioni a loro volta false; se Comino Ventura vi ha avuto un ruolo, anche solo nella dichiarata "raccolta", rientrerebbe nei suoi programmi editoriali, specialmente nel 1593, nel pieno della produzione, ed a maggior ragione la destinazione " tecnico-professionale" assunta successivamente dal testo potrebbe spiegare meglio chi sono i suoi "amici et patroni", committenti e destinatari o collaboratori, in più sensi: la collaborazione con Milano, testimoniata dalle molte commissioni tipografiche per i milanesi Degli Antoni69, oltre che, come già visto, con i Greco di Vicenza, ma soprattutto i personaggi della politica e della cultura bergamasca ed il livello e le forme dei loro interessi, che il lavoro del Ventura doveva soddisfare, con queste raccolte ed in più un'altra, prodotta pochi anni dopo: il Libro di lettere dedicatorie di diversi, ove appare una rete di rapporti anche politici tra Bergamo e diverse corti.
È quanto cercherò di delineare nel prossimo paragrafo. Qui possiamo confermare la centralità del 1593 nell'interesse della politica italiana verso la Francia, interesse che Ventura ha cercato di soddisfare con un proprio progetto, che non manca di originalità editoriale; ne abbiamo già visto il formarsi, e fu parallelo allo svolgersi degli orientamenti politici delle corti italiane, specialmente intorno al ruolo del Nevers.
È un'editoria proveniente dalla politica pratica, dell'ambiente diplomatico, dei "secretari": col Ventura manteneva questa caratteristica; però veniva così a cadere l'ipotesi di lavorare ad una storia dei fatti di Francia, che in effetti non si realizzò. È vero però che i documenti del Ventura, contemporanei ed esposti "neutralmente" «per l'intelligenza della storia» ebbero almeno uno sbocco in una storiografia non tanto distratta quanto prudente. Tra le poche storie sui temporis scritte prima della fine del secolo, o meglio prima della «ribenedizione» di Enrico IV e della pace di Vervins che riportavano all'ordine le ragioni dei partiti, la Raccolta del Ventura fu riedita dai Greco di Vicenza: lo storico Cesare Campana tradusse i documenti lionesi, esprimendo dubbi sulle loro ragioni70; in Delle historie del mondo riportò, in modo limitativo, la Conferenza di Suresnes e dei fatti lionesi diede colpa alle gelosie tra i principi leghisti71. Probabilmente un altro sbocco avrebbero dovuto avere nelle Historie del suo tempo di Leonardo da Maniago, che il Ventura pubblicò, ancora una volta su commissione milanese, ma una parte, forse anche quella francese, era andata distrutta a causa della peste72.
Anche la storiografia ufficiale veneziana adottava, nell'esposizione delle vicende politiche, il criterio di giustapporre le "orazioni" dei diversi partiti; affidata ora a Paolo Paruta, che osservava con prudente attenzione gli "interessi dei principi", mirando ad esaltare la saggezza e la diplomazia del proprio governo73. Il lavoro del Ventura poteva fornire un utile strumento tecnico, ma probabilmente gli storiografi attingevano i loro materiali da fonti più dirette, dalle corrispondenze diplomatiche e dall'esperienza personale, come Enrico Caterino Davila, che ricostruì con dovizia di dati il significato politico dei troubles, ma pubblicò a Seicento inoltrato.
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Una cultura di confine

Bergamo nell'ultimo quarto del '50074 vive due momenti decisivi della sua storia: la costruzione delle Mura e la visita apostolica di Carlo Borromeo. Con le mura la "Città alta" acquisisce l'importanza politico-militare di "fortezza", ma a prezzo della separazione dai Borghi e del sacrificio di intieri quartieri, ed anzitutto i centri civili e religiosi della basilica di sant'Alessandro e del convento dei Domenicani.
La visita di san Carlo comporta, con l'applicazione del Concilio di Trento, una riorganizzazione sia ecclesiastica che civile, toccando strutture e valori tradizionali, come i culti (anche quello "laico" di Bartolomeo Colleoni) e le Opere pie; in più la riforma borromaica tocca con particolare efficacia la pianura bergamasca, dato che la Diocesi milanese scavalca i confini veneti dell'Adda e giunge quasi a sfiorare la Città, fino a Dalmine, oltre a comprendere la Val san Martino e raggiungere la cima della Val Taleggio.
Dipende da questa collocazione al confine con Milano, ora spagnola, ma con cui Bergamo ha intrattenuto da tempo fertili rapporti commerciali e culturali, la nuova dignità della Città, sotto un nuovo impulso, ma anche un più stretto controllo dell'autorità, sia civile che ecclesiastica, che non può che intrecciarsi con le tensioni sociali locali. Le rivalità tra famiglie patrizie, che talora ripropongono gli schieramenti politici di primo '500 tra ghibellini (filo-imperiali e filo-milanesi) e guelfi (filo-veneti), che culminano nelle faide tra Albani, Brembati e Grumelli, quelle tra conti, cavalieri e dottori, tra patrizi e plebei, non possono che risentire della soppressione di una delle due Cattedrali, come della chiusura del Monte di Pietà, delle riforme statutarie del Comune, della separazione tra Città e Borghi, specie il borgo san Leonardo, ormai cresciuto in popolazione ed in ricchezza quasi quanto la Città.
