Il territorio bergamasco
di fronte all’Interdetto di Paolo V (1606-7)
Traccia delle comunicazioni di Pier Maria Soglian
Seriate 2 Maggio 2006, Ponte San Pietro 5 Maggio 2006


Il 23 aprile 1606 Venezia ufficialmente "comunica" ai sudditi la vertenza in corso con il Papa, ma in effetti chiede (ed ottiene subito) una formale attestazione di fedeltà da parte del Consiglio Comunale di Bergamo. Lo testimoniano i Rettori veneti: i Bergamaschi sono fedeli a Venezia, ma "salvo che nel confessionale"; da subito dunque emergono i dubbi ed i problemi di coscienza. Come e da parte di chi?
La vicenda prende due strade: una è la "guerra delle scritture", ovvero una serie di pamphlets di una parte e dell’altra, che coinvolsero certamente gli intellettuali bergamaschi, anche grazie ad alcune pubblicazioni a cura dell’unico editore (tipografo-libraio) locale, Comino Ventura, che lavorava per ordine dei Rettori veneti. La cultura ufficiale bergamasca, che già si era mobilitata su un altro tema di conflitto tra politica e religione, la vicenda dei troubles de France, a questa crisi dell’Interdetto "ci metterà una pietra sopra" un anno dopo celebrando in poesia la felice soluzione della vertenza ob sedatos Italiae tumultos, grazie quindi alla saggezza delle due potenze e dei mediatori che salvarono la pace. Della "guerra delle scritture" rimangono qui poche tracce, sia perché nessun (o quasi...) autore bergamasco vi prese parte, sia perché i testi di parte veneta sparirono presto dalle biblioteche, in quanto messi all’Indice.
L’altra strada è l’effettiva applicazione o non-applicazione dell’Interdetto, di cui resta traccia di diversi casi, che coinvolsero anche i conventi e le parrocchie del territorio, e non solo il clero, secolare o regolare, ma i Comuni territoriali, gli huomini dei paesi e delle valli. Si può dire che per la prima volta un dominio si è espresso, con i fatti più che con le parole, e "nel confessionale" oltre che pubblicamente, nei confronti del proprio Signore (lo Stato regionale veneto, in questo caso), oppure disobbedendo scientemente alla Chiesa nel momento in cui sceglieva di obbedire allo Stato.
Una raccolta, e se possibile un quadro, delle notizie di questi fatti, manca per la Bergamasca e sarebbe utile, in quest’anno di celebrazioni Aprile 2006-Aprile 2007, avviarne almeno la realizzazione; parallelamente ci riproponiamo di discuterne aspetti e problemi.

In questa sede proponiamo intanto un aggiornamento sul tema della società bergamasca a fine '500 – primo '600, per capire chi, che cosa e come sono "i Bergamaschi" a questo punto della storia. Che sia un momento decisivo lo si ricava dall’opera di un Rettore veneto, il Capitano Giovanni da Lezze sia nella particolareggiata Descrizione di Bergamo e suo territorio (1595), sia nei provvedimenti emessi per la corretta amministrazione dei Comuni. Il fatto che il Da Lezze abbia compiuto successivamente a Brescia un’operazione analoga dimostra il cresciuto interesse di Venezia per queste realtà lontane, border-line, del suo dominio, a quasi 180 anni dai Patti di dedizione (1427-28) con cui aveva acquistato queste città dell’Oltre-Mincio. Nella stessa epoca si realizzava l’opera di riordino della Chiesa bergamasca avviata dalla visita apostolica di Carlo Borromeo (1575) in applicazione dei Decreti tridentini, con il sostegno dei Vescovi di Bergamo e malgrado le obiezioni di Venezia che temeva ingerenze straniere . La città stessa si stava rinnovando sia con le strutture difensive (le Mura venete) sia con la dotazione di strutture urbane e direzionali; della seconda metà del secolo sono poi il Seminario, l’Accademia della Misericordia Maggiore, una scuola civica di Diritto; soprattutto sono evidenti, in un campo e nell’altro, i tentativi di riforma e riorganizzazione degli Statuti e degli uffici comunali, come delle confraternite e delle Opere Pie.
Una prima discrasia appare però dal confronto tra la Città, che ora è fortezza militarmente chiusa, e i Borghi, specialmente quello di san Leonardo, che fa perno su piazza Pontida, cresciuto ad una dimensione demografica ed economica pari a quella della Città Alta ed anch’esso dotato di un efficiente Consorzio assistenziale e di una scuola. Il Borgo sant’Antonio (Pignolo) si arricchisce di palazzi signorili, di ricchi vecchi e nuovi; il Prato di sant’Alessandro ospita la più importante attività economica, la Fiera annuale, ed anche lì nasce una scuola, "privata" o consorziale, l’Accademia dei Caspi. Nuovi uomini con ricchezze specialmente mercantili vengono ad insidiare il potere dell’antico patriziato, spesso costretto ad imparentarsi con famiglie di origine plebea.