Nel Territorio poi cova un nuovo conflitto, ove lo strapotere dei Cittadini e dei Valeriani a danno degli Uomini del Piano ha spinto Venezia ad una riforma fiscale nel 1547 e per il commercio dei valligiani si aprono nuove prospettive, sia con ripetuti progetti di vie d'acqua che arrivino fino a Venezia, sia con il perfezionamento della strada per la Valtellina ed i Grigioni, voluta dalla nuova politica espansiva di Venezia verso il Nord. Oltre alla crescita della spinta autonomistica valligiana, che verrà seguita con attenzione dalla Serenissima, ciò accrebbe l'importanza delle zone di confine e delle loro popolazioni, sinora marginali, sia nelle vertenze confinarie (val Taleggio, Geradadda, val san Martino) sia nelle politiche militari: i valligiani, già efficacemente presenti nella guerra del 1512, ora vengono visti con nuovo interesse dalla provveditoria militare veneta ed i problemi del territorio vengono affrontati con una nuova ottica75.
Bergamo era già stata toccata dai processi per eresia al vescovo Soranzo76 e dalla successiva inquisizione di Michele Ghislieri, che, cacciato dalla città, fu protetto da Gerolamo Albani; questi ne ebbe in premio la porpora cardinalizia, malgrado fosse stato coinvolto nella faida familiare più famosa del secolo, e fu da allora il più importante riferimento romano per i bergamaschi, anche tramite il suo secretario Maurizio Cattaneo.
La distruzione di una cattedrale ed il controllo borromaico crearono tra i Canonici problemi di lunga durata, mentre l'insieme della Chiesa locale accettò la riforma grazie alla collaborazione sia degli ordinari diocesani, reduci dal Concilio di Trento, sia di ecclesiastici ed influenti cittadini impegnati in difficili mediazioni.
Emergono qui figure rilevanti per il nostro tema, competenti di diritto ed esperti di mediazioni sia al di qua che al di là dei confini: due canonici, che collaborarono alla visita borromaica, Giovanni Antonio Guarneri, ebbe incarico pubblico completare la storia dei santi bergamaschi, e Marco Moroni77, proprietario della più ricca e significativa biblioteca bergamasca cinquecentesca sinora nota; quindi due giuristi: Giovanni Andrea Viscardi, che si impegnò nella difesa delle ragioni del Monte di Pietà, e finalmente Giovan Girolamo Grumelli78, il "cavaliere in rosa" ritratto dal Moroni. Attorno a quest'ultimo, capo di una delle più influenti famiglie patrizie, sembra giostrare il mondo sia culturale che politico: parente e protettore di Torquato Tasso, sposo in seconde nozze della poetessa Isotta Brembati, a sua volta imparentata con i milanesi Secco, intrecciò rapporti con Milano per interessi familiari e corrispose col Borromeo per favorirne la riforma nelle parrocchie bergamasche in diocesi milanese; nei rapporti con l'arcivescovo si va da contese su predicatori per la Quaresima alla presentazione di Marco Moroni per incarichi delicati, all'istituzione del collegio di Somasca, a vertenze con patrizi locali, alla fornitura di legname dei boschi di Val Taleggio. Le sue conoscenze milanesi si estesero anche ad Achille Gagliardi, con cui trattò per una possibile introduzione dei Gesuiti a Bergamo, obiettivo cui si impegnò anche il Moroni.
Di questioni confinarie, tra cui proprio per i boschi di Taleggio, era esperto il Grumelli, che, anche grazie al matrimonio della sorella Claudia con un colonnello grigione protestante, Rudolf von Salis, ebbe dai Rettori il delicato incarico di avviare trattative segrete per una lega di Venezia con i Grigioni nel 1589; ne meritò in tarda età, nel 1605, l'incarico di Provveditore ai confini.
A parte il Grumelli, gli altri tre personaggi erano homines novi; una branca diversa della famiglia Moroni ebbe titolo comitale, ma solo nel secolo successivo. In particolare il Viscardi79, giurista laureato a Padova, aspirava, anche grazie all'amicizia del cardinale Albani e a frequentazioni veneziane e romane, al ruolo di segretario di corte; non lo conseguì, presso il Principato di Monaco, perché dovette provvedere ai nipoti orfani, in particolare Marcello, che, avviato alla giurisprudenza, si vide confutare dal Collegio locale dei giuristi l'origine ignobile, come figlio di mercante.
Il Viscardi, se non fece carriera, ebbe però intense corrispondenze con signori e segretari; in questa professione diplomatica rientrava anche il consigliare alle corti ed alle città predicatori, tra cui ancora Achille Gagliardi, la cui conoscenza, ed in genere quella dei Gesuiti, portò anche lui, come il Grumelli ed il Moroni, a promuoverne l'introduzione in Bergamo, per il «gran credito per dottrina et esempio (…) con gran profitto degli ingegni ora non coltivati». Ma soprattutto i suoi contatti gli permisero di pubblicare a Bergamo cose di interesse internazionale. Fu il primo a trattare esplicitamente di politica, poiché i testi, precedenti, di G.A.Guarneri, De miraculo apud Helvetios e Acta quaedam insignia anglica, come il più tardo De bello cyprio, rientrano piuttosto nell'oleografia religiosa.
Ma fu ancora il Viscardi il primo a trattare di cose politiche francesi, e grazie ad informazioni di prima mano: il 12 Aprile 1583 da Parigi gli scriveva Gerolamo Ragazzoni, vescovo di Bergamo e Nunzio in Francia: «qui stiamo nel ardor della guerra (…) mossa da tutta la nobiltà sotto nome del cardinal di Borbone, che pretende di succedere à questa corona, morendo il Re senza figlioli»; dei troubles trattò ancora con Michele Soriano, ambasciatore veneto a Parigi; con l'abate Cornaro, cui esprimeva la gioia, sua e dei quattro senatori veneti in visita alla Fortezza, per il cardinalato di monsignor Morosini, tanto meritevole per l'opera di mediazione tra il Papa ed Enrico III; con il conte Marco Antonio Martinengo, sul regicidio e conseguenti rischi; sulla liceità del tirannicidio (in questo caso quello del principe d'Orange) con il Procuratore Giovanni Michiel.
La coronatione d'Henrico III… uscì nel 1592, quando anche il Ventura maturava, e forse su suo stimolo, il progetto della Raccolta; sia l'uno che l'altro possono essere stati ulteriormente stimolati dalla lettura di "scritture di Francia" come i già visti Mercurius gallo-belgicus, Recueil…, De iusta Henrici III…, che Ventura tradusse ed utilizzò. Ed è tramite le Lettere di Viscardi, che coinvolgono un ampio giro di personaggi, bergamaschi od influenti in Bergamo, che possiamo inserire tra gli «amici et patroni» che premevano su Ventura per aver notizie francesi.
Il Ventura pubblicò più tardi anche una raccolta di Lettere dedicatorie di diversi: non solo i destinatari di opere d'argomento politico, ma un mondo di soggetti locali, possibili clienti, ma anche promotori e finanziatori dell'impresa editoriale. Le dedicatorie sono raccolte in gruppi secondo categorie socio-culturali: poeti, teologi, filosofi e giuristi, ed inoltre «kavalieri e martiali» e poi anche «gran negoziatori e le persone di gran ricchezze e traffichi» che hanno favorito la produzione di libri sulla mercatura. In genere le dediche ai principi ed ai politici e militari sono oleografie di storia e di guerra, tese a guadagnarsi un merito cortigiano, e qui prevalgono i Savoia, i Farnese, gli Aldobrandini…, oppure, più vicini a Bergamo, i Martinengo, che servirono sia il Papa che Savoia e Venezia; con le categorie di letterati e mercanti si celebrano ceti sociali emergenti, caratterizzate da esperienze del mondo, informazione e adeguata cultura, e Bergamo ne è ricca:
l'arte onoratissima del dettar saggiamente e scriver leggiadramente lettere de Negotii e complimenti (è) non più dell'Accademie e Cancellarie, che dÈ fondachi e magazini, gran fregio e lode (…) quest'honore sarà parimente maggiore di quella natione che più negotii, e in più luoghi, abbraccia, qual è la Bergamasca, la quale è sì divisa per il mondo & ha gran parte in sì gran maneggi di lane, di sete, di panni e cambii" che non vi è in tutta Europa mercato o fiera ove non prosperi
Quindi Bergamo, che non è città di corte, è ricca però di «commerci», nel senso anche di scambio culturale e di «civil conversatione», l'arte propria dei secretari, come il Viscardi, dei professionisti che sanno praticare lo stile delle lettere dedicatorie, ad esempio Ludovico Brigenti, che più di altri scrisse presentazioni di libri, editi sia da Ventura che da altri: «sementi voci e raggi, che in fronte d'infiniti altrui componimenti ha con somma lode sparsi». Il Brigenti, «enciclopedico», gestiva a Lovere un'accademia insieme con il fratello Giacomo, che a sua volta tradusse dal latino, per il Ventura, un'orazione per Enrico IV.