Le tensioni conseguenti si manifestarono anzitutto in sanguinosi fatti di "anarchia signorile" e di faide familiari in città, di banditismo signorile nel territorio, spesso impuniti, oltre che in mangerie nell’amministrazione e in carenze della giustizia. Il quadro pessimistico fornito da acuti osservatori come il Podestà Giacomo Contarini, evidenzia una crisi piuttosto dei "cittadini" che non del territorio; anzi nel '500 si sono viste rivincite del territorio sulla Città, come la calata dei valligiani marcheschi contro i cittadini (1512) nel corso delle guerre italiche e come la vittoria degli Uomini del Piano nel ricorso a Venezia per un più equo riparto fiscale rispetto a Città e Valli (1547).
Se il libero Comune cittadino medievale aveva trascinato con sé il territorio nella conquista dell’autonomia, ed erano nati "quasi-città", nidi grossi, cittadelle "separate", come Clusone, Gandino, Albino, Lovere, Romano e Martinengo, la "conquista del contado" si era limitata alla sostanziale sottomissione della scarsa pianura, dominata dalle "ville" dei cittadini; le Valli avevano ottenuto condizioni di "separazione" fiscale, daziaria e in piccola parte giurisdizionale, fin dagli statuti medievali del Comune di Bergamo e la loro ricchezza era cresciuta grazie alle attività produttive e commerciali svincolate dai dazi cittadini; Venezia aveva favorito questa separazione ed anzi, ora, negli anni critici delle carestie e pestilenze, tra 1575 e 1630, i valligiani chiedevano ed ottenevano da Venezia maggiore autonomia, mentre la Città faticava ad organizzarsi davanti alle esigenze di una popolazione cresciuta e con i mezzi limitati da strutture antiquate e privilegi. In più, come la città divenuta "fortezza" anche le Valli, in particolare la Brembana con la strada Priula (1593), acquistavano peso politico e si avvalevano dello sforzo veneziano verso Nord per i propri traffici; anche la nuova politica di sfruttamento boschivo valorizzava zone geograficamente sinora marginali, come la Val Taleggio. Se questo comportò problemi e responsabilità nuove per chi viveva ai confini, per altro verso la fedeltà dei valligiani a Venezia pare ora crescere, stimolata anche dal nuovo interesse dello stato per le milizie territoriali.

In questo quadro, rispetto alla limitata ricchezza dei cittadini e dei valligiani, era cresciuta quella del secondo "corpo" sociale privilegiato, il clero; le ricchezze ecclesiastiche erano smisurate, se si deve credere a Paolo Sarpi, che nel primo '600 le calcolava 3/5 del totale e ciò non poteva non preoccupare la Serenissima, trattandosi per definizione di ricchezze "separate" o fiscalmente esenti, specialmente quelle degli ordini regolari. Se poi si aggiunge la cresciuta influenza dei nuovi ordini "stranieri", come i Gesuiti, che ora suscitavano l’interesse del patriziato bergamasco specialmente per l’efficacia dei loro istituti scolastici, si spiegano i provvedimenti contro l’espansione di quella che a Venezia si chiamava sprezzantemente fratarìa.
Per altro verso il mondo ecclesiastico bergamasco, superata la crisi della prima metà del secolo, con l’apostasia di alcuni religiosi e il processo per eresia allo stesso vescovo Soranzo, e mentre l’attività dell’Inquisizione stenta ad avviarsi a causa delle mediazioni con il giurisdizionalismo veneto, è messo in discussione dalle riforme borromaiche, nei privilegi, nel controllo dei benefici e dell’amministrazione delle chiese e delle opere pie; ed è investito, anche nelle più marginali parrocchie, da più rigorose responsabilità, con il coinvolgimento dei parrocchiani chiamati a giudicare il comportamento dei curati. Ciò crea particolari impegni nel caso del confine grigione, ove passavano mercanti (veri o falsi) tollerati da Venezia anche se protestanti. Ma il caso più importante, specie nel momento dell’Interdetto, è quello della zona bergamasca sotto diocesi milanese (pieve di Verdello, Villa d’Adda, Valle san Martino, Vedeseta, Averara), ove lo sforzo riformatore borromaico collocava il nuovo collegio di Celana.

Una prima ipotesi di conclusione evidenzia l’emergere nel '500 di nuovi soggetti e forze sociali nel territorio bergamasco; e ciò pone una domanda: nella vertenza dell’Interdetto, Roma e Venezia, nell’imporre obbedienza, nel motivare le proprie ragioni, nel sollecitare il consenso, quanto avranno saputo valorizzare queste forze e questi soggetti?