Lettere, Orazioni, Dediche, Scritture, documenti; informazioni, stili e modelli: sia le Lettere del Viscardi che le Dedicatorie che la Raccolta sui troubles de France, paiono accomunate dal genere professionale proprio del «secretario»80, categoria sociale emergente anche a Bergamo81. In particolare le pubblicazioni politiche (ed a maggior ragione Tesoro politico) sono patrimonio professionale, d'informazione e formazione, di questa categoria, sia per i modelli che per la provenienza delle fonti dalle secreterie di corte. La cultura bergamasca, tramite Viscardi e Ventura, si esprime con queste forme tecnico-pratiche su temi politici e religiosi che le culture di corte elaborano a più alti livelli. La collocazione poi, geografica e politica, di confine, ora in crescita d'importanza, permette a Bergamo di raccogliere, con necessaria spregiudicatezza, dati e documenti provenienti da Roma o da Parigi, prodotti da Ugonotti come da Leghisti o Politici, e da Venezia come da Milano, e dall'ambiente borromaico come da quello spagnolo o gesuitico o senatoriale; e se nel caso dei troubles la scelta evidente a favore del Nevers può essere stata condizionata da Venezia, quella di riferire testualmente la ribellione di Lione può significare l'adesione allo spirito di pace e di giustizia di un mondo attivo di traffici che si esprime nelle deliberazioni delle «gens moderez et judicieux de nos Parlement»82, oggetto in Francia dell'interesse e delle pubblicazioni politiche, affine a quello della Bergamo suddita di Venezia, ma fortemente gelosa dei «Patti di dedizione» e dei privilegi con cui Città, Clero, Valli e Piano si erano sottomessi alla Serenissima.
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Note:
  1. L.Chiodi, Le cinquecentine della Biblioteca civica "A.Mai" di Bergamo, Bergamo, Secomandi, 1973; G.Barachetti, C. Palamini, La stampa a Bergamo nel Cinquecento, (s.n.), stampa 1990 (Bergamo : Tipografia Secomandi); nuovi dati in Il mestier de le stamperie de i libri, a c. E.Sandal, Comune di Sabbio/Grafo 2002, e nella ricerca in corso di G.Savoldelli sulle edizioni bergamasche nelle biblioteche europee.
  2. La ricerca verte sull'edizione del 1594, come definitiva, rispetto ad una del 1593, che presenta un ordine diverso, probabilmente inteso alla giustapposizione di documenti delle parti in causa più che alla loro sequenzialità cronologica; questa prima edizione, reca negli indici aggiunte manoscritte (forse dello stesso Ventura) ed indicazioni di spostamento, effettivamente realizzate nella seconda: è comunque utile per capire la genesi dell'opera ed il progressivo affinamento del criterio editoriale.
  3. Ne fa fede un canonico bergamasco, G.Antonio Guarneri, in De Monticuli ac Vallis Calepie laudibus, Milano, Mezio, 1571: «ci giungono infatti ogni giorno de' nunzj pe' quali ci si narra con quali supplicij i sacerdoti di Francia sieno tormentati ed uccisi»; il canonico paragona questo ad altrettanto gravi affanni cittadini come i «capifazione sbattuti lungamente da furiosissime tempeste» e le tasse da pagare a Venezia «onde l'inumanissimo Turco si tolga dalle nostre teste»; v. P. M.Soglian, Otia umanistici in Val Calepio, in "la Rivista di Bergamo", n.s. n.18, 1999.
  4. Una catalogazione aggiornata è in D. Pallier, Recherches sur l'imprimerie a Paris pendant la Ligue: 1585-1594, Geneve, Droz, 1975; altre fonti in Histoire de l'edition française, a c. H.J.Martin e R.Chartier, H.Hauser, Les sources de l'histoire de France, XVI s., t.III-IV, Paris 1912, 1915; Bibliographie lyonnaise:recherches sur les imprimeurs, libraires, relieurs et fondeurs de lettres de Lyon au 16. siecle, publiees et continuees par J. Baudrier, Paris, 1895-1921 ; altre verranno citate più avanti caso per caso.
  5. v. M.Infelise, Prima dei giornali. Alle origini della pubblica informazione, Laterza, 2002, che descrive lo sviluppo di questo fenomeno a partire dalla fine del '400.
  6. Dall'Avviso ai lettori della parte Seconda (la dedica a Galeazzo Suardo è datata 21 agosto 1593). Salvo diversa indicazione, le citazioni del Ventura sono sempre tratte dagli Avvisi e dalle Dediche delle diverse parti della Raccolta.
  7. Trattandosi specialmente di opuscoli, talora senza note, talora riediti accorpati con altri e con altro titolo, questo quadro è puramente indicativo, in attesa di una ricostruzione più completa degli annali del nostro editore. Alcuni titoli, che non compaiono nei cataloghi, sono tratti dalla tesi di laurea di B.Merelli, Stampe popolari bergamasche, Università cattolica del s.Cuore, 1961.
  8. La Descritione è tratta dalla 2a parte delle Relationi universali edite a Ferrara da Mammarello nel 1592 e poterono esser viste da Ventura prima, o durante, la realizzazione della Raccolta.
  9. Mercurius Gallobelgicus, sive rerum in Gallia & Belgio potissimum; Hispania quoque, Italia, Anglia, Germania, Polonia, vicinisque locis ab anno 1588 usque ad Septembrim anni praesentis 1592 gestarum, nuncius. Opusculum in quinque libros qui totidem annos complectuntur, divisum; auctore D.M. Iansonio Doccomensi Frisi; Coloniae Agrippinae: apud Godefridum Kempensem, 1592 (sbn.it, identificativo IT|ICCU|BVEE|012517). Il Ventura lo cita come Nuncius…
  10. «Auctores quibus usi sumus: Wilhelmus Rosseus, Petrus Linderbergius, Iacobus Francus, Andrea Philopater, Tolmerus (Latini), Michael Ayzingerus austriacus, Author Continuationis chronicorum Hollandiae, Translator Jacobi Franci, Wilhelmus Riephannius (Germanici et Belgici), Antonius Ciccarellus, Petrus Corveus, Libellus intitulatus Recueil contenant . (Gallici & Italici), Scripta publica diversis locis incertisque auctoribus edita, Scripta privata variorum amicorum»: di seguito all'Indice del primo volume, ediz. Kempen, Colonia, 1596.
  11. Il Recueil uscì senza note ed anonimo nelle prime due parti, a la Rochelle nel 1587 e 1589, e fu prodotto dall'editore ugonotto Haultin; fu ripreso e continuato negli anni successivi da Simon Goulart con il titolo di Mémoires de la Ligue. Ho avuto questi chiarimenti, tramite il prof. Jean Balsamo dell'Università di Reims, dalla prof. Amy Graves, dell'Università di Buffalo, che ne ha trattato nella sua tesi di dottorato dedicata alle forme della propaganda polemica ugonotta. Ringrazio entrambi per la gentile collaborazione. Grazie ad essi ho potuto individuare, nella copia del Recueil presso la Biblioteca Nazionale di Firenze e grazie alle differenze con le Mémoires de la Ligue, il testo che potè essere visto ed utilizzato dal Ventura.
  12. Sono propenso a credere che il Ventura fosse cosciente del rilievo delle interferenze internazionali e della necessità, e del rischio politico, di pubblicarne atti ed implicazioni: non solo sono presenti nel Della guerra di Colonia, del Viscardi, ma soprattutto nella sua fonte primaria, il Mercurius, e soprattutto nel Recueil: in tutti si collegavano vari accadimenti e documenti relativi all'Inghilterra, alle Fiandre, alla Germania, e ovviamente al Papa ed alla Spagna, a quelli di Francia; dal Recueil egli ne riprendeva alcuni senza modificarli od interpretarli; questo, relativo ai Savoia, era certamente più impegnativo, trattandosi di un principe italiano direttamente coinvolto nel 1593.
  13. Fino all'assedio di Parigi, 1590, gli editori ufficiali si potevano ricondurre a due gruppi, quelli regi, con sede a Tours, e quelli leghisti, con sede a Parigi, ove al governo leghista si affiancava l'autorità della Sorbona; ma, con l'assedio e le reazioni alle intemperanze dei leghisti iniziò una fase di crisi e successivamente di ripresa di edizioni di carattere moderato e "politico" . V. Pallier, cit.
  14. I singoli testi della raccolta uscirono anche separati: v. Pallier, cit., n. 841, ristampa dei nn. 816, 818, 822, 827 e 835, quest i editi alcuni dal leghista parigino Nivelle-Thierry o dal realista Mettayer a Tours, altri riprodotti a Lione sia dal leghista Pillehotte che dal realista Rigaud; il Ventura così veniva a disporre di una raccolta simile al Recueil. Anche in Italia circolarono testi separati, taluni attribuiti al Ventura, ma risulta difficile stabilire se furono prodotti prima o dopo la Raccolta, almeno nella prima edizione del '93 e quanto il Ventura abbia contribuito a questa circolazione. Nella prima edizione, aveva pubblicato separatamente, nella Terza e Seconda parte rispettivamente, sia la convocazione del Mayenne che la Essortatione del Legato papale ai seguaci del Navarra a rinnegarlo, ma il tutto doveva avvenire nel 1593, mentre le «scritture dalla Francia» si accavallavano. Possiamo piuttosto ragionare sulla forma definitiva assunta dalla Raccolta nel '94.
  15. Emessa in Dicembre '92, ma ufficialmente pubblicata il 5.1.1593, e così ovviamente collocata all'inizio del testo francese edito da Morel. Il racconto della Conferenza di Suresnes, come e più di altri, ebbe una storia editoriale complessa: ne esistono almeno altre due versioni, una latina, una francese edita dal lionese Pillehotte; di traduzioni italiane ne esiste almeno un'altra, che reca la data «Torino, MDXCIII» e come marca una spada sotto un elmo circondata dal motto «NUMISMA BRUTI» (Bibl. Naz. Braidense, GG VIII.23 (5)), un falso, visto che non c'è proprio nulla che richiami al tirannicidio? L'ambiguità di questo testo spiega forse perché lo si è voluto attribuire, come autore, al Mayenne.
  16. Il Discorso d'un catholico se (…) N.S. doveva ribenedire Enrico di Navarra nell'edizione del 1596 reca la dicitura: «già fatto sin l'anno 1593 et di nuovo dato in luce» e in Ragioni et essempi, cit., Ventura si scusa di non poter pubblicare ordinatamente le «ragioni» della "ribenedizione": «non le havendo io hora tutte alle mani, non posso ancho a voi donarle con l'ordine de' tempi (…) senza troppa passione di chi le aspetta (ma) discorso per discorso, secondo ch'à me arriva».
  17. Sandal, cit., p. 69, ipotizza la presenza del Ventura a Lione dal 1568 al 1572.
  18. Chartier, Desgraves et al., Nouvelles études lyonnaises, Droz 1969: già nel 1568, causa la compromissione con i Protestanti, si erano dovute sciogliere "compagnie di lettura" lionesi, sottoscritte da Ugo della Porta, Senneton, Gabiano, Antonio Vincenti e dagli eredi di Jacopo Giunti.
  19. C.O.Reure, La presse politique à Lyon pendant la Ligue (1589-94), Paris, Picard, 1898.
  20. Il Greco riproduceva l'intera Raccolta nel 1594, ma collocava il testo lionese, come da ordine cronologico, per ultimo e con una traduzione propria, a cura di Cesare Campana, che ne firmava la dedica.
  21. A.Vingtrinier, Imprimeurs lyonnais, Jean Pillehotte et sa famille, s.n., p. 25 e 27.
  22. Vingtrinier, cit., p. 23.
  23. Livres populaires du XVIme siècle. Répertoire Sud-Est de France, sous le responsabilité de Guy Demerson, Paris, éditions du CNRS, 1986, Introduction ; v. Anche Vingtrinier, cit., p. 10. Notisi che questa licenza di pubblicare discendeva anche dalla difficoltà di avere pubblicazioni da Parigi.
  24. Non per nulla esso viene attribuito a Pierre Matthieu, avvocato e scrittore, attivo politicamente a Lione, prima fervente leghista, ma che poi contribuì alla resa della città ad Enrico IV, di cui divenne storico ufficiale.
  25. Tra le diverse valutazioni dei contemporanei della politica del Nemours, scelgo quella attribuitagli da persona direttamente interessata, il Matthieu, in Continuatione dell'historia delle rivolutioni di Francia, di Pietro Mattei historiografo regio, Venezia, Fontana 1625, p. 64.
  26. M.Infelise, Prima dei giornali, cit.
  27. A differenza che per la Fiandra, per i troubles "Solo due o tre autori commentarono a caldo gli avvenimenti, negli altri casi prevalse in genere la ricostruzione a posteriori del conflitto": S.Moretti, Da una "allegrezza" all'altra, dalla pace di Cateau Cambrésis alla notte di san Bartolomeo. Le guerre civili in Francia nella trattatistica italiana, in "Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento", XXI, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 242.
  28. Riedizione commentata a cura di Luigi Firpo: T.Tasso, Tre scritti politici, Torino, Strenna UTET 1980.
  29. Ibid. p. 196 con il commento di Firpo, p. 81-82.
  30. Nello specifico: nell'Ottobre 1584 giunse a Ferrara, con ampio seguito, Carlo di Lorena, figlio di Enrico I di Guisa, capo della Lega: L.Firpo, nell'Introduzione a Tasso, Tre scritti, cit., p. 77.
  31. Il testo, prodotto a Lione da Jean Pillehotte, era poi stampato a Torino da Cavaleris e a Ravenna da Tebaldini, che nello stesso anno produceva Avvisi venuti di Francia al serenissimo duca di Ferrara dove si descrive la morte del signor duca di Guisa et del cardinal suo fratello.
  32. J.Balsamo, "Une parfaite intelligence de la raison d'estat": le Tresor politique, René de Lucinge et les Turcs (1588-1608), estratto da D'un siècle à l'autre: littérature et societé de 1590 à 1610, sous la direction de Ph. Desan et G. Dotoli, Schena ed., Presses de l'université de Paris-Sorbonne, s.d., p. 308-9 e n.25.
  33. A.E.Baldini, Botero e la Francia, in Botero e la Ragion di Stato, Atti del Convegno di Torino 1990, Firenze, Olschki 1992, p. 335-359.
  34. D.Frigo, Sansovino e Botero: forme di governo e modelli amministrativi nelle "relationi" del secondo Cinquecento, in Botero e la ragion di stato, cit., p. 201-219.
  35. Anche il Tasso, nel dialogo Della precedenza (1580), faceva riferimento alle relazioni degli ambasciatori veneziani per la loro autorevolezza: Tasso, Tre scritti…, cit. p. 62, n.3.
  36. Baldini, Botero e la Francia, cit., p. 345.
  37. Rispettivamente: Relatione dell'assedio di Parigi, col dissegno di quella città & de' luoghi circonvicini, Roma, B. Grassi 1591 e Copia d'una lettera del (…) cardinale Gaetano, Legato di s. santità in Francia, scritta al (…) cardinale Montalto, Torino, s.ed., 1590.
  38. Tre prediche del rev.mo Panigarola vescovo di Asti, fatte da lui in Parigi, postillate dal R.P. Isidoro Rota venetiano min.oss., stampate in Asti per Virgilio G.Grandi & in Bologna per Gio. Rossi & poi ristampate in Vicenza per Giorgio Greco, MDXCII, con licenza de' superiori, ad istanza di G.Batta Ciotti.
  39. F.Seneca, Il doge Leonardo Donà…, Padova, Antenore, 1959, p. 190.
  40. G.Fasoli, Sulle ripercussioni italiane della crisi dinastica francese del 1589-95 e sull'opera mediatrice della Repubblica di Venezia e del Granduca di Toscana, in "Memorie dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna", Classe di scienze morali, serie IV, vol 9° (1949), Bologna 1950, p. 1-64.
  41. Le sue dichiarazioni furono pubblicate in Italia anche separatamente, oltre che nella Raccolta del Ventura.
  42. G.Fasoli, cit., p. 28.
  43. G.Cozzi, Cultura politica e religione nella "pubblica storiografia" veneziana nel '500, in "Bollettino dell'Istituto di storia della società e dello stato veneto", V-VI, 1963-4, p. 215-294.
  44. Dell'abbondante materiale, lettere e relazioni, conservato nell'Archivio di Stato di Mantova, serie Gonzaga, Stati esteri, relativo all'impresa del Nevers, offre una traccia M.E.Brambilla, Ludovico Gonzaga Nevers, s.n., con Appendice di documenti.
  45. DBI, ad vocem (R.Tamalio).
  46. DBI, ad vocem (G.Benzoni).
  47. Il Nevers a Camillo Volta, agente mantovano a Roma, 15.2.89, in Brambilla, cit., doc.62.
  48. Il Nevers a Camillo Volta: memoria per Sisto V, in Brambilla, cit., doc.69.
  49. Il Nevers al duca di Mantova, 19.3.90, in Brembilla, cit., doc.71.
  50. D.Pallier, Recherches, cit., p. 86.
  51. L'attribuzione al Manelli è nella relazione del Sant'Uffizio, in A.E.Baldini, Origini e fortuna del Tesoro politico alla luce di nuovi documenti dell'archivio del Sant'Uffizio, in "Studia borromaica", 14, 2000, p. 155-174, in particolare p. 164 e in Appendice di documenti, p. 170.
  52. H.Fouqueray sJ, Histoire de la Compagnie de Jesus en France, Paris, Picard, 1913.
  53. Brambilla, cit., p. 79-86 e docc. 74-80.
  54. Discours de le legation de monsieur le duc de Nevers envoyé par le très-chrestien roy de France & de Navarre Henri IV vers le pape Clément VIII. A Paris chez Jamet Mettayer & Pierre L'Huillier imprimeurs & libraires ordinaires du Roy, MDXCIIII, avec privilège de sa Majesté.
  55. Fasoli, cit., p. 30-53.
  56. Un'edizione aggiornata usciva dieci anni dopo: Il soldato christiano, con nuove aggiunte et la forma di un vero principe et principessa, espressi nelle vite di Stefano Batori re di Polonia, di Lodovico di Gonzaga duca di Nevers, di Eleonora arciduchessa d'Austria duchessa di Mantova etc., Venezia, Imberti, 1604.
  57. Ibid., p. 87.
  58. A.Possevino, Iudicium de Nuae militis galli, Ioannis Bodini, Philippi Mornaei, Nicolai Machiavelli…, Basa, Stamperia vaticana 1592, poi Lione, Buysson, 1593. Gli stessi argomenti furono divulgati, in italiano, in Apparato dell'historia di tutte le nationi, et il modo di studiare la geografia, Venezia, G.B.Ciotti, 1598.
  59. A.Possevino, Apparato…, cit. p. 177-8; il Mercurius è per Possevino l'unica opera che "in assai buona lingua latina tocca vari e i più ultimi successi delle cose avvenute in Francia & in Fiandra"; ma ha visto anche i testi occasionnels, diversi "secondo ò la notitia avuta delle cose, ò l'affetto diverso, essendo che alcuni non sono stati catolici". Degli autori francesi raccomanda Génébrard, Belleforest e Vignier.
  60. Crétineau-Joly, Histoire réligieuse politique et littéraire de la Compagnie de Jesus, Paris-Lyon, 1846, vol.II, cap. VI-VII.
  61. Un cronista delle guerre nel Comtat, Pérussis, dichiara di fortificarsi leggendo Auger e Possevino e riferisce che quest'ultimo non predicava senza aver saccheggiato la bottega di un buon libraio: M.Chossat, Les Jésuites à Avignon, Avignon, Seguin, 1896, p. 141.
  62. H.Fouqueray, Histoire…, cit.
  63. G.Cozzi, Gesuiti e politica sul finire del '500. Una mediazione di pace tra Enrico IV e la Sede Apostolica proposta dal p. Achille Gagliardi alla Repubblica di Venezia, in "Rivista storica italiana", LXXV, fasc. III, 1963, p. 477-537.
  64. G.Cozzi, Gesuiti…, cit., p. 484, 537 e 535.
  65. G.Cozzi, Gesuiti…, p. 499.
  66. A.E.Baldini, Origini…, cit., in particolare p. 170-71 (Appendice di documenti).
  67. J.Balsamo, Les origines parisiennes du Tesoro politico, in "Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance", Travaux et documents, t.LVII/1, Genève, Droz, 1995.
  68. Il prof. Jean Balsamo ha richiamato l'attenzione, nei due saggi citati, sulle produzioni "francesi" ed anche sulle Lettere dedicatorie del Ventura, "relais méconnu des rélations entre la France et l'Italie": Id., Une parfaite intelligence…, cit., p. 301-2, n.9.
  69. Una ventina di titoli sinora individuati da Gianmaria Savoldelli, che ringrazio per la primizia: letteratura, tra cui il Lazarillo de Tormes in spagnolo, molti Statuti di Milano e le Historie del suo tempo di Leonardo da Maniago.
  70. V. sopra, n.20.
  71. C.Campana, Delle historie del mondo (…) nuovamente stampate et corrette, Torino, Domenico Tarino 1598, p. 603-4; l'opera è la continuazione di quella del Tarcagnota (dal "principio del mondo" al 1513).
  72. L'opera avrebbe dovuto coprire il periodo dal Concilio di Trento al 1597 «in una testura (… ) d'un naturale veramente historico»: dall'Avviso del Ventura ai lettori nell'edizione della Prima parte; alla Seconda parte, che doveva arrivare al 1600, "mancava solo il polimento", ma dal rogo della peste di Cividale il Ventura ne aveva salvato solo due brani, sulle guerre turco-persiane e sulla fine del Portogallo (dalla dedica della Seconda parte al cavalier Ludovico Rota, ed. Ventura 1600).
  73. G.Cozzi, Cultura, cit., p. 270.
  74. Il seguente quadro socio-politico di Bergamo a fine '500 è tratto, salvo altre indicazioni, da B.Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, Bergamo, Bolis, t. V, e dai successivi aggiornamenti apportati dalla serie Bergamo terra di san Marco: Venezia e le istituzioni di Terraferma e Venezia e la Terraferma, economia e società, Comune di Bergamo, 1988-89. Per le istituzioni religiose v. Diocesi di Bergamo, a c. di Caprioli, Rimoldi, Vaccaro, Brescia, La Scuola, 1988.
  75. I.Pederzani, Venezia e lo «Stado de terraferma». Il governo delle comunità del territorio bergamasco (sec. XV-XVIII), Milano, Vita e pensiero, 1992.
  76. I processi inquisitoriali di Vittore Soranzo, a c. M.Firpo e S.Pagano, Archivio segreto città del Vaticano, 2004.
  77. Sul Moroni e sull'inventario della sua ricca biblioteca, alcuni dati in Storia delle terre di Albino, a c. di A.Belotti, G.O.Bravi, P. M.Soglian, Comune di Albino/Grafo, 1996; è ora in corso una ricerca, a cura dello scrivente e di R.Vittori, promossa dal Comune di Albino.
  78. Sul Grumelli si veda la storia della famiglia a cura di C.Foresti, ms. in Biblioteca civica "A.Mai", Bergamo, ampiamente documentata dall'archivio familiare ed inoltre lo scambio di lettere con Carlo Borromeo, in Biblioteca ambrosiana, Milano, Epistolario di Carlo Borromeo.
  79. Salvo diversa indicazione, i dati e le citazioni relative al Viscardi provengono da Delle lettere dell'ecc.mo giureconsulto Giovanni Andrea Viscardi, Bergamo, Ventura, 1591.
  80. Una trattatistica cinquecentesca fu dedicata specificamente alla formazione di questa figura professionale, con particolare riguardo all'arte di scrivere lettere: basti ricordare le opere di Capaccio, Sansovino e Torquato Tasso.
  81. Ne ha ben coscienza il Viscardi, fin dalla frequentazione del Concilio di Trento, ove «non è quasi prelato il quale non habbia seco alcun letterato»: a mons. abate Loredano, Delle lettere…, cit., p. 16v
  82. L'espressione è di Jean Hotman, in C.Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi Reprints, 1974, p. 271.
